«L’AVVOCATO DEI POVERI»
Mons. FRANCESCO BELLANDO
* 14 maggio 1913 - † 7 ottobre 1992
Parroco di Bardonecchia dal 1946 al 1992
|
Nel 20º anniversario della morte di Monsignor Francesco Bellando
Santi incontrati
Non è una figura retorica, né un’immagine apologetica quella
richiamata dal titolo di questo articolo, ma una verità, un aspetto della ricca
personalità di Mons. Francesco Bellando, forse sconosciuto a molti e noto soprattutto
agli intimi. Comunque, in origine “Avvocato dei poveri” è stata una definizione
di don Bellando, coniata da un futuro Santo: il Servo di Dio Padre Giuseppe
Spoletini. Una storia che chi scrive ha sentito raccontare molte volte, quasi
in presa diretta, o meglio direttamente sui luoghi dove si era svolta. Non
svelo nessun segreto, perché il protagonista, don Bellando stesso, l’ha resa pubblica
descrivendola sul Bollettino in una puntata di quella bellissima serie di
articoli: Santi incontrati sul mio cammino (1).
Accadde diverse volte che passando davanti alla chiesa delle
Stimmate, all’inizio di via dei Cestari angolo piazza di Torre Argentina, in
pieno centro storico di Roma, a due passi dal Pantheon, non era necessario
sforzare il Parroco di Bardonecchia a partire con il racconto. Bastava dargli
il là e lui raccontava come se fosse la prima volta, come solo lui sapeva fare
e a me sembrava sempre di vedere la scena, anche se lo avevo già sentito decine
di volte. Quella di un giovanissimo sacerdote, don Francesco appunto, brillante
e avviato ad una prestigiosa carriera nella diplomazia vaticana, uomo di
fiducia di alcuni illustri ed anche eminenti personalità ecclesiastiche, che spesso
si confessava da un umile frate francescano che gli ispirava grande confidenza ed
era definito l’apostolo del confessionale, perché si faceva trovare sempre
pronto alle confessioni, proprio in quella chiesa delle Stimmate di
S. Francesco. Si chiamava Padre Giuseppe Spoletini e l’aveva conosciuto già in
precedenza, alle adunanze del Terz’ordine francescano del Clero, che si
tenevano in piazza della Minerva 74, sede della Pontificia Accademia
Ecclesiastica, dove si forma il personale ecclesiastico reclutato per la
diplomazia vaticana.
Da sinistra: col. Giovanni Gubitosi, Comandante Base
Logistica Tabor; gen. Pasquale Lavacca, Comandante Legione Carabinieri Piemonte
e Valle d’Aosta; dott. Mino Giachino, Sottosegretario di Stato ai Trasporti.
[foto E. Allia]
Il Sindaco pronuncia la motivazione che ha portato la Giunta Municipale a deliberare la intitolazione della Piazza della chiesa al Parroco monsignor Francesco Bellando. [foto A. Bosco]
«Benedici coloro che beneficeranno di questa piazza, che da oggi porterà il titolo di Piazza mons. Francesco Bellando...». [foto L. Piacenza]
Lo scoprimento della targa di intitolazione della Piazza a
monsignor Francesco Bellando.
[foto A. Bosco]
Incontri, che, ricordava sempre don Bellando con quella sua caratteristica voglia di ridere, il Cardinale Caccia Dominioni che vi partecipava sempre, chiamava scherzosamente: “dei peccatori scelti”.
Nonostante fossero passati tanti anni, di P. Spoletini
Monsignor Bellando ricordava ancora il modo di confessare, il suo mettere a
proprio agio il penitente incitando ad immergersi nella infinita misericordia
del
Signore e facilitando sempre le cose, ma anche pronunciando
le parole dell’assoluzione in modo chiaro, separandole l’una dall’altra, dando
l’impressione di «voler staccare il penitente dal peccato o Gesù dai chiodi della
Croce».
Nella sua stanza all’Accademia Ecclesiastica (Roma) con Del Mestri (futuro Cardinale). Alle spalle foto delle montagne di Bardonecchia.
Si ricordava sempre una frase del Padre Spoletini: «La misericordia di Dio è così grande che dovrebbe darci tanta fiducia, tanta gioia!». Un umile fraticello che confessò per anni e anni Prelati, Cardinali, grandi teologi e personalità della Chiesa, che non aveva grandi studi né particolari capacità oratorie, semplicemente sapeva attirare con il profumo del Vangelo. Aveva dei grandi occhi pieni di luce che sembravano penetrare nel cuore e talvolta don Francesco ebbe la sensazione che senza dire quasi nulla il Padre già sapesse, conoscesse i peccati che stava per confessare o li anticipasse addirittura, con quel fenomeno ricorrente nei Santi e che si chiama la scrutatio cordis.
Servo di Dio P. Giuseppe Spoletini |
Lo aiutò infatti per alcune pratiche concrete di sussidi per i poveri, anche grazie a Mons. Luigi Solari, già Vice-rettore del suo Collegio, l’Almo Collegio Capranica, cui fu legatissimo per tutta la vita e che fu Vice-elemosiniere di Sua Santità. Da queste circostanze nacque un’abitudine che don Bellando in realtà aveva sempre un po’ di pudore a far conoscere.
Da allora, quando il P. Spoletini incontrava don Bellando,
in chiesa, in Vaticano o per strada, si toglieva lo zucchetto francescano e lo
salutava dicendo: «Ecco l’avvocato dei poveri». Le prime volte don Francesco
pensò che il Padre avesse sbagliato persona, poi, collegando le cose capì
meglio.
Poveri in fila e in casa
Padre Spoletini non esagerava, anzi, come tutti i Santi fu anche un po’ profeta.
Padre Spoletini non esagerava, anzi, come tutti i Santi fu anche un po’ profeta.
Infatti i poveri sono stati una presenza costante, mai
ostentata, anzi tenuta piuttosto nascosta, in tutta la vita di Monsignor
Bellando. Ne ha aiutati tantissimi, tutti quelli che ha potuto, con grande
rispetto e spirito di fede, anche quando poteva essere palese che chi stava
aiutando, forse non solo non era persona integerrima, se pure indigente, ma magari
anche truffatore e forse un po’ furfante. Per lui era valido ciò che la
spiritualità cristiana vera ha sempre contemplato: l’elemosina, l’aiuto al
povero, non va mai perduto, chiunque esso sia.
Gli stessi familiari ne furono sempre preoccupati, fin
dall’inizio del suo ministero a Bardonecchia, perché vedevano, e come loro i
collaboratori diretti, che in certi momenti si formava quasi una fila di gente
che andava a chiedere aiuti e temevano che un giorno o l’altro sarebbe rimasto
sul lastrico. Ne parlavamo l’estate scorsa con la nipote dott.ssa Federica
Rigoli che lo ricorda benissimo, dopo la conversazione con don Paolo, il dott.
Introvigne e il dott. Albera dal titolo: “Don Bellando visto da vicino”, tenuta
in chiesa parrocchiale, per lodevole iniziativa di don Franco, in occasione del
ventesimo anniversario della morte. Nonostante i timori familiari, il fenomeno
è tuttavia persistito per tutto l’arco dei suoi 46 anni di parrocchia e lui ha
sempre continuato ad aiutare, il più delle volte nascondendosi letteralmente,
per non sentire i rimbrotti di chi gli ricordava, in maniera fin troppo
diretta, chi erano coloro che stava aiutando.
Quanti hanno vissuto in parrocchia sanno bene che i poveri
sapevano industriarsi finché ce la facevano ad incontrarlo, nonostante i
dinieghi delle persone di casa o dei collaboratori che, ingenuamente, cercavano
di difenderlo e di proteggerlo dall’assalto di chi lo cercava per l’elemosina.
La carità poi raggiungeva forme industriose e molto concrete
e gli permise di aiutare tanta gente a trovare lavoro o a migliorare l’impiego
per il bene delle famiglie. Non parliamo poi di trasferimenti, promozioni, e
quant’altro per ogni genere di situazioni che lo videro impegnarsi in prima
persona e mai desistere finché ottenesse almeno qualche segno positivo. Tante
volte poi provvide a far alloggiare chi veniva da lontano a chiedere aiuto,
perché avesse almeno un posto per passare una notte. Con qualche persona particolarmente bisognosa, ma volenterosa poi,
per anni, si preoccupò di accoglierla in casa parrocchiale, di tanto in tanto,
e di provvedere alle sue necessità, in cambio di qualche lavoretto o servizi
vari, con conseguenze, talvolta di
disagio, in qualche caso persino situazioni avventurose che tutto ciò poteva
comportare.
Per tanto tempo fu impegnato – anche come Presidente –
nell’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza), un patronato che raccoglieva fondi
in grado di venire incontro a situazioni singole o familiari particolarmente
bisognose di aiuto e assolse sempre il suo compito con partecipazione, rispetto
della dignità delle persone e senso molto pratico, com’era nella sua indole.
Chi scrive può testimoniare – e con lui le persone che hanno
conosciuto da vicino quest’aspetto della vita di Monsignore – che mettendo
tutto insieme si potrebbe parlare di un vero patrimonio, speso a servizio dei
poveri, senza mai far sapere “alla tua sinistra ciò che fa la tua destra”!
Era rimasto vivo in lui il grande insegnamento che aveva
ricevuto da giovanissimo. Per esempio quello che gli capitava quando
accompagnava il Cardinale Traglia, che sarà Vicario di Roma. Una volta gli chiese
d’accompagnarlo alla festa di Santa Francesca Romana alla Basilica di S. Maria
Nuova al Foro. Al termine, prima di uscire, diede in mano a don Francesco il
suo portafoglio dicendogli: «Adesso ci sarà il solito gruppo di poveri che mi assale.
Tu farai le mie parti e darai a tutti qualcosa con criterio». Salendo in
macchina, per il ritorno, don Bellando consegnò al Cardinal Traglia il
portafoglio completamente vuoto.
Tutto questo portavo con me quest’anno, all’inizio dell’estate,
mentre con gioia e trepidazione varcavo il posto di controllo della grande
caserma dove si trova il Comando dei Carabinieri del Reparto di Tutela del
Patrimonio culturale, per andare a fare il riconoscimento della antica Croce
d’argento parrocchiale artistica appena recuperata – dopo 41 anni dal furto –
avvenuto nella parrocchia di Bardonecchia, mentre don Francesco era Parroco e
di cui si parlerà ampiamente in questo Bollettino. All’ufficiale che mi
raccontava come “casualmente” all’interno di una più vasta operazione, in mezzo
a tanta refurtiva, aprendo una cassapanca, avesse lui stesso ritrovato la Croce
di Bardonecchia, ho risposto con molta convinzione. “No, guardi, può essere
tutto, ma non un caso”. Alla mia domanda: “Ma lei è credente?”, lui da buon
carabiniere mi rispondeva: “Non solo credente, ma anche praticante”, aggiungevo
che quindi doveva pensare che questo era avvenuto per disegno della Provvidenza
e che in ciò – ne ero sicuro – c’era anche il dito di un grande sacerdote, che
fu Parroco molto stimato e amato a Bardonecchia e che soffrì moltissimo per il
furto della Croce processionale, tanto da definirla sul Bollettino del tempo:
«Una zampata del demonio».
Come ho avuto occasione di dire durante la festa patronale
di S. Ippolito a Bardonecchia, quando mi è stata fatta vedere la Croce mi sono
commosso e mi sembrava ancora più bella di quanto è già in realtà e l’ho
riconosciuta subito come quella che veniva solennemente portata in processione
nelle feste e solennità dai chierichetti più grandi, noi non ne avevamo ancora le
forze: e con quanta ammirazione e invidia guardavamo i nostri Capi Chierichetti
Gianni Bompard, Renato Montabone, Miki Negro o altri ancora issarla, proprio
come un vessillo, davanti a tutti!
Devo dire però che la commozione è stata fortissima, quando
ho scoperto che il caveau che conteneva la Croce – e tante altre preziose
suppellettili e arredi sacri recuperati – si trovava in una parte della caserma
che è a ridosso si può dire di una delle più antiche chiese e parrocchie di
Trastevere – la caserma era un tempo il convento annesso alla chiesa di cui
parliamo – San Francesco a Ripa, dove si trova, in una cappella laterale quasi
confinante con il caveau che vi dicevo, la tomba del Servo di Dio Padre
Giuseppe Spoletini, venerata proprio qui dove il Padre visse gli ultimi anni
della sua vita, fino alla morte avvenuta nel 1952. Vi assicuro che non mi è
parso per nulla un caso che fosse proprio lì, a due passi dall’urna che
contiene il suo venerato corpo, questa amata Croce, e che certo in Cielo don
Francesco non è stato con le mani in mano, in questa vicenda... Anzi molto
probabilmente quest’umile frate avrà voluto assecondare il desiderio di colui
che chiamava “l’avvocato dei poveri”, di far ritornare la Croce in parrocchia,
a Bardonecchia, proprio nel giorno in cui la popolazione avrebbe ricordato il
ventesimo anniversario della morte intitolandogli la piazza della chiesa. Sono
sicuro che non è fantasia pensarlo...
Un Parroco speciale
D’altra parte siamo sempre stati consapevoli di avere avuto
un Parroco speciale. Fra le tante cose me ne viene in mente una, per fare un
solo esempio. Quale Parroco al mondo avrebbe mai potuto essere presente agli
esercizi spirituali in Vaticano, predicati al S. Padre e alla Curia Romana,
alla fine degli anni ’80, rigorosamente riservati ai Prelati con incarichi di
responsabilità nei Dicasteri Vaticani? Solo il Parroco di Bardonecchia, invitato
ad accompagnare l’amico e compagno di collegio Cardinale Luigi Dadaglio.
Con il Cardinale Dadaglio, davanti a “La Genzianella”. |
Nell’intervallo il lento passeggiare nella Loggia di
Raffaello, nel la Sala Clementina e nella Sala del Concistoro, per poi
riguadagnare la Cappella Matilde... (oggi nella Cappella Redemptoris Mater) tra
affreschi e soffitti d’oro illuminati e con il Cardinale Dadaglio, allora
Penitenziere Maggiore di S. Romana Chiesa, si in tratteneva con discorso sommesso,
incrociando Cardinali e Prelati, tra cui il Cardinale Caprio e il Cardinale
Ratzinger.
Tutte cose raccontate con gusto e gioia del cuore da don
Francesco stesso, in confidenza familiare sul Bollettino. Sì, perché tale era
per lui la comunità parrocchiale: una famiglia (2). Era già Parroco a
Bardonecchia, quando nella sua solita vacanza romana, incontrò sul portone del
Capranica il Cardinale Traglia che per lui era come un padre, che subito gli
domandò se l’indomani mattina fosse occupato o se avesse potuto accompagnarlo.
Fiero di poter stare al suo fianco, il giorno dopo seguì il
Pro-Vicario di Roma al Quirinale, per la solenne Santa Messa del Presidente
Kennedy.
Siamo alla fine di novembre, primi di dicembre del 1963.
Furono accolti, il Cardinale pro-Vicario di Roma e don Francesco Bellando
Parroco di Bardonecchia suo accompagnatore, dal Presidente della Repubblica
Segni e dagli onori militari dei corazzieri, attesero poi nel salone degli
specchi per raggiungere poi la Cappella Paolina, già tutta occupata da
personalità del governo e autorità istituzionali e dal corpo diplomatico.
Quando il Cardinal Grano, allora Nunzio in Italia, vide don Bellando, ben
conoscendo il
protocollo inflessibile e ben riservato di queste
circostanze si stupì e chiese al nostro don Bellando come mai fosse lì: il
Parroco di Bardonecchia si spiegò, non senza destare una certa meraviglia.
Non era certo un povero Parroco di montagna, come qualche
volta, specie negli ultimi anni, amava definirsi, forse anche un po’ per
celia... Il nostro Parroco, che si trovava a suo agio nel Palazzo Apostolico
del Papa e nel Palazzo del Presidente della Repubblica Italiana, in fondo
portava con sé Bardonecchia, da cui è stato inseparabile. Lui infatti fu sempre
un tutt’uno con la sua parrocchia.
Nonostante queste frequentazioni e occasioni illustri,
sapeva relazionarsi e stare non solo con i potenti della terra, ma anche e
ancor più frequentemente e persino molto volentieri, con i semplici, gli umili,
i poveri e si trovava a suo agio con tutti. Ci sono volti, storie, trame di
vita vissuta che si affollano alla mente in quest’istante.
Tra tanti, per esempio si possono ricordare Margherita
Sedmak e i ripetuti inviti del Parroco a farla cantare in sloveno, mentre in
sacrestia con scopa e paletta in mano raccoglievano lo sporco rimasto dopo aver
sistemato i fiori in chiesa, e finalmente venivano fuori le impensate doti
canore dell’ausiliaria. Oppure a quando faceva mimare a Lisa Bonaglia il
battito accelerato del cuore, con tanto di ticchettio allegro, allietandosi di farle
brillare quell’unico dente rimasto. O quando sotto gli occhi di un don Serafino
quasi impietrito dalla sorpresa, don Bellando prendeva sua mamma, “madama
Ciapus”, e le faceva ballare la “courenta”, con tanto di musica riprodotta dal
giradischi, nella piccola sala dell’appartamento del Rettore di Maria
Ausiliatrice, ed il sottoscritto con don Paolo eravamo compiaciuti spettatori
di una scena quasi surreale che pareva un film.
Una carità pastorale che Mons. Bellando aveva appresa per
esperienza diretta dai suoi maestri, il Cardinale Traglia in primis, che tra
l’altro l’aveva ordinato sacerdote nella Cappella del Capranica il 25 marzo
1938, insieme a don Antonio Jannucci poi Arcivescovo di Pescara. Quando parlava
di Traglia, così lo chiamava tou-court, lo definiva sempre uomo umile,
nonostante che per quasi 25 anni fosse stato Arcivescovo vicegerente di Roma,
Cardinale Vicario prima e poi Cancelliere di S. Romana Chiesa. Di lui il nostro
Parroco scrisse un bellissimo ricordo, in un articolo toccante, apparso sul nostro
Bollettino pochi mesi prima della morte di don Bellando, intitolato: Un
Cardinale indimenticabile - Luigi Traglia. È stato uno dei suoi ultimi scritti
pubblicati (3). Secondo me è uno dei suoi scritti più belli, in cui ha messo
dentro molto di sé, di quanto portava nella sua vita come in radice. Lo
concluse confidando: «Lo vidi l’ultima volta, consumato dalla malattia, alla
clinica Quisisana dei Parioli. Aveva il rosario in mano, mi riconobbe e disse
soltanto: “Bellando, prega per me!”.
Povero Cardinale Traglia, con un cuore così grande: quante volte m’incaricò di
portare il suo aiuto, generoso e nascosto, ad un confratello malato ed in gravi
difficoltà economiche».
Avevo poi saputo anch’io, incuriosito e insistente nel
domandarglielo, chi fosse quel sacerdote che don Bellando, già Parroco di
Bardonecchia, andava ad aiutare inviato dal Cardinale Traglia. Anche lui, ormai
da tanti anni non è più su questa terra. Non furono per lui dei lavoretti su
commissione. No, ma occasioni che si trasformavano in forme di pienezza di
vita, vita di fede che quasi si poteva respirare, talmente era fatta di cose
concrete, come queste.
Qualcosa di don Bellando è comunque rimasto per sempre in
tutti quei suoi gesti di carità, per lo più nascosti. Qualcuno ha detto che gli
anni passano come i cortei funebri, a noi basta ricordare quei giorni per
trovare la gioia della gioventù, quella perenne, quella di una Chiesa che ci ha
dato pastori irripetibili e soprattutto con un cuore tanto grande.
Don Claudio Iovine
1 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale, gennaio 1982, pag. 28.
1 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale, gennaio 1982, pag. 28.
2 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale, gennaio 1991, pag. 30.
3 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale,
marzo 1992, pagg. 17-21