14/07/13

Nostra Signora del CHARMAIX - in Italiano




*  *  *

Il santuario del CHARMAIX  

associazione :Gli amici del santuario dello Charmaix




 A tutti i nostri antenati noti e sconosciuti
che ci hanno lasciato  in consegna 
la cappella
e  i piloni  che lassù conducono.

A tutti coloro che prima di noi
hanno tentato di scrivere la sua storia

Prefazione

Queste poche  pagine si propongono di far meglio conoscere la storia  del santuario dello Charmaix. Esse devono molto a coloro che hanno scritto su questo alto luogo di pellegrinaggio, principalmente a Jacques Bertrand, a  Padre d’Orly, al canonico Angley, all’abate Molin e a Pierre Buisson. Jacques Bertrand, medico a Saint Jean-de-Maurienne mise per iscritto i principali miracoli della Vergine dello Charmaix  su richiesta del duca Carlo Emmanuele I, venuto lui stesso in pellegrinaggio al santuario il 26 agosto 1620; egli si propone di fare opera di storico e non di teologo e riferisce solamente  ciò di cui ha avuto una testimonianza orale e che possa essere considerato come sicuro: il primo miracolo che riporta è datato 1536.

Le prime pagine della sua opera, apparsa nel 1623 e redatta in latino, sono consacrate alla ricerca delle origini del culto dedicato alla Vergine dello Charmaix e alla descrizione, molto preziosa per noi, dei luoghi come li aveva visti lui stesso. Settantanove anni quando scrive, è in Savoia dall’adolescenza e  si è recato allo Charmaix una, due o tre volte all’anno.
Il Padre d’Orly, predicatore francescano di Thònes, conosceva bene la nostra regione; dopo aver lodato l’ospitalità e la devozione degli abitanti della Maurienne, scrive: «Vale di più che voi ne siate testimoni, come lo sono stato io per parecchi anni, che sviluppare lunghi discorsi». Venne a predicare più volte allo Charmaix  su richiesta di Benoit Genin -  rettore della cappella a partire dal 1625 - che l’aveva incaricato di mettere per iscritto alcuni miracoli operati dalla Vergine.
Nel1843 il canonico Angley, della cattedrale di  Saint-Jean-de-Maurienne, fa stampare a Lione  «Il pellegrinaggio a Notre dame dello Charmaix» approvato da Mons. Francesco Maria Vibert, vescovo di Maurienne.
L’abate  Molin, parroco di Modane dal 1855 al 1888, ha proseguito e completato il lavoro dei suoi predecessori in un’opera apparsa a Saint-Jean-de-Maurienne  nel 1877 e ristampata a Currière nel 1888: Histoire du pélerinage à  N.D. du Charmaix. 
Con lo stesso spirito, Pierre Buisson, nativo di Modane di cui fu sindaco, appassionato di storia locale, aveva l’intenzione di pubblicare una Introduzione a Notre-Dame du Charmaix. Deceduto nel 1987  ha lasciato il suo lavoro pronto per l’editore. I suoi eredi ce ne hanno gentilmente permesso la lettura.
L’associazione Les amis du sanctuaire ND du Charmaix, fondata nel 1981, ha voluto rispondere a parecchie domande che si pongono pellegrini o visitatori, riunendo le informazioni conosciute su questo luogo e privilegiando i dati storici. Essa ha cercato di verificarle e di completarle, ma il risultato non è all’altezza delle sue ambizioni. Gli autori qui sopra citati molto raramente hanno dato il riferimento dei testi che hanno utilizzato; molti documenti antichi sono scomparsi irrimediabilmente, in particolare gli archivi parrocchiali di Modane distrutti il 17 settembre 1943, giorno in cui il bombardamento della città da parte dell’aviazione britannica ha causato l’incendio della casa parrocchiale. Malgrado tutte le loro lacune, le pagine che seguono permetteranno ai lettori di sfogliare alcune pagine della storia di un modesto luogo della nostra Maurienne.

L’UBICAZIONE


La cappella è aggrappata al di sopra di un orrido scavato dal ruscello del Gran Vallon. Un imponente ponte di pietra scavalca la forra e permette l’accesso al santuario.
Da Modane, prendere la strada che conduce alla località di Valfrejus (D216), quindi, giunti allo Charmaix, seguire l’antica strada che conduce alla cappella. La distanza fra Modane e il Santuario dello Charmaix e di 9 Km.

Dallo Charmaix, si possono raggiungere numerosi colli alpini: quello del Frejus(2452 m) e quello della Roue(2552 m) che danno accesso a Bardonecchia e al Piemonte, e anche il Colle della Valle Stretta(2445 m) che permette di raggiungere il territorio di Briançon e, di là, il Delfinato. Queste strade erano un tempo molto frequentate per il commercio e il contrabbando e per il passaggio di truppe più o meno regolari.

LE ORIGINI


L’etimologia non ci è di nessun aiuto. Il canonico A. Gros, nel suo Dizionario etimologico dei toponimi della Savoia scarta le interpretazioni fantasiose: «Il santuario di ND du Charmaix non deriva il suo nome dal fascino della Santa Vergine che qui è venerata e neppure dalle bellezze del paesaggio anche se è molto ameno.
La toponimia della Savoia è ricca di derivazioni dalla radice Chal, di cui Char è una variante fonetica, che significa  prato, pascolo.

Questa ipotesi è confermata da due documenti antichi: se nel 1401 Savin de Floran, vescovo di Maurienne concede delle indulgenze a quanti venerano la Vergine  dei pascoli (Vierge des Chermes) e partecipano alla manutenzione della sua cappella, uno dei suoi successori fa la stessa cosa per la  Vierge des Chalmes nel 1424. A. Gros conclude giustamente : «Come gli altri Charmaix, quello di Modane indica un pianoro coperto di prati e di pascoli».
Le origini del culto di N. D. du Charmaix si perdono nella notte dei tempi e hanno dato luogo a numerose ipotesi comuni ad altri luoghi di pellegrinaggio.

Situandosi quello dello Charmaix in un luogo di passaggio, si era tentati di farne risalire la fondazione a coloro che hanno introdotto il cristianesimo in Maurienne, e questo fu fatto.
Le Madonne nere sono numerose e antiche, senza che se ne possa precisare l’origine. Citiamo tra i molti altri santuari che ne accolgono una, quello di LORETO in Italia (dove, si dice, fu trasportata la casa della Vergine), quello di Myans vicino a Chambery, quello di Puy en Velay, quello di Fourvières. E’ più difficile sapere che cosa fosse inizialmente la statua di Notre-Dame du Port a Clermont-Ferrand, di cui l’abate Molin sottolinea la rassomiglianza con N.D. du Charmaix, poiché oggi abbiamo sotto gli occhi la riproduzione di una statua più antica che risalirebbe solo al XVIII secolo, probabilmente quella di una Madonna nera precedente di cui non si sa nulla.
La liturgia di Maria (Ufficio Comune della Vergine) comprende un’antifona che inizia con queste parole: «Bruna sono, ma bella», un versetto dell’inizio del Cantico dei Cantici.
E’ alla fine del XI secolo che la donna che parla in questo testo biblico, dopo essere stata assimilata alla Chiesa o all’anima umana, fu considerata da alcuni esegeti come una rappresentazione allegorica della Vergine Maria. Non è vietato pensare che le prime Madonne nere siano state ispirate a qualche scultore dal canto di questo ufficio.
Alcuni preferiscono vedere in esse una sopravvivenza di dee-madri anteriori al cristianesimo, assimilate in seguito alla madre di Cristo; le si immaginava volentieri di colorito bruno, poiché venivano da quel Oriente  di cui ignoravamo tutto o quasi, mentre oggi l’archeologia ci trasmette delle statue bianche o colorate quando non sono di bronzo.
Esiste inoltre un’altra spiegazione: il fumo dei ceri finisce per annerire il viso delle statue venerate, e il tempo fa talvolta la sua opera: nel 1651, Jacques Branche descrive così una delle più belle Madonne dell’Alvernia, quella d’Orcival, ricoperta ancora oggi di lamine di metallo prezioso: «... il corpo è argentato, benché l’argento per la sua antichità sia diventato quasi nero...».

Ogni Madonna nera, ovunque si trovi, custodisce ben nascosto il segreto delle proprie origini e del proprio significato.
Quella dello Charmaix è stata oggetto di un aneddoto riferito da Bertrand ( p47-48), che non è stato recepito da coloro che hanno scritto dello Charmaix. Un pittore, il cui nome si è perduto nel corso degli anni, aveva voluto restaurare la statua e toglierle il suo colore nero, che pensava dovuto agli anni e all’umidità del luogo. Tutti i suoi sforzi furono vani; si sarebbe detto che i colori scelti dal pittore fossero acqua. Triste e scoraggiato lasciò la statua nel suo stato primitivo.
Una sola certezza per quanto concerne lo Charmaix: nel 1401 i pellegrini che vi si recano sono sufficientemente numerosi perché gli abitanti di Modane decidano di dare alla statua un luogo più degno di Lei.
La statua rivestita dell’abito e della cappa come si può ammirare oggi

LA STATUA

Prendiamo in prestito da Pierre Buisson la descrizione che ce ne ha dato:
«Una statuina di quaranta centimetri di altezza, che tuttavia pesa Kg.3,750. E’ grossolanamente scolpita in marmo bianco ricoperto, sulla metà superiore, di un colore interamente nero. La Vergine tiene il Bambino Gesù sul braccio sinistro, quasi all’altezza della spalla. Il braccio destro è piegato sul petto e sostiene uno specchio del diametro di tre centimetri».
Conosciamo almeno un’altra rappresentazione della Vergine che tiene in braccio il bambino Gesù e nella  mano destra uno specchio: è quella del trittico detto «del roveto ardente», conservato nella cattedrale di Aix-en-Provence.
Uno  specchio simile appare nel misterioso arazzo della «Dama del liocorno». Pare che quest’oggetto fosse rivestito di un valore simbolico nell’arte sacra o esoterica: questo «specchio che non  si appanna» potrebbe rappresentare la purezza e la fedeltà dell’amore, «specchio ... limpido, brillante, senza macchia».
Pierre Buisson prosegue: «E’ avvolta in una tunica all’antica che copre il capo, cinto da una corona scolpita nel marmo. La tunica cade sulle spalle, con un lembo legato alla cintura, giusto sotto i piedi del bambino. Mentre la parte alta della tunica è nera, quella bassa, sul davanti, è d’un bel bianco opaco. La schiena è attraversata da vernice marrone chiaro, sulla quale restano alcuni fiori rossi stilizzati. Il Bambin-Gesù, tutto nero, tiene nella mano sinistra una palla che rappresenta il globo terrestre. Tenendo il braccio destro piegato sul petto, mostra l’indice e il medio alzati. La vergine è rivestita da un’ampia cappa ricamata. Le teste della madre e del bambino sono sormontate da una corona dorata.»
Quello che sappiamo di questa statua è strettamente legato alla storia del santuario.


La statua senza i suoi ornamenti. Lo specchio è ben visibile.
a destra - La statua intorno al 1900     

LA CAPPELLA
                                            
La sua posizione insolita ha colpito moltissimi visitatori, impressionati dalla presenza minacciosa delle rocce umide e friabili che strapiombano sull’edificio, il rumore minaccioso del torrente, la profondità della gola. La presenza di un luogo di culto immutabile per secoli in un sito tale porta a pensare che questo non possa dipendere che dal miracolo.
Una tradizione orale,  menzionata più e più volte, è stata raccolta da Jacques Bertrand all’inizio del XVII secolo.
La cappella vista dal tratto a monte del
torrente Grand-Vallon
Gli abitanti di Modane una volta pensarono, egli scrive, che la Vergine avrebbe potuto essere venerata in un luogo più vasto e meno esposto a pericoli. La chiesa parrocchiale pareva loro un luogo proprio adatto. La statua vi fu trasportata in pompa magna, ma essa non tardò a raggiungere misteriosamente la sua posizione primitiva. Si scelse allora un piccolo terreno pianeggiante situato sulla strada ad uno stadio e mezzo dalla grotta dello Charmaix, e si cominciò  a costruirvi un edificio sotto lo sguardo della statua, trasportata sul cantiere per incoraggiare gli operai al lavoro. La notte seguente Lei riguadagnò la grotta; anche delle travi preparate per la costruzione furono rimosse e ritrovate vicino a Lei. La stessa scena si ripeté il giorno seguente. Un operaio decide allora di montare la guardia e si lega ad una trave già tagliata, promettendo ai suoi compagni di non abbandonare i luoghi prima del loro ritorno l’indomani; verso mezzanotte, una forza invisibile lo trasporta sulla sua trave fino alla grotta. Era dunque inutile opporsi ai voleri della Vergine. A partire da quel momento, la si onorò nel luogo che aveva scelto lei stessa. Con numerose differenze nei dettagli, altri racconti danno testimonianza di una simile volontà della Vergine;  in Ucraina, per esempio, è un’Icona che scelse misteriosamente il luogo in cui lei desiderava essere onorata e rifiutò quello che gli uomini le avevano assegnato.

Pur riferendo fedelmente ciò che nutriva la credulità popolare degli abitanti della Maurienne, Bertrand preferisce constatare la manifestazione di una presenza invisibile e miracolosa nell’assenza di incidenti mortali nel corso degli avvenimenti che egli riporta, cadute di pietre, crollo di muri , ecc.


LE TAPPE STORICHE CONOSCIUTE

XV e XVI secolo
Il  primo documento relativo alla costruzione della Cappella reca la data del 1401. Già perduto quando l’abate Molin scrisse la sua Histoire du pélerinage du Charmaix,  ma allora menzionato negli archivi parrocchiali, spariti a loro volta, esso indicava la data del 30 giugno e il nome di Michel Falquet, un modanese di cui non sappiamo nulla.
Lo stesso anno il vescovo della Maurienne, Savin de Floran, lo cita in un documento che concede 40 giorni di indulgenza a tutti coloro che verranno al Santuario in certi giorni consacrati alla Vergine e parteciperanno alla sua «dotazione ed ampliamento»; Falquet vi è presentato come colui che ha fondato la cappella. E’ difficile sapere quale sia stato il suo ruolo: il richiamo alla generosità dei fedeli nel 1401 sembra significare che  il suo contributo finanziario, che gli è senza dubbio valso il titolo di fondatore, fosse  insufficiente per la realizzazione totale del progetto; forse egli è stato essenzialmente l’iniziatore della costruzione. Molin  precisa che nel 1401, il Comune «ha ceduto spontaneamente il terreno necessario». Vi è in ciò la testimonianza indubitabile della celebrità del luogo in cui la statua era collocata prima, con un oratorio più modesto, se non proprio solo un anfratto della roccia.
Nel 1427 il cardinale di Larochetailée, che  aveva fatto sosta al Bourget mentre si  recava alla Curia Romana, concedeva delle indulgenze a quanti cureranno la manutenzione della chiesa parrocchiale e della cappella; i due luoghi di culto sono dunque a quell’epoca considerati  importanti sia l’uno che l’altro.
Nel 1435, il cardinale Hugues de Cypre, anche lui dal Bourget, rinnova il gesto in favore di quanti parteciperanno alla manutenzione della costruzione, alla fornitura di luminarie, di indumenti (senza dubbio sacerdotali), di ornamenti e ogni altra cosa concernente la cappella; il santuario è dunque se non terminato, almeno molto avanti nella costruzione, tanto da poter ricevere del mobilio. Dei lavori di costruzione tuttavia proseguono, poiché questo stesso documento riferisce dell’utilizzo della cava da dove ogni giorno si prelevano delle pietre per l’ampliamento della cappella; forse si tratta della prima costruzione del vestibolo.
Il 7 novembre1444, Louis de La Palud, cardinale di Varembon e vescovo di Maurienne, ha appreso che la cappella dello Charmaix rischia la rovina, a causa della vetustà. Desideroso di vederla riparare, concede  quaranta giorni di indulgenza perpetua a quanti visiteranno devotamente il santuario e parteciperanno alla sua riparazione.
A parte concessioni d’indulgenza fatte dai vescovi, che ci informano sulla celebrità dei pellegrinaggi, ma non sullo stato dei luoghi, bisogna aspettare il 1541 per trovare un documento concernente l’edificio della cappella. Quell’anno i fratelli Sebastien e Thomas Mellurin, due pittori di Modane, ricevono dal vicario della parrocchia di Modane e da due procuratori delle cause pie (amministratori dei beni temporali delle parrocchie) un ordine passato davanti al notaio. Si tratta di «rifare e onestamente decorare con buoni e fini colori una pala d’altare, ossia tabernacolo [sic], nella cappella de Notre-Dame du Charmaix».

Pergamene del XV secolo relative alla cappella dello Charmaix firmate da vari vescovi o cardinali
Questa pala, larga almeno una tesa (tesa di Savoia =  m. 2,714, sembra): la larghezza dell’altare attuale è di m. 2,40, s’innalzerà fino alla volta e sarà ornata almeno con quattro angeli. Il lavoro dovrà essere terminato entro due anni; sarà esaminato da molti maestri decoratori e pagato nove scudi d’oro.

La testimonianza di un anziano che ricordava dei lavori del 1543, «un vecchio contadino sano di mente e di corpo», ci è stata trasmessa da Jacques Bertrand. Jean Vallorie (probabilmente «Valloire») di Modane, figlio di Michel, ha visto, durante la sua infanzia, una cappella situata nella grotta dove si trova attualmente (cioè nell’anno 1620), ma molto meno alta, più stretta e priva di ornamenti. E’ là che si venerava la statua, che era stata trovata in quella che è definita «la gorge», questo gli hanno detto i suoi antenati. Fu posta in seguito, sempre nella stessa grotta, su un altare un po’ più alto, di modeste dimensioni. Più tardi , come l’ha veduto l’anziano, i Modanesi hanno costruito un muro per sostenere il luogo dove hanno edificato una cappella più grande. Quanto allo sfondo azzurro intorno alla statua e che Bertrand ha descritto (vedi dopo), fu posato nel 1543, grazie alla generosità di un certo Pierre Porte, che allora sostituiva il parroco.
Nel corso di questi diversi lavori, uno scalpellino, di nome Michel Moesendus, cadde nella gola dall’alto di una muraglia quasi giunta al suo apice. Lui e i suoi compagni  rimasero sani e salvi, grazie alla Vergine che avevano invocato a gran voce, secondo il vegliardo.
Una simile protezione si manifestò più tardi, ed è allora lo stesso Bertrand che ne dà testimonianza. Il primo giugno 1598 un grosso blocco di pietra è caduto nel vestibolo della cappella ed ha fatto crollare l’atrio d’ingresso, senza che l’accesso all’altare e alla statua sia stato ostruito. Altre cadute di massi erano state constatate nel 1596 e 1597, tanto è vero, come sottolinea Bertrand, che il luogo dove è costruita la cappella è friabile e umido, senza parlare della sua esposizione che accresce il rigore del clima.
Così dunque, nel corso dei secoli XV e XVI, senza che se ne possano seguire le diverse tappe, i lavori si susseguono  all’oratorio dello Charmaix. E’ molto difficile immaginarsi la configurazione dei luoghi in quei tempi lontani. L’incisione che apre l’opera di Jacques Bertrand  (vedere illustrazione qui accanto) non può essere considerata come una testimonianza autentica; tuttavia essa ci permette di constatare il carattere modesto del luogo di culto, quale i contemporanei se lo potevano rappresentare.


Incisione con cui inizia il libro di Jacques Bertrand “Diva Virgo Charmensis”, Lione 1623.  Da una parte e l’altra della cappella lo stemma di Mourice de Savoie, 
a cui è dedicata l’opera.  In alto 
lo stemma pontificio di papa Gregorio XV (1621-1623).



Prima del 1625

Devono essere stati eseguiti numerosi lavori, poiché  nel corso di  una causa che oppone il comune di Modane e gli eredi del parroco Jean Armand nel 1625, i sindaci espongono le spese che «la ricostruzione o l’ampliamento della cappella di Michel Falquet» hanno richiesto; il successore di Jean Armand, da parte sua, parla delle offerte dei pellegrini «per mezzo delle quali sarebbe stata costruita, coperta e restaurata la cappella».
La prima descrizione della cappella che possediamo è dovuta, l’abbiamo detto, a Jacques Bertrand e risale al 1623.
Sopra la grotta, degli abeti,  dei pini,  degli arbusti e, qua e là, del muschio. Ad est, sotto la grotta, il vuoto è stato riempito con una parete che ha richiesto un grosso lavoro; si sente il torrente che mugghia ai piedi della roccia, più che vederlo, data la profondità della gola. Ad ovest, boschi e  cime. A sud uno spazio circondato da montagne, da pascoli e da foreste; è lì che passa la strada che conduce al Delfinato. L’ingresso è a nord; è costituito in parte da un tetto, in parte da una volta in pietra rinforzata da pilastri ricoperti da intonaco, davanti ad una stretta galleria costruita perché i pellegrini  non passassero la notte all’addiaccio come ne avevano l’abitudine.
Viene poi un cancello di ferro, che separa l’ingresso e la galleria dall’altare; esso è dovuto a Jean Armand, parroco di Modane, e a Jean-Baptiste Castanier, conosciuto da una parte e dall’altra delle Alpi per la sua generosità. (Il primo cancello fu dunque posato tra il 1602, anno in cui Jean Armand divenne parroco di Modane, e il 1622, quando Jacques Bertrand terminò la sua opera).
La statua, alta un piede e mezzo, con il viso scuro colmo di dolcezza, è posta al centro di uno sfondo azzurro che orna l’altare, sfondo ornato da bordi e da stelle dorate e circondato da ciascun lato da  tre cherubini, anch’essi dorati; si tratta molto probabilmente della pala d’altare comandata ai Mellurin nel 1541.
Il cancello d’ingresso visto dall’atrio sotto la tribuna, nel suo stato attuale.
Tra il 1625 e il 1636

A partire dal 1625 e fino al 1793 lo Charmaix è posto sotto la guida di un rettore.
Prima, fino al 1583, il luogo santo era amministrato dai «procuratori delle Cause pie», poi dal parroco di Modane.
Il primo di questi rettori è Benoit Genin, designato per questo ufficio dal vicario generale e ufficiale della diocesi. Secondo  l’abate Molin, «egli ordinò a Jean Clappier, scultore di Lanslevillard, un sole dorato in cui incastonò la statua della Vergine», grazie a un dono di trenta ducati fatto dal cardinale Maurice de Savoie, lo stesso a cui Jacques Bertrand aveva dedicato la sua opera sullo Charmaix.
Padre d’Orly ammirò questa realizzazione: «La santa immagine [...] è incastonata nella nicchia di un bel sole dorato  meravigliosamente raggiante».
Egli è il solo ad aver messo per iscritto un altro dettaglio interessante: questo sole è «un po’ alto davanti ad un antico quadro che termina a forma di piramide, sulla cui  cuspide appare un angelo, che non è un piccolo ornamento dell’opera. Esso rappresenta la natività di Nostro Signore in un’antica, ma gradevole maniera» (il quadro è ora davanti all’altare che reca la data del 1860,…è ornato di  cornici dorate, abbellite da numerose immagini di cherubini rivestiti con la dalmatica”.
Lo sfondo blu cosparso di stelle che vide Jacques Bertrand, qualche ventennio dopo , vent’anni prima, probabilmente fu sostituito da questo quadro su iniziativa del rettore Genin che fu molto attivo allo Charmaix (20).
Padre d’Orly sottolinea che egli «versa in continuazione  tutte le offerte che gli pervengono affinché  siano destinate  per onorare la Celeste Principessa» ; oltre: «il bel sole dorato», egli cita « tanti bei calici, casule, paramenti, lampade votive», e soprattutto, « l’edificio con due volte contigue alla santa cappella, di una sacrestia costruita da un abile artigiano e una casa per il rettore di questo santo luogo».

Si può ragionevolmente pensare che il rettore Genin abbia lasciato il santuario in una configurazione molto simile a quella che vediamo oggi: due volte, un coro, una sacrestia e, costruiti prima della sua venuta, il vestibolo e il cancello.
E’ verosimile pensare che prima la cappella contenesse solamente l’altare dov’era posta la statua della Vergine, che si poteva vedere attraverso il cancello che esiste tuttora. Questo altare è stato certamente spostato, per permettere l’ampliamento dell’edificio, il che fa supporre grandi lavori di restauro di cui non sappiamo nulla.
L’opera di Padre d’Orly termina con una «Descrizione poetica del luogo e dell’immagine di Notre-Dame du Charmaix». Dopo aver descritto l’austerità del paesaggio, la conformazione impressionante del ponte «che sostiene senza appoggio diversi piani», dopo aver immaginato i lunghi anni, quando la vergine non era onorata, l’autore descrive la pala dell’altare:

     «Sul fondo di questa roccia santamente onorata,
     si nota in rilievo un arazzo dorato
     dove quattro piedestalli, con quattro colonne,
     in stile corinzio, sostengono ghirlande
     coperte da un timpano sostenuto
     da un Ercole curvo, il cui corpo è nudo;        
     egli ha le braccia alzate e china un po’ il viso,
     facendo forza su un piede con molta grazia.
     Il tutto è arricchito da rose e gemme,
     da frecce sparpagliate, uova rotte, ghirlande,
     mensole di fiori con mille merlettature,
     edera attorcigliata, lunghe scanalature,
     e mille tratti dell’arte che appaiono ancora
     tra le quattro parti  di queste corone d’oro,
     dove angeli vestiti con bianche tuniche,
     cinti a vita, indossano la dalmatica
     con frange in oro fino, le cui pieghe
     gonfiano da mille parti, sembrano essere opera
     di uno zeffiro irritato, come se la scultura
     avesse l’impronta della stessa natura».

Questi versi sono un vero enigma. La precisione della descrizione difende la sua autenticità. Ma, a parte che sembra poco verosimile che sia stato fatto un nuovo altare dopo il 1541, si può notare che questa pala d’altare assomiglia in tutto a quelle che si possono ancora trovare nelle chiese barocche della regione, costruite nello spirito della Controriforma, per affermare la potenza della Chiesa romana e celebrare i  culti aboliti dai protestanti. Tale pala d’altare è veramente esistita allo Charmaix?  Oppure l’autore, che forse non è Padre d’Orly poiché il testo è stato aggiunto a opera già terminata, ha sognato per la Vergine una pala conforme ai propri desideri? In assenza di altri documenti, per lo meno fino ad oggi, queste domande restano senza risposta; ma questi versi testimoniano l’importanza che fu data alla decorazione della cappella e lo stupore che essa poteva suscitare.

1715-1718

Per celebrare la vittoria riportata sotto le mura di Torino dall’armata austro-sarda contro le truppe di Luigi XIV nel 1706, Vittorio Amedeo si preparava a far costruire la basilica di Superga a Torino. Il 14 giugno 1715 - ossia due anni dopo il trattato di Utreht che concluse la guerra di successione della Spagna - egli ricevette una richiesta concernente lo Charmaix, molto danneggiato dalle truppe; ignoriamo chi gliel’abbia inviata, ma un elenco di documenti conservati al presbiterio, fino al 1943, ne danno testimonianza. Lo stesso giorno in cui la ricevette, il re incaricò il suo intendente generale di valutare le riparazioni necessarie. Fu inviato sul posto un ingegnere, Emanuelli, che fin dal 23 giugno firma la sua nota conclusiva, un documento che è al tempo stesso una descrizione dello stato dei luoghi e un «capitolato degli oneri».
La distruzione del ponte da parte delle armate austro-sarde, unita alle cattive condizioni topografiche, hanno provocato numerose fessure nel muro verso il ruscello, - «esso pende tutto in fuori» -. Il muro contro la roccia è crepato e dalla stessa parte, il pilastro che sostiene la volta centrale, anch’essa lesionata, si è incurvato contro questo muro. Il cancello d’entrata non è più sostenuto che da un muro fessurato, che, inoltre, si è distaccato dal muro lungo la roccia. Le fondamenta sono completamente marce. «Perciò è necessario riparare il tutto».
Saranno dunque rifatti il muro che va dal grosso pilastro - risparmiato come dice questo documento - fino al ponte, la cui spalla  sarà solidale con la cappella, quello con l’arco che sostiene il cancello, quello che é a mezzogiorno, innalzandolo fino alla massima altezza possibile senza intaccare la roccia, «per timore che essa crolli». Le due volte interne e i pilastri che le sostengono sono da demolire e ricostruire; gli archi saranno in gesso, il resto in listelli di legno (*)per non sovraccaricare l’edificio. I pavimenti della cappella e dell’entrata saranno rifatti come anche il tetto.
I muri interni devono essere coperti parzialmente con stucco dipinto poiché é raccomandato agli imprenditori di togliere con cura «tutte le tavole e le parti in legno dipinte» e consegnarle al rettore.
La parte del coro non sembra aver avuto bisogno di restauri, poiché si chiede agli operai di isolarla con un tramezzo di  assi dove si mette una porta chiudibile con «una serratura che ora si trova alla grande...» affinché «tutto sia ben chiuso e in sicurezza, fino a quando le riparazioni da fare alla cappella siano ultimate».

L’altare tra il 1757 e il 1779, incisione di un certo Constantinus
[Traduzione: Immagine  Miracolosa di Notre Dame de Charmaix in Maurienne
Dedicata a Monsignor Charle Joseph Filippa de Martiniana,Vescovo di Maurienne, 
Principe di Aiguebelle &c]
Le numerose raccomandazioni concernenti i materiali da utilizzare dimostrano la preoccupazione di eseguire un lavoro solido: sarà utilizzata solo pietra viva, e non quella proveniente dalle demolizioni, sabbia ben lavata e setacciata, calce «fresca cotta poco prima con legna e non con carbone di pietra», legno di larice tagliato con la luna giusta. Questo non esclude che «si consegneranno tutti i ferramenti e il legno che potranno essere ricuperati, per averli in buono stato quando dovranno essere utilizzati» per il tetto e i pavimenti.
Quanto all’organizzazione della cappella, non è modificata in nulla. Si conserva la pianta muraria, le due finestre già esistenti e le volte sono ricostruite là dov’erano e della stessa ampiezza; anche le balaustre della grande galleria «che ora mancano» saranno rifatte, «come quelle che ci sono». Una sola eccezione: la porta del cancello sarà «allargata per lo meno di due sbarre di ferro», ma la sua altezza è indicata «dalla trave di legno che è presente».
Si tratta dunque di un restauro nel senso stretto della parola. L’edificio è stato considerevolmente consolidato, ma è rimasto tale quale il rettore Genin l’aveva concepito quasi ottant’anni prima.
Blasone di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia (1675-1730)
Situato sopra la cancellata d’ingresso, in ricordo del 
restauro della cappella.
Il documento di cui disponiamo precisa che le spese per i lavori non possono essere valutate poiché non sappiamo «la giusta quantità di tese, a causa dei cocci che sono nelle fondamenta ,  per timore di fare crollare qualche parte del muro». Sei mesi più tardi la stima era fatta: secondo l’abate Molin, «L’aggiudicazione dei lavori ebbe luogo il 31 dicembre 1715  a Chambery, per la somma di 4475 fiorini che il re prese a suo carico. Ma durante l’esecuzione si constatò la necessità di riparazioni abbastanza numerose che non erano state previste e di cui il documento non segna il prezzo. La cappella fu terminata soltanto nell’autunno del 1718». La lastra di marmo che porta il blasone del duca di Savoia, diventato re di Sicilia nel 1713, -prevista nel documento redatto da Emanuelli – e datata del 1717,  conserva ancora oggigiorno il ricordo di questo restauro.


LA RIVOLUZIONE

Nel 1792 , la Savoia diventa francese per alcuni anni (creazione del dipartimento del Monte Bianco). Se la maggioranza dei paesani  diffida  delle nuove idee, una parte non trascurabile della popolazione si entusiasma per la Rivoluzione.
E’ certamente così che si spiegano le manifestazioni di anticlericalismo che minacciano il santuario dello Charmaix.
Un certo Joseph Bernard, del quartiere di Lutraz di Modane,  va a cercare la statua miracolosa e la nasconde nella propria casa. Essa tornò nel santuario soltanto nel 1808, dopo che il parroco di Modane ebbe sommariamente rimesso in ordine la cappella.
Anche se l’altare ha avuto bisogno di essere rimesso in sesto, non era stato tuttavia saccheggiato come è stato detto, dal momento che il canonico Angeley  così lo descrive nel 1843, nel Pellegrinaggio a Notre-Dame de Charmaix (p.10) : «E’ composto da colonne ed altri ornamenti di legno scolpiti e dorati. Al centro dell’altare è un piedestallo sul quale è collocata la statua miracolosa».

A PARTIRE DAL 1850

Quell’anno, la marchesa di Barolo FECE dono dell’altare laterale ancora visibile oggi. Ma c’erano lavori più urgenti da realizzare; il 28 giugno 1855 la sacrestia crollò dopo che un prete ne era appena uscito, i mobili restarono sospesi nel vuoto su una trave. La ricostruzione fu fatta in tre mesi, con fondazioni più solide appoggiate al fondo del burrone, lavoro impressionante di cui l’abate Molin fu testimone.
Nel 1860, una sottoscrizione permette la costruzione di un nuovo altare scolpito dai fratelli Gilardi, quello che esiste tuttora. Non resta quindi altro che decorare la cappella con quadri, ex voto e altri segni di riconoscenza, e continuare i lavori di conservazione, oggi tanto numerosi quanto necessari. Secondo la sua propria testimonianza, l’abate Molin ha fatto scavare alla base della roccia vicino alla cappella, per assicurarne un miglior isolamento, prima di intonacare la facciata.
Dopo la guerra del 1914-1918, l’abate Demaison, parroco di Modane, fece posare sul tetto della cappella una statua in bronzo, alta due metri, del peso di seicento chili; i parrocchiani di Modane ne hanno fatto dono dopo l’armistizio. Nel 1922 lo stesso parroco ordinò due vetrate per il santuario.
Durante la guerra 1939-1945, la cappella fu danneggiata nel corso del secondo bombardamento di Modane, l’11 novembre 1943. Una bomba caduta al bordo della strada dello Charmaix, duecento metri a monte, provoca danni rilevanti.
La statua cade sull’altare e si rompe. I luoghi saranno rimessi in sesto dal Servizio della ricostruzione dei luoghi di culto nel 1952. Quello stesso anno l’unica campana del santuario, datata 1821, che era stata perforata da una pallottola nel 1944, fu nuovamente benedetta, dopo essere stata rifusa. Essa pesa 37 Kg, suona il do diesis e porta l’iscrizione: «Fusa nel 1821, rotta nel 1944, sono stata rifusa nel 1952. N.D.dello Charmaix benedite i pellegrini dello Charmaix».
Tra il 1968 e il 1980 si impongono nuovi lavori, realizzati dal comune e dalla parrocchia, sia all’esterno (tettoia, tribuna e portico), che all’interno ( tinteggiatura dei muri).
La cappella è stata messa a dura prova con i lavori per la costruzione del traforo autostradale del Frejus, in particolare per la costruzione di un pozzo di ventilazione nella montagna che si innalza al disopra dello Charmaix: numerosi tiri di mine, innumerevoli passaggi di camion - uno dei quali ha demolito il portico -, discarica di calcinacci  nel torrente; il luogo di culto pareva assalito da tutte le parti. I danni sono stati riparati; rimane unicamente, al disopra della cappella, un ponte in cemento che non passa inosservato a chiunque alzi lo sguardo, e che avrebbe potuto essere costruito qualche metro più in alto se si avesse avuto la cura di preservare un paesaggio vecchio di parecchi secoli.
Dal 1981 c’è l’Associazione degli amici del santuario dello Charmaix che presiede al mantenimento della cappella , con l’aiuto del comune, della parrocchia e del consiglio generale. Ad essa si deve l’iniziativa delle ristrutturazioni realizzate in questi ultimi quindici anni, fondamenta e muri maestri, ma anche sostituzione  dei banchi, restauro dei quadri, ecc. La sua attività è stata premiata nel 1992 con il conseguimento del secondo premio al concorso «Un patrimonio per il domani», organizzato dal Le Pelerin-magazine.
Come dimostra questo sorvolo rapido e lacunoso della storia dello Charmaix, la tradizione inaugurata nel 1401 è stata perpetuata sino ad oggi, nonostante le vicissitudini di ogni tipo.

L’altare com’è ora (Pala dei fratelli Gilardi,1860)

Davanti all’altare, il pagliotto: “La nascita della Vergine”.

L’interno della cappella intorno all’anno 1920


L’interno attualmente restaurato

IL PONTE

La prima menzione che ne abbiamo reca la data del 1401, quando il municipio di Modane ne decide la costruzione. Occorreva, certo, offrire un accesso più facile alla cappella, ma anche ai pascoli utilizzati dagli agricoltori di Modane, e rendere più agevole un percorso allora molto importante tra la Savoia e le province limitrofe.
Il ponte intorno all’anno 1920
Nel 1427  l’opera non è terminata: il cardinale di Larochetaillèe, nella carta che firma per concedere delle indulgenze a coloro che contribuiscono ai lavori nel santuario, segnala che è in costruzione un ponte, che permetterà di passare dalla Maurienne al Delfinato, tragitto pieno di pericolo se non si costruisce un ponte di pietre.
Nel 1435 il cardinale Hugues de Cypre, che concede a sua volta delle indulgenze per gli stessi motivi, menziona l’esistenza di un ponte necessario per recarsi alla cappella, molto lungo e molto alto. Coloro che lo conserveranno in buono stato faranno un’opera pia ; doveva dunque essere ultimato.
La costruzione di una tale opera in un tale luogo, dove per di più era possibile lavorare solo sei mesi all’anno, non  poteva essere completata rapidamente in quell’inizio del XV secolo.
Come si superava la gola dove scorre il torrente prima di questa costruzione? Con un ponte di legno, suggeriscono alcuni. Si  può anche pensare che si attraversasse il torrente qualche centinaio di metri più in alto, là dove non è chiuso tra gole profonde, e che si raggiungesse la cappella per un sentiero che scendeva attraverso la foresta.
L’interesse strategico di questo ponte ci è confermato da un documento relativo alla seconda guerra del Monferrato. Il duca di Savoia aveva  fatto occupare tutti i luoghi che potevano fornire passaggio alle truppe francesi, tra cui quelli che collegano Savoia e Delfinato. Nel 1628 un sergente riceve l’ordine seguente: «Il servizio di sua Altezza vuole che la strada che scende dall’Arrondaz fino al trinceramento dello Charmaix sia immediatamente distrutta e che si facciano abbattere tutti i ponti». Non sembra che le volontà del principe siano state adempiute.
Non abbiamo più trovato documenti concernenti il ponte prima di quelli del XVIII secolo, quando Amedeo II lo fece ricostruire dopo la guerra di Successione spagnola (1703- 1706). Nel 1715 l’ingegnere Emanuelli aveva completato la descrizione  dei lavori necessari per la cappella, con dieci punti concernenti il ponte; ma non abbiamo ritrovato quella parte del documento analizzato qui sopra. Resta solo un titolo: «Il ponte».
Durante l’ultima guerra questo passaggio verso l’Italia non fu dimenticato. Lo testimonia oggi il monumento eretto alla memoria del luogotenente Barret che apparteneva alla compagnia Ribeill del battaglione del Gresivaudan, venuto a dare manforte ai partigiani della Maurienne. Il 13 settembre 1944, vigilia della liberazione di Modane, egli cadde in un’imboscata al di sopra dello Charmaix, con undici uomini. «Ferito alla spalla e ad una coscia, chiama: “ a me! Aiuto!”. Un tedesco gli si avvicina e lo finisce tirandogli due pallottole esplosive alla testa» (Diario del sottotenente Viaud) (31).
Recentemente il vecchio ponte è stato molto utile per la costruzione della stazione sciistica di Valfrejus. Il suo aspetto attuale risale al 1990; i parapetti completamente in pietra hanno ritrovato uno stile antico, in armonia con la cappella; la strada è stata lastricata.
Se il ponte è strettamente legato alla cappella per la sua architettura, è evidente che ha presentato e presenta tutt’altre implicazioni per coloro che si sono interessati alla sua costruzione, alle sue distruzioni e  ricostruzioni successive, alcune delle quali restano senza dubbio da scoprire.

Mappa – Cappelle del Rosario sulla Vecchia strada per salire al santuario.
I piloni sulla strada del pellegrinaggio a Notre-Dame dello Charmaix


ND du Charmaix 1505 m


15 la cappella – Incoronazione di Maria in cielo
14 Les Essart – Assunzione
13 Chalet Colly – Pentecoste
12 Fongelune – Ascensione
11 sotto la cava – Risurrezione
10 curva 6 – Crocifissione
9 monumento Barret – Salita al calvario
8 il Salto – Incoronazione di spine
7 valle dell’Ouille – Flagellazione
6 croce di pietra – Agonia di Gesù
(indicazione : Tunnel stradale del Fréjus)
5 entrata dei boschi – Gesù ritrovato nel tempio
4 Campo dei pini – Purificazione e Presentazione
(indicazione : Tunnel ferroviario del Fréjus)
3 Botonnier – Natività
2 Grand mur – Visitazione
1 le Paquier - Annunciazione


Chiesa di Modane 1050 m







I piloni

Costruiti lungo la strada tra Modane e lo Charmaix.

In numero di quindici - l’ultimo è la stessa cappella -, ognuno ricorda un Mistero del rosario (32), dall’Annunciazione fino all’Incoronazione di Maria in Cielo (non hanno niente a che vedere con una VIA CRUCIS). Delimitando il percorso del pellegrino, lo invitano a meditare i principali episodi della vita di Cristo e della Vergine, mentre sgrana lungo il cammino le centocinquanta Ave Maria che costituiscono il rosario.
La loro origine è sconosciuta. Jacques Bertrand scrive che delle croci sono poste qua e là lungo la strada dello Charmaix (sono rappresentate nell’incisione che figura all’inizio della sua opera), ma come egli precisa, si tratta di punti di riferimento destinati ad indicare il tracciato della strada quando la neve è troppo abbondante. Sappiamo che in quell’epoca i segnali avevano la forma di una croce, il che li metteva al riparo dai cercatori di legna da ardere, che avrebbero potuto strapparli durante la bella stagione, se non avessero avuto il timore di abbandonarsi ad una profanazione.
Una leggenda, ancora riferita da Achille Ravat (33) come fatto autentico, ha di per se stessa il sapore delle storie strane, non fosse che perché il numero delle stazioni è ridotto a dodici (o a tredici secondo Coppier). Essa permette tuttavia di pensare che agli occhi di quelli che li hanno costruiti, i piloni dovevano avere un’origine miracolosa come quella della cappella. «un uomo si recava da Modane a Bardonecchia; un lupo affamato esce improvvisamente dalla foresta e si lancia su di lui. Prossimo ad essere divorato, il nostro viaggiatore invoca Maria e Le fa voto di costruire un pilone in quello stesso luogo, se arriverà sano e salvo alla cappella dove sperava di trovare riparo. Il lupo si allontana, ma per tornare poco dopo; altro voto da parte del nostro uomo, e lo rinnova così  per dodici volte di seguito, ad ogni attacco del feroce animale».

Incisione su legno 1678
 (Collezione Vescovado della Maurienne).
L’abate Molin , fondandosi più seriamente su «informazioni che ha potuto raccogliere», pensa che  «i piloni siano stati costruiti solo dopo la Rivoluzione» (p.3).
Più recentemente, la data della loro costruzione è stata stabilita tra il1591 e il 1619. Questa affermazione non è accompagnata da alcun riferimento a documenti di archivi pubblici o privati. Lacuna tanto più spiacevole perché Jacques Bertrand non ne fa assolutamente menzione nel 1623 e la sua descrizione dell’itinerario da lui percorso tante volte è troppo precisa perché si possa attribuire il suo silenzio a una dimenticanza; lui stesso recitava e meditava il Rosario mentre si recava allo Charmaix.

Un’incisione datata al 1678, non ritrovata nel vescovado della Maurienne, si ispira fortemente a quella che apriva l’opera di Bertrand nel 1623 (vedere p.23). Vi si può leggere «Amodane, presso Jordain», personaggio di cui non sappiamo nulla. Sulla strada che viene da Modane, si notano delle croci, ma anche tre edicole che potrebbero rappresentare dei piloni. Ma questa incisione, che non tiene conto dei lavori fatti alla cappella dal XVI al XVII secolo, non può essere considerata un documento fedele alla realtà.

L’Annunciazione, quadro datato al 1694, restaurato nel 1993.
In basso, i santi protettori dei donatori. A sinistra, San Pietro e le sue chiavi (qui incrociate, il che significa l’unione del cielo e della terra).  A destra, Antonio l’eremita. Porta sulla manica destra la «T», simbolo della Croce, e al polso sinistro una campanella, che è uno dei suoi attributi.
La riscoperta recente di un quadro su tela, esposto attualmente nella cappella, ci dà un’indicazione che ha il grande merito dell’autenticità. Esso rappresenta l’Annunciazione e reca l’iscrizione « Pierre Charvoz e Antoinaz Faure, sua moglie,di Amodane, hanno fatto costruire questo pilone dell’Annunciazione in onore di nostra Signora dello Charmaix .1694». Nella parte superiore del quadro si legge: «Mysterium gaudiosum» (Mistero gaudioso).
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, possiamo dunque pensare che alla fine del XVII secolo i fedeli abbiano deciso di consacrare la costruzione delle «Stazioni» -come sono chiamate nella regione- alla celebrazione dei misteri del Rosario. Ci piacerebbe poter ricostruire la loro storia.
Questi piloni non sono sempre stati come li vediamo oggi. Nel 1877 l’abate Molin  li presenta così (p. 23): «Sono dei semplici pilastri in mattoni o in pietra di taglio, questi ultimi costruiti recentemente, con una rientranza in forma di nicchia dove è raffigurato, su tela, pietra o legno, uno dei quindici Misteri del Rosario».
Egli stesso ha fatto restaurare i due primi che hanno la data del 1867 e 1871 ; per quello dell’Annunciazione dove il suo nome è scolpito sulla pietra, ha fatto eseguire un dipinto, in stile popolare, su legno, che porta ancora sul retro l’etichetta dell’artista che glielo mandò: «Al signor Abate Moulin, arciprete di Modane» e una traccia della ricevuta di spedizione.
Si può dunque pensare che questa  prima stazione, situata nel quartiere detto «du Pâquier», corrisponda alla descrizione dei piloni precedenti che l’abate aveva potuto raccogliere dagli abitanti, o di ciò che ne rimaneva ancora mentre era vivo lui. Ma il secondo pilone, anch’esso ricostruito da Molin, è diverso, e il terzo sembra di epoca posteriore. Come immaginare, allora, cosa furono in origine queste «stazioni»?

Il pilone di Pâquier (parroco di Molin 1867) con la
Croce della Missione del 1926, restaurata nel 1996 dagli abitanti di Pâquier

Quello che precede la cappella è molto diverso dagli altri; secondo la sua vecchia denominazione, esso potrebbe essere stato ricostruito dal parroco Demaison (1888-1925).
Tavola in legno scolpito e dipinto del pilone di Pâquier

Nel 1934, un costruttore che esercita a Modane edifica un nuovo pilone al posto del tredicesimo, in uno stile che non assomiglia a quelli del passato. Nel 1936 il parroco di Modane, Joseph Gagniere, intraprende il restauro di tutto il complesso e chiede l’aiuto dei parrocchiani.  Offerte diverse per una singola edicola, o per una partecipazione collettiva e anonima, permettono di portare a termine questo progetto. Il 13 agosto 1939 i piloni si ritrovarono al completo, inaugurati e benedetti in pompa magna alla presenza del vescovo della Maurienne, che seguiva i pellegrini su una carrozza.
I combattimenti avvenuti nella regione alla fine della guerra del 1939-1945 hanno causato, anche lassù, gravi danni.
Inoltre i lavori necessari per la costruzione della galleria stradale del Frejus hanno sconvolto notevolmente il paesaggio, e dunque l’area dei piloni, a volte i piloni stessi; alcuni sono stati ricostruiti in un nuovo stile.
Così come li si vede oggi sono curati dall’Associazione  Gli amici del Santuario dello Charmaix.


Pilone 2, ricostruito dal parroco Molin nel 1871
a destra - Pilone 14, les Essarts ( 1900 circa )    



Pilone “ del Salto”, in stile 1938
a destra - Pilone 11, sostituito nel 1994

CULTO E PELLEGRINAGGI

Si può congetturare che il culto reso alla Vergine dello Charmaix risalga almeno al XII secolo. Nel corso della prima metà del secolo, i cardinali che concedono indulgenze ai pellegrini testimoniano i miracoli che lassù avvengono da molti anni. Bertrand scrive nel 1623 che i pellegrini frequentano questa montagna da trecento anni  e più.
Secondo il processo verbale della visita pastorale nel 1609 del vescovo della Maurienne, «questa cappella è frequentata giornalmente dalla devozione della gente che vi approda da tutte le parti circostanti».
Anche se non si attendevano solo le feste della Vergine per recarsi allo Charmaix, queste erano l’occasione per raduni imponenti, in occasione delle date importanti per i cristiani, principalmente  quelle che si celebrano durante la bella stagione, la Visitazione (2 luglio) e soprattutto la Natività (8 settembre).
Si accorreva in folla nei momenti di cataclismi o di epidemie designate sotto il nome generale di «peste». La storia ha conservato il ricordo di alcune cerimonie celebri. Nel XVII secolo, molti comuni adempiono al voto fatto alla Vergine dello Charmaix durante un’epidemia ; nel 1600 è la comunità di Saint Jean de Maurienne, che percorre trenta chilometri a piedi per venire a ringraziare la Vergine, «Capitolo dei canonici in testa»; nel 1630 è la volta di Fontcouverte. Altri flagelli sono all’origine di voti simili: nel 1624 i sindaci di Saint-Julien, le cui vigne sono devastate da una invasione di insetti, «si impegnarono con un voto per tre anni, l’anno corrente e i due seguenti, acciocché tutti quelli che ne sono capaci vadano a visitare il pilone dello Charmaix, in processione e in abiti bianchi, con devozione e recitino le preghiere richieste».
Non era raro che dei villaggi si facessero rappresentare ai pellegrinaggi da una delegazione guidata da un vicario o da un parroco, stendardo della parrocchia in testa; gli si pagavano allora le «vettovaglie»; queste spese erano debitamente messe per iscritto, e certi archivi ci permettono oggi di conoscere questa consuetudine, come quelli di Saint-Martin-La-Porte, dove apprendiamo che la parrocchia aveva dato dieci fiorini a coloro che l’avevano  rappresentata allo Charmaix nel 1654.
La nomina di un rettore incaricato della cappella in permanenza a partire dal 1625, che sarà aiutato durante i mesi estivi da un ausiliario a partire dal 1677, prova da sola l’importanza delle funzioni religiose che vi si sono celebrate.
Citiamo ancora, dopo la rivoluzione, nel 1808, il ritorno nella sua cappella della statua portata dal parroco di Modane lungo tutto il tragitto; nel 1861 l’inaugurazione del nuovo altare maggiore; nel 1919 il trasporto della statua di bronzo che fu in seguito issata sul tetto; nel 1939 la collocazione delle statue nei nuovi piloni, tutti avvenimenti che diedero luogo a grandi manifestazioni di pietà. Padre d’Orly riferisce che nessun abitante della Maurienne voleva morire prima di aver fatto almeno  una volta  questo pellegrinaggio.
La nomina di un rettore incaricato della cappella in permanenza a partire dal 1625, che sarà aiutato durante i mesi estivi da un ausiliario a partire dal 1677, prova da sola l’importanza delle funzioni religiose che vi si sono celebrate.
Citiamo ancora, dopo la rivoluzione, nel 1808, il ritorno nella sua cappella della statua portata dal parroco di Modane lungo tutto il tragitto; nel 1861 l’inaugurazione del nuovo altare maggiore; nel 1919 il trasporto della statua di bronzo che fu in seguito issata sul tetto; nel 1939 la collocazione delle statue nei nuovi piloni, tutti avvenimenti che diedero luogo a grandi manifestazioni di pietà. Padre d’Orly riferisce che nessun abitante della Maurienne voleva morire prima di aver fatto almeno  una volta  questo pellegrinaggio.
Un portico è stato costruito prima del 1623 per riparare i pellegrini che pernottavano al santuario, senza dubbio perché la distanza che li separava dalle loro case non permetteva loro di fare il viaggio in una sola giornata.
Poiché venivano dalla Savoia e dal Piemonte, ma anche dal Brianzonese e dal Delfinato.
Attualmente, gli italiani che frequentano il santuario sono ancora molto numerosi l’8 settembre, accompagnati da almeno un sacerdote che assicura una predica.
Il primo pellegrino illustre che conosciamo è il duca di Savoia Carlo Emanuele I, venuto con un numeroso seguito. Egli aveva scelto la bella stagione, il 26 agosto 1620. Dopo la funzione aveva passeggiato in un luogo solitario vicino al santuario, quindi aveva preso parte ad un pasto frugale, all’ombra dei  pini e degli abeti, non senza risarcire  il contadino i cui prati erano stati ridotti a mal partito da questa numerosa assemblea, per quanto illustre.
Tre anni dopo, Jacques Bertrand  (p. 36) descrive la strada che conduce da Modane allo Charmaix , che egli conosce bene. «Il pellegrino si allontana da Modane munito di bastone, della corona del rosario e del Manuale del pellegrino del gesuita Richeomme. Egli si inerpica con passo regolare su un pendio dolce, tra alte foreste, vero bosco sacro. A circa due stadi  dalla città, egli trova un ponte vicino al quale c’è della legna tagliata (si tratta del Ponte detto «della Sega» su tutti i catasti e nella memoria dei Modanesi, che è scomparso solo al momento della costruzione della strada che conduce al tunnel stradale del Frejus). Poi scorge delle croci di legno, che indicano il tracciato della strada quando una neve abbondante l’ha ricoperto. Quando si è superato uno stretto passaggio della strada e si è terminato il rosario, si scorge sulla destra uno chalet; si sa allora che il santuario dista non più di due stadi. Un poco più lontano, si incontrano due chalet distanti uno dall’altro una trentina di passi,dove si può trovare, sulla strada del ritorno, del pane e del vino per una modica spesa. Viene poi la gola del torrente che rotola sulle rocce, con un ponte a volta in pietra, di una quindicina d’aune [Antica misura di lunghezza corrispondente a metri 1,22 circa cioè più di 18 metri] e di una altezza notevole, che dà accesso alla cappella». A parte qualche dettaglio, la strada del pellegrino non è molto cambiata prima della fine del XX secolo. Una consuetudine di cui si ricordano ancora alcuni Modanesi non è stata menzionata da nessuno degli storici dello Charmaix: pochi metri prima dell’arrivo alla cappella, una piccola sorgente scorre dalla roccia. Un tempo ci si fermava - e alcuni ancora oggi -  per lavarsi gli occhi, poiché si presumeva che quest’acqua li purificasse e li proteggesse da tutte le affezioni.

«La roccia che piange» di fronte al ponte d’accesso alla cappella

André-Charles Coppier, che ci tenne ad andare allo Charmaix un giorno di grande pellegrinaggio, non ha mancato di osservare questa consuetudine; quando aveva appena scorto la cappella nel cuore della notte, «... delle ombre più scure passavano a intermittenza davanti a questi segni di riferimento lontani, e dei bisbigli mi rivelavano un  assembramento indistinto che ostruiva la strada. Sono i pellegrini del vecchio rito dei ”Graïoceles” che si avvicinano alla Roccia-che-piange e le presentano i loro piccolissimi bambini distesi, alla cieca, sotto il gocciolamento delle sue lacrime ghiacciate. In questo ondeggiamento di masse confuse, dei gloglottii rompono questi arpeggi dell’acqua che gocciola sulle pozzanghere , e indovino che alcuni hanno portato delle boccette che riempiono con questa “Aquatio” speciale la cui virtù è attiva soltanto in quell’ora di notte, secondo le loro tradizioni celtiche» (41).
Con ogni evidenza, Coppier fa parte di coloro che cercano di collegare certe usanze a delle origini pseudo-sapienziali, spesso celtiche. Quello che è certo è che nessuno, tra i pellegrini che ha potuto interrogare, ha attribuito alla Vergine le virtù terapeutiche della sorgente, che risalivano forse a credenze pagane per sempre sconosciute, ma che non sono senza importanza per il carattere sacro del luogo, certamente anteriore al cristianesimo.

I primi pellegrini venivano a piedi , per le strade della valle o attraverso i colli.
Quando il tunnel ferroviario fu costruito, gli italiani prendevano sempre più la strada ferrata. Nel 1931 Andrè-Charles Coppier annota che ha voluto unirsi ai pellegrini che giungevano a Modane con treni speciali  di fine giornata.
«già un primo treno da Susa aveva scaricato davanti alla dogana francese una folla .... guidata da preti  dal cappello a tesa larga ;  poi sono giunti altri uomini, sotto la guida di montanari armati di piccozze, che ritorneranno a casa, direttamente, negli alti alpeggi in direzione del Tabor». Era un 8 settembre, giorno del più grande  afflusso di fedeli allo Charmaix.
Anche se da decenni  i pellegrini possono facilmente compiere il viaggio in giornata, sono  numerosi coloro che, fino a poco tempo fa, arrivavano alla vigilia di quel giorno per assistere alla processione con le fiaccole  che si svolgeva nei prati vicino alla cappella, seguita da una messa di mezzanotte, celebrata prima nel santuario, poi all’aperto a partire dal 1942.
Questa tradizione era stata instaurata da C. Demaison, parroco di Modane, intorno al 1920, senza dubbio per adattare allo Charmaix  una consuetudine di Lourdes. Essa fu soppressa nel 1968.
Resta ancora  la messa all’aperto celebrata la mattina dell’8 settembre, in un primo tempo in un ampio prato a forma di anfiteatro propizio alla convivialità, dove nel 1936 fu eretto un altare sormontato da una croce con un Cristo in bronzo riparato dagli abeti. Dal 1984, la sistemazione di Valfrèjus costringe i pellegrini ad accontentarsi di un terreno piatto coperto d’erba, «su un piazzale eretto a posteggio» (Rivista Sapey, dicembre 1984, p. 23).
Dopo la prima guerra mondiale, l’apertura dei pellegrinaggi fu fissata al lunedì di Pentecoste  e la fine al 2 novembre.
Ai nostri giorni, l’8 settembre è sempre celebrato. Una processione parte al mattino dalla chiesa di Modane e si reca allo Charmaix a piedi, fermandosi davanti ad ogni pilone per meditare i misteri del rosario.
Ogni anno, essa è presieduta da un vescovo. Spesso è previsto una corriera per le persone disabili. Certuni usano l’automobile personale fino alle vicinanze del Santuario. Dal 1967, si onora la Vergine non più l’8 settembre, ma la prima domenica del mese. Mons. Bontemps l’aveva proposto l’anno precedente, per permettere al maggior numero di persone che lo desiderano di parteciparvi.

LE MERAVIGLIE DI NOTRE DAME


Sotto questo titolo, Padre d’Orly ha raccolto il racconto di alcuni dei fatti inspiegabili attribuiti alla Vergine dello Charmaix, alcuni dei quali sono stati riportati, ma in latino, da Jacques Bertrand, che rispondeva così alla richiesta del duca di Savoia.
La Chiesa non si è mai pronunciata a loro riguardo; si può notare che alcuni sono oggetto di una deposizione davanti a testimoni, per evitare la frode.
Ne citiamo tre per tentare di restituire la presenza di Notre-Dame du Charmaix nella vita dei pellegrini del passato e lo spirito che animava tutti coloro che, prima di noi, hanno scritto sul Santuario. La seconda si riferisce a Don Genin, primo rettore dello Charmaix (1625) che ha voluto che quattro «grazie speciali in  forma di miracolo» di cui  era stato il beneficiario fossero «inserite negli omaggi dovuti alla Vergine dello Charmaix».
Li trascriviamo secondo il testo di Padre d’Orly, avendo solo modernizzato l’ortografia e qualche parola .

Uno zoppo miracolosamente guarito.

... L’anno 1605 Pierre Bernard, di onesta famiglia nel borgo di Amodane, ebbe un figlio da un matrimonio legittimo, chiamato Francesco, dotato di tutto ciò che la natura poteva dargli. Questo, come i fiori di primavera che hanno un solo mattino per esistere, poi appassiscono, così appena ebbe compiuto i cinque anni, per un incidente divenne non solo zoppo, ma anche storto e contratto tanto che non poteva muoversi che con l’aiuto di qualcuno o appoggiandosi su delle stampelle.
La natura che non può mentire ai bisogni portò l’affetto paterno a spendere dietro i medici, nello spazio di sette anni, tutti i beni di fortuna che il lavoro delle loro mani aveva potuto far loro guadagnare, ma tutto inutilmente.
Ma poiché l’amore è cieco, così lo fu anche quello di questo  padre verso il proprio figlio, e gli fece chiudere gli occhi del dovere cristiano fino a portarlo a consultare una strega, chiamata Miège in quei paesi, che compiva notevoli guarigioni con il borbottio delle sue parole. Ora, poiché la divina provvidenza aveva previsto questa guarigione in modo diverso, l’indiavolata congedò l’uomo, dicendo che era come seminare sull’onda o sbattere contro una roccia pretendere di annullare questo maleficio, parole che misero fine alle sollecitudini del padre, che le considerò inutili.
Tuttavia Francesco era giunto all’età di dodici anni, sempre accasciato in casa come in una capanna, da cui si sforzò,  un giorno in cui i suoi genitori erano in montagna, di rotolarsi fino alla porta davanti alla quale uno dei suoi zii stava passando.
Non so se è per pietà o indignazione, egli dice allo storpio: «Che cosa vuoi fare qui, fannullone, dai poltrone , va in montagna a cercare tua madre e quando arriverai davanti alla cappella della vergine dello Charmaix, getta le tue stampelle dicendo alla Vergine: “Prendete le mie stampelle, per favore, abbiate, ahimé, compassione della mia deplorevole miseria e conservatele tanto a lungo quanto me ne sono servito io“».
Poi prendendo suo nipote per le braccia lo incamminò sulla strada di detta cappella dove lo zoppo continuò con la pena che si può immaginare, dovendo percorrere una lega [4,445 Km – Ndr] di salita.
Durante questa fatica sovrumana, scopre da lontano la santa grotta, prese nuove forze e affrettò il passo fino ai pressi di questo santo luogo; e qui cominciò a gridare e pregare, impaziente della sua liberazione: «Prendete, Beata Vergine, prendete le mie stampelle e conservatele per quanti anni le ho usate».
Queste semplici parole erano appena state pronunciate da quella bocca tanto semplice quanto innocente, che la Santa Vergine si degnò di ascoltarle come degli ordini; poiché nello stesso momento quello storpio, sentendosi fortificato, gettò le sue stampelle nella cappella, fece una riverenza a modo suo davanti alla santa immagine di Notre Dame dello Charmaix e corse verso i suoi genitori che lavoravano  su quella montagna, per dal loro la gioia di una grazia così miracolosa.
Chi vuole pensi alle molte emozioni che dovevano agitare le loro anime! (P. 93) 

Le numerose grazie che ha ricevuto da Notre Dame du Charmaix Messer Genin Benoit

... La terza grazia che questo devoto cappellano ritiene operata dalla Vergine dello Charmaix  gli  è comune con due religiosi cappuccini (F. Policarpe de Fontcouverte e Alexandre Turin) e due venerabili sacerdoti, Don Jean Fay, vicario di  Villargondran, e Antoine Jorcin, vicario di Lanslebourg.
Andando dalla città di Moutiers a quella di Saint-Jean-de Maurienne attraverso il monte di Valorcière giungendo a quello di Hermillon, si trovarono sorpresi da tre incresciosi intoppi, o piuttosto da tre nemici  mortali: una furiosa tempesta, una notte tenebrosa e numerosi precipizi, ad una imboccatura dei quali vi lascio pensare come questi devoti pellegrini fendessero il vento e le nuvole con le loro ferventi preghiere per meritare il soccorso dall’Alto per l’intercessione, mai rifiutata in tali casi, di Notre-Dame du Charmaix. Ella inviò prontamente in loro favore un faro celeste così chiaro e luminoso che, alla sua miracolosa presenza, furono esenti dalla tempesta che si dissipò, rischiarati nell’oscurità della notte e impediti di precipitare in quei neri precipizi (P. 149). 

 Un bambino di Susa guarito dall’ernia

 ... L’onorevole Jean Michel Merle, avvocato e borghese della città di Susa vicino alle Alpi e alla frontiera del Delfinato, Piemonte e Savoia, si trovò come una nave sul mare soffrendo le vicissitudini delle bonacce e delle burrasche, delle quali la disgrazia più grave fu sulla persona di suo figlio, il cui ventre uscendo dalla sua sede naturale, lo rendevano uno spettacolo di pietà e di lacrime a tutti coloro che conoscevano il suo male e sentivano i suoi pietosi lamenti. Suo padre fece continue e ferventi preghiere alla Vergine dello Charmaix, di cui aveva appreso dalla pubblica  voce la reputazione e i miracoli che Dio operava per Sua intercessione. In suo onore ottenne l’offerta del santo sacrificio della Messa, durante la quale, chiedendo con forza alla sua potente avvocata la guarigione del figlio, ne ricevette ciò che domandava. Infatti le budelle si rimisero al loro posto, con un rumore straordinario, e non ne sono mai più uscite; il bambino non ne risentì alcun dolore, secondo la testimonianza che ne ha dato suo padre quando venne alla cappella di N.D. dello Charmaix a fare al Rettore la dichiarazione di aver ricevuto una grazia notevole, per non chiamarla miracolo, alla presenza del canonico Messer Barthélémy Rastelly, canonico di Notre Dame la Grande in Susa, del Signor André, “Capitaine des enfants” di detta città, e di molti altri che erano venuti a onorare  la santa Vergine dello Charmaix; tutti riportarono una accresciuta devozione per questo santo luogo (P. 206).

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Traduzione di Augusta Gleise Bellet
Revisione di Sandro Tessiore e Chiaffredo Cavallaro

Il quarto di copertina dell’originale
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