02/06/10

La celebrazione di S. Rocco di metà Quaresima (19 MARZO 2009)

 Cappella di San Rocco alle Manne in Via La Rhô...
(foto Chiara Marino)
«L’anno del Signore 1630 e il ventinovesimo giorno del mese di giugno, giorno e festa dei nostri signori Santi Pietro e Paolo Apostoli, a tutti, sia presenti che futuri, sia noto e manifesto che, siccome era piaciuto a Dio affliggere questo luogo e il popolo di Bardonecchia del male contagioso, della carestia e della guerra e per la conservazione della salute contro il detto male, e dar soccorso ai poveri bisognosi, la Messa grande sarà cantata e la processione sarà fatta all’onore dello Spirito Santo, vi assisterà il popolo con la maggior devozione che sarà possibile e ancora per meglio ottenere grazia, misericordia e liberazione dalle dette afflizioni [...]; di ricorrere a Dio, ai nostri buoni patroni Sant’Ippolito e San Giorgio, ai nostri signori San Sebastiano e San Rocco, votandoci e promettendo che d’ora in avanti in perpetuo le loro feste saranno celebrate e solennizzate nel detto luogo di Bardonecchia dal popolo e dagli abitanti, e che sarà costruita una cappella in onore di San Rocco [...]».
Il giovedì di metà Quaresima, da ben 379 anni, la comunità di Bardonecchia, in ossequio a questo antico voto risalente al 29 giugno 1630, celebra la Messa Comunale in onore di San Rocco, Messa durante la quale il Parroco, dando lettura  del testo originale e completo, rinnova l’invocazione e la promessa di rito perpetuo che la popolazione volle rivolgere ai Santi Rocco e Sebastiano in un travagliato periodo della storia bardonecchiese.
Anche nel 2009, presenti il vice-Sindaco, le Autorità civili e militari, un folto gruppo di Priore e Priori emeriti di Sant’Ippolito, le donne con l’antico costume e lo scialle di colore viola del tempo quaresimale, alunni delle scuole elementari e medie e numerosi fedeli, Bardonecchia ha dunque ottemperato al voto formulato dai nostri predecessori. Nel corso della solenne funzione, a seguito della lettura del voto e dell’omelia, come consuetudine, si è proceduto alla nomina dei Priori di Sant’Ippolito: per il 2009 sono nominati Priori di Sant’Ippolito Pietro Paolo Marino e Severina Riolfo Mallen, vice-Priori Mario Ambrois e Teresa Bompard Gillio. Essi hanno firmato i registri parrocchiali dedicati alla carica d’onore del Priorato di Sant’Ippolito e, accompagnati dai Priori uscenti Fulvio Bauda e Franca Francou Rissone, hanno pregato e letto un’invocazione legata al loro ruolo.

a Melezet (foto Chiara Marino)
Al termine della Messa è stato servito un rinfresco offerto dal Comune presso “La Genzianella” e nel pomeriggio, alla presenza dei Priori, vice-Priori e Priori uscenti, il canto del Vespro nella Cappella dedicata a San Rocco e sita in località Manne in Via La Rhô, ha concluso l’omaggio al solenne voto.
Le radici di questa liturgia votiva risiedono in un’epoca lontana, in cui il Piemonte si trovava a svolgere «la funzione di Stato-cuscinetto tra le ambizioni francesi verso l’Italia e la resistenza a tali ambizioni operata dalla Spagna, tenuta a difendere i suoi dominii in Italia», ed in cui Bardonecchia apparteneva, come tutta l’Alta Valle di Susa, alla Francia, il confine con il ducato di Savoia essendo infatti tracciato a Chiomonte. Sarà successivamente il trattato di Utrecht del 1713 che, sancendo la fine della guerra di successione spagnola, annetterà la Val di Susa e la Val Chisone ai domini di Vittorio Amedeo II di Savoia.
 ...a Rochemolles. (foto Chiara Marino)
Terminato con il Cinquecento il tormentato periodo delle guerre di religione tra cattolici e valdesi (eventi significativi furono il saccheggio e l’incendio della Prevostura di Oulx e della stessa Bardonecchia da parte dei protestanti), nel corso del Seicento, per più di mezzo secolo, l’intera valle, da tempo immemore valico e luogo privilegiato di passaggio, fu direttamente coinvolta nei conflitti tra le potenze europee: i costanti transiti ed acquartieramenti di truppe ed eserciti comportarono pesanti ed onerosi disagi per la popolazione locale, tenuta a sovvenzionarne parte del sostentamento. Nel 1628, in occasione dello scoppio della guerra di successione di Mantova e del Monferrato, si registrò in Valle l’arrivo delle milizie del Duca Gonzaga-Nevers, mentre nel 1629 fu la volta di quelle di Re Luigi XIII di Francia: furono proprio i soldati a fungere da veicolo per le epidemie che si diffusero numerose, favorite anche dalla concomitanza di periodi di carestie, di denutrizione, di scarse condizioni igieniche e di emergenze climatiche.
...aMillaures... (foto Chiara Marino)
Negli anni 1629 e 1630 si diffuse in tutto il Nord Italia il morbo della peste, «il male che sparge il terrore», uno dei flagelli più terribili narrati nelle cronache dall’antichità ai tempi moderni: l’Europa ne fu colpita a più riprese, nel VII sec. d.C. e in epoca medievale a partire dal Trecento, qui giunto dall’Oriente veicolato attraverso le rotte commerciali dai ratti trasportati via mare o via terra dai mercanti e da viaggiatori e pellegrini infetti. Ad esso, che causò plurime «mortifere pestilenze» in tutto il Continente, che «si manifesta in tutti i punti del corpo, in tutti i luoghi dello spazio fisico, dove la volontà umana, la coscienza e il pensiero sono presenti», ed alle sue terribili conseguenze in termini di sofferenze, di impatto sull’evoluzione demografica, di profondo sconvolgimento del tessuto sociale, sono dedicate alcune tra le pagine più drammaticamente importanti della letteratura di tutti i tempi, quali quelle di Lucrezio, Tucidide, Boccaccio, Manzoni. L’epidemia, magistralmente descritta dal Manzoni ne I Promessi Sposi e nel saggio Storia della colonna infame, si diffuse dunque a partire dal 1629, ebbe il suo culmine nel 1630 e falcidiò la popolazione locale in tutta la Valle: gli archivi dei registri parrocchiali, conservati proprio a partire dall’inizio di quel secolo, narrano della morte di circa il 40% degli abitanti e della  comparsa di intere famiglie.


A Bardonecchia la peste si accanì con particolare virulenza e causò il decesso dei 2/3 dei residenti, ben 739 persone (tra i quali lo stesso Parroco, don Orcellet), lasciandone in vita solo 311, a Salbertrand si registrarono 872 decessi (tra di essi, anche qui, il Parroco don Chaulet), a Chateau Beaulard morirono 180 persone, a Exilles le vittime furono 365, a Gravere 428. Qualunque rimedio tentato dalla medicina di allora si rivelò inutile, i paesi ed i borghi si svuotarono, i beni e le case degli appestati dati alle fiamme o abbandonati, i corpi dei defunti sepolti cosparsi di calce viva, le funzioni religiose sospese, interi villaggi che si isolarono per tentare di evitare il contagio. Il De Rerum Natura di Lucrezio  riporta una vivida descrizione degli effetti delle pestilenze, valida per tutte le epoche, poiché esse portarono scenari di morte di massa, dove «deserte le strade, vuota di abitanti la città, ombre di fantasmi si aggiravano in balia del morbo e della morte, funerali deserti, senza seguito, si disputavano la via frettolosi», e rappresentarono dunque «uno squarcio nella carne degli uomini e uno squasso nella vita delle comunità, capaci di lasciare vuote le strade, vuoto lo sguardo e vuota l’anima in un mondo sospeso, dove non v’è più legame con la realtà fin allora conosciuta».
Tale fu lo sconvolgimento portato dal morbo che i nostri predecessori fecero solenne voto a San Rocco, a San Sebastiano, alla Vergine e ai Santi Patroni, Ippolito e Giorgio, invocati affinché intercedessero per porre fine al flagello; decisero anche la costruzione di una Cappella dedicata a San Rocco, costruzioni che si eressero anche a Melezet, Millaures e Rochemolles, e in tutta la Valle, a Royères, Oulx, Chiomonte, Bousson, a testimonianza della profonda devozione nei confronti del Santo di Montpellier.
San Rocco, pellegrino e portatore del messaggio della carità di Cristo e della potenza miracolosa di Dio, intercessore dei malati di peste, ricco del carisma di invocare la protezione di Dio sui luoghi da lui toccati, è divenuto il Santo che ha il maggior numero di luoghi di culto dedicati a livello mondiale ed è tradizionalmente raffigurato in abito da pellegrino, con bastone e conchiglia, piaga della peste su una gamba, cane ai suoi piedi con un pane, croce rossa sul cuore e angelo recante una tavoletta con il patronato anti-pestilenze.
Il voto del 1630 riporta dunque l’implorazione della popolazione a San Rocco per porre termine al flagello pestilenziale, con la promessa di celebrare ogni anno, in perpetuo, la liturgia solenne il giovedì di metà Quaresima, e non il 16 agosto per le esigenze dei lavori nei campi e negli alpeggi, poiché troppo a ridosso delle festività di Sant’Ippolito e dell’Assunta.
Le accorate parole che lo compongono, giunte sino a noi da un lontano passato, intriso di grandi sofferenze,  rappresentano una della testimonianze più importanti della profonda devozione dei bardonecchiesi di ogni tempo.

Chiara Marino