Dalle Alpi al
lontano Siam
Cesare Ferro
pittore torinese
Maria Luisa
Moncassoli Tibone
A Torino, nel clima modernista delle arti
Frontespizio del libro curato da Gian Giorgio Massara e Maria Luisa Moncassoli Tibone |
1902. È l'anno in cui si apre, a Torino,
la grande Esposizione d'arte decorativa e industriale. Dedicata alla produzione
ormai ampiamente diffusa di decori e di oggetti 'utili per rendere piacevoli
gli spazi della vita" era una grande operazione, anche mediatica, volta a
«socializzare il sentimento dell'arte [...] sollevare le coscienze più semplici
e le più complesse alla sua comprensione, rendere gli uomini desiderosi
dell'impero della Bellezza». Le parole di Leonardo Bistolfi nel discorso
inaugurale così ne definivano il carattere. Vi dominava il modernismo, detto art nouveau dal negozio di Parigi
specializzato in arti decorative ma anche floreale per la prevalenza di
elementi botanici fluenti. Determinante sarà la definizione inglese di liberty, dal negozio di tessuti d'arredo
in Regent Street. Un nome di successo, durato a lungo anche per l'assonanza con
la libertà proposta dal nuovo secolo XX.
A
Torino, affiancata all'Esposizione al Valentino era una Quadriennale d'arte che
mostrava tutte le novità dell'epoca, organizzata dalla Società Promotrice delle
Belle Arti.
Cesare Ferro era allora un giovane artista ventiduenne,
già bene inserito in quel momento d'arte. Aveva esordito alla Esposizione
generale italiana di Torino nel 1898. esponendo due miniature in avorio. In
quei primi anni di lavoro si era dedicato soprattutto alla figura. Produceva
ritratti a olio di belle signorine come Maria Calvi, sua compagna di studi
accademici, che diverrà la moglie dell'architetto Annibale Rigotti, un
personaggio che avrà molta parte nel momento culminante della giovinezza
dell'artista: l’invito al Siam.
Sempre in quell'anno fu presente alla
Promotrice con un Ritratto , un Crepuscolo, un Interno, mentre al Circolo degli Artisti presentò Un fiore a olio e la Bambina a pastello. Quest'ultima fu
particolarmente apprezzata dal maestro Grosso; a lui l'allievo volle donarla
nel 1903 . Ancora nel 1902 partecipava alla mostra della Promotrice con tre
ritratti: del pittore Bozzalla, della
bambina Diatto e di una Signora in nero. Nella Quadriennale del 1902
Giuseppe Pellizza da Volpedo esponeva Fiumana
(1898), antecedente del celebre Quarto
stato (1901 ). Carica di interessi sociali, questa opera doveva vincere il
premio degli artisti, ma le fu preferita la grande scultura del Monumento equestre al principe Amedeo di
Davide Calandra Certamente Ferro conosceva Pellizza e partecipava alla sua
passione sociale. Così quando si diede, in quell'anno 1902. con i primi dipinti
di Usseglio, alle figure nel paesaggio, le volle ispirare proprio alle istanze
sociali che fra i giovani artisti si facevano strada.
Ritratti
fra i monti
Due sono le opere che vengono realizzate
a Usseglio nei primi anni del secolo. La prima fu studiata a lungo e
probabilmente ripresa anche in tempi successivi, fra 1902 e 1907. Dipinge i
cavatori di lose che nel Piemonte furono importanti fornitori di materiali
edilizi, attivi soprattutto nel Cuneese
donde traevano la celebre pietra di Luserna. Ritraendo quelli operosi a
Usseglio mentre salgono con le slitte di legno sulle spalle. Cesare Ferro
perpetua anche i lavoratori della sua valle e li iscrive con straordinaria
perfezione in un clima di fatica umana viva e vera a cu fa riscontro il sereno
progressivo illuminarsi del paesaggio.
Il bellissimo disegno preparatorio, che
viene donato dalla famiglia Ferro al Museo di Usseglio con il grande quadro dei
“Portatori di slitte” del 1902, fa
fede della ricerca puntuale di
rappresentazione della umana fatica che era, in quel momento giovanile, ben
congeniale a Cesare Ferro. Infatti l’altra opera, coeva a quella oggi donata,
dal luminoso titolo ‘Alba a Benot’
rappresenta un’altra fatica umana, quella delle due pastore che vigilano sul
gregge. Le due opere, apoteosi dell’umile lavoro della gente di montagna, si
completano con l’opera coeva, oggi alla Galleria di Arte Moderna di Torino, il
‘Ballo in montagna’.
Un momento di gioia da ricordare, una
siesta festosa: da un lato i giovani che danzano, con i suonatori di
fisarmonica che li animano; dall’altra gli anziani, davanti alle vecchie amate
baite, che assistono al vivace e fragoroso ballo. Ma proprio dopo questa opera
il momento di solidarietà sociale dell’arte di Ferro è destinato ad
interrompersi - insieme alla serie grande dei ritratti che gli valsero a
Parigi, al Salon del 1904, la
medaglia d’oro- con l’avvento dello straordinario episodio del primo soggiorno
siamese.
Nell’Estremo
Oriente la passione per l’Occidente
Il regno di Thailandia, all’inizio del
secolo XX ancora chiamato Siam, era retto da un sovrano di grande cultura.
Appassionato di varia umanità il re Chulalongkorn della dinastia Chakri, detto
Rama V, si era posto ripetutamente in contatto con l’Occidente di cui
apprezzava fortemente la produzione d’arte, di tecnica e di scienza.
Nel 1897 un lungo viaggio gli aveva
fatto conoscere le principali città di quasi tutte le nazioni europee. In
Italia era stata importante la sosta a Firenze
dove aveva incontrato artisti allora famosi come Edoardo Gelli e Michele
Gordigiani. Nello studio di quest’ultimo il sovrano aveva posato per ritratti
prestigiosi. Fu un’occasione di contatto artistico e culturale di prim’ordine
durante la quale maturò, nel sovrano Rama V, l’idea di invitare in Siam
artisti, ingegneri e architetti italiani a cui affidare l’occidentalizzazione
della cultura e lo sviluppo della
tecnica del paese. Tra i primi era stato il colonnello Girolamo Emilio Gerini,
giunto a Bangkok per riorganizzare
l’esercito ma divenuto anche esperto di infinite ricerche, scientifiche ed archeologiche.
Nel 1890 era pervenuto in Siam l’ingegnere
varesino Carlo Allegri che aveva collaborato a Torino con l’equipe
urbanistica guidata da Carlo Ceppi, che
era attiva nella trasformazione della città, con la progettazione della
diagonale di via Pietro Micca.
Divenuto capo del Dipartimento di Ingegneria
del neonato Ministero del Lavori pubblici siamese, Allegri era stato seguito
dall’arrivo a Bangkok di altri esimi colleghi, tra i quali erano gli architetti
Mario Tamagno, Annibale Rigotti , Ercole Manfredi e Francesco Montalenti. Tutti
torinesi e protagonisti del rinnovamento urbano.
Tra le prime opere progettate da Mario
Tamagno, Annibale Rigotti e Carlo Allegri a Bangkok era una piccola ma
raffinata villa reale: Pratinang Amphorn, in italiano Ambara Villa. Era un
edificio di gusto liberty che
richiedeva di essere completato con belle pitture.
Nel 1904 è proprio Annibale Rigotti ad
estendere a Torino l’invito per Bangkok a Cesare Ferro, a cui si voleva
affidare la decorazione pittorica di quella residenza. Abbiamo già ricordato
che consorte di Rigotti era quella Maria Calvi, già compagna di Accademia di
Ferro, da lui amichevolmente ritratta. Ma l’occasione di apprezzamento delle
capacità d’arte del giovane pittore era stata anche la sua partecipazione già
citata al Salon parigino di quell’anno, dove era stato ripetutamente premiato.
E’ così che Cesare Ferro, pittore accademico
ma anche appassionato ricercatore della bellezza ed esegeta attento della vita
della montagna nella Valle di Usseglio, decide di dare una svolta alla sua
esistenza partendo su una nave per il lontano Oriente. Reca con sé i messaggi
dell’art Nouveau, assorbiti dalle
grandi Esposizioni ma è pronto a trasformare la sua arte per servire il grande
paese dell’Asia che per un triennio gli offrirà la continua scoperta della sua
atmosfera vivace e sognante. A Bangkok, nella Venezia d’Oriente, si immergerà
in una bellezza struggente che fisserà in fotografie e schizzi e che saprà
trasferire nella rappresentazione pittorica che trasfigura i miti del mondo
siamese in immagini ispirate al rinnovamento delle arti determinato da quell’art nouveau segnatamente vivo nella Parigi
del tempo, come in altre importanti città d’Europa.
Una
suggestione di spazi per un’esperienza nuova
Questa svolta di vita determinante, Cesare
Ferro l’aveva raccontata anni dopo quando, nell’ agosto 1930, fu incaricato di
ricevere all’Accademia Albertina il principe siamese Damrong, in visita con le
figlie. Pronunciò allora un ampio documentato discorso di benvenuto. Nelle sue
parole, molto sobrie, c’era una viva rievocazione dell’esperienza orientale che
il biografo Ernesto Lugaro ci tramanda.
Il Siam fu per lui una rivelazione
“come
il bramanesimo trovò al Siam un’interpretazione più umana e serena e il
buddhismo la sua più chiara espressione, così l’arte dell’Estremo Oriente si
riveste al Siam di una più perfetta grazia; più armonica è l’architettura, più
elegante ed aggraziata la sua linea, più nobili le proporzioni, più armoniosi i
particolari, più austeri gli interni delle sue chiese, più delicata la
policromia … La profusione dell’oro e delle ceramiche è ricchezza meravigliosa
e non sfarzo, i mille dettagli sono bellezza e non superstruttura…”
E ancora
“non
si dimentica facilmente l’interno del Wat Phra Keo colle sue meravigliose
armonie di colori e d’oro, le sue pareti a losanghe dorate, i suoi pilastri
policromi, i suoi capitelli intagliati squisitamente,le sue porte in nero e
madreperla, le sue decorazioni di ceramiche, la maraviglia d’incastri della
struttura di legno…Non si dimenticano le maraviglie del Wat Suthat, del Wat
Pho, la slanciata cuspide del Wat Chieng, la bellezza del Wat Rajiabopit colle
sue pareti rivestite di ceramiche, la sua
pianta circolare, il porticato esterno e il cortiletto interno pieno di
fascino e di mistero”
Quando Ferro giunse al Siam fu certamente
colpito dagli originali esiti
dell’arte di occidente là presenti. All’interno di Ambara Villa, il lavoro
importante a cui era stato chiamato, trovò accenni all’art nouveau, ma anche ambienti rievocanti, specie nelle aperture,
l’antica architettura del paese. Guardando ai templi di Bangkok, in particolare
al Wat Arun, tempio dell’Aurora, Ferro reinventò simboli mitici, uccelli sacri
e, variandoli nelle diverse sale, riscoprì i temi floreali della tradizione che ripropose con evidenza.
La cultura e la sensibilità d’arte che ben aveva ravvisato in lui il suo maestro
Giacomo Grosso, lo portavano a queste attente riflessioni. Il suo ruolo di uomo
di cultura si affiancava alle appassionate realtà della sua pittura.
Nella villa
reale le stanze da affrescare sono
grandi e ariose e richiedono un impegno che è anche fatica fisica. Nei
pochi momenti di sosta che gli consente il lavoro di decorazione di Ambara
Villa egli cerca i contatti con il paese e con l’obiettivo fotografico fissa le
immagini che non vuole dimenticare. Ma
al suo fianco è sempre anche l’album degli schizzi che diverranno, ripensati
nello studio, brillanti acquerelli.
Miti e natura e il ‘fresco-secco’: una nuova
tecnica
La scelta pittorica del tema degli affreschi
nella preziosa residenza principesca è nuovo e singolare, così come nuova e
singolare ne è la tecnica. Il fresco-secco e l’encausto, dall’artista
elaborati, permettono di creare opere durevoli in ambiente di forte umidità. I
temi naturalistici, le ricche creazioni fitomorfe splendono nell’impaginazione
delle cornici: è un preciso sapere liberty che egli celebra là nel 1906,
apponendo la sua firma.
I
grandi occhi circondati da fastose decorazioni mistilinee sotto l’importante
fregio fitomorfo connotano una grande sala che abbiamo definito “dei miti
silvani”. Figure di donna dal busto fiorente in atteggiamenti agresti si
affacciano alternate a giovinetti, a putti, ad immagini di vecchi e di satiri.
Una allegoria della forza vitale della natura e delle stagioni in cui il
pittore si esprime in modo forte e originale, accordando gli splendidi colori:
rossi, verdi, aranciati con la
sensibilità di un grande maestro italiano. Nei particolari di questa importante
opera firmata e datata, Ferro impostò
una decorazione lussureggiante in cui alberi e uccelli, paesaggi, figure umane
ed animali, quadrature e cartigli si fondono con eccellente fantasia.
Le stanze
di Ambara Villa sono illustrate , come s’è detto, con temi mitologici e
simbolici che attingono alla tradizione e alla natura così dell’Occidente come
dell’Oriente: giovinetti con la tonsura, satiri e ninfe, coppie di amanti, una
ripetuta allegoria di Vertunno e di Bacco. Il pittore torinese inventa
liberamente i partiti decorativi cui la linea sinuosa dell’art nouveau conferisce
elegante fascino.
L’apparato ligneo delle porte e delle
sovrapporte, una sorta di moderne musharabie – finestre trasparenti in legno traforato- necessarie a
far filtrare aria fresca nelle sale, segue l’idea creativa che offre all’opera
la sua immagine unitaria.
Sulla parete della scala che conduce al primo
piano della villa, sta il più importante dipinto siamese di Cesare Ferro. E’
una famosa scena che elabora con stile moderno d’Occidente un mito della
letteratura thai: la cattura di una Kinnari, inseguita da un cacciatore con un
serpentello. La donna- uccello insieme con le compagne viene sorpresa al bagno
come Nausicaa da Ulisse. Inciampa e
cade. Ampie ali si dipartono dai fianchi lasciando scoperto il busto fiorente.
Sullo sfondo le compagne assistono, impaurite.
I volti hanno fattezze appena segnate dal tratto orientale; i corpi ostentano
una casta nudità di stampo occidentale. Sul capo coroncine bianche creano un
riflesso simbolista. La natura è un plein
air sobrio, memore forse del Déjeuner
sur l’herbe di Manet, ma ricco di un cromatismo sfatto, ancora di marca
simbolista. Di quest’opera la famiglia Ferro conserva alcune foto e disegni preparatori, attraverso
i quali si legge la genesi impegnata del dipinto. Sono busti e volti di alcune
figure. Resta anche una foto che ritrae
a Bangkok il pittore con la tavolozza in mano, accanto all’opera pressoché
terminata.
Per
la memoria: disegni e fotografie
Negli anni del suo primo soggiorno in Siam
Cesare Ferro schizzò a carboncino, a sanguigna molti angoli di Bangkok allora
ancora ricca di klongs (canali) che
la facevano definire Venezia del Siam. Disegnò figure di giovinetti, monaci,
suonatori, danzatrici e con buona tecnica cercò di fotografare ogni angolo
dello straordinario paese di cui cominciava a conoscere storia e cultura.
Nell’archivio della famiglia Ferro è un grande album: raccoglie più di
quattrocento immagini. Sono in gran parte fotografie scattate nel suo primo soggiorno (1904-1907).
Si aggiungono un certo numero di cartoline da
lui acquistate come souvenir o ricevute dagli amici negli anni successivi al
suo ritorno.
Nel 1907 egli arriva, verosimilmente prima
dell’estate, a Torino, lasciando in Siam ricordi e rimpianti. Gli scrivono
soprattutto gli amici Moreschi, Tavella, Tamagno. Esprimono spesso il desiderio
di rivederlo a Bangkok.
Cesare Ferro Portatore di slitta 12 agosto 1907. Carboncino su
carta cm.48x60. Usseglio, Museo Civico Alpino Tazzetti (foto L.De Vero)
Le fotografie scattate da Cesare Ferro in Siam
si possono, grosso modo, dividere in alcune tipologie. Dapprima le
rappresentazioni ufficiali, le cerimonie fastose, le sfilate militari, un
corteo che mostra l’erede al trono principe Vajravudh. Barche reali sul Me-nam
Chao Phya si accostano ad una ricerca
precisa del folclore nel mercato galleggiante. Poi figure di donna, suonatori,
danzatrici, venditori e botteghe, monaci sono fissati in serene gestualità o allineati in ordinate schiere, sempre
indagati con un occhio fotografico dal taglio sicuro.
Vi sono poi i ritratti degli amici e degli
assistenti della colonia italiana a Bangkok: figure spesso inquadrate su
scalinate di templi. Tutte le immagini esprimono naturalezza e accurata ricerca
dei particolari. L’occhio del pittore -che è un grande ritrattista- guida la
realizzazione di queste immagini che ben rappresentano la sua forza evocativa,
affiancata ad una buona preparazione tecnica.
Alcune fotografie sono preparatorie di dipinti
come quella di una giovinetta che fu poi ritratta in un quadro acquistato dal
principe Umberto di Savoia (come conferma una nota manoscritta a tergo
dell’opera).
Nei circa tre anni trascorsi a Bangkok a
contatto con persone sempre importanti, come il sovrano stesso Rama V, i principi Damrong e Naris, uomini di
spiccata cultura, Cesare Ferro ebbe
momenti molto significativi per
la sua presenza artistica.
Capace di elaborare con stile originale gli
elementi dell’arte d’Oriente con lo stile liberty imperante in Occidente, egli
sarà autore di progetti grafici per francobolli, monete e medaglie,
banconote, per servizi di porcellana e d’argento che
continueranno a venirgli commissionati anche dopo il suo ritorno a Torino,
nell’estate del 1907. Per più di quindici anni egli sarà richiamato a
continuare la sua pittura nel Siam, con ripetute offerte giuntegli nel tempo,
suffragate dalle sollecitazioni anche degli amici rimasti laggiù.
Ferro aveva riportato in Italia con sé disegni
a carboncino, a china, a sanguigna, raffinati pastelli. Ritraggono bambini e
ragazzi, ballerine danzanti, bonzi e sacerdoti. Dipinti a olio, molti
particolari di templi, con le tipiche cupole a prang e chedi. Poi i klongs, tipici canali dalla mobilità
specchiante fra i barconi del mercato galleggiante e le case di legno. Un mondo
spettacolare e tipico, oggi quasi scomparso.
Il primo soggiorno siamese lascerà profonde
tracce nel pittore che non dimenticherà più la suggestione degli spazi della
città di Bangkok, il fascino della Venezia d’Oriente, i suoi ponti, le sue vie
d’acqua …
A
Torino il padiglione siamese nella mostra del 1911
Sarà la partecipazione, dopo il ritorno nel
1907, alla grande Esposizione Internazionale per il Cinquantenario dell’Unità
d’Italia nel 1911, a suggellare la produzione siamese di Ferro, negli
acquerelli e nelle numerose “cartoline” che egli stilerà degli spazi di Bangkok
per la mostra torinese e che confluiranno anche nella realizzazione dell’Almanacco Sasso 1912.
Voluta dai produttori del celebre Olio Sasso,
parenti del celebre poeta Angelo Silvio Novaro, la pubblicazione era stata
sollecitata da questi a Ferro, attraverso comuni amici, tra cui Felice Carena. L’Almanacco è un testimone importante delle novantasei opere che
Ferro espose nel 1911 nel Padiglione siamese sulle rive del Po, costruito dagli
architetti Tamagno e Rigotti ed illustrato dal bel catalogo del colonnello
Girolamo Emilio Gerini, che così lo presentava: “Svoltando verso la Il parete di sinistra non si potrà fare a meno di
soffermarsi dinanzi alla splendida
collezione di schizzi e dipinti di paesaggi siamesi che l’adornano, la quale,
meglio di qualunque descrizione, ci fa conoscere le caratteristiche
dell’architettura e delle vita sociale del paese”.
Il concetto veniva ripreso dai giornali
che sottolineavano – come Il momento-
la calda nota di vita presente nei dipinti
Di queste opere non ci resta un elenco
preciso. Di esse, oltre alle tredici immagini presenti nell’Almanacco Sasso ,
crediamo di aver ravvisato altri tredici fra oli, acquerelli carboncini,
acqueforti, presenti negli Archivi della
Galleria di Arte Moderna di Torino e ancora un esemplare nell’acquerello donato
da un magnanimo acquirente al Civico Museo Alpino di Usseglio.
Ritratto
di Bangkok nella Galleria di Arte Moderna
Bangkok, Palazzo Reale. |
Rappresentano quanto resta di ciò che
Cesare Ferro volle ritrarre - a ricordo del suo soggiorno a Bangkok - con
diverse tecniche pittoriche di grande efficacia e che espose in gran numero
-novantasei, si dice- nel Padiglione siamese dell’Esposizione del 1911 al
Valentino.
Nei dipinti alla GAM si legge un panorama
variegato di quel mondo lontano.
Due sono acquerelli ( mm.275 X 205): il primo
raffigura “Birmani presso un tempio”
che potrebbe essere il Wat Benjamabopit o Tempio di Marmo e il secondo un “Esterno
di tempio con Buddha e devoti” (Wat Po?).
A
carboncino abbiamo un “Concerto” di famiglia intorno alla lanterna
(mm.380 X 610).
All’acquaforte, stampata in un foglio di
mm.287X196, un’immagine ritrae la danzatrice indiana Roshanara conosciuta da
Ferro proprio nell’ Esposizione torinese.
A
matita, pastello e tempera sono due carte: la prima presenta la figura di un
ragazzo siamese in costume rosa (mm 409X244), la seconda una figura di lama che
un’etichetta intitolava “Vecchio
orientale in giallo” (mm 447X288).
Ritratto con oggetti siamesi (Collezione privata). |
Uno di questi, (mm.330X265), reca una dedica:
“All’amico carissimo G. Canova Cesare
Ferro 1916”; segno che anche in anni
più tardi il pittore donava i suoi ricordi di Bangkok agli amici più cari.
Nell’ultimo
olio su tavola, un più vasto
panorama si apre a rappresentare il Fiume Menam a Bangkok sul quale navigano
due imbarcazioni (mm.265X388). E’ l’unico sguardo fuori dalle mura della città
che qui si conserva.
I
dipinti di Ferro alla GAM sono accuratamente incorniciati. Potrebbero essere
tratti dai depositi e costituire una piccola sezione di iconografia d’Oriente.
Ad essi possiamo accostare per analogia di
tema e di tecnica l’“Interno a Bangkok”, l’acquerello su
carta donato al Museo di Usseglio.
Un
dono recente e prezioso
Acquisita
in un’ asta presso le Gallerie Santagostino, l’opera dai ricchi colori e dall’accurato disegno
prospettico rappresenta l’interno di una
Sala da the o di una casa antica di teak da visitarsi da parte del pubblico
come ne esistevano all’epoca del primo Novecento a Bangkok.
Una di queste, ancora aperta al pubblico una
quindicina di anni fa, è la Casa di Jim Thompson, un americano re della seta
che si fece costruire un’antica casa di legno di teak, inserendovi una
interessante raccolta di arte e di antiquariato. Un’altra è la Kamthieng House
della Siam Society che si occupa di ricerca e mantenimento di beni culturali
thailandesi.
L’opera “Interno a Bangkok” aggiunge un significativo tratto alla presenza delle opere di Cesare Ferro nel Museo di Usseglio portando una
testimonianza unica, originale e vivace della presenza dell’artista nel lontano
Oriente,
E’ infatti questo dipinto il documento di
come, nel primo soggiorno siamese, l’artista desiderasse conservare ricordo
immediato della sua presenza laggiù, disegnando con cura tanti particolari
degli ambienti e ricreandone con vivace attenzione il carattere. In questo
dipinto tipiche siamesi sono finestre, pareti, soffitto, tappeti, la maschera
sul tavolo, mentre di gusto liberty sono
gli arredi, in particolare le sedie.
Tornato dal Siam Ferro riprese il vivo
contatto con la cultura torinese. Fu nominato all’Accademia Albertina docente
“aggiunto per merito eminente”. Da Bangkok continuavano a giungergli
sollecitazioni perché potesse là ritornare, dove un nuovo palazzo stava
sorgendo a poca distanza da Ambara Villa.
La prima
pietra era stata posta nel novembre 1908. Gli architetti Mario Tamagno e
Annibale Rigotti l’avevano progettato e gli ingegneri Carlo Allegri ed Emilio
Gollo ne seguivano la costruzione, realizzata
sotto la direzione siamese di Chao Praya Yomarai. Lungo più di cento metri
in marmo di Carrara bianco venato di grigio, il nuovo Palazzo del Trono
attendeva una decorazione pittorica da realizzarsi secondo il progetto
culturale elaborato dal dotto principe
Naris. Cesare Ferro, che aveva dato in
Ambara villa prova di realizzazione di affreschi di grande respiro decorativo e
che vi aveva sperimentato una nuovs tecnica, quella del fresco-secco, venne
ripetutamente chiamato per riprendere,
in quello spazio prestigioso, la sua opera. Ma egli non acconsentiva a tornare colà.
In sua vece fu chiamato il toscano Galileo
Chini che partì nel marzo 1910.
Da Torino, piazza Emanuele Filiberto 6, e da
Usseglio, Borgata Quagliera, Cesare Ferro continuerà a svolgere un fitto
carteggio con il Siam. C’era richiesta di bozzetti per monete, medaglie,
francobolli, argenterie… Opere per le quali l’artista viene nominato da Bangkok
“Cavaliere Phraradaborn della Corona..”
Intanto la vita di Ferro si era fatta densa di
successi. Era la sua, come si è detto, una presenza importante nell’Esposizione
per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia nel 1911 dove, a cura del colonnello
Gerini una grande mostra riscuoteva successo nel padiglione del Siam sulle rive
del Po. Come s’è detto, proprio in essa
un singolare filmato avanti lettera era stato costituito dalle pitture di Ferro
e dai bozzetti di cui rimangono i citati tredici pezzi a Torino, nei depositi
della GAM.
Tuttavia, a lungo cercato negli anni 1913-15,
Ferro non accettava di ritornare a Bangkok, pur rimanendo in contatto
epistolare con molti amici.
La bella famiglia e il faticoso ritorno a
Bangkok
Gli anni dl primo conflitto mondiale
interruppero questi rapporti. Nel 1916, come tanti, anche il pittore Ferro
vestiva la divisa. Verso la fine della guerra, sul lago di Garda , egli
conosceva Andreina Gritti, di un’antica famiglia di dogi: la sposerà nel 1920.
Ormai quarantenne, affermato come docente e
poi come Presidente dell’Accademia Albertina, si dedicherà con passione alla
realtà domestica e con la consorte e i tre figli tornerà ogni estate ad
Usseglio dove riprenderà a dipingerne la montagna in una nuova iconografia,
protagonista la famiglia.
A
fatica quindi, nel dicembre 1923 - ancora una volta sollecitato da Bangkok per
la decorazione della nuova villa Norasingh, detta per lo stile veneziano la Cà
d’Oro - decideva di ripartire.
L’offerta era pressante, il compenso stabilito
allettante. Ora c’era una consorte amatissima ad attenderlo, con i primi due
bimbi in tenera età. Una famiglia che costava, che stava richiedendo una nuova
casa…
La decorazione progettata per Villa
Norasingh sarà di nuovo stile, geometrizzante…Al rigoglio di frutti, fiori,
foglie, uccelli di Ambara Villa, nella Cà d’Oro Ferro sostituiva grottesche,
stemmi con aquile, palmette, racemi, puttini, bimbe con collane… Durante
l’opera venne colpito da una malattia; fu ricoverato in ospedale e, senza
terminare la decorazione, costretto a ripartire per l’Italia. La somma che gli
fu comunque consegnata gli permise l’acquisto di una villetta in Valsalice dove
vivrà con la famiglia in mezzo ai ricordi e dove spesso ospiterà gli allievi
per far loro conoscere le bellezze e le rappresentazioni della Thailandia
lontana. Testimone di questo periodo di vita sarà l’acquerello di un’allieva,
Neni Maccagno, che nello studio di strada Tadini ritrasse un bruciaprofumi siamese appoggiato
ad un giornaletto a colori degli anni Trenta.
Ritorno
a Usseglio
Le tre Marie, 1932, fresco-secco su tavole di cotto ricoperte da intonaco (Usseglio, cappella funeraria della famiglia Ferro Milone; foto Francesco Ferro Milone 2000) |
L’apertura nel Civico Museo Alpino di Usseglio
di una sezione dedicata all’artista - che lì è sepolto in una cappella nel piccolo cimitero-
celebra, con il dipinto dei “Portatori di
slitte” , con il suo Disegno preparatorio e con l‘acquerello “Interno a Bangkok” la presenza
importante di Cesare Ferro nel panorama d’arte dei primi trent’anni del
Novecento.