“Lo
stemma lapideo sopra il portale della chiesa”
La lettura simbolica della stemma in pietra che orna la facciata di
Sant’Ippolito in Bardonecchia, offre la possibilità di ampliare un orizzonte
cognitivo al di là della storia e della memoria.
Le tracce di chi ci aveva preceduto nella cultura e nel
territorio, riappaiono silenziose e incisive nella forza del loro linguaggio;
la voce del popolo celtico, prima della venuta di Cristo.
* * *
Alle spalle della chiesa parrocchiale esiste una casa sul cui
tetto è posta una croce in ferro. In quel punto, vuole la tradizione, venne
fissato il primo segno dell’evangelizzazione del territorio. La voce di Cristo,
proprio là dove avevano avuto voce i Druidi, i sacerdoti della cultura celtica.
Il linguaggio celtico detto runico, come sappiamo, prendeva
origine dalla radice “ru” nel significato di comunicazione, “passaggio”; da cui deriverà poi il vocabolo “Rho”
che ben si conosce nella topografia di questo territorio come passo della Rho, etimo
che nella lingua francese verrà poi a tradursi nel vocabolo “rue” rute.
Dall’alto delle cime e dei passi, qui appunto dal colle della Rhô,
il canto dei sacerdoti Druidi, e le note dei musici Bardi, annunciavano il
sorgere del giorno e il tramonto del sole. Ancora oggi nella valle della Rhô
esiste un punto chiamato “Le point du jour”, forse si può supporre, un’eco di
quel tempo lontano.
Secondo le ipotesi più attendibili degli archeologi [Il
codice runico, Giovanni Vannoni, E£umeswil] la genesi del
linguaggio runico, come segno grafico, sarebbe databile intorno al 200 a.C,
nella regione alpina. Le serie runiche, per prima incise come testimonianza sulla
pietra, furono concepite come “tracce” del problema dell’esistenza nella sua
relazione con la natura, nel bisogno di superamento dell’esistenza stessa. Il
popolo celtico, infatti, nel suo lungo cammino attraverso il tempo, dalle
origini indo-europee ai paesi baltici bretoni franchi latini fino alla Grecia,
aveva nei suoi primordi recepita l’esistenza come un cerchio; un cerchio chiuso
che inderogabilmente finiva con la morte. “Il cerchio dell’inganno”, così
veniva definita l’esistenza.
L’unica energia di astrazione e superamento col passar del tempo
venne recepita poi nella forza dell’intenzionalità personale. Rompere il
cerchio e divenire con la propria volontà, fu un processo evolutivo dell’io di
grande valore spirituale. Tale tensione di superamento interiore venne a
produrre quella rappresentazione grafica della “spirale” che intreccia appunto
la tensione dell’io tra natura e spiritualità detta “torques” dall’etimo
celtico “thor” nel significato poi traslato di torsione.
Di conseguenza ne deriverà anche il vocabolo “torcia”, la torcia
che illumina il buio della notte e il divino nella Chiesa, nell’insieme di due
candele che si avvolgono su loro stesse.
“Torques” si chiamava il gioiello portato al collo dal guerriero
per vincere in battaglia. Torsade la collana gioiello che il femminile riceveva
come pegno che univa.
La torsade, il torques, la torcia, la fiaccola dell’angelo,
divennero simboli dell’impegno del nuovo cammino spirituale.
Nella lettura dello stemma in pietra si viene ad osservare come
prima nota, la cornice a spirale che inquadra e presenta il processo narrativo.
Si tratta appunto di una linea a “torsade” che scende lungo i fianchi del
racconto, quasi sipario che introduce il racconto di un antico incastellamento
del territorio. Al vertice, nel punto più alto e determinante, lo stendersi
invece di un nuovo cammino dalla linea libera e retta, copertura sicura del
racconto che prenderà vita all’interno. Al centro di tale linea, in modo netto
e preciso è tracciato un angolo acuto che punta con taglio sicuro verso
l’alto. È questo lo “spazio simbolo” per la pietra angolare. La
pietra angolare “lapis unicus”, simbolo fondante nella storia del credo
cristiano, nata dalle parole stesse del Cristo che tale si era definito
nell’edificazione della nuova fede, della casa di Dio.
Superata dunque la cornice indicativa e contenitiva, la lettura
continua all’interno del racconto quasi come all’ingresso di una chiesa; di una
cattedrale in cui la trilobatura di volta, a sostegno degli archi, esalta e
manifesta il significato “trino” e divino della nuova fede, nel segno della
trasfigurazione cristiana di Dio.
Al centro di tale spazio un angelo reca e propone uno scudo;
silente dall’aspetto guerriero, “miles novae militiae”, l’angelo annuncia e
testimonia qui la cristianizzazione di un popolo. Egli porta ancora la
capigliatura a torsade, mentre le sue mani dicono l’impegno della nuova impresa
nella “difesa” del nuovo annuncio scolpito sullo scudo.
IHS
I
nastri in pietra scolpiti al centro dello scudo, dalla modonatura ancora
runica, s’intrecciano qui in lettere latine venendo a comporre, nel mistero del
tempo, il nome di Cristo, il Salvatore.
Tale
monogramma, in una nuova rappresentazione scioglie i lacci, liberi come raggi,
nell’abolizione totale del cerchio, dal confine chiuso di un tempo. È la scelta
della vita di Cristo che libera e trasforma, il nuovo Sole che ruota e illumina
il nuovo cielo dipinto d’azzurro.
Quale
dunque l’epoca presumibile dell’emblema della chiesa di Sant’Ippolito a Bardonecchia?
Ben di sovente le sculture, specie in pietra, erano anonime o
appartenevano all’opera dello stesso “maitre battisseur” o “maitre d’oeuvre”.
Sappiamo che nel Briançonnais, a cui un tempo Bardonecchia apparteneva, quattro
chiese, a Cervieres Nevache Bousson e Chateau Beaulard, erano state “firmate”
tutte con lo stesso simbolo, dallo stesso scultore architetto [“Art
du Briançonnais” di G. Sentis]. Egli si firmava con una
sigla musicale, che interpretata dovrebbe dare il nome di “Remyfatin”, sigla preceduta
sempre dal segno di Cristo; lo stesso segno scolpito qui sullo scudo di
Bardonecchia, con le stesse precise modalità di tracciato.
Potremmo quindi assemblarli allo stesso periodo di esecuzione,
XV-XVI secolo.
Ma la “torsade”, che inquadra lo stemma della chiesa di
Sant’Ippolito e la capigliatura dell’angelo ci suggerirebbero un’influenza un
poco precedente. Nei secoli XV e XVI, epoca in cui “Remy” era vissuto, le
influenze celtiche incominciavano ad essere meno presenti, pur rimando
nell’inconscio segreto del simbolo e del popolo. Abbiamo la prova esatta del periodo in cui “Remy” era vissuto dalla
testimonianza della chiesa di Nevache dove, sul portale occidentale, egli pose
la propria sigla musicale preceduta come sempre dallo stesso simbolo scolpito
di Cristo.
Era il tempo di Carlo VIII di Francia e di Anna di Bretagna
benefattori di quella chiesa al loro passaggio nel 1498, sulla via di Briançon.
Le note musicali da lui descritte appartengono al canto gregoriano, proprio del
periodo gotico cui la chiesa apparteneva. Si potrebbe ipotizzare quindi che
“Remy” fosse un monaco, e per tale motivo egli facesse sempre precedere la
propria firma musicale dal segno di Cristo; uomo dalle conoscenze musicali
gregoriane, come lo erano infatti tutti i monaci benedettini ai quali erano stati affidati
proprio i lavori di esecuzione della chiesa di Nevache e di molte altre opere
della valle. I Benedettini di S. Lorenzo di Oulx.
Altri sostengono egli fosse dell’allora già famosa scuola di
Melezet che per almeno tre secoli era andata popolando di sé il territorio;
così come lo era stato Mathieu Roude che nel 1573 firmava il fonte battesimale
proprio nella chiesa di Sant’Ippolito a Bardonecchia.
Il fatto però che lo stemma in pietra della chiesa di Bardonecchia
porti su di sé ancora tracce di colore ben visibili ed estese, verrebbe a
confermare lo stile e il gusto di un epoca precedente; colore che la chiesa di
Chateau Beaulard e di Nevache, pur portando scolpito lo stesso monogramma di
Cristo, non hanno come decoro su di sé. Concretizzando infine le ipotesi, le
supposizioni convergono e s’incontrano nell’ambito di un periodo che potrebbe
scorrere dal XIII sec. all’inizio del XV secolo. Mentre le analogie vanno
manifestandosi, non come casualità, bensì come simboli fondanti.
Primo simbolo dunque, al di là del segno e della parola, il
messaggio del colore.
Dall’analisi dello stemma emerge evidente la stesura di due
colori, l’azzurro e il rosso. La stesura del colore rosso, antico simbolo della
folgore, e quindi di potere, viene a testimoniare le vicende umane fattesi
guerriere, nella difesa del proprio territorio e della propria fede. Evidenti
sulle labbra e sul viso dell’angelo, tracce di rosso appaiono ancora nella
sigla del Cristo e nell’intreccio della spirale. Ancor oggi il rosso dello stemma
comunale di Bardonecchia testimonia tale simbologia nella definizione dei propri
diritti. Bardonecchia “Castrum Bardinum” che dai Bardi aveva preso il nome, porterà
attraverso il tempo le bande rosse del proprio emblema fissate e inchiodate a testimoniare
la propria definizione territoriale, nella propria consapevolezza storica.
Tale emblema verrà a rappresentare inoltre l’impiego principale di
lavoro del luogo: la “bardatura”, il “bardot” francese dei “marroniers”; coloro
che trasportavano a spalle o a dorso di mulo, persone e merci attraverso i
passi dei propri monti.
L’emblema fisico dunque è una figura visibile adottata per
rappresentare un’idea fisica e morale; mentre il simbolo è il solo mezzo per
dire ciò che non può essere comunicato a parole, la voce dello spirito, di cui
il colore azzurro è qui testimonianza altissima. Ampio e disteso l’azzurro,
sotto il segno del monogramma IHS, è qui l’annuncio di un nuovo orizzonte di
fede; il cielo del Cristo, l’infinito, libero dalle “torsioni” delle vicende
umane. L’azzurro come rappresentazione di Dio in quanto “Infinito” che si
manifesta nel tempo come luce. Infinito anche come spazialità in cui il trigramma
IHS diventa il Sole nel suo moto perpetuo.
L’azzurro, unico modo per poter rappresentare l’Infinito.
* * *
«E d’improvviso, tutto fu blu: il firmamento al di sopra degli
archi e delle colonne; il manto di Maria e al suo seguito, di re ed imperatori.
D’azzurro si rivestono i cavalieri erranti. D’azzurro si tingono
gli stemmi araldici e le pagine dei libri miniati.
Tutto fu blu come sino a poco tempo prima tutto era stato rosso e
gli uomini si resero conto che un’età era trascorsa ed un’altra – nuova e
cristiana – stava sorgendo all’orizzonte» [“Medioevo in Blu”,
Alessandro Massobrio].
POSTSCRIPTUM
Dall’analisi di stesura del colore, si potrebbe identificare il
tempo a cui lo stemma appartiene.
L’azzurro sino agli anni attorno al Mille era stato solo di
estrazione minerale. Più tardi, dalla fine del ’300, verrà, estratto da una
pianta “l’erba guada” che andrà espandendosi in tutta Europa abbassando il
costo della tintura e divulgandone enormemente la pratica. Sotto il colore
azzurro, quando si temeva la tenuta o si voleva aumentare
l’intensità, si stendeva una mano di colore rosso che in questo
stemma di pietra si lascia intravedere in alcuni punti.
Avvenuta la polverizzazione del colore era necessaria la “miscela”
per la stesura. Fra le più antiche miscele, la “colla” derivata dal trattamento
del grasso animale. Poi l’uovo, dall’albume al rosso. In seguito vennero usati
gli olii di resina di noce di lino; dalla cui scelta si potrebbe forse anche
determinare il tempo e il luogo di fattura.
Le miscele dal X al XIV secolo verranno eseguite nei monasteri dai
monaci che dal Mille in poi verranno anche a determinare la simbologia dei
colori inerenti ai tempi e ai motivi liturgici. Il colore era divenuto un
valore fondante. Pio V nel 1570 ne fisserà l’uniformità e l’autenticità; dopo
che la Riforma li aveva completamente soppressi e sostituiti con l’unico colore
nero. Nella figura dell’angelo la fenditura che si nota all’occhio sinistro
sembra essere la testimonianza, non si sa in quale frangente, di un colpo
inferto alla palpebra nel cui interno tracce di colore azzurro sembrano ridare
luce allo sguardo.
Giuliana
Schlatter Gorrini