30/06/11

Giolitti a Bardonecchia

A Bardonecchia, se non fosse per una via che porta il suo nome, di Giovanni Giolitti non ci sarebbe più ricordo. Eppure il grande statista aveva scelto la conca di Bardonecchia per fuggire al caldo estivo della sua originaria Cavour fin dal 1903 e per ben 24 anni fu un affezionato “villeggiante” che non mancava di soggiornare un’estate tra le nostre montagne, anche nei momenti in cui la situazione politica italiana era più difficile.
Fino a non molti anni fa, le persone anziane del paese ricordavano ancora la figura alta e ritta del Giolitti, con il largo cappello, che faceva la passeggiata fino alle pendici del Bramafam per bere con il suo inseparabile bicchiere, l’acqua salubre che sgorga dalla fontana che ora porta il suo nome.

Oggi che la memoria è scomparsa possiamo provare a ripercorrere, attraverso le cronache dei giornali dell’epoca, quei lunghi 25 anni, ridando vita ai tempi in cui il piccolo paese di montagna si stava trasformando in un elegante luogo di villeggiatura.
Nelle cronache del tempo troviamo quasi sempre notizia della partenza di Giolitti da Roma per Bardonecchia. Come vivesse la capitale quell’allontanamento di Giolitti fino all’ultimo lembo d’Italia non è dato saperlo; certamente suscitò prima una curiosità che col tempo divenne abitudine. D’altronde Giolitti a Bardonecchia non era legato da tradizioni di famiglia, non possedeva una casa come nella sua Cavour, e qualche invidia quel piccolo paese di montagna, che era stato scelto per le villeggiature dal grande uomo politico, doveva pur averla suscitata.

Giolitti aveva scelto Bardonecchia per l’ambiente semplice e raccolto, quello che lui preferiva, lontano dai fasti della vita pubblica. La casa che lo ospitava era quella del notaio Suspize, dove affittava un semplice appartamento al primo piano; con la moglie, donna Rosa, trascorreva giorni tranquilli, tra lunghe passeggiate e chiacchierate amichevoli con le vecchie conoscenze del paese.
E Bardonecchia rispondeva all’onore di avere ogni anno nella sua valle colui che diede il suo nome all’epoca in cui viveva: si facevano preparativi festosi, le autorità attendevano il treno presidenziale, la gente accorreva ad accogliere il Presidente. Possiamo immaginare come i nostri montanari si preparassero all’arrivo di Giolitti, come i bambini del paese attendessero quel momento di festa. Giolitti doveva amare quella semplicità, quel calore sincero, quella autenticità della gente di montagna.


La cronaca più viva di uno di quegli arrivi, è quella dell’estate del 1920, quando Giolitti era da poco tornato a formare il suo quinto e ultimo Governo:
“Bardonecchia era preparata a festeggiare in modo solenne il Presidente. Tutto il paese imbandierato a festa. Dai paesi vicini erano state progettate delle partenze in massa, i villeggianti intendevano preparare speciali festeggiamenti, ma vennero sconsigliati dagli intimi del Presidente, che lo sanno alieno da manifestazioni clamorose. La pioggia limitò l'affluenza dai vicini sobborghi, ma non impedì ai valligiani ed ai villeggianti di accorrere alla stazione numerosissimi per salutare ed applaudire colui che viene considerato e a cui piace chiamarsi cittadino di Bardonecchia, per quanto in tale paese non vi abbia avuto i natali e non possegga in essa né ville né proprietà.
Un mondo di gente, di ogni età e condizione che all'arrivo del treno circondò il vagone presidenziale e proruppe in una ovazione calorosissima.
Il Presidente scese per il primo dallo scompartimento e fu circondato, soffocato, quasi, dall'affettuosa dimostrazione. Il nome dell'on. Giolitti venne replicatamente gridato tra grandi acclamazioni, mentre questi stringeva non senza commozione la mano agli amici.
Confusi tra la folla si trovarono alla stazione il ministro Benedetto Croce, in villeggiatura a Bardonecchia, il sindaco Ferrero con il Consiglio comunale quasi al completo, il sottoprefetto di Susa, cav. Monaco, l'on. Bouvier, il comm. Balcet, il commendatore Laclaire, i fratelli comm. e cavaliere Falco, il comandante del presidio, tenente colonnello Re, il colonnello Franchi, il dottor Fiorini e tutte le notabilità della colonia.
Sulla piazza della stazione è pronta una automobile per accompagnare il Presidente alla modesta casetta, ove l'attende Donna Rosa, casetta di proprietà del segretario comunale e che l'on. Giolitti da tempo affitta per l'estate, ma egli preferisce compiere il tragitto a piedi, circondato dai suoi amici ed ammiratori. Si procede così per tutta la strada che attraversa il paese mentre la folla va facendosi sempre più fitta per quanto minaccino nuovi scrosci di pioggia.
Si passa lungo il paese imbandierato e festante. Tutte le finestre sono gremite, e sovente erompe il grido di « Viva Giolitti ! ». Il Presidente si trattiene con i suoi amici, si interessa di Bardonecchia chiede notizie di quanti non ha visto, ritrova ricordi del passato.
A mezzo paese stanno schierati i bambini delle Colonie alpine, con a capo la maestra. Si sventola la bandiera, si acclama al Presidente, e la folla, vi fa eco calorosamente.
Donna Rosa Giolitti attende il marito sulla porta della umile dimora, la di cui semplicità stupisce profondamente gli impiegati romani. Un momento di grande commozione si ha all'incontro di donna Rosa con il Presidente. I due nomi vengono confusi dalla folla, tra applausi calorosissimi. Evviva e acclamazioni, sempre più calde, si ripetono poi sino a che l'onorevole Giolitti compare al balcone. Con voce ferma, chiara e vibrante di commozione, egli dice: “ Ringrazio i miei concittadini di Bardonecchia, che da diciotto anni hanno per me stima ed affetto, mantenutisi inalterabili anche nei momenti tristi. Tocca ora a me una missione non facile, che spero assolvere per il bene del paese. La fiducia degli abitanti di Bardonecchia, serva di esempio perchè tutti aiutino il Governo nella ricostruzione d'Italia e per il raggiungimento di quei destini ai quali le danno diritto i ricordi storici, i sacrifici compiuti, il patriottismo costante sempre dimostrato. Viva Bardonecchia!”. 01
Erano gli anni difficili e convulsi che seguivano il primo conflitto mondiale, quando il paese, distrutto dalla guerra, viveva forti contrasti politici e sociali e la nazione aveva ancora una volta chiamato l’anziano statista alla guida del Paese.
Il Presidente, nemmeno nelle sue vacanze, interrompeva i suoi impegni di governo e a Bardonecchia continuavano le sue attività, i suoi contatti con Roma, le visite dei ministri o degli uomini politici.
Gli uffici di Giolitti erano nelle “case rosse” ai margini della ferrovia, in fondo a via Medail: uffici semplici da cui Giolitti governava il paese.
Nei mesi estivi il Palazzo Braschi di Roma, sede in quegli anni del Ministero degli Interni e della Presidenza del Consiglio (02), si trasferiva a Bardonecchia, tanto che nel 1912 un giornalista ebbe a definire gli uffici di Bardonecchia “ Il Piccolo Braschi”.

Siamo nel periodo cruciale della guerra di Libia, e Giolitti da Bardonecchia teneva sotto controllo la difficile situazione.
«Partendo da Roma, come avrebbe potuto l'onorevole Giolitti, in quest'anno di grazia, mettere nel suo bagaglio estivo una parentesi di oblio delle sue cure di Governo?
Come avrebbe potuto abbandonare, sulla soglia di Palazzo Braschi, i mille e un pensiero, che in questo periodo di gravi responsabilità, manovrano necessariamente fra le cellule cerebrali di chi è a capo del Governo?
Quindi è che le giornate dell'on. Giolitti, a Bardonecchia, sono di poco dissimili da quelle che egli passa alla capitale. Qui come là, il suo orologio segna poche ore di riposo; qui come là egli vigila attentamente su ogni mossa del grande scacchiere politico, attorno a cui i diplomatici fanno le loro schermaglie; qui come là egli conserva le sue abitudini di lavoro metodico che è proprio dei lavoratori di razza.
Quei villeggianti bardonecchiesi , che alle mattutine seduzioni di Morfeo preferiscono le carezze degli zeffiri delle pinete disseminate sulle alture della magnifica conca che corona il paese, sono certi di incontrarlo, mentre dalla casa di Borgovecchio, in cui abita, egli scende in Borgonuovo, ove è il cosi detto “Piccolo Braschi” composto di un modesto appartamento, le cui pareti, se avessero il dono della parola, potrebbero in questi giorni rendere a noi giornalisti dei preziosi servizi di reportages.
Nella non numerosa compagnia del segretario di Gabinetto, cav. Visconti, del capo ufficio dei cifrari e di uno scritturale, l'onorevole Giolitti si intrattiene ivi, regolarmente, per sei ore circa della giornata, spesso di più, raramente di meno.
Una notevole parte del quotidiano lavoro gli è portato dalla così detta “Valigia del Presidente”: una valigia che lo segue giornalmente in ogni angolo d’Italia ovunque egli vada. Ciò che essa contiene lo si potrebbe definire “il lavoro di una giornata di governo”. Il contenuto, infatti, rappresenta gli atti compiuti in una giornata di lavoro dai singoli ministeri. L’on. Giolitti prende diretta cognizione di “ogni pratica”, che è quasi sempre il prodotto di sue precedenti disposizioni; e quindi firma, ritocca, annulla, a seconda dei casi. Questa è la parte per così dire burocratica del suo lavoro.
Per quanto riguarda invece gli affari di natura particolarmente politica, che non possono soffrire indugi, vi provvede col telegrafo, mediante il filo speciale che unisce il “piccolo Braschi” di Bardonecchia al Braschi più vero e maggiore di Roma.
Al Governo del filo speciale presiede il cav. Gallia, esperto funzionario degli uffici di Torino, che da parecchi anni segue il Presidente nei suoi soggiorni estivi e provvede ai suoi bisogni telegrafici.
Soltanto quando gli è lecito mettere la parola “fine” sull’ultima pratica, l’on Giolitti si concede un po’ di riposo che dedica a passeggiate campestri, nelle quali gli sono alternativamente compagni la consorte Rosa e il cav. Falco, suo amico personale di lunga data.
Sono queste le brevi oasi di pace del Presidente, le brevi ore in cui la sua mente può tuffarsi nelle delizie della quiete ed i suoi polmoni possono prendere un lavacro di aria pura ed ossigenata.
La vera, essenziale differenza tra la vita di Roma e quella che egli fa nei suoi soggiorni campestri, consiste nella liberazione da quei numerosi obblighi decorativi e di convenienza che sono inerenti all’alta sua carica, e che, data la natura dell’uomo, devo formare, mi immagino, il maggiore suo tormento.[…]
Nelle giornate in cui i giornali recano qualche notizie di guerra incerta o poco precisa i villeggianti bardonecchiesi che lo vedono passare tranquillo, sorridente, con quell’aspetto di bonomia, che toglie ogni soggezione, si sentono quasi tentati di fermarlo per chiedergli particolari ma nessuno lo fa, perché tutti sanno che la domanda avrebbe una risposta più oscura di quella di una antica sibilla.
Poiché è ben noto che quella di sfuggire alle domande indiscrete è pure una abilità del Presidente del Consiglio. Mi fu narrato ad esempio, che, durante il suo recente viaggio da Roma a Bardonecchia, in una stazione, che non è quella di Torino, un personaggio che si era recato ad omaggiarlo, gli domandò se si poteva ritenere prossima la pace con la Turchia.
L’on. Giolitti sorrise e rispose queste precise parole: “ La storia insegna che dopo la guerra succede la pace!”.
Ho ragione di credere che all’interpellante non verrà mai più la voglia di rivolgere domande al Presidente del Consiglio.» 03
Quest’uomo austero e sempre gentile, si doveva sentire a suo agio nella semplicità dei luoghi, dove senza problemi riceveva ministri e personalità.
Un’altra bella istantanea degli uffici di Giolitti a Bardonecchia la troviamo in un articolo di qualche anno dopo: siamo nell’autunno 1920, Giolitti era come sempre a Bardonecchia e il giornalista ci rende la cronaca della giornata prima della partenza da Bardonecchia per l’incontro a Aix les Bains con Alexandre Millerand, primo ministro francese.
«L’on Giolitti appare del suo più sereno aspetto. Stamane come di solito è uscito di casa per tempo per recarsi all’ufficio dove fanno capo le comunicazioni dirette telegrafiche e telefoniche. Data l'enorme affluenza dei forestieri convenuti questo anno a Bardonecchia non fu facile trovare un anche modesto locale per gli uffici. Questi furono installati in alcune camerette a pianterreno nel fabbricato dei ferrovieri. Dalle finestre del primo piano si vedono i materassi distesi al sole del mattino pendere proprio sulle finestre degli uffici dove ferve in questi giorni un continuo e metodico lavoro.
L'on. Giolitti ha creduto utile e opportuno non lasciare Bardonecchia per Roma anche per seguire più dappresso le vicende dell’agitazione di questi giorni, la quale ha i suoi maggiori centri a Torino e a Milano. Dal suo modesto ma fervoroso ufficio di Bardonecchia il Presidente del Consiglio ha potuto in questi giorni seguire le alternative della lotta, ora per ora, con una immediatezza di informazioni che i suoi colleghi del Ministero gli invidiano da Roma.
Non solo dal nuovo Palazzo del Viminale si faceva continuamente appello a Bardonecchia per gli ordini, ma anche per le informazioni più pronte più sicure e precise. L'on. Giolitti era in grado di comunicare immediatamente e pel più diretto tramite coi prefetti di Torino e di Milano, attorno ai quali si vengono svolgendo riunioni, discussioni, trattative.» 04
Siamo nei mesi difficili del 1920, al culmine del “Biennio rosso”, quando lo scontro sociale si era fatto sempre più acceso, e le rivendicazioni operaie erano giunte alle occupazioni delle fabbriche e alla cacciata dei padroni dalle aziende. Giolitti seguiva, ancora una volta, la linea del non intervento che aveva caratterizzato i suoi governi fin dall’inizio del ‘900, con la quale aveva preso le distanze dalle politiche repressive di fine ‘800, di Crispi e di Pelloux.
A Bardonecchia, per conferire con Giolitti, si recò per primo Agnelli, una settimana dopo l’occupazione delle fabbriche, e dal loro colloquio emerse chiaramente la posizioni del capo del Governo.
«Poi [Giolitti] parlò lungamente della sua politica: soltanto il tempo avrebbe dato il rimedio necessario. Non esisteva, diversamente, altra politica che quella della forza. ‘Precisamente’ interruppe l’Agnelli. ‘Sia, - aggiunse Giolitti, - ma intendiamoci: non permetto che la forza pubblica rimanga nelle strade nella certezza che se le guardie rosse sparano la colpiscano dall’alto senza difesa. Per scacciare gli operai dalle fabbriche occorre l’artiglieria’. Consente l’Agnelli.
E Giolitti: ‘Sono in grado di provvedere subito. A Torino c’è il settimo reggimento di artiglieria da montagna: do ordine immediato che domani sia bombardata la FIAT e sia liberata dagli occupanti. L’Agnelli: ‘No, no’. Giolitti: ‘E allora?’. Nessuna replica dell’Agnelli». 05
La provocazione di Giolitti aveva colto nel segno: gli industriali non potevano aspettarsi l’intervento della forza pubblica in una situazione che sarebbe altrimenti sfociata in guerra civile. Intanto la tensione a Torino e a Milano cresceva. Gli industriali stavano per decidere la serrata delle fabbriche, scelta che avrebbe aggravato ulteriormente la situazione.
In quelle difficili giornate di metà settembre, agli incontri con i prefetti, seguì a Torino una concitata assemblea degli industriali, alla fine della quale si decise di inviare una delegazione a Bardonecchia per conferire direttamente con il capo del Governo.
« Alle 16,30 l'ameno paesello alpestre fu invaso da sette automobili, a bordo delle quali erano trenta o trentacinque industriali, che si recarono subito alla casa dove alloggia l'on. Giolitti. Vennero ricevuti subito dal comm. Lavagna, il quale, udito lo scopo della visita, ne rese edotto subito il capo del Governo. L'on. Giolitti ricevette quindi una Commissione, composta dal vice-Presidente della Lega, cav. Ferracini, dal secretorio generale, avv. Codogni. dall'ing. Caffaratti, in rappresentanza degli industriali meccanici, e del comm. Laclaire, che rappresentava gli industriali tessili. La Commissione espose al Presidente del Consiglio lo stato d'animo degli industriali e gli riferì l'esito dell'assemblea della sera precedente e quello della riunione avvenuta al mattino. […] Il colloquio ebbe la durata di circa mezz’ora.» 06
Possiamo immaginare il trambusto che crearono nel paese quelle sette eleganti automobili che giunsero davanti alla casa di Giolitti; e allo stesso Giolitti, che amava la sua riservatezza, quella occupazione di campo non piacque di certo e con la sua solita ironia rispose al Lavagna che tutte quelle persone avrebbero di certo fatto cadere il pavimento! E infatti solo in pochi salirono nell’appartamento al primo piano ed ebbero anche ad andarsene molto scontenti se, come testimoniò nel 1921 al processo della Corte d’Assise di Torino il sindacalista Colombino:
«So che fu movimentato quel colloquio di Bardonecchia. La Commissione disse all'on. Giolitti:
-Lei tratta tutti gli industriali come malfattori! al che l'on. Giolitti rispose:
  1. -Tutti no, ma qualcuno sì. » 07
Momenti critici e importanti; ma negli anni ci furono anche giornate tranquille di passeggiate lungo il canale, con la moglie, con gli amici, e anche con altri insigni villeggianti di Bardonecchia, come Benedetto Croce.
Negli anni dell’ostracismo politico che Giolitti dovette subire per la sua opposizione all’entrata in guerra dell’Italia e che lo costrinsero a ritirarsi dalla vita politica, non mancarono i soggiorni a Bardonecchia, come ricorda il nipote Curio Chiaraviglio:
« Nell’agosto 1915 passai alcune settimane dai miei Nonni in montagna, che nei mesi più caldi solevano andare a Bardonecchia, ove mio Nonno riceveva visite di persone amiche che generalmente lo accompagnavano nelle passeggiate che faceva, sia sulla strada che va a Melezet, sia sul sentiero a mezza costa lungo il canale coperto che portava l’acqua ai compressori che assicuravano la ventilazione della galleria del Frejus.» 08
Tanti furono anche gli uomini politici che negli anni si recavano in “pellegrinaggio” da Giolitti a Bardonecchia; le cronache ricordano la visita dell’allora Presidente del Consiglio Luzzatti nell’agosto del 1910:
«Ieri mattina il Presidente del Consiglio, on. Luzzatti, ha fatto colazione a Bardonecchia in casa dell'on. Giolitti, la cui salute è notevolmente migliorata. […]
L'on. Giolitti fa infatti giornalmente delle non brevi passeggiate sui monti, ed il suo aspetto non denunzia ora alcune sofferenze. Dopo l'arrivo del treno molti villeggianti, avendo saputo che S. E. Luzzatti sarebbe arrivata in automobile, si recarono presso la casa abitata dall'onorevole Giolitti in Bardonecchia alta, ed ivi sostarono, in attesa dell'arrivo, fino al mezzogiorno. L'illustre ospite giunse invece a mezzo tocco. L'automobile Fiat su cui era, si fermò al ponte di Bardonecchia, alla distanza di forse un centinaio di metri dall'abitazione dell'on. Giolitti. Col Presidente del Consiglio erano: il ministro di grazia e giustizia, on. Fani, il nostro concittadino cav. uff. avv. Bosio, un nipote dell'onorevole Luzzatti ed un figlio dell'on. Fani. L'on. Luzzatti si recò solo nell'abitazione dell'on. Giolitti. che lo attendeva in casa.
S. E. Fani e gli altri compagni di viaggio si recarono invece a déjeuner all'Hotel Fréjus. La gita è riuscita assai divertente ai gitanti.
L'on. Luzzatti e l'on. Fani mi espressero parole di viva ammirazione per le bellezze panoramiche della valle, che in automobile poterono ammirare assai meglio, che non lo avrebbero potuto in un viaggio ferroviario.» 09
La presenza di Giolitti per ben 25 anni, fece di Bardonecchia in quelle estati di inizio secolo, il centro dell’Italia; l’amministrazione comunale dell’epoca era francamente riconoscente all’illustre statista che aveva scelto il piccolo paese, che si apriva allora al turismo di lusso, come sua meta di vacanza.
Ne abbiamo una viva testimonianza in una delibera del Consiglio comunale del 1922 che decise di donare una cospicua somma per la borsa di studio voluta da Giolitti nella ricorrenza del suo ottantesimo compleanno:
«Il Consiglio comunale, orgoglioso e lusingato di aver come cittadino onorario S. E. Giovanni Giolitti, onorato che egli abbia scelto questo Comune per trascorrere la villeggiatura nell'estate, per acclamazione delibera di inviare in Cuneo al Comitato per le onoranze a Giovami Giolitti L. 500 per concorrere all'istituzione di borse di studio a favore della gioventù studiosa povera in onore, di Giovanni Giolitti dell'uomo che al potere coll’azione e nell'ombra col silenzio, sempre fece l'interesse della Nazione indirizzandola verso alti e fecondi destini». 10
Bei tempi, quando il Consiglio Comunale di Bardonecchia rendeva onore alla presenza del suo illustre concittadino.
Nel 1950 la memoria di Giolitti fu onorata dalla lapide affissa sul portone della casa Suspize che ricordava ai bardonecchiesi e ai villeggianti:
“Qui dimorò in piena serenità familiare dal 1903 al 1926 nelle ricorrenti vacanze estive, Giovanni Giolitti, mente eccelsa di statista, aperta a tutte le libertà nell’ordine, al progresso e alla previdenza, creò l’età dell’oro dell’Italia nostra col lavoro e la giustizia sociale, Bardonecchia ricorda il suo illustre concittadino”.
Ma i bei tempi finirono nel 1994 quando una delibera comunale decise l’abbattimento della casa Suspize e di Giolitti finì la memoria.
La lapide è scomparsa insieme alla casa, e di quel luogo di ricordi rimane solo il “pero” centenario che doveva allietare il giardino, e che ancora oggi, nella sua solitudine in mezzo ad un posteggio d’asfalto, continua a dare i suoi buoni frutti che cadono, in autunno, colpendo le automobili posteggiate.
Abbatteranno anche quello?   
Nulla rimane oggi di Giolitti a Bardonecchia: non una lapide, una targa, un riconoscimento, un luogo di memoria.
I giovani non sanno perché non ci sono più i vecchi che ricordavano l’illustre statista per le vie del paese; i nuovi villeggianti non possono conoscere perché nulla li invita al ricordo.
Il silenzio è caduto in una corsa al consumo di tutto, meno che della memoria.

di Antonella Filippi

 
01 Da La Stampa, “Il calorosissimo saluto di Bardonecchia al Presidente del Consiglio”, p. 3, 16 agosto 1920. (Articolo senza firma).
02 Il Palazzo del Viminale  fu voluto nel 1911 da Giolitti come sede della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli interni, e fu inaugurato nel 1925. 
03 Da La Stampa, «Le vacanze di Giolitti a Bardonecchia. Il “Piccolo Braschi”.», p. 4, 26 luglio 1912. (Firmato: C.D.)
04 Da La Stampa, « Il convegno di Aix les Bains. Il viaggio dell’onorevole Giolitti. Gli uffici presidenziali di Bardonecchia.», p.1, 12 settembre 1920. (Firmato: L.A.)
05 Alfredo Frassati, Giolitti, Parenti, Firenze, 1959, p. 30.
06 Da La Stampa, «Le occupazione estese ad altre industrie», 11 settembre 1920, p. 3. (Articolo senza firma).
07 Da La Stampa, « L'occupazione delle fabbriche nelle deposizione del commissario cav. Palma e dell'organizzatore Colombino alla Corte d'Assise di Torino» , 26 novembre 1921, p. 2, (firmato M.)
08 Curio Chiaraviglio, Giovanni Giolitti nei ricordi di un nipote, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1981, pp. 23, 24.
09 Da La Stampa, «La visita di S.E. Luzzatti all’ex-Presidente del Consiglio», 13 agosto 1910, p.1.(Articolo senza firma)
10 Da La Stampa, « Come Giolitti parla della sottoscrizione per le Borse di Studio. “Almeno i miei 80 anni avranno servito ad un’opera buona”.» 23 giugno 1922, p. 3. (Articolo senza firma)