25/09/13

20 anni dalla morte di Mons. Bellando - e la Piazza a lui dedicata - (bollettino 2012)

«L’AVVOCATO DEI POVERI»
Mons. FRANCESCO BELLANDO 
* 14 maggio 1913 - † 7 ottobre 1992
Parroco di Bardonecchia dal 1946 al 1992

Nel 20º anniversario della morte di Monsignor Francesco Bellando

Santi incontrati
Non è una figura retorica, né un’immagine apologetica quella richiamata dal titolo di questo articolo, ma una verità, un aspetto della ricca personalità di Mons. Francesco Bellando, forse sconosciuto a molti e noto soprattutto agli intimi. Comunque, in origine “Avvocato dei poveri” è stata una definizione di don Bellando, coniata da un futuro Santo: il Servo di Dio Padre Giuseppe Spoletini. Una storia che chi scrive ha sentito raccontare molte volte, quasi in presa diretta, o meglio direttamente sui luoghi dove si era svolta. Non svelo nessun segreto, perché il protagonista, don Bellando stesso, l’ha resa pubblica descrivendola sul Bollettino in una puntata di quella bellissima serie di articoli: Santi incontrati sul mio cammino (1).
Accadde diverse volte che passando davanti alla chiesa delle Stimmate, all’inizio di via dei Cestari angolo piazza di Torre Argentina, in pieno centro storico di Roma, a due passi dal Pantheon, non era necessario sforzare il Parroco di Bardonecchia a partire con il racconto. Bastava dargli il là e lui raccontava come se fosse la prima volta, come solo lui sapeva fare e a me sembrava sempre di vedere la scena, anche se lo avevo già sentito decine di volte. Quella di un giovanissimo sacerdote, don Francesco appunto, brillante e avviato ad una prestigiosa carriera nella diplomazia vaticana, uomo di fiducia di alcuni illustri ed anche eminenti personalità ecclesiastiche, che spesso si confessava da un umile frate francescano che gli ispirava grande confidenza ed era definito l’apostolo del confessionale, perché si faceva trovare sempre pronto alle confessioni, proprio in quella chiesa delle Stimmate di S. Francesco. Si chiamava Padre Giuseppe Spoletini e l’aveva conosciuto già in precedenza, alle adunanze del Terz’ordine francescano del Clero, che si tenevano in piazza della Minerva 74, sede della Pontificia Accademia Ecclesiastica, dove si forma il personale ecclesiastico reclutato per la diplomazia vaticana.


Da sinistra: col. Giovanni Gubitosi, Comandante Base Logistica Tabor; gen. Pasquale Lavacca, Comandante Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta; dott. Mino Giachino, Sottosegretario di Stato ai Trasporti.
[foto E. Allia]











Il Sindaco pronuncia la motivazione che ha portato la Giunta Municipale a deliberare la intitolazione della Piazza della chiesa al Parroco monsignor Francesco Bellando. [foto A. Bosco]








«Benedici coloro che beneficeranno di questa piazza, che da oggi porterà il titolo di Piazza mons. Francesco Bellando...». [foto L. Piacenza]




Lo scoprimento della targa di intitolazione della Piazza a monsignor Francesco Bellando.
[foto A. Bosco]





Incontri, che, ricordava sempre don Bellando con quella sua caratteristica voglia di ridere, il Cardinale Caccia Dominioni che vi partecipava sempre, chiamava scherzosamente: “dei peccatori scelti”.
Nonostante fossero passati tanti anni, di P. Spoletini Monsignor Bellando ricordava ancora il modo di confessare, il suo mettere a proprio agio il penitente incitando ad immergersi nella infinita misericordia del
Signore e facilitando sempre le cose, ma anche pronunciando le parole dell’assoluzione in modo chiaro, separandole l’una dall’altra, dando l’impressione di «voler staccare il penitente dal peccato o Gesù dai chiodi della Croce».
Nella sua stanza all’Accademia Ecclesiastica (Roma) con Del Mestri (futuro Cardinale). Alle spalle foto delle montagne di Bardonecchia.


Si ricordava sempre una frase del Padre Spoletini: «La misericordia di Dio è così grande che dovrebbe darci tanta fiducia, tanta gioia!». Un umile fraticello che confessò per anni e anni Prelati, Cardinali, grandi teologi e personalità della Chiesa, che non aveva grandi studi né particolari capacità oratorie, semplicemente sapeva attirare con il profumo del Vangelo. Aveva dei grandi occhi pieni di luce che sembravano penetrare nel cuore e talvolta don Francesco ebbe la sensazione che senza dire quasi nulla il Padre già sapesse, conoscesse i peccati che stava per confessare o li anticipasse addirittura, con quel fenomeno ricorrente nei Santi e che si chiama la scrutatio cordis. 
Servo di Dio P. Giuseppe Spoletini
Don Bellando era uomo di grandi relazioni sin da giovanissimo, ed aveva intrecciato una trama di solidi rapporti con tanta gente – che tra l’altro seppe sempre ben coltivare e conservare per tutta la vita – in particolare con esponenti di famiglie illustri e ben note, oltre che con grandi personalità ecclesiastiche del tempo. Per questi motivi ed anche perché lavorava in Vaticano, con agganci internazionali sempre efficaci, specie negli anni difficili della guerra, poté essere utile a Padre Spoletini.
Lo aiutò infatti per alcune pratiche concrete di sussidi per i poveri, anche grazie a Mons. Luigi Solari, già Vice-rettore del suo Collegio, l’Almo Collegio Capranica, cui fu legatissimo per tutta la vita e che fu Vice-elemosiniere di Sua Santità. Da queste circostanze nacque un’abitudine che don Bellando in realtà aveva sempre un po’ di pudore a far conoscere.
Da allora, quando il P. Spoletini incontrava don Bellando, in chiesa, in Vaticano o per strada, si toglieva lo zucchetto francescano e lo salutava dicendo: «Ecco l’avvocato dei poveri». Le prime volte don Francesco pensò che il Padre avesse sbagliato persona, poi, collegando le cose capì meglio.

Poveri in fila e in casa
Padre Spoletini non esagerava, anzi, come tutti i Santi fu anche un po’ profeta.
Infatti i poveri sono stati una presenza costante, mai ostentata, anzi tenuta piuttosto nascosta, in tutta la vita di Monsignor Bellando. Ne ha aiutati tantissimi, tutti quelli che ha potuto, con grande rispetto e spirito di fede, anche quando poteva essere palese che chi stava aiutando, forse non solo non era persona integerrima, se pure indigente, ma magari anche truffatore e forse un po’ furfante. Per lui era valido ciò che la spiritualità cristiana vera ha sempre contemplato: l’elemosina, l’aiuto al povero, non va mai perduto, chiunque esso sia.
Gli stessi familiari ne furono sempre preoccupati, fin dall’inizio del suo ministero a Bardonecchia, perché vedevano, e come loro i collaboratori diretti, che in certi momenti si formava quasi una fila di gente che andava a chiedere aiuti e temevano che un giorno o l’altro sarebbe rimasto sul lastrico. Ne parlavamo l’estate scorsa con la nipote dott.ssa Federica Rigoli che lo ricorda benissimo, dopo la conversazione con don Paolo, il dott. Introvigne e il dott. Albera dal titolo: “Don Bellando visto da vicino”, tenuta in chiesa parrocchiale, per lodevole iniziativa di don Franco, in occasione del ventesimo anniversario della morte. Nonostante i timori familiari, il fenomeno è tuttavia persistito per tutto l’arco dei suoi 46 anni di parrocchia e lui ha sempre continuato ad aiutare, il più delle volte nascondendosi letteralmente, per non sentire i rimbrotti di chi gli ricordava, in maniera fin troppo diretta, chi erano coloro che stava aiutando.
Quanti hanno vissuto in parrocchia sanno bene che i poveri sapevano industriarsi finché ce la facevano ad incontrarlo, nonostante i dinieghi delle persone di casa o dei collaboratori che, ingenuamente, cercavano di difenderlo e di proteggerlo dall’assalto di chi lo cercava per l’elemosina.
La carità poi raggiungeva forme industriose e molto concrete e gli permise di aiutare tanta gente a trovare lavoro o a migliorare l’impiego per il bene delle famiglie. Non parliamo poi di trasferimenti, promozioni, e quant’altro per ogni genere di situazioni che lo videro impegnarsi in prima persona e mai desistere finché ottenesse almeno qualche segno positivo. Tante volte poi provvide a far alloggiare chi veniva da lontano a chiedere aiuto, perché avesse almeno un posto per passare una notte. Con qualche persona  particolarmente bisognosa, ma volenterosa poi, per anni, si preoccupò di accoglierla in casa parrocchiale, di tanto in tanto, e di provvedere alle sue necessità, in cambio di qualche lavoretto o servizi vari, con  conseguenze, talvolta di disagio, in qualche caso persino situazioni avventurose che tutto ciò poteva comportare.
Per tanto tempo fu impegnato – anche come Presidente – nell’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza), un patronato che raccoglieva fondi in grado di venire incontro a situazioni singole o familiari particolarmente bisognose di aiuto e assolse sempre il suo compito con partecipazione, rispetto della dignità delle persone e senso molto pratico, com’era nella sua indole.
Chi scrive può testimoniare – e con lui le persone che hanno conosciuto da vicino quest’aspetto della vita di Monsignore – che mettendo tutto insieme si potrebbe parlare di un vero patrimonio, speso a servizio dei poveri, senza mai far sapere “alla tua sinistra ciò che fa la tua destra”!

Maestri di vita
Cardinale Luigi Traglia,
Vicario di Roma.
Era rimasto vivo in lui il grande insegnamento che aveva ricevuto da giovanissimo. Per esempio quello che gli capitava quando accompagnava il Cardinale Traglia, che sarà Vicario di Roma. Una volta gli chiese d’accompagnarlo alla festa di Santa Francesca Romana alla Basilica di S. Maria Nuova al Foro. Al termine, prima di uscire, diede in mano a don Francesco il suo portafoglio dicendogli: «Adesso ci sarà il solito gruppo di poveri che mi assale. Tu farai le mie parti e darai a tutti qualcosa con criterio». Salendo in macchina, per il ritorno, don Bellando consegnò al Cardinal Traglia il portafoglio completamente vuoto.
Tutto questo portavo con me quest’anno, all’inizio dell’estate, mentre con gioia e trepidazione varcavo il posto di controllo della grande caserma dove si trova il Comando dei Carabinieri del Reparto di Tutela del Patrimonio culturale, per andare a fare il riconoscimento della antica Croce d’argento parrocchiale artistica appena recuperata – dopo 41 anni dal furto – avvenuto nella parrocchia di Bardonecchia, mentre don Francesco era Parroco e di cui si parlerà ampiamente in questo Bollettino. All’ufficiale che mi raccontava come “casualmente” all’interno di una più vasta operazione, in mezzo a tanta refurtiva, aprendo una cassapanca, avesse lui stesso ritrovato la Croce di Bardonecchia, ho risposto con molta convinzione. “No, guardi, può essere tutto, ma non un caso”. Alla mia domanda: “Ma lei è credente?”, lui da buon carabiniere mi rispondeva: “Non solo credente, ma anche praticante”, aggiungevo che quindi doveva pensare che questo era avvenuto per disegno della Provvidenza e che in ciò – ne ero sicuro – c’era anche il dito di un grande sacerdote, che fu Parroco molto stimato e amato a Bardonecchia e che soffrì moltissimo per il furto della Croce processionale, tanto da definirla sul Bollettino del tempo: «Una zampata del demonio».
Come ho avuto occasione di dire durante la festa patronale di S. Ippolito a Bardonecchia, quando mi è stata fatta vedere la Croce mi sono commosso e mi sembrava ancora più bella di quanto è già in realtà e l’ho riconosciuta subito come quella che veniva solennemente portata in processione nelle feste e solennità dai chierichetti più grandi, noi non ne avevamo ancora le forze: e con quanta ammirazione e invidia guardavamo i nostri Capi Chierichetti Gianni Bompard, Renato Montabone, Miki Negro o altri ancora issarla, proprio come un vessillo, davanti a tutti!
Devo dire però che la commozione è stata fortissima, quando ho scoperto che il caveau che conteneva la Croce – e tante altre preziose suppellettili e arredi sacri recuperati – si trovava in una parte della caserma che è a ridosso si può dire di una delle più antiche chiese e parrocchie di Trastevere – la caserma era un tempo il convento annesso alla chiesa di cui parliamo – San Francesco a Ripa, dove si trova, in una cappella laterale quasi confinante con il caveau che vi dicevo, la tomba del Servo di Dio Padre Giuseppe Spoletini, venerata proprio qui dove il Padre visse gli ultimi anni della sua vita, fino alla morte avvenuta nel 1952. Vi assicuro che non mi è parso per nulla un caso che fosse proprio lì, a due passi dall’urna che contiene il suo venerato corpo, questa amata Croce, e che certo in Cielo don Francesco non è stato con le mani in mano, in questa vicenda... Anzi molto probabilmente quest’umile frate avrà voluto assecondare il desiderio di colui che chiamava “l’avvocato dei poveri”, di far ritornare la Croce in parrocchia, a Bardonecchia, proprio nel giorno in cui la popolazione avrebbe ricordato il ventesimo anniversario della morte intitolandogli la piazza della chiesa. Sono sicuro che non è fantasia pensarlo...

Un Parroco speciale
D’altra parte siamo sempre stati consapevoli di avere avuto un Parroco speciale. Fra le tante cose me ne viene in mente una, per fare un solo esempio. Quale Parroco al mondo avrebbe mai potuto essere presente agli esercizi spirituali in Vaticano, predicati al S. Padre e alla Curia Romana, alla fine degli anni ’80, rigorosamente riservati ai Prelati con incarichi di responsabilità nei Dicasteri Vaticani? Solo il Parroco di Bardonecchia, invitato ad accompagnare l’amico e compagno di collegio Cardinale Luigi Dadaglio.
Con il Cardinale Dadaglio,
davanti a “La Genzianella”.
Nell’intervallo il lento passeggiare nella Loggia di Raffaello, nel la Sala Clementina e nella Sala del Concistoro, per poi riguadagnare la Cappella Matilde... (oggi nella Cappella Redemptoris Mater) tra affreschi e soffitti d’oro illuminati e con il Cardinale Dadaglio, allora Penitenziere Maggiore di S. Romana Chiesa, si in tratteneva con discorso sommesso, incrociando Cardinali e Prelati, tra cui il Cardinale Caprio e il Cardinale Ratzinger.
Tutte cose raccontate con gusto e gioia del cuore da don Francesco stesso, in confidenza familiare sul Bollettino. Sì, perché tale era per lui la comunità parrocchiale: una famiglia (2). Era già Parroco a Bardonecchia, quando nella sua solita vacanza romana, incontrò sul portone del Capranica il Cardinale Traglia che per lui era come un padre, che subito gli domandò se l’indomani mattina fosse occupato o se avesse potuto accompagnarlo.
Fiero di poter stare al suo fianco, il giorno dopo seguì il Pro-Vicario di Roma al Quirinale, per la solenne Santa Messa del Presidente Kennedy.
Siamo alla fine di novembre, primi di dicembre del 1963. Furono accolti, il Cardinale pro-Vicario di Roma e don Francesco Bellando Parroco di Bardonecchia suo accompagnatore, dal Presidente della Repubblica Segni e dagli onori militari dei corazzieri, attesero poi nel salone degli specchi per raggiungere poi la Cappella Paolina, già tutta occupata da personalità del governo e autorità istituzionali e dal corpo diplomatico. Quando il Cardinal Grano, allora Nunzio in Italia, vide don Bellando, ben conoscendo il
protocollo inflessibile e ben riservato di queste circostanze si stupì e chiese al nostro don Bellando come mai fosse lì: il Parroco di Bardonecchia si spiegò, non senza destare una certa meraviglia.
Non era certo un povero Parroco di montagna, come qualche volta, specie negli ultimi anni, amava definirsi, forse anche un po’ per celia... Il nostro Parroco, che si trovava a suo agio nel Palazzo Apostolico del Papa e nel Palazzo del Presidente della Repubblica Italiana, in fondo portava con sé Bardonecchia, da cui è stato inseparabile. Lui infatti fu sempre un tutt’uno con la sua parrocchia.
Nonostante queste frequentazioni e occasioni illustri, sapeva relazionarsi e stare non solo con i potenti della terra, ma anche e ancor più frequentemente e persino molto volentieri, con i semplici, gli umili, i poveri e si trovava a suo agio con tutti. Ci sono volti, storie, trame di vita vissuta che si affollano alla mente in quest’istante.
Tra tanti, per esempio si possono ricordare Margherita Sedmak e i ripetuti inviti del Parroco a farla cantare in sloveno, mentre in sacrestia con scopa e paletta in mano raccoglievano lo sporco rimasto dopo aver sistemato i fiori in chiesa, e finalmente venivano fuori le impensate doti canore dell’ausiliaria. Oppure a quando faceva mimare a Lisa Bonaglia il battito accelerato del cuore, con tanto di ticchettio allegro, allietandosi di farle brillare quell’unico dente rimasto. O quando sotto gli occhi di un don Serafino quasi impietrito dalla sorpresa, don Bellando prendeva sua mamma, “madama Ciapus”, e le faceva ballare la “courenta”, con tanto di musica riprodotta dal giradischi, nella piccola sala dell’appartamento del Rettore di Maria Ausiliatrice, ed il sottoscritto con don Paolo eravamo compiaciuti spettatori di una scena quasi surreale che pareva un film.
Una carità pastorale che Mons. Bellando aveva appresa per esperienza diretta dai suoi maestri, il Cardinale Traglia in primis, che tra l’altro l’aveva ordinato sacerdote nella Cappella del Capranica il 25 marzo 1938, insieme a don Antonio Jannucci poi Arcivescovo di Pescara. Quando parlava di Traglia, così lo chiamava tou-court, lo definiva sempre uomo umile, nonostante che per quasi 25 anni fosse stato Arcivescovo vicegerente di Roma, Cardinale Vicario prima e poi Cancelliere di S. Romana Chiesa. Di lui il nostro Parroco scrisse un bellissimo ricordo, in un articolo toccante, apparso sul nostro Bollettino pochi mesi prima della morte di don Bellando, intitolato: Un Cardinale indimenticabile - Luigi Traglia. È stato uno dei suoi ultimi scritti pubblicati (3). Secondo me è uno dei suoi scritti più belli, in cui ha messo dentro molto di sé, di quanto portava nella sua vita come in radice. Lo concluse confidando: «Lo vidi l’ultima volta, consumato dalla malattia, alla clinica Quisisana dei Parioli. Aveva il rosario in mano, mi riconobbe e disse soltanto:  “Bellando, prega per me!”. Povero Cardinale Traglia, con un cuore così grande: quante volte m’incaricò di portare il suo aiuto, generoso e nascosto, ad un confratello malato ed in gravi difficoltà economiche».
Avevo poi saputo anch’io, incuriosito e insistente nel domandarglielo, chi fosse quel sacerdote che don Bellando, già Parroco di Bardonecchia, andava ad aiutare inviato dal Cardinale Traglia. Anche lui, ormai da tanti anni non è più su questa terra. Non furono per lui dei lavoretti su commissione. No, ma occasioni che si trasformavano in forme di pienezza di vita, vita di fede che quasi si poteva respirare, talmente era fatta di cose concrete, come queste.
Qualcosa di don Bellando è comunque rimasto per sempre in tutti quei suoi gesti di carità, per lo più nascosti. Qualcuno ha detto che gli anni passano come i cortei funebri, a noi basta ricordare quei giorni per trovare la gioia della gioventù, quella perenne, quella di una Chiesa che ci ha dato pastori irripetibili e soprattutto con un cuore tanto grande.
Don Claudio Iovine

1 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale, gennaio 1982, pag. 28.
2 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale, gennaio 1991, pag. 30.
3 Cfr. Bardonecchia, Echi di vita parrocchiale, marzo 1992, pagg. 17-21