15/02/08

DON VACHET (2007)

 (indagine... ritardata di un crimine) - parte I
Affacciandosi sul torrente Melezet, in corrispondenza della chiesa di Les Arnauds, è visibile ancor oggi la struttura curva in pietre squadrate e sagomate che conteneva le griglie e le saracinesche della presa d’acqua, dal torrente stesso. Incanalata, passava a valle dell’abitato della frazione e proseguiva fino a Bardonecchia sotto quella che è l’attuale “passeggiata” estiva di tanti turisti e residenti. In località Pié de Condemine nel canale si innestava un’altra presa d’acqua dal torrente Rho quindi, passando vicino all’attuale piazza della Fiera, alle spalle della Parrocchia, attraversava il Borgo Vecchio fino al torrente Frejus dal quale veniva ancor più alimentato fino a confluire nelle vasche di decantazione, a monte ed in corrispondenza dell’attuale centrale Enel. In quest’ultimo posto dovevano trovarsi i compressori (l’attuale via Montello era denominata “via dei compressori”), azionati dal salto d’acqua, che fornivano l’aria compressa necessaria al funzionamento della trivellatrice inventata dall’ingegnere belga Maus, successivamente perfezionata dall’ing. Sommeiller ed utilizzata per il traforo ferroviario del Frejus. 
Atto di Battesimo di Bonino Giacomo Giov. Battista
Attigua alle vasche di decantazione ormai interrate, è visibile ancor oggi la casa del guardiano che aveva il compito di tenere pulite da fogliame e rami le varie griglie, nonché quello di sorvegliare tutto il canale, data la comprensibile importanza che l’acqua aveva nel caso specifico. In una notte di agosto inoltrato, il guardiano, un tal Goria, uno degli oltre tremila operai che contribuivano alla realizzazione del traforo, percorreva a passo lento il sentiero lungo i canali, rischiarando a malapena il buio più profondo con la sua lanterna quando udiva in lontananza un grido straziante: al soccorso, au sécours!; poi più nulla. Erano le 23 e 45 del giovedì 20 agosto 1868. Tese l’orecchio per cercare il ripetersi del grido e la sua provenienza, ma il silenzio della notte agostana ristagnante gli fece riprendere, seppure profondamente turbato, il cammino d’ispezione alla luce della lanterna.
Quella mattina l’ultra settantaquattrenne parroco della chiesa dei Ss. Ippolito e Giorgio in Bardonecchia, Giuseppe Maria Vachet, si alzava un po’ più di buonora; infatti era in programma il battesimo di un bimbo nato otto giorni prima. Puntualmente, con la celebrazione della Messa mattutina, Domenico Bonino e Domenica Ronchetti provenienti da Ivrea, una delle tante famiglie di operai addetti ai lavori del traforo del Frejus, presentavano al Fonte Battesimale il loro Giacomo Giovanni Battista.
Il resto della giornata trascorreva come tante altre: il pranzo frugale, la solita passeggiata pomeridiana, i vespri, la cena e poi il ritiro per la lettura del Breviario, quindi il riposo. Alle sette del mattino seguente, come d’abitudine, don Vachet era solito celebrare Messa, ma quel giorno l’anziana perpetua Caterina non aveva visto, più che sentito, in quanto era  parecchio dura d’orecchi, alcun movimento. Allarmata, saliva al piano superiore credendo il Parroco ammalato; rimaneva interdetta di fronte alla porta della camera da letto spalancata, decidendosi infine ad entrare. Quale terribile sorpresa!
Prostrato per terra giaceva il sant’uomo, addosso la semplice camicia da notte, con il capo presso la porta rivolto allo zoccolo ligneo del rivestimento della stanza (lambris). Apriva i volets chiusi delle finestre e notando delle gocce di sangue al fianco sinistro lo credeva semplicemente vittima di emorragia. Chiamati in aiuto i vicini, accorrevano per primi l’ufficiale della Posta Folcat ed il Cav. Agnés, constatandone l’orribile fine. Coprivano con un indumento la nuda metà inferiore del corpo, individuando per primi le 11 o 12 pugnalate al fianco sinistro inferte a corpo nudo in quanto la camicia da notte, pur macchiata di sangue, non presentava il minimo taglio (era quindi stata sollevata per poter pugnalare a nuda pelle). Notavano altresì alcune contusioni al capo, segno evidente che il pover’uomo, al primo grido di allarme che aveva tentato di lanciare, era stato prima stordito con un corpo contundente quindi proditoriamente finito a pugnalate probabilmente affinché non rivelasse l’identità del suo o dei suoi aggressori. L’orologio a pendolo della stanza, rimosso dalla sua posizione originale sul camino, si fermava alla mezzanotte e quaranta. In tutto questo tempo e con la massima calma il o i malfattori manomettevano tutte le carte esistenti in un genuflessorio ed in uno scrigno sparpagliandole per la stanza. Anche i due armadi presenti venivano aperti con le rispettive chiavi estorte al pover’uomo il quale, essendo il letto e le vesti intatte lì vicino, evidentemente non era ancora andato a dormire quando l’intruso o gli intrusi erano entrati forzosamente (o ammessi?) nella sua stanza; forse sparì del contante, però i titoli e le cedole della fabbriceria della chiesa, della quale tratteremo in seguito, non furono tutte trafugate, anche se un controllo immediato non fu eseguito.
Il delegato di Pubblica Sicurezza, sopraggiunto scortato dai Reali Carabinieri, rilevava tutte le circostanze evidenti dopodiché trasmetteva immediatamente il verbale alla Pretura competente di Oulx. Alle cinque dello stesso pomeriggio giungeva sul posto il Pretore per costituire un uffizio fiscale che aveva il compito appunto di ufficializzare tutti i dati e le prove raccolte, compresa una sommaria autopsia eseguita dal dottor Peyron assistito dal farmacista del luogo Berruti; da questa risultò che alcune stilettate avevano trafitto il fegato ed il cuore della vittima per cui la morte era sopraggiunta istantanea. Anche il Tribunale di Susa giungeva sul posto, rappresentato dagli avvocati Bertolini e Manico (?), per le procedure legali.
Appena saputa la notizia, la mattina del 21 agosto 1868, il viceparroco Jean Baptiste Suspize ne informava prontamente il Vescovo di Susa con il testo riprodotto qui a fianco.

Lettera inviata al Vescovo di Susa
da don Jean Baptiste Suspize.
Alle dieci del mattino di domenica, 23 agosto 1868, si svolgevano le esequie solenni dello sfortunato Parroco; vi partecipavano 13 parroci e sacerdoti delle vicine parrocchie con i rispettivi parrocchiani; il corpo direttivo del Traforo, il Consiglio Comunale al completo e tutte le Confraternite. La chiesa tutta illuminata e l’antistante piazzale erano insufficienti a contenere l’enorme folla ammutolita. Il viceparroco don Suspize officiava assistito dai parroci di Les Arnauds e Millaures, mentre a don Valleret toccava l’elogio funebre esposto fra i singhiozzi di molti. Solo nel pomeriggio il corteo funebre si scioglieva dopo la sepoltura ai piedi della croce nel vecchio cimitero (all’epoca era situato dove ora è il Parco della Rimembranza, a destra del torrente Frejus; successivamente, con l’inaugurazione del nuovo cimitero nei pressi del Laghetto, le spoglie di don Vachet andarono negligentemente perdute in quanto confluite
in una fossa comune).
Molto superficialmente fu data colpa ad uno o più delle migliaia di operai addetti al traforo ma, senza prova alcuna, non si poté procedere nei confronti di chicchessia. D’altra parte si trattava di povera gente timorata di Dio, semi o del tutto analfabeta confluita dalle vicine vallate per guadagnare un tozzo di pane: il quindici dello stesso mese don Vachet aveva unito in matrimonio due di loro, tali Grivet Michele e Chiodi Cattin Margarita che sottoscrivevano il loro impegno civile e religioso con ...un segno di croce! Ovviamente di tutti questi accadimenti furono redatti constatazioni, verbali; documenti vari distribuiti fra le varie preture, tribunali, archivi dei carabinieri; la Pretura di Oulx con tutti i suoi archivi confluiva nella Pretura di Susa e quest’ultima, rinnovata e “svecchiata”, nel 2002 trasmetteva i documenti più importanti all’Archivio Storico di Stato a Torino; anche quelli relativi a questo tragico avvenimento? Un recente tentativo di ricerca fatta presso tali archivi ha dato esito negativo per cui gli unici documenti storici sono stati recepiti nell’archivio della Parrocchia, in quello della sede vescovile di Susa e nei cassetti di qualche cortese discendente. Chi fu o chi furono quindi gli autori di si efferato, sacrilego delitto ancor oggi non è dato sapere!
Furono vagliate tutte le ipotesi, circostanze, testimonianze, documenti che potessero portare alla soluzione di questo tragico fatto? Le scarne cronache ed i rari documenti tramandati poco dicono e ancor meno aiutano a chiarire questo mistero ormai secolare. Tuttavia, come si è visto e come si vedrà, alcune “carte” sono state reperite e la loro analisi si è rivelata molto interessante. Ma chi era Don Vachet? Don Vachet nasceva a Les Arnauds (allora Les Arnauts), frazione del Comune autonomo di Melezet, il 31 maggio 1794 da Francesco Vachet ed Annamaria Vallory.
Studi classici ad Oulx, quindi la sua inclinazione ecclesiastica lo portava al seminario vescovile di Susa, neo istituita Diocesi alla quale erano passate tutte le parrocchie dell’alta valle dalla giurisdizione della Diocesi di Pinerolo, retta dal suo primo Vescovo Mons. Giuseppe Francesco Maria Ferraris. A 19 anni il giovane Vachet veniva arruolato sous les drapeaux de la grande armée Française in guerra. C’è da domandarsi in che modo fu arruolato. Certamente non per coscrizione in quanto l’Alta Valle di Susa e la conca di Bardonecchia furono sottoposte al Regno di Francia dal 1446 fino al 1713, quando il trattato di Utrecht le assegnò ai Duchi di Savoia confluendo poi nel 1861 nel Regno d’Italia; il Trattato di Parigi del 1947 riconsegnava alla Francia, come è tuttora, la sola Valle Stretta. Con tutta probabilità fu un tentativo di avviarlo alla carriera militare da parte di un suo zio, l’Abate Antonio Orcellet, Parroco della Basilica Degli Invalidi a Parigi, che incise molto anche sull’educazione culturale ed artistica del giovane Vachet. Jean Antoine Allois, curato del Melezet, ne redigeva una breve biografia manoscritta, custodita nell’archivio parrocchiale, che vale la pena gustare anche perché facilmente comprensibile. Periodo un po’ scuro questo del giovane Vachet in guerra, del quale molto poco si sa se non quello riportato nella biografia appena riprodotta. Vi si afferma infatti apprezzato dai suoi commilitoni; senza altre raccomandazioni ma solo con la sua buona condotta ottiene la stima dei suoi superiori che lo fanno sergente furiere. Fu prigioniero ad Amburgo ed in seguito liberato, quindi rientrato a casa dopo la disfatta della Grande Armata: nessun contrasto, nessuna inimicizia tramandata? Nulla ci è dato sapere al riguardo e ogni eventuale documento si sarà perso col tempo.
Su consiglio del Vescovo di Susa, Mons. Prin, riprendeva i suoi studi di filosofia e teologia presso il seminario di Susa, venendo ordinato sacerdote il 29 giugno del 1819. Per due anni rettore del Carmine a Melezet, in seguito alla morte del parroco don Domenico Chalmas, nel 1822 veniva nominato successore del suo vecchio precettore.
Nei quattro anni della sua prevostura al Melezet, ebbe particolare cura delle bellezze artistiche delle varie cappelle, memore degli insegnamenti dello zio Abate Orcellet frequentato durante il suo soggiorno nella Ville Lumière. Nel 1826 la morte di don Mathieu Roude lo portava a succedergli come Parroco e Vicario Foraneo di Bardonecchia. Per varie vicissitudini e calamità naturali, la chiesa parrocchiale di Bardonecchia era provvisoriamente quella della Confraternita di S. Ippolito e il dinamico don Vachet non ci pensava su due volte ad intraprendere la costruzione di una nuova chiesa più grande e degna del suo nuovo parroco. Correva l’anno 1826.
Il 9 settembre del 1827 veniva posata la prima pietra, la pièrre fondamentale, della nuova chiesa; regnante re Carlo Felice che contribuiva con £. 3.800 di allora; Francesco Vincenzo Lombard Vescovo in Susa e Matteo Francesco Gerard Sindaco in Bardonecchia. Non senza difficoltà ma con l’aiuto di tutti, parrocchiani compresi, l’opera veniva portata a compimento da don Vachet. Così fu scritto! Ma alcuni documenti venuti alla luce dimostrano che le difficoltà e gli intoppi furono davvero tanti. Una fra le molte: inizialmente l’appalto della costruzione veniva affidato all’impresa di Domenico Bertello da Susa; morto il Bertello, Antonio Ramella, sempre di Susa, subentrava nell’appalto, solo in teoria, poiché i lavori non venivano proseguiti per contrasti economici; in pratica il povero don Vachet era costretto a portarlo in giudizio per vincere l’inerzia del momento e le pretese del Ramella.
(continua nel Bollettino 2008) 
parte seconda
Nastà

Prima pagina della biografia su don Vachet redatta dal Parroco di Melezet don Jean Antoine Allois (foto omessa).