A tutti i nostri
antenati noti e sconosciuti
che ci hanno lasciato
in consegna
la cappella
la cappella
e i piloni che lassù conducono.
A tutti coloro che prima di noi
hanno tentato di scrivere la sua storia
Prefazione
Queste poche pagine si propongono di far meglio conoscere la storia del santuario dello Charmaix. Esse devono molto a coloro che hanno scritto su questo alto luogo di pellegrinaggio, principalmente a Jacques Bertrand, a Padre d’Orly, al canonico Angley, all’abate Molin e a Pierre Buisson. Jacques Bertrand, medico a Saint Jean-de-Maurienne mise per iscritto i principali miracoli della Vergine dello Charmaix su richiesta del duca Carlo Emmanuele I, venuto lui stesso in pellegrinaggio al santuario il 26 agosto 1620; egli si propone di fare opera di storico e non di teologo e riferisce solamente ciò di cui ha avuto una testimonianza orale e che possa essere considerato come sicuro: il primo miracolo che riporta è datato 1536.
Le prime
pagine della sua opera, apparsa nel 1623 e redatta in latino, sono consacrate
alla ricerca delle origini del culto dedicato alla Vergine dello Charmaix e
alla descrizione, molto preziosa per noi, dei luoghi come li aveva visti lui
stesso. Settantanove anni quando scrive, è in Savoia dall’adolescenza e si è recato allo Charmaix una, due o tre
volte all’anno.
Il Padre
d’Orly, predicatore francescano di Thònes, conosceva bene la nostra regione;
dopo aver lodato l’ospitalità e la devozione degli abitanti della Maurienne,
scrive: «Vale di più che voi ne siate testimoni, come lo sono stato io per
parecchi anni, che sviluppare lunghi discorsi». Venne a predicare più volte allo
Charmaix su richiesta di Benoit Genin - rettore della cappella a partire dal 1625 - che
l’aveva incaricato di mettere per iscritto alcuni miracoli operati dalla
Vergine.
Nel1843
il canonico Angley, della cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne,
fa stampare a Lione «Il pellegrinaggio a
Notre dame dello Charmaix» approvato da Mons. Francesco Maria Vibert, vescovo di
Maurienne.
L’abate Molin, parroco di Modane dal 1855 al 1888, ha
proseguito e completato il lavoro dei suoi predecessori in un’opera apparsa a Saint-Jean-de-Maurienne nel 1877 e ristampata a Currière nel 1888: Histoire
du pélerinage à N.D. du Charmaix.
Con lo
stesso spirito, Pierre Buisson, nativo di Modane di cui fu sindaco,
appassionato di storia locale, aveva l’intenzione di pubblicare una Introduzione
a Notre-Dame du Charmaix. Deceduto nel 1987
ha lasciato il suo lavoro pronto per l’editore. I suoi eredi ce ne hanno
gentilmente permesso la lettura.
L’associazione
Les amis du sanctuaire ND du Charmaix, fondata nel 1981, ha voluto
rispondere a parecchie domande che si pongono pellegrini o visitatori, riunendo
le informazioni conosciute su questo luogo e privilegiando i dati storici. Essa
ha cercato di verificarle e di completarle, ma il risultato non è all’altezza
delle sue ambizioni. Gli autori qui sopra citati molto raramente hanno dato il
riferimento dei testi che hanno utilizzato; molti documenti antichi sono
scomparsi irrimediabilmente, in particolare gli archivi parrocchiali di Modane
distrutti il 17 settembre 1943, giorno in cui il bombardamento della città da
parte dell’aviazione britannica ha causato l’incendio della casa parrocchiale.
Malgrado tutte le loro lacune, le pagine che seguono permetteranno ai lettori
di sfogliare alcune pagine della storia di un modesto luogo della nostra Maurienne.
L’UBICAZIONE
La
cappella è aggrappata al di sopra di un orrido scavato dal ruscello del Gran
Vallon. Un imponente ponte di pietra scavalca la forra e permette l’accesso al
santuario.
Da
Modane, prendere la strada che conduce alla località di Valfrejus (D216),
quindi, giunti allo Charmaix, seguire l’antica strada che conduce alla
cappella. La distanza fra Modane e il Santuario dello Charmaix e di 9 Km.
Dallo
Charmaix, si possono raggiungere numerosi colli alpini: quello del Frejus(2452
m) e quello della Roue(2552 m) che danno accesso a Bardonecchia e al Piemonte, e
anche il Colle della Valle Stretta(2445 m) che permette di raggiungere il
territorio di Briançon e, di là, il Delfinato. Queste strade erano un tempo
molto frequentate per il commercio e il contrabbando e per il passaggio di
truppe più o meno regolari.
LE ORIGINI
L’etimologia non ci è di nessun aiuto. Il
canonico A. Gros, nel suo Dizionario etimologico dei toponimi della
Savoia scarta le interpretazioni fantasiose: «Il santuario di ND du
Charmaix non deriva il suo nome dal fascino della Santa Vergine che qui è venerata
e neppure dalle bellezze del paesaggio anche se è molto ameno.
La toponimia della Savoia è ricca di derivazioni
dalla radice Chal, di cui Char è una variante fonetica, che
significa prato,
pascolo.
Questa ipotesi è
confermata da due documenti antichi: se nel 1401 Savin de Floran, vescovo di Maurienne
concede delle indulgenze a quanti venerano la Vergine dei pascoli (Vierge des Chermes) e
partecipano alla manutenzione della sua cappella, uno dei suoi successori fa la
stessa cosa per la Vierge des Chalmes
nel 1424. A. Gros conclude giustamente : «Come gli altri Charmaix, quello di
Modane indica un pianoro coperto di prati e di pascoli».
Le origini del
culto di N. D. du Charmaix si perdono nella notte dei tempi e hanno dato
luogo a numerose ipotesi comuni ad altri luoghi di pellegrinaggio.
Situandosi quello
dello Charmaix in un luogo di passaggio, si era tentati di farne risalire la
fondazione a coloro che hanno introdotto il cristianesimo in Maurienne, e
questo fu fatto.
Le Madonne nere
sono numerose e antiche, senza che se ne possa precisare l’origine. Citiamo tra
i molti altri santuari che ne accolgono una, quello di LORETO in Italia (dove,
si dice, fu trasportata la casa della Vergine), quello di Myans vicino a
Chambery, quello di Puy en Velay, quello di Fourvières. E’ più difficile sapere
che cosa fosse inizialmente la statua di Notre-Dame du Port a Clermont-Ferrand,
di cui l’abate Molin sottolinea la rassomiglianza con N.D. du Charmaix, poiché
oggi abbiamo sotto gli occhi la riproduzione di una statua più antica che risalirebbe
solo al XVIII secolo, probabilmente quella di una Madonna nera precedente di
cui non si sa nulla.
La liturgia di
Maria (Ufficio Comune della Vergine) comprende un’antifona che inizia
con queste parole: «Bruna sono, ma bella», un versetto dell’inizio del Cantico
dei Cantici.
E’ alla fine del XI
secolo che la donna che parla in questo testo biblico, dopo essere stata
assimilata alla Chiesa o all’anima umana, fu considerata da alcuni esegeti come
una rappresentazione allegorica della Vergine Maria. Non è vietato pensare che
le prime Madonne nere siano state ispirate a qualche scultore dal canto di
questo ufficio.
Alcuni preferiscono
vedere in esse una sopravvivenza di dee-madri anteriori al cristianesimo, assimilate
in seguito alla madre di Cristo; le si immaginava volentieri di colorito bruno,
poiché venivano da quel Oriente di cui
ignoravamo tutto o quasi, mentre oggi l’archeologia ci trasmette delle statue
bianche o colorate quando non sono di bronzo.
Esiste inoltre
un’altra spiegazione: il fumo dei ceri finisce per annerire il viso delle
statue venerate, e il tempo fa talvolta la sua opera: nel 1651, Jacques Branche
descrive così una delle più belle Madonne dell’Alvernia, quella d’Orcival,
ricoperta ancora oggi di lamine di metallo prezioso: «... il corpo è
argentato, benché l’argento per la sua antichità sia diventato quasi nero...».
Ogni Madonna nera, ovunque
si trovi, custodisce ben nascosto il segreto delle proprie origini e del proprio
significato.
Quella dello
Charmaix è stata oggetto di un aneddoto riferito da Bertrand ( p47-48), che non
è stato recepito da coloro che hanno scritto dello Charmaix. Un pittore, il cui
nome si è perduto nel corso degli anni, aveva voluto restaurare la statua e
toglierle il suo colore nero, che pensava dovuto agli anni e all’umidità del
luogo. Tutti i suoi sforzi furono vani; si sarebbe detto che i colori scelti
dal pittore fossero acqua. Triste e scoraggiato lasciò la statua nel suo stato
primitivo.
Una sola certezza
per quanto concerne lo Charmaix: nel 1401 i pellegrini che vi si recano sono sufficientemente
numerosi perché gli abitanti di Modane decidano di dare alla statua un luogo
più degno di Lei.
La
statua rivestita dell’abito e della cappa come si può ammirare oggi
|
LA STATUA
Prendiamo in prestito da Pierre Buisson la
descrizione che ce ne ha dato:
«Una statuina di
quaranta centimetri di altezza, che tuttavia pesa Kg.3,750. E’ grossolanamente scolpita
in marmo bianco ricoperto, sulla metà superiore, di un colore interamente nero.
La Vergine tiene il Bambino Gesù sul braccio sinistro, quasi all’altezza della
spalla. Il braccio destro è piegato sul petto e sostiene uno specchio del
diametro di tre centimetri».
Conosciamo
almeno un’altra rappresentazione della Vergine che tiene in braccio il bambino
Gesù e nella mano destra uno specchio: è
quella del trittico detto «del roveto ardente», conservato nella cattedrale di
Aix-en-Provence.
Uno specchio simile appare nel misterioso arazzo
della «Dama del liocorno». Pare che quest’oggetto fosse rivestito di un valore
simbolico nell’arte sacra o esoterica: questo «specchio che non si appanna» potrebbe rappresentare la purezza
e la fedeltà dell’amore, «specchio ... limpido, brillante, senza macchia».
Pierre
Buisson prosegue: «E’ avvolta in una tunica all’antica che copre il capo, cinto
da una corona scolpita nel marmo. La tunica cade sulle spalle, con un lembo legato
alla cintura, giusto sotto i piedi del bambino. Mentre la parte alta della
tunica è nera, quella bassa, sul davanti, è d’un bel bianco opaco. La schiena è
attraversata da vernice marrone chiaro, sulla quale restano alcuni fiori rossi
stilizzati. Il Bambin-Gesù, tutto nero, tiene nella mano sinistra una palla che
rappresenta il globo terrestre. Tenendo il braccio destro piegato sul petto,
mostra l’indice e il medio alzati. La vergine è rivestita da un’ampia cappa
ricamata. Le teste della madre e del bambino sono sormontate da una corona
dorata.»
Quello che sappiamo
di questa statua è strettamente legato alla storia del santuario.
La
statua senza i suoi ornamenti. Lo specchio è ben visibile.
a destra
- La statua intorno al 1900
LA CAPPELLA
La sua posizione
insolita ha colpito moltissimi visitatori, impressionati dalla presenza
minacciosa delle rocce umide e friabili che strapiombano sull’edificio, il rumore
minaccioso del torrente, la profondità della gola. La presenza di un luogo di
culto immutabile per secoli in un sito tale porta a pensare che questo non
possa dipendere che dal miracolo.
Una tradizione
orale, menzionata più e più volte, è
stata raccolta da Jacques Bertrand all’inizio del XVII secolo.
La cappella vista dal tratto a monte del
torrente
Grand-Vallon
|
Gli abitanti di
Modane una volta pensarono, egli scrive, che la Vergine avrebbe potuto essere
venerata in un luogo più vasto e meno esposto a pericoli. La chiesa
parrocchiale pareva loro un luogo proprio adatto. La statua vi fu trasportata
in pompa magna, ma essa non tardò a raggiungere misteriosamente la sua posizione
primitiva. Si scelse allora un piccolo terreno pianeggiante situato sulla
strada ad uno stadio e mezzo dalla grotta dello Charmaix, e si
cominciò a costruirvi un edificio sotto
lo sguardo della statua, trasportata sul cantiere per incoraggiare gli operai
al lavoro. La notte seguente Lei riguadagnò la grotta; anche delle travi
preparate per la costruzione furono rimosse e ritrovate vicino a Lei. La stessa
scena si ripeté il giorno seguente. Un operaio decide allora di montare la
guardia e si lega ad una trave già tagliata, promettendo ai suoi compagni di non
abbandonare i luoghi prima del loro ritorno l’indomani; verso mezzanotte, una
forza invisibile lo trasporta sulla sua trave fino alla grotta. Era dunque
inutile opporsi ai voleri della Vergine. A partire da quel momento, la si onorò
nel luogo che aveva scelto lei stessa. Con numerose differenze nei dettagli, altri
racconti danno testimonianza di una simile volontà della Vergine; in Ucraina, per esempio, è un’Icona che scelse
misteriosamente il luogo in cui lei desiderava essere onorata e rifiutò quello
che gli uomini le avevano assegnato.
Pur riferendo fedelmente
ciò che nutriva la credulità popolare degli abitanti della Maurienne, Bertrand
preferisce constatare la manifestazione di una presenza invisibile e miracolosa
nell’assenza di incidenti mortali nel corso degli avvenimenti che egli riporta,
cadute di pietre, crollo di muri , ecc.
LE TAPPE STORICHE CONOSCIUTE
XV e XVI secolo
Il primo documento relativo alla costruzione
della Cappella reca la data del 1401. Già perduto quando l’abate Molin scrisse
la sua Histoire du pélerinage du Charmaix, ma allora menzionato negli archivi
parrocchiali, spariti a loro volta, esso indicava la data del 30 giugno e il
nome di Michel Falquet, un modanese di cui non sappiamo nulla.
Lo stesso anno il
vescovo della Maurienne, Savin de Floran, lo cita in un documento che concede
40 giorni di indulgenza a tutti coloro che verranno al Santuario in certi
giorni consacrati alla Vergine e parteciperanno alla sua «dotazione ed ampliamento»;
Falquet vi è presentato come colui che ha fondato la cappella. E’ difficile
sapere quale sia stato il suo ruolo: il richiamo alla generosità dei fedeli nel
1401 sembra significare che il suo
contributo finanziario, che gli è senza dubbio valso il titolo di fondatore,
fosse insufficiente per la realizzazione
totale del progetto; forse egli è stato essenzialmente l’iniziatore della
costruzione. Molin precisa che nel 1401,
il Comune «ha ceduto spontaneamente il terreno necessario». Vi è
in ciò la testimonianza indubitabile della celebrità del luogo in cui la statua
era collocata prima, con un oratorio più modesto, se non proprio solo un
anfratto della roccia.
Nel 1427 il
cardinale di Larochetailée, che aveva
fatto sosta al Bourget mentre si recava
alla Curia Romana, concedeva delle indulgenze a quanti cureranno la
manutenzione della chiesa parrocchiale e della cappella; i due luoghi di culto sono
dunque a quell’epoca considerati
importanti sia l’uno che l’altro.
Nel 1435, il cardinale
Hugues de Cypre, anche lui dal Bourget, rinnova il gesto in favore di quanti
parteciperanno alla manutenzione della costruzione, alla fornitura di
luminarie, di indumenti (senza dubbio sacerdotali), di ornamenti e ogni altra
cosa concernente la cappella; il santuario è dunque se non terminato, almeno
molto avanti nella costruzione, tanto da poter ricevere del mobilio. Dei lavori
di costruzione tuttavia proseguono, poiché questo stesso documento riferisce
dell’utilizzo della cava da dove ogni giorno si prelevano delle pietre per
l’ampliamento della cappella; forse si tratta della prima costruzione del
vestibolo.
Il 7 novembre1444,
Louis de La Palud, cardinale di Varembon e vescovo di Maurienne, ha appreso che
la cappella dello Charmaix rischia la rovina, a causa della vetustà. Desideroso
di vederla riparare, concede quaranta
giorni di indulgenza perpetua a quanti visiteranno devotamente il santuario e
parteciperanno alla sua riparazione.
A
parte concessioni d’indulgenza fatte dai vescovi, che ci informano sulla
celebrità dei pellegrinaggi, ma non sullo stato dei luoghi, bisogna aspettare il
1541 per trovare un documento concernente l’edificio della cappella. Quell’anno
i fratelli Sebastien e Thomas Mellurin, due pittori di Modane, ricevono dal
vicario della parrocchia di Modane e da due procuratori delle cause pie
(amministratori dei beni temporali delle parrocchie) un ordine passato davanti
al notaio. Si tratta di «rifare e onestamente decorare con buoni e fini
colori una pala d’altare, ossia tabernacolo [sic], nella cappella de Notre-Dame du Charmaix».
Pergamene del XV secolo relative alla cappella dello Charmaix firmate da vari vescovi o cardinali |
Questa
pala, larga almeno una tesa (tesa di Savoia = m. 2,714, sembra): la larghezza dell’altare
attuale è di m. 2,40, s’innalzerà fino alla volta e sarà ornata almeno con
quattro angeli. Il lavoro dovrà essere terminato entro due anni; sarà esaminato
da molti maestri decoratori e pagato nove scudi d’oro.
La
testimonianza di un anziano che ricordava dei lavori del 1543, «un vecchio
contadino sano di mente e di corpo», ci è stata trasmessa da Jacques Bertrand.
Jean Vallorie (probabilmente «Valloire») di Modane, figlio di Michel, ha visto,
durante la sua infanzia, una cappella situata nella grotta dove si trova
attualmente (cioè nell’anno 1620), ma molto meno alta, più stretta e priva di
ornamenti. E’ là che si venerava la statua, che era stata trovata in quella che
è definita «la gorge», questo gli hanno detto i suoi antenati. Fu posta in
seguito, sempre nella stessa grotta, su un altare un po’ più alto, di modeste
dimensioni. Più tardi , come l’ha veduto l’anziano, i Modanesi hanno costruito
un muro per sostenere il luogo dove hanno edificato una cappella più grande. Quanto
allo sfondo azzurro intorno alla statua e che Bertrand ha descritto (vedi
dopo), fu posato nel 1543, grazie alla generosità di un certo Pierre Porte, che
allora sostituiva il parroco.
Nel
corso di questi diversi lavori, uno scalpellino, di nome Michel Moesendus,
cadde nella gola dall’alto di una muraglia quasi giunta al suo apice. Lui e i
suoi compagni rimasero sani e salvi,
grazie alla Vergine che avevano invocato a gran voce, secondo il vegliardo.
Una
simile protezione si manifestò più tardi, ed è allora lo stesso Bertrand che ne
dà testimonianza. Il primo giugno 1598 un grosso blocco di pietra è caduto nel
vestibolo della cappella ed ha fatto crollare l’atrio d’ingresso, senza che l’accesso
all’altare e alla statua sia stato ostruito. Altre cadute di massi erano state
constatate nel 1596 e 1597, tanto è vero, come sottolinea Bertrand, che il
luogo dove è costruita la cappella è friabile e umido, senza parlare della sua
esposizione che accresce il rigore del clima.
Così
dunque, nel corso dei secoli XV e XVI, senza che se ne possano seguire le
diverse tappe, i lavori si susseguono
all’oratorio dello Charmaix. E’ molto difficile immaginarsi la
configurazione dei luoghi in quei tempi lontani. L’incisione che apre l’opera
di Jacques Bertrand (vedere
illustrazione qui accanto) non può essere considerata come una testimonianza
autentica; tuttavia essa ci permette di constatare il carattere modesto del
luogo di culto, quale i contemporanei se lo potevano rappresentare.
Incisione
con cui inizia il libro di Jacques Bertrand “Diva Virgo Charmensis”, Lione 1623. Da una parte e l’altra della
cappella lo stemma di Mourice de Savoie,
a cui è dedicata l’opera. In alto
lo stemma pontificio di papa Gregorio XV (1621-1623).
Prima
del 1625
Devono
essere stati eseguiti numerosi lavori, poiché
nel corso di una causa che oppone
il comune di Modane e gli eredi del parroco Jean Armand nel 1625, i sindaci espongono
le spese che «la ricostruzione o l’ampliamento della cappella di Michel Falquet»
hanno richiesto; il successore di Jean Armand, da parte sua, parla delle
offerte dei pellegrini «per mezzo delle quali sarebbe stata costruita,
coperta e restaurata la cappella».
La
prima descrizione della cappella che possediamo è dovuta, l’abbiamo detto, a
Jacques Bertrand e risale al 1623.
Sopra la grotta, degli abeti, dei pini,
degli arbusti e, qua e là, del muschio. Ad est, sotto la grotta, il
vuoto è stato riempito con una parete che ha richiesto un grosso lavoro; si
sente il torrente che mugghia ai piedi della roccia, più che vederlo, data la profondità
della gola. Ad ovest, boschi e cime. A
sud uno spazio circondato da montagne, da pascoli e da foreste; è lì che passa
la strada che conduce al Delfinato. L’ingresso è a nord; è costituito in parte
da un tetto, in parte da una volta in pietra rinforzata da pilastri ricoperti
da intonaco, davanti ad una stretta galleria costruita perché i pellegrini non passassero la notte all’addiaccio come ne
avevano l’abitudine.
Viene poi un cancello di ferro, che
separa l’ingresso e la galleria dall’altare; esso è dovuto a Jean Armand,
parroco di Modane, e a Jean-Baptiste Castanier, conosciuto da una parte e
dall’altra delle Alpi per la sua generosità. (Il primo cancello fu dunque posato
tra il 1602, anno in cui Jean Armand divenne parroco di Modane, e il 1622,
quando Jacques Bertrand terminò la sua opera).
La statua, alta un piede e mezzo, con il viso scuro
colmo di dolcezza, è posta al centro di uno sfondo azzurro che orna l’altare,
sfondo ornato da bordi e da stelle dorate e circondato da ciascun lato da tre cherubini, anch’essi dorati; si tratta
molto probabilmente della pala d’altare comandata ai Mellurin nel 1541.
Il cancello d’ingresso visto dall’atrio sotto la tribuna, nel suo stato attuale. |
Tra il 1625 e il 1636
A partire dal 1625 e fino al 1793 lo
Charmaix è posto sotto la guida di un rettore.
Prima, fino al 1583, il luogo santo
era amministrato dai «procuratori delle Cause pie», poi dal parroco di Modane.
Il primo di questi rettori è Benoit
Genin, designato per questo ufficio dal vicario generale e ufficiale della
diocesi. Secondo l’abate Molin, «egli
ordinò a Jean Clappier, scultore di Lanslevillard, un sole dorato in cui
incastonò la statua della Vergine», grazie a un dono di trenta ducati fatto
dal cardinale Maurice de Savoie, lo stesso a cui Jacques Bertrand aveva
dedicato la sua opera sullo Charmaix.
Padre d’Orly ammirò questa
realizzazione: «La santa immagine [...] è incastonata nella
nicchia di un bel sole dorato meravigliosamente
raggiante».
Egli è il solo ad aver messo per
iscritto un altro dettaglio interessante: questo sole è «un
po’ alto davanti ad un antico quadro che termina a forma di piramide, sulla
cui cuspide appare un angelo, che non è
un piccolo ornamento dell’opera. Esso rappresenta la natività di Nostro Signore
in un’antica, ma gradevole maniera» (il quadro è ora davanti all’altare che
reca la data del 1860,…è ornato di cornici dorate, abbellite da numerose immagini
di cherubini rivestiti con la dalmatica”.
Lo sfondo blu cosparso di stelle che
vide Jacques Bertrand, qualche ventennio dopo , vent’anni prima, probabilmente fu sostituito da questo
quadro su iniziativa del rettore Genin che fu molto attivo allo Charmaix (20).
Padre d’Orly sottolinea che egli «versa
in continuazione tutte le offerte
che gli pervengono affinché siano
destinate per onorare la Celeste
Principessa» ; oltre: «il bel sole dorato», egli cita « tanti bei
calici, casule, paramenti, lampade votive», e soprattutto, « l’edificio con due volte contigue alla
santa cappella, di una sacrestia costruita da un abile artigiano e una casa per
il rettore di questo santo luogo».
Si può ragionevolmente pensare che il
rettore Genin abbia lasciato il santuario in una configurazione molto simile a
quella che vediamo oggi: due volte, un coro, una sacrestia e, costruiti prima
della sua venuta, il vestibolo e il cancello.
E’ verosimile pensare che prima la cappella
contenesse solamente l’altare dov’era posta la statua della Vergine, che si
poteva vedere attraverso il cancello che esiste tuttora. Questo altare è stato
certamente spostato, per permettere l’ampliamento dell’edificio, il che fa
supporre grandi lavori di restauro di cui non sappiamo nulla.
L’opera di Padre d’Orly termina con
una «Descrizione poetica del luogo e dell’immagine di Notre-Dame du Charmaix».
Dopo aver descritto l’austerità del paesaggio, la conformazione impressionante
del ponte «che sostiene senza appoggio diversi piani», dopo aver immaginato i lunghi anni,
quando la vergine non era onorata, l’autore descrive la pala dell’altare:
«Sul fondo di
questa roccia santamente onorata,
si nota in
rilievo un arazzo dorato
dove quattro
piedestalli, con quattro colonne,
in stile
corinzio, sostengono ghirlande
coperte da un
timpano sostenuto
da un Ercole
curvo, il cui corpo è nudo;
egli ha le
braccia alzate e china un po’ il viso,
facendo forza
su un piede con molta grazia.
Il tutto è
arricchito da rose e gemme,
da frecce sparpagliate,
uova rotte, ghirlande,
mensole di
fiori con mille merlettature,
edera
attorcigliata, lunghe scanalature,
e mille tratti
dell’arte che appaiono ancora
tra le quattro parti
di queste corone d’oro,
dove angeli
vestiti con bianche tuniche,
cinti a vita,
indossano la dalmatica
con frange in
oro fino, le cui pieghe
gonfiano da
mille parti, sembrano essere opera
di uno zeffiro
irritato, come se la scultura
avesse
l’impronta della stessa natura».
Questi versi sono un vero enigma. La
precisione della descrizione difende la sua autenticità. Ma, a parte che sembra
poco verosimile che sia stato fatto un nuovo altare dopo il 1541, si può notare
che questa pala d’altare assomiglia in tutto a quelle che si possono ancora trovare
nelle chiese barocche della regione, costruite nello spirito della
Controriforma, per affermare la potenza della Chiesa romana e celebrare i culti aboliti dai protestanti. Tale pala d’altare è
veramente esistita allo Charmaix? Oppure
l’autore, che forse non è Padre d’Orly poiché il testo è stato aggiunto a opera
già terminata, ha sognato per la Vergine una pala conforme ai propri desideri? In assenza di altri documenti,
per lo meno fino ad oggi, queste domande restano senza risposta; ma questi versi
testimoniano l’importanza che fu data alla decorazione della cappella e lo
stupore che essa poteva suscitare.
1715-1718
Per celebrare la vittoria riportata
sotto le mura di Torino dall’armata austro-sarda contro le truppe di Luigi XIV
nel 1706, Vittorio Amedeo si preparava a far costruire la basilica di Superga a
Torino. Il 14 giugno 1715 - ossia due anni dopo il trattato di Utreht che
concluse la guerra di successione della Spagna - egli ricevette una richiesta
concernente lo Charmaix, molto danneggiato dalle truppe; ignoriamo chi
gliel’abbia inviata, ma un elenco di documenti conservati al presbiterio, fino
al 1943, ne danno testimonianza. Lo stesso giorno in cui la ricevette, il re
incaricò il suo intendente generale di valutare le riparazioni necessarie. Fu
inviato sul posto un ingegnere, Emanuelli, che fin dal 23 giugno firma la sua
nota conclusiva, un documento che è al tempo stesso una descrizione dello stato
dei luoghi e un «capitolato degli oneri».
La distruzione del ponte da parte
delle armate austro-sarde, unita alle cattive condizioni topografiche, hanno
provocato numerose fessure nel muro verso il ruscello, - «esso pende tutto
in fuori» -. Il muro contro la roccia è crepato e dalla
stessa parte, il pilastro che sostiene la volta centrale, anch’essa
lesionata, si è incurvato contro questo muro. Il cancello d’entrata non è più sostenuto
che da un muro fessurato, che, inoltre, si è distaccato dal muro lungo la
roccia. Le fondamenta sono completamente marce. «Perciò è necessario
riparare il tutto».
Saranno dunque rifatti il muro che va dal
grosso pilastro - risparmiato come dice questo documento - fino al ponte, la
cui spalla sarà solidale con la
cappella, quello con l’arco che sostiene il cancello, quello che é a
mezzogiorno, innalzandolo fino alla massima altezza possibile senza intaccare
la roccia, «per timore che essa crolli». Le due volte interne e i
pilastri che le sostengono sono da demolire e ricostruire; gli archi saranno in
gesso, il resto in listelli di legno (*)per non sovraccaricare l’edificio. I
pavimenti della cappella e dell’entrata saranno rifatti come anche il tetto.
I muri interni devono essere coperti
parzialmente con stucco dipinto poiché é raccomandato agli imprenditori di
togliere con cura «tutte le tavole e le parti in legno dipinte» e
consegnarle al rettore.
La
parte del coro non sembra aver avuto bisogno di restauri, poiché si chiede agli
operai di isolarla con un tramezzo di assi
dove si mette una porta chiudibile con «una serratura che ora si trova alla
grande...» affinché «tutto sia ben chiuso e in sicurezza, fino a quando
le riparazioni da fare alla cappella siano ultimate».
Le
numerose raccomandazioni concernenti i materiali da utilizzare dimostrano la
preoccupazione di eseguire un lavoro solido: sarà utilizzata solo pietra viva,
e non quella proveniente dalle demolizioni, sabbia ben lavata e setacciata, calce
«fresca cotta poco prima con legna e non con carbone di pietra», legno
di larice tagliato con la luna giusta. Questo non esclude che «si
consegneranno tutti i ferramenti e il legno che potranno essere ricuperati, per
averli in buono stato quando dovranno essere utilizzati» per il tetto e i
pavimenti.
Quanto
all’organizzazione della cappella, non è modificata in nulla. Si conserva la
pianta muraria, le due finestre già esistenti e le volte sono ricostruite là
dov’erano e della stessa ampiezza; anche le balaustre della grande galleria «che
ora mancano» saranno rifatte, «come quelle che ci sono». Una sola eccezione: la porta del cancello
sarà «allargata per lo meno di due sbarre di ferro», ma la sua altezza è indicata «dalla
trave di legno che è presente».
Si
tratta dunque di un restauro nel senso stretto della parola. L’edificio è stato
considerevolmente consolidato, ma è rimasto tale quale il rettore Genin l’aveva
concepito quasi ottant’anni prima.
Blasone
di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia (1675-1730)
Situato
sopra la cancellata d’ingresso, in ricordo del
restauro della cappella.
|
Il
documento di cui disponiamo precisa che le spese per i lavori non possono
essere valutate poiché non sappiamo «la giusta quantità di tese, a causa dei
cocci che sono nelle fondamenta , per
timore di fare crollare qualche parte del muro». Sei mesi più tardi la
stima era fatta: secondo l’abate Molin, «L’aggiudicazione dei lavori ebbe
luogo il 31 dicembre 1715 a Chambery,
per la somma di 4475 fiorini che il re prese a suo carico. Ma durante
l’esecuzione si constatò la necessità di riparazioni abbastanza numerose che
non erano state previste e di cui il documento non segna il prezzo. La
cappella fu terminata soltanto nell’autunno del 1718». La lastra di marmo che porta il blasone del duca di
Savoia, diventato re di Sicilia nel 1713, -prevista nel documento redatto da
Emanuelli – e datata del 1717, conserva
ancora oggigiorno il ricordo di questo restauro.
LA RIVOLUZIONE
Nel 1792 , la Savoia diventa francese
per alcuni anni (creazione del dipartimento del Monte Bianco). Se la
maggioranza dei paesani diffida delle nuove idee, una parte non trascurabile
della popolazione si entusiasma per la Rivoluzione.
E’
certamente così che si spiegano le manifestazioni di anticlericalismo che
minacciano il santuario dello Charmaix.
Un
certo Joseph Bernard, del quartiere di Lutraz di Modane, va a cercare la statua miracolosa e la
nasconde nella propria casa. Essa tornò nel santuario soltanto nel 1808, dopo
che il parroco di Modane ebbe sommariamente rimesso in ordine la cappella.
Anche
se l’altare ha avuto bisogno di essere rimesso in sesto, non era stato tuttavia
saccheggiato come è stato detto, dal momento che il canonico Angeley così lo descrive nel 1843, nel Pellegrinaggio a Notre-Dame de Charmaix
(p.10) : «E’ composto da colonne ed altri ornamenti di legno scolpiti e
dorati. Al centro dell’altare è un piedestallo sul quale è collocata la statua
miracolosa».
A PARTIRE DAL 1850
Quell’anno,
la marchesa di Barolo FECE dono dell’altare laterale ancora visibile oggi. Ma c’erano
lavori più urgenti da realizzare; il 28 giugno 1855 la sacrestia crollò dopo
che un prete ne era appena uscito, i mobili restarono sospesi nel vuoto su una trave.
La ricostruzione fu fatta in tre mesi, con fondazioni più solide appoggiate al
fondo del burrone, lavoro impressionante di cui l’abate Molin fu testimone.
Nel
1860, una sottoscrizione permette la costruzione di un nuovo altare scolpito
dai fratelli Gilardi, quello che esiste tuttora. Non resta quindi altro che decorare
la cappella con quadri, ex voto e altri segni di riconoscenza, e continuare i
lavori di conservazione, oggi tanto numerosi quanto necessari. Secondo la sua propria
testimonianza, l’abate Molin ha fatto scavare alla base della roccia vicino
alla cappella, per assicurarne un miglior isolamento, prima di intonacare la
facciata.
Dopo
la guerra del 1914-1918, l’abate Demaison, parroco di Modane, fece posare sul
tetto della cappella una statua in bronzo, alta due metri, del peso di seicento
chili; i parrocchiani di Modane ne hanno fatto dono dopo l’armistizio. Nel 1922
lo stesso parroco ordinò due vetrate per il santuario.
Durante
la guerra 1939-1945, la cappella fu danneggiata nel corso del secondo bombardamento
di Modane, l’11 novembre 1943. Una bomba caduta al bordo della strada dello
Charmaix, duecento metri a monte, provoca danni rilevanti.
La
statua cade sull’altare e si rompe. I luoghi saranno rimessi in sesto dal Servizio
della ricostruzione dei luoghi di culto nel 1952. Quello stesso anno l’unica
campana del santuario, datata 1821, che era stata perforata da una pallottola
nel 1944, fu nuovamente benedetta, dopo essere stata rifusa. Essa pesa 37 Kg,
suona il do diesis e porta l’iscrizione: «Fusa nel 1821, rotta nel 1944,
sono stata rifusa nel 1952. N.D.dello Charmaix benedite i pellegrini dello
Charmaix».
Tra
il 1968 e il 1980 si impongono nuovi lavori, realizzati dal comune e dalla
parrocchia, sia all’esterno (tettoia, tribuna e portico), che all’interno (
tinteggiatura dei muri).
La
cappella è stata messa a dura prova con i lavori per la costruzione del traforo
autostradale del Frejus, in particolare per la costruzione di un pozzo di
ventilazione nella montagna che si innalza al disopra dello Charmaix: numerosi tiri
di mine, innumerevoli passaggi di camion - uno dei quali ha demolito il portico
-, discarica di calcinacci nel torrente;
il luogo di culto pareva assalito da tutte le parti. I danni sono stati
riparati; rimane unicamente, al disopra della cappella, un ponte in cemento che
non passa inosservato a chiunque alzi lo sguardo, e che avrebbe potuto essere
costruito qualche metro più in alto se si avesse avuto la cura di preservare un
paesaggio vecchio di parecchi secoli.
Dal
1981 c’è l’Associazione degli amici del santuario dello Charmaix che presiede al
mantenimento della cappella , con l’aiuto del comune, della parrocchia e del
consiglio generale. Ad essa si deve l’iniziativa delle ristrutturazioni
realizzate in questi ultimi quindici anni, fondamenta e muri maestri, ma anche sostituzione dei banchi, restauro dei quadri, ecc. La sua
attività è stata premiata nel 1992 con il conseguimento del secondo premio al
concorso «Un patrimonio per il domani», organizzato dal Le Pelerin-magazine.
Come
dimostra questo sorvolo rapido e lacunoso della storia dello Charmaix, la
tradizione inaugurata nel 1401 è stata perpetuata sino ad oggi, nonostante le
vicissitudini di ogni tipo.
L’altare com’è ora (Pala dei fratelli Gilardi,1860) |
Davanti all’altare, il pagliotto: “La nascita
della Vergine”.
|
L’interno della
cappella intorno all’anno 1920
|
L’interno attualmente
restaurato
|
IL PONTE
La prima menzione che ne abbiamo reca la data
del 1401, quando il municipio di Modane ne decide la costruzione. Occorreva,
certo, offrire un accesso più facile alla cappella, ma anche ai pascoli
utilizzati dagli agricoltori di Modane, e rendere più agevole un percorso allora
molto importante tra la Savoia e le province limitrofe.
Il ponte intorno all’anno 1920 |
Nel 1427
l’opera non è terminata: il cardinale di Larochetaillèe, nella carta che
firma per concedere delle indulgenze a coloro che contribuiscono ai lavori nel
santuario, segnala che è in costruzione un ponte, che permetterà di passare
dalla Maurienne al Delfinato, tragitto pieno di pericolo se non si costruisce un
ponte di pietre.
Nel 1435 il cardinale Hugues de Cypre, che concede
a sua volta delle indulgenze per gli stessi motivi, menziona l’esistenza di un
ponte necessario per recarsi alla cappella, molto lungo e molto alto. Coloro
che lo conserveranno in buono stato faranno un’opera pia ; doveva dunque essere
ultimato.
La
costruzione di una tale opera in un tale luogo, dove per di più era possibile
lavorare solo sei mesi all’anno, non
poteva essere completata rapidamente in quell’inizio del XV secolo.
Come
si superava la gola dove scorre il torrente prima di questa costruzione? Con un
ponte di legno, suggeriscono alcuni. Si
può anche pensare che si attraversasse il torrente qualche centinaio di metri
più in alto, là dove non è chiuso tra gole profonde, e che si raggiungesse la
cappella per un sentiero che scendeva attraverso la foresta.
L’interesse strategico di questo ponte ci è
confermato da un documento relativo alla seconda guerra del Monferrato. Il duca
di Savoia aveva fatto occupare tutti i
luoghi che potevano fornire passaggio alle truppe francesi, tra cui quelli che collegano
Savoia e Delfinato. Nel 1628 un sergente riceve l’ordine seguente: «Il
servizio di sua Altezza vuole che la strada che scende dall’Arrondaz fino al
trinceramento dello Charmaix sia immediatamente distrutta e che si facciano
abbattere tutti i ponti». Non
sembra che le volontà del principe siano state adempiute.
Non abbiamo più trovato documenti concernenti
il ponte prima di quelli del XVIII secolo, quando Amedeo II lo fece ricostruire
dopo la guerra di Successione spagnola (1703- 1706). Nel 1715 l’ingegnere
Emanuelli aveva completato la descrizione
dei lavori necessari per la cappella, con dieci punti concernenti il
ponte; ma non abbiamo ritrovato quella parte del documento analizzato qui sopra.
Resta solo un titolo: «Il ponte».
Durante l’ultima guerra questo passaggio verso
l’Italia non fu dimenticato. Lo testimonia oggi il monumento eretto alla
memoria del luogotenente Barret che apparteneva alla compagnia Ribeill del
battaglione del Gresivaudan, venuto a dare manforte ai partigiani della Maurienne.
Il 13 settembre 1944, vigilia della liberazione di Modane, egli cadde in
un’imboscata al di sopra dello Charmaix, con undici uomini. «Ferito
alla spalla e ad una coscia, chiama: “ a me! Aiuto!”. Un tedesco gli si
avvicina e lo finisce tirandogli due pallottole esplosive alla testa» (Diario
del sottotenente Viaud) (31).
Recentemente il vecchio ponte è stato molto
utile per la costruzione della stazione sciistica di Valfrejus. Il suo aspetto
attuale risale al 1990; i parapetti completamente in pietra hanno ritrovato uno
stile antico, in armonia con la cappella; la strada è stata lastricata.
Se il ponte è strettamente legato alla cappella per la sua architettura,
è evidente che ha presentato e presenta tutt’altre implicazioni per coloro che si
sono interessati alla sua costruzione, alle sue distruzioni e ricostruzioni successive, alcune delle quali
restano senza dubbio da scoprire.
Mappa – Cappelle del Rosario sulla Vecchia strada
per salire al santuario.
I piloni sulla strada del pellegrinaggio a
Notre-Dame dello Charmaix
ND du Charmaix 1505 m
15 la cappella – Incoronazione di Maria in cielo
14 Les Essart – Assunzione
13 Chalet Colly – Pentecoste
12
Fongelune – Ascensione
11
sotto la cava – Risurrezione
10
curva 6 – Crocifissione
9
monumento Barret – Salita al calvario
8
il Salto – Incoronazione di spine
7
valle dell’Ouille – Flagellazione
6
croce di pietra – Agonia di Gesù
(indicazione
: Tunnel stradale del Fréjus)
5
entrata dei boschi – Gesù ritrovato nel tempio
4
Campo dei pini – Purificazione e Presentazione
(indicazione
: Tunnel ferroviario del Fréjus)
3
Botonnier – Natività
2
Grand mur – Visitazione
1
le Paquier - Annunciazione
Chiesa
di Modane 1050 m
I piloni
Costruiti lungo la strada tra Modane e lo Charmaix.
In
numero di quindici - l’ultimo è la stessa cappella -, ognuno ricorda un Mistero
del rosario (32), dall’Annunciazione fino all’Incoronazione di Maria in Cielo
(non hanno niente a che vedere con una VIA CRUCIS). Delimitando il percorso del
pellegrino, lo invitano a meditare i principali episodi della vita di Cristo e
della Vergine, mentre sgrana lungo il cammino le centocinquanta Ave Maria che
costituiscono il rosario.
La
loro origine è sconosciuta. Jacques Bertrand scrive che delle croci sono poste qua
e là lungo la strada dello Charmaix (sono rappresentate nell’incisione che
figura all’inizio della sua opera), ma come egli precisa, si tratta di punti di
riferimento destinati ad indicare il tracciato della strada quando la neve è
troppo abbondante. Sappiamo che in quell’epoca i segnali avevano la forma di
una croce, il che li metteva al riparo dai cercatori di legna da ardere, che
avrebbero potuto strapparli durante la bella stagione, se non avessero avuto il
timore di abbandonarsi ad una profanazione.
Una leggenda, ancora riferita da Achille Ravat (33)
come fatto autentico, ha di per se stessa il sapore delle storie strane, non
fosse che perché il numero delle stazioni è ridotto a dodici (o a tredici
secondo Coppier). Essa permette tuttavia di pensare che agli occhi di quelli
che li hanno costruiti, i piloni dovevano avere un’origine miracolosa come
quella della cappella. «un uomo si recava da Modane a Bardonecchia; un lupo
affamato esce improvvisamente dalla foresta e si lancia su di lui. Prossimo ad
essere divorato, il nostro viaggiatore invoca Maria e Le fa voto di costruire un
pilone in quello stesso luogo, se arriverà sano e salvo alla cappella dove
sperava di trovare riparo. Il lupo si allontana, ma per tornare poco dopo; altro
voto da parte del nostro uomo, e lo rinnova così per dodici volte di seguito, ad ogni attacco
del feroce animale».
Incisione
su legno 1678
(Collezione Vescovado della Maurienne). |
L’abate
Molin , fondandosi più seriamente su «informazioni che ha potuto raccogliere»,
pensa che «i piloni siano stati
costruiti solo dopo la Rivoluzione» (p.3).
Più
recentemente, la data della loro costruzione è stata stabilita tra il1591 e il
1619. Questa affermazione non è accompagnata da alcun riferimento a documenti
di archivi pubblici o privati. Lacuna tanto più spiacevole perché Jacques
Bertrand non ne fa assolutamente menzione nel 1623 e la sua descrizione
dell’itinerario da lui percorso tante volte è troppo precisa perché si possa
attribuire il suo silenzio a una dimenticanza; lui stesso recitava e meditava
il Rosario mentre si recava allo Charmaix.
Un’incisione
datata al 1678, non ritrovata nel vescovado della Maurienne, si ispira
fortemente a quella che apriva l’opera di Bertrand nel 1623 (vedere p.23). Vi si
può leggere «Amodane, presso Jordain», personaggio di cui non sappiamo
nulla. Sulla strada che viene da Modane, si notano delle croci, ma anche tre
edicole che potrebbero rappresentare dei piloni. Ma questa incisione, che non
tiene conto dei lavori fatti alla cappella dal XVI al XVII secolo, non può
essere considerata un documento fedele alla realtà.
L’Annunciazione,
quadro datato al 1694, restaurato nel 1993.
|
In
basso, i santi protettori dei donatori. A sinistra, San Pietro e le sue chiavi
(qui incrociate, il che significa l’unione del cielo e della terra). A destra, Antonio l’eremita. Porta sulla
manica destra la «T», simbolo della Croce, e al polso sinistro una campanella,
che è uno dei suoi attributi.
La
riscoperta recente di un quadro su tela, esposto attualmente nella cappella, ci
dà un’indicazione che ha il grande merito dell’autenticità. Esso rappresenta
l’Annunciazione e reca l’iscrizione « Pierre Charvoz e Antoinaz Faure, sua
moglie,di Amodane, hanno fatto costruire questo pilone dell’Annunciazione in
onore di nostra Signora dello Charmaix .1694». Nella parte superiore
del quadro si legge: «Mysterium gaudiosum» (Mistero gaudioso).
Allo
stato attuale delle nostre conoscenze, possiamo dunque pensare che alla fine
del XVII secolo i fedeli abbiano deciso di consacrare la costruzione delle «Stazioni»
-come sono chiamate nella regione- alla celebrazione dei misteri del Rosario.
Ci piacerebbe poter ricostruire la loro storia.
Questi
piloni non sono sempre stati come li vediamo oggi. Nel 1877 l’abate Molin li presenta così (p. 23): «Sono dei
semplici pilastri in mattoni o in pietra di taglio, questi ultimi costruiti
recentemente, con una rientranza in forma di nicchia dove è raffigurato, su
tela, pietra o legno, uno dei quindici Misteri del Rosario».
Egli
stesso ha fatto restaurare i due primi che hanno la data del 1867 e 1871 ; per
quello dell’Annunciazione dove il suo nome è scolpito sulla pietra, ha fatto
eseguire un dipinto, in stile popolare, su legno, che porta ancora sul retro l’etichetta
dell’artista che glielo mandò: «Al signor
Abate Moulin, arciprete di Modane» e una traccia della ricevuta di
spedizione.
Si
può dunque pensare che questa prima
stazione, situata nel quartiere detto «du Pâquier», corrisponda alla
descrizione dei piloni precedenti che l’abate aveva potuto raccogliere dagli
abitanti, o di ciò che ne rimaneva ancora mentre era vivo lui. Ma il secondo pilone,
anch’esso ricostruito da Molin, è diverso, e il terzo sembra di epoca posteriore.
Come immaginare, allora, cosa furono in origine queste «stazioni»?
Il pilone di Pâquier (parroco di Molin 1867) con la
Croce della Missione del 1926, restaurata nel 1996 dagli abitanti di Pâquier
|
Quello
che precede la cappella è molto diverso dagli altri; secondo la sua vecchia
denominazione, esso potrebbe essere stato ricostruito dal parroco Demaison
(1888-1925).
Tavola in legno scolpito e dipinto del pilone di Pâquier |
Nel
1934, un costruttore che esercita a Modane edifica un nuovo pilone al posto del
tredicesimo, in uno stile che non assomiglia a quelli del passato. Nel 1936 il
parroco di Modane, Joseph Gagniere, intraprende il restauro di tutto il
complesso e chiede l’aiuto dei parrocchiani.
Offerte diverse per una singola edicola, o per una partecipazione
collettiva e anonima, permettono di portare a termine questo progetto. Il 13
agosto 1939 i piloni si ritrovarono al completo, inaugurati e benedetti in
pompa magna alla presenza del vescovo della Maurienne, che seguiva i pellegrini
su una carrozza.
I
combattimenti avvenuti nella regione alla fine della guerra del 1939-1945 hanno
causato, anche lassù, gravi danni.
Inoltre
i lavori necessari per la costruzione della galleria stradale del Frejus hanno
sconvolto notevolmente il paesaggio, e dunque l’area dei piloni, a volte i
piloni stessi; alcuni sono stati ricostruiti in un nuovo stile.
Così come li si vede oggi sono curati
dall’Associazione Gli amici del
Santuario dello Charmaix.
Pilone
2, ricostruito dal parroco Molin nel 1871
a destra - Pilone 14, les Essarts ( 1900 circa ) Pilone “ del Salto”, in stile 1938
a destra - Pilone
11, sostituito nel 1994
CULTO E PELLEGRINAGGI
Si
può congetturare che il culto reso alla Vergine dello Charmaix risalga almeno
al XII secolo. Nel corso della prima metà del secolo, i cardinali che concedono
indulgenze ai pellegrini testimoniano i miracoli che lassù avvengono da molti
anni. Bertrand scrive nel 1623 che i pellegrini frequentano questa montagna da
trecento anni e più.
Secondo
il processo verbale della visita pastorale nel 1609 del vescovo della Maurienne,
«questa cappella è frequentata giornalmente dalla devozione della gente che vi
approda da tutte le parti circostanti».
Anche
se non si attendevano solo le feste della Vergine per recarsi allo Charmaix,
queste erano l’occasione per raduni imponenti, in occasione delle date
importanti per i cristiani, principalmente
quelle che si celebrano durante la bella stagione, la Visitazione (2
luglio) e soprattutto la Natività (8 settembre).
Si
accorreva in folla nei momenti di cataclismi o di epidemie designate sotto il nome
generale di «peste». La storia ha conservato il ricordo di alcune cerimonie
celebri. Nel XVII secolo, molti comuni adempiono al voto fatto alla Vergine dello
Charmaix durante un’epidemia ; nel 1600 è la comunità di Saint Jean de
Maurienne, che percorre trenta chilometri a piedi per venire a ringraziare la
Vergine, «Capitolo dei canonici in testa»; nel 1630 è la volta di
Fontcouverte. Altri flagelli sono all’origine di voti simili: nel 1624 i
sindaci di Saint-Julien, le cui vigne sono devastate da una invasione di insetti,
«si impegnarono con un voto per tre anni, l’anno corrente e i due seguenti, acciocché
tutti quelli che ne sono capaci
vadano a visitare il pilone dello Charmaix, in processione e in abiti bianchi, con
devozione e recitino le preghiere richieste».
Non
era raro che dei villaggi si facessero rappresentare ai pellegrinaggi da una
delegazione guidata da un vicario o da un parroco, stendardo della parrocchia
in testa; gli si pagavano allora le «vettovaglie»; queste spese erano debitamente
messe per iscritto, e certi archivi ci permettono oggi di conoscere questa
consuetudine, come quelli di Saint-Martin-La-Porte, dove apprendiamo che la
parrocchia aveva dato dieci fiorini a coloro che l’avevano rappresentata allo Charmaix nel 1654.
La
nomina di un rettore incaricato della cappella in permanenza a partire dal
1625, che sarà aiutato durante i mesi estivi da un ausiliario a partire dal
1677, prova da sola l’importanza delle funzioni religiose che vi si sono
celebrate.
Citiamo
ancora, dopo la rivoluzione, nel 1808, il ritorno nella sua cappella della
statua portata dal parroco di Modane lungo tutto il tragitto; nel 1861
l’inaugurazione del nuovo altare maggiore; nel 1919 il trasporto della statua
di bronzo che fu in seguito issata sul tetto; nel 1939 la collocazione delle
statue nei nuovi piloni, tutti avvenimenti che diedero luogo a grandi
manifestazioni di pietà. Padre d’Orly riferisce che nessun abitante della
Maurienne voleva morire prima di aver fatto almeno una volta
questo pellegrinaggio.
La
nomina di un rettore incaricato della cappella in permanenza a partire dal
1625, che sarà aiutato durante i mesi estivi da un ausiliario a partire dal
1677, prova da sola l’importanza delle funzioni religiose che vi si sono
celebrate.
Citiamo
ancora, dopo la rivoluzione, nel 1808, il ritorno nella sua cappella della
statua portata dal parroco di Modane lungo tutto il tragitto; nel 1861
l’inaugurazione del nuovo altare maggiore; nel 1919 il trasporto della statua
di bronzo che fu in seguito issata sul tetto; nel 1939 la collocazione delle
statue nei nuovi piloni, tutti avvenimenti che diedero luogo a grandi
manifestazioni di pietà. Padre d’Orly riferisce che nessun abitante della
Maurienne voleva morire prima di aver fatto almeno una volta
questo pellegrinaggio.
Un
portico è stato costruito prima del 1623 per riparare i pellegrini che
pernottavano al santuario, senza dubbio perché la distanza che li separava
dalle loro case non permetteva loro di fare il viaggio in una sola giornata.
Poiché
venivano dalla Savoia e dal Piemonte, ma anche dal Brianzonese e dal Delfinato.
Attualmente,
gli italiani che frequentano il santuario sono ancora molto numerosi l’8
settembre, accompagnati da almeno un sacerdote che assicura una predica.
Il
primo pellegrino illustre che conosciamo è il duca di Savoia Carlo Emanuele I,
venuto con un numeroso seguito. Egli aveva scelto la bella stagione, il 26
agosto 1620. Dopo la funzione aveva passeggiato in un luogo solitario vicino al
santuario, quindi aveva preso parte ad un pasto frugale, all’ombra dei pini e degli abeti, non senza risarcire il contadino i cui prati erano stati ridotti
a mal partito da questa numerosa assemblea, per quanto illustre.
Tre anni dopo, Jacques Bertrand (p. 36) descrive la strada che conduce da
Modane allo Charmaix , che egli conosce bene. «Il pellegrino si allontana da
Modane munito di bastone, della corona del rosario e del Manuale del
pellegrino del gesuita Richeomme. Egli si inerpica con passo regolare su un
pendio dolce, tra alte foreste, vero bosco sacro. A circa due stadi dalla città, egli trova un ponte vicino al
quale c’è della legna tagliata (si tratta
del Ponte detto «della Sega» su tutti i catasti e nella memoria dei Modanesi,
che è scomparso solo al momento della costruzione della strada che conduce
al tunnel stradale del Frejus). Poi scorge delle croci di legno, che
indicano il tracciato della strada quando una neve abbondante l’ha ricoperto.
Quando si è superato uno stretto passaggio della strada e si è terminato il
rosario, si scorge sulla destra uno chalet; si sa allora che il santuario dista
non più di due stadi. Un poco più lontano, si incontrano due chalet distanti
uno dall’altro una trentina di passi,dove si può trovare, sulla strada del
ritorno, del pane e del vino per una modica spesa. Viene poi la gola del
torrente che rotola sulle rocce, con un ponte a volta in pietra, di una
quindicina d’aune [Antica misura di lunghezza corrispondente a metri 1,22
circa cioè più di 18 metri] e di una altezza notevole, che dà accesso alla
cappella». A parte qualche dettaglio, la strada del pellegrino non è molto
cambiata prima della fine del XX secolo. Una consuetudine di cui si ricordano
ancora alcuni Modanesi non è stata menzionata da nessuno degli storici dello
Charmaix: pochi metri prima dell’arrivo alla cappella, una piccola sorgente
scorre dalla roccia. Un tempo ci si fermava - e alcuni ancora oggi - per lavarsi gli occhi, poiché si presumeva
che quest’acqua li purificasse e li proteggesse da tutte le affezioni.
«La roccia che piange» di fronte al ponte d’accesso alla cappella |
André-Charles
Coppier, che ci tenne ad andare allo Charmaix un giorno di grande
pellegrinaggio, non ha mancato di osservare questa consuetudine; quando aveva
appena scorto la cappella nel cuore della notte, «... delle ombre più scure
passavano a intermittenza davanti a questi segni di riferimento lontani, e dei
bisbigli mi rivelavano un assembramento
indistinto che ostruiva la strada. Sono i pellegrini del vecchio rito dei ”Graïoceles”
che si avvicinano alla Roccia-che-piange e le presentano i loro piccolissimi
bambini distesi, alla cieca, sotto il gocciolamento delle sue lacrime
ghiacciate. In questo ondeggiamento di masse confuse, dei gloglottii rompono questi
arpeggi dell’acqua che gocciola sulle pozzanghere , e indovino che alcuni
hanno portato delle boccette che riempiono con questa “Aquatio” speciale la cui
virtù è attiva soltanto in quell’ora di notte, secondo le loro tradizioni
celtiche» (41).
Con
ogni evidenza, Coppier fa parte di coloro che cercano di collegare certe usanze
a delle origini pseudo-sapienziali, spesso celtiche. Quello che è certo è che
nessuno, tra i pellegrini che ha potuto interrogare, ha attribuito alla Vergine
le virtù terapeutiche della sorgente, che risalivano forse a credenze pagane per
sempre sconosciute, ma che non sono senza importanza per il carattere sacro del
luogo, certamente anteriore al cristianesimo.
I
primi pellegrini venivano a piedi , per le strade della valle o attraverso i
colli.
Quando
il tunnel ferroviario fu costruito, gli italiani prendevano sempre più la strada
ferrata. Nel 1931 Andrè-Charles Coppier annota che ha voluto unirsi ai
pellegrini che giungevano a Modane con treni speciali di fine giornata.
«già
un primo treno da Susa aveva scaricato davanti alla dogana francese una folla ....
guidata da preti dal cappello a tesa
larga ; poi
sono giunti altri uomini, sotto la guida di montanari armati di piccozze, che
ritorneranno a casa, direttamente, negli alti alpeggi in direzione del Tabor». Era
un 8 settembre, giorno del più grande afflusso
di fedeli allo Charmaix.
Anche
se da decenni i pellegrini possono
facilmente compiere il viaggio in giornata, sono numerosi coloro che, fino a poco tempo fa,
arrivavano alla vigilia di quel giorno per assistere alla processione con le
fiaccole che si svolgeva nei prati
vicino alla cappella, seguita da una messa di mezzanotte, celebrata prima nel
santuario, poi all’aperto a partire dal 1942.
Questa
tradizione era stata instaurata da C. Demaison, parroco di Modane, intorno al
1920, senza dubbio per adattare allo Charmaix
una consuetudine di Lourdes. Essa fu soppressa nel 1968.
Resta
ancora la messa all’aperto celebrata la
mattina dell’8 settembre, in un primo tempo in un ampio prato a forma di
anfiteatro propizio alla convivialità, dove nel 1936 fu eretto un altare
sormontato da una croce con un Cristo in bronzo riparato dagli abeti. Dal 1984,
la sistemazione di Valfrèjus costringe i pellegrini ad accontentarsi di un
terreno piatto coperto d’erba, «su un piazzale eretto a posteggio» (Rivista Sapey,
dicembre 1984, p. 23).
Dopo
la prima guerra mondiale, l’apertura dei pellegrinaggi fu fissata al lunedì di
Pentecoste e la fine al 2 novembre.
Ai
nostri giorni, l’8 settembre è sempre celebrato. Una processione parte al
mattino dalla chiesa di Modane e si reca allo Charmaix a piedi, fermandosi
davanti ad ogni pilone per meditare i misteri del rosario.
Ogni
anno, essa è presieduta da un vescovo. Spesso è previsto una corriera per le
persone disabili. Certuni usano l’automobile personale fino alle vicinanze del
Santuario. Dal 1967, si onora la Vergine non più l’8 settembre, ma la prima
domenica del mese. Mons. Bontemps l’aveva proposto l’anno precedente, per
permettere al maggior numero di persone che lo desiderano di parteciparvi.
LE MERAVIGLIE DI
NOTRE DAME
Sotto
questo titolo, Padre d’Orly ha raccolto il racconto di alcuni dei fatti
inspiegabili attribuiti alla Vergine dello Charmaix, alcuni dei quali sono
stati riportati, ma in latino, da Jacques Bertrand, che rispondeva così alla richiesta
del duca di Savoia.
La
Chiesa non si è mai pronunciata a loro riguardo; si può notare che alcuni sono
oggetto di una deposizione davanti a testimoni, per evitare la frode.
Ne
citiamo tre per tentare di restituire la presenza di Notre-Dame du Charmaix
nella vita dei pellegrini del passato e lo spirito che animava tutti coloro che,
prima di noi, hanno scritto sul Santuario. La seconda si riferisce a Don Genin,
primo rettore dello Charmaix (1625) che ha voluto che quattro «grazie
speciali in forma di miracolo» di cui era stato il beneficiario fossero «inserite negli omaggi dovuti
alla Vergine dello Charmaix».
Li
trascriviamo secondo il testo di Padre d’Orly, avendo solo modernizzato
l’ortografia e qualche parola .
Uno zoppo miracolosamente guarito.
...
L’anno 1605 Pierre Bernard, di onesta famiglia nel borgo di Amodane, ebbe un
figlio da un matrimonio legittimo, chiamato Francesco, dotato di tutto ciò che
la natura poteva dargli. Questo, come i fiori di primavera che hanno un solo
mattino per esistere, poi appassiscono, così appena ebbe compiuto i cinque
anni, per un incidente divenne non solo zoppo, ma anche storto e contratto
tanto che non poteva muoversi che con l’aiuto di qualcuno o appoggiandosi su
delle stampelle.
La
natura che non può mentire ai bisogni portò l’affetto paterno a spendere dietro
i medici, nello spazio di sette anni, tutti i beni di fortuna che il lavoro
delle loro mani aveva potuto far loro guadagnare, ma tutto inutilmente.
Ma
poiché l’amore è cieco, così lo fu anche quello di questo padre verso il proprio figlio, e gli fece chiudere
gli occhi del dovere cristiano fino a portarlo a consultare una strega,
chiamata Miège in quei paesi, che compiva notevoli guarigioni con il borbottio
delle sue parole. Ora, poiché la divina provvidenza aveva previsto questa
guarigione in modo diverso, l’indiavolata congedò l’uomo, dicendo che era come
seminare sull’onda o sbattere contro una roccia pretendere di annullare questo
maleficio, parole che misero fine alle sollecitudini del padre, che le
considerò inutili.
Tuttavia
Francesco era giunto all’età di dodici anni, sempre accasciato in casa come in
una capanna, da cui si sforzò, un giorno
in cui i suoi genitori erano in montagna, di rotolarsi fino alla porta davanti
alla quale uno dei suoi zii stava passando.
Non
so se è per pietà o indignazione, egli dice allo storpio: «Che cosa vuoi fare
qui, fannullone, dai poltrone , va in montagna a cercare tua madre e quando
arriverai davanti alla cappella della vergine dello Charmaix, getta le tue
stampelle dicendo alla Vergine: “Prendete le mie stampelle, per favore, abbiate,
ahimé, compassione della mia deplorevole miseria e conservatele tanto a lungo quanto
me ne sono servito io“».
Poi
prendendo suo nipote per le braccia lo incamminò sulla strada di detta cappella
dove lo zoppo continuò con la pena che si può immaginare, dovendo percorrere
una lega [4,445 Km – Ndr] di salita.
Durante
questa fatica sovrumana, scopre da lontano la santa grotta, prese nuove forze e
affrettò il passo fino ai pressi di questo santo luogo; e qui cominciò a
gridare e pregare, impaziente della sua liberazione: «Prendete, Beata Vergine,
prendete le mie stampelle e conservatele per quanti anni le ho usate».
Queste
semplici parole erano appena state pronunciate da quella bocca tanto semplice quanto
innocente, che la Santa Vergine si degnò di ascoltarle come degli ordini; poiché
nello stesso momento quello storpio, sentendosi fortificato, gettò le sue
stampelle nella cappella, fece una riverenza a modo suo davanti alla santa immagine
di Notre Dame dello Charmaix e corse verso i suoi genitori che lavoravano su quella montagna, per dal loro la gioia di
una grazia così miracolosa.
Chi
vuole pensi alle molte emozioni che dovevano agitare le loro anime! (P. 93)
Le numerose grazie che ha ricevuto da Notre Dame du Charmaix Messer Genin Benoit
...
La terza grazia che questo devoto cappellano ritiene operata dalla Vergine dello
Charmaix gli è comune con due religiosi cappuccini (F.
Policarpe de Fontcouverte e Alexandre Turin) e due venerabili sacerdoti, Don
Jean Fay, vicario di Villargondran, e
Antoine Jorcin, vicario di Lanslebourg.
Andando
dalla città di Moutiers a quella di Saint-Jean-de Maurienne attraverso il monte
di Valorcière giungendo a quello di Hermillon, si trovarono sorpresi da tre incresciosi
intoppi, o piuttosto da tre nemici
mortali: una furiosa tempesta, una notte tenebrosa e numerosi precipizi,
ad una imboccatura dei quali vi lascio pensare come questi devoti pellegrini
fendessero il vento e le nuvole con le loro ferventi preghiere per meritare il
soccorso dall’Alto per l’intercessione, mai rifiutata in tali casi, di
Notre-Dame du Charmaix. Ella inviò prontamente in loro favore un faro celeste
così chiaro e luminoso che, alla sua miracolosa presenza, furono esenti dalla
tempesta che si dissipò, rischiarati nell’oscurità della notte e impediti di
precipitare in quei neri precipizi (P. 149).
Un bambino di Susa
guarito dall’ernia
... L’onorevole Jean Michel Merle, avvocato e borghese della
città di Susa vicino alle Alpi e alla frontiera del Delfinato, Piemonte e
Savoia, si trovò come una nave sul mare soffrendo le vicissitudini delle bonacce
e delle burrasche, delle quali la disgrazia più grave fu sulla persona di suo
figlio, il cui ventre uscendo dalla sua sede naturale, lo rendevano uno
spettacolo di pietà e di lacrime a tutti coloro che conoscevano il suo male e sentivano
i suoi pietosi lamenti. Suo padre fece continue e ferventi preghiere alla
Vergine dello Charmaix, di cui aveva appreso dalla pubblica voce la reputazione e i miracoli che Dio operava
per Sua intercessione. In suo onore ottenne l’offerta del santo sacrificio della
Messa, durante la quale, chiedendo con forza alla sua potente avvocata la
guarigione del figlio, ne ricevette ciò che domandava. Infatti le budelle si
rimisero al loro posto, con un rumore straordinario, e non ne sono mai più
uscite; il bambino non ne risentì alcun dolore, secondo la testimonianza che ne
ha dato suo padre quando venne alla cappella di N.D. dello Charmaix a fare al Rettore
la dichiarazione di aver ricevuto una grazia notevole, per non chiamarla
miracolo, alla presenza del canonico Messer Barthélémy Rastelly, canonico di
Notre Dame la Grande in Susa, del Signor André, “Capitaine des enfants” di
detta città, e di molti altri che erano venuti a onorare la santa Vergine dello Charmaix; tutti riportarono
una accresciuta devozione per questo santo luogo (P. 206).
* * *
Traduzione di Augusta Gleise Bellet
Revisione di Sandro Tessiore e Chiaffredo Cavallaro
Il quarto di copertina dell’originale
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