Casa Suspize a Bardonecchia (foto:Archivio) |
Fino ad una decina di anni fa Bardonecchia esibiva nel suo centro storico, in Borgo Vecchio, proprio all’incrocio con il percorso che conduce alla zona della cultura, dello spettacolo e dello sport, il viale Cappuccio, una lapide: «Qui dimorò in piena serenità familiare dal 1903 al 1926 nelle ricorrenti vacanze estive, Giovanni Giolitti, mente eccelsa di statista, aperta a tutte le libertà nell’ordine, al progresso e alla previdenza, creò l’età dell’oro dell’Italia nostra col lavoro e la giustizia sociale, Bardonecchia ricorda il suo illustre concittadino».
Demolita con la più incredibile indifferenza per i valori della storia e della memoria nel dicembre 1994, la casa su cui questa scritta si reggeva già di proprietà della famiglia Suspize e, successivamente, donata al Comune, era una sobria costruzione ottocentesca non priva di eleganza che, all’ingresso del Borgo Vecchio, connotava un angolo fra i più pittoreschi e tipici della città.
Fu proprio durante uno di questi soggiorni estivi che Bardonecchia si trasformò improvvisamente in un convulso punto di incontro di industriali, uomini politici, organizzatori sindacali. Era l’agosto 1920 e all’Alfa Romeo di Milano erano scoppiati seri disordini estesisi in breve anche a Torino, dove mezzo milione di operai occupò le fabbriche scatenando nel Paese momenti di vero panico. Imprenditori e padroni corsero dallo statista per avere la via libera ad usare le maniere forti (già sperimentate senza alcun successo dal Crispi nel 1894 e dal Pelloux nel 1898).
Giolitti, quale capo del Governo, ne aveva l’autorità; non si scompose e si preparò ad ascoltare i capitani d’industria e le loro indignazioni. Li guidava l’ing. De benedetti, il quale era per le maniere non solo forti ma fortissime. Suggeriva infatti di dare un esempio vigoroso bombardando le fabbriche. Giolitti, dopo averlo attentamente ascoltato, trovò buona l’idea, lo ringraziò del consiglio e «darò ordine di cominciare subito dalla sua» disse con garbata ironia. In questo modo, tra il serio e il faceto con cui era solito risolvere anche le situazioni più gravi, si esprime tutto il carattere di Giovanni Giolitti.
I contemporanei che lo amavano attribuivano il lungo successo parlamentare dell’uomo politico piemontese alle sue grandi doti umane e alla sua abilità di amministratore; gli oppositori, alla sua astuzia politica che giudicavano non sempre eccepibile.
I suo biografi, giovandosi dei documenti del tempo, hanno messo in evidenza i suoi meriti e le sue colpe, ma non potranno mai spiegarne la grandezza se non terranno conto della sua grande personalità.
Nel Palazzo delle Feste di Bardonecchia è stato presentato un libro nuovo, unico, che con originale taglio storico, ricco di infiniti particolari scaturiti da una ricerca eccezionalmente documentata, riproduce il personaggio Giolitti. L’autore, Aldo Alessandro Mola, l’ha intitolato «Giovanni Giolitti, lo statista della nuova Italia» edito nelle Scie Mondadori. E, in contemporanea, è in corso la mostra «Giovanni Giolitti nella satira politica, la nascita dell’Italia odierna» promossa dal Centro Europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato di Dronero che, a cura di Dino Aloi, ritrae lo statista in infinite caricature, sottolineando con il garbo e l’acume dell’ironia la sua lunga carriera di statista della nuova Italia.
Fu Casimiro Teja, grande disegnatore ed umorista, fondatore del «Pasquino», a coniare per Giolitti il soprannome di «Palamidone», a causa del suo lungo pastrano, diventato col tempo quasi una divisa. È probabile che nei soggiorni estivi a Bardonecchia lo statista ne facesse a meno, mentre dalla casa dell’avvocato Carlo Suspize, che lo ospitava, scendava per la via Medail fino ad arrivare al caffè omonimo, ritrovo di tante personalità (e sede, al primo piano, del suo estivo ufficio di governo); oppure quando si avviava alla fontana, che ancor oggi è ricordata come «Fontana Giolitti», salutando con bonomia dall’alto della sua statura amici e conoscenti.
Ha scritto di lui Luigi Firpo (in «Gente di Piemonte», Milano 1983): «Alto, imponente, nero come un corvo, uso ad un vestire sobrio e austero, gran camminatore di monte e di piano, schermitore di valentia professionale». Così, con amichevole deferenza, lo descrivevano i valligiani, con i quali, all’occasione, non disdegnava di scambiare quattro chiacchiere. A Bardonecchia, dove soggiornava nei mesi più caldi dell’estate, trovandola più fresca di Cavour, Giolitti concepì l’idea di scrivere le sue «Memorie». Fu il suo amico giornalista Olindo Malagodi a suggerirglielo: era l’agosto 1921, quando lo statista era prossimo agli ottanta anni. Tra le carte sparse di Giolitti, raccolte in tre volumi, è presente una nutrita corrispondenza indirizzata a Bardonecchia, che dimostra quanto la vita politica arrivasse fino a lui anche durante le vacanze estive.
Sono lettere di amicizia e di devozione che gli portarono consensi e preoccupazioni: come quella del ministro del Tesoro Luigi Luzzatti che, in data 21 luglio 1904, gli comunica di sapere con certezza «che si stanno facendo arrolamenti clandestini per una eventuale invasione di garibaldini nell’Austria… Te lo avverto perché lo considero il sommo pericolo nel presente momento. Bisogna togliere ogni pretesto all’Austria per nocerci…».
Alla vigilia della guerra di Libia, il ministro degli Esteri Antonino Paternò di San Giulianom in data 9 agosto 1911, gli scrive: «… penso avrai letto a quest’ora il mio promemoria del 28 luglio sulla questione della Tripolitania da me consegnato a Peano perché tu lo legga a Bardonecchia…».
Il 25 agosto 1914, con un’altra guerra in vista, il deputato Camillo Peano gli comunica di essere preoccupato «per gli avvenimenti che si svolgono in Europa, e che tutta la stampa parteggia per la Triplice Intesa … da due sere seguono dimostrazioni al grido di viva Trento e Trieste … Mi si dice che Sua Maestà sia in condizioni di salute tutt’altro che buone per grave eccitazione nervosa».
In una lettera del giorno successivo, la preoccupazione del Peano aumenta ancora perché pare che «… Sua Eccellenza San Giuliano avrebbe idea di cambiare linea di condotta, uscire cioè dalla neutralità ed appoggiare la Triplice Intesa». Una nota a margine autografa di Giolitti ribadisce il suo pensiero in merito all’intervento italiano nella guerra: «Risposto che già feci sapere la mia opinione nel senso di mantenere la neutralità». Pensiero che fu quanto mai disatteso dal re Vittorio Emanuele III a favore dell’intervento italiano.
Questi pochi frammenti di un’azione di governo esercitata da questo sito di montagna, scelto per ritemprare le forze e per donare la necessaria serenità, rendono la Bardonecchia di oggi particolarmente fiera di presentare nel suo Palazzo delle Feste la ricca vicenda biografica di questo uomo giusto, di questo statista illuminato di cui essa conserva, proprio nella sorgente benefica ai piedi del Colomion, il celebre e riverito nome.
Demolita con la più incredibile indifferenza per i valori della storia e della memoria nel dicembre 1994, la casa su cui questa scritta si reggeva già di proprietà della famiglia Suspize e, successivamente, donata al Comune, era una sobria costruzione ottocentesca non priva di eleganza che, all’ingresso del Borgo Vecchio, connotava un angolo fra i più pittoreschi e tipici della città.
Fu proprio durante uno di questi soggiorni estivi che Bardonecchia si trasformò improvvisamente in un convulso punto di incontro di industriali, uomini politici, organizzatori sindacali. Era l’agosto 1920 e all’Alfa Romeo di Milano erano scoppiati seri disordini estesisi in breve anche a Torino, dove mezzo milione di operai occupò le fabbriche scatenando nel Paese momenti di vero panico. Imprenditori e padroni corsero dallo statista per avere la via libera ad usare le maniere forti (già sperimentate senza alcun successo dal Crispi nel 1894 e dal Pelloux nel 1898).
Giolitti, quale capo del Governo, ne aveva l’autorità; non si scompose e si preparò ad ascoltare i capitani d’industria e le loro indignazioni. Li guidava l’ing. De benedetti, il quale era per le maniere non solo forti ma fortissime. Suggeriva infatti di dare un esempio vigoroso bombardando le fabbriche. Giolitti, dopo averlo attentamente ascoltato, trovò buona l’idea, lo ringraziò del consiglio e «darò ordine di cominciare subito dalla sua» disse con garbata ironia. In questo modo, tra il serio e il faceto con cui era solito risolvere anche le situazioni più gravi, si esprime tutto il carattere di Giovanni Giolitti.
I contemporanei che lo amavano attribuivano il lungo successo parlamentare dell’uomo politico piemontese alle sue grandi doti umane e alla sua abilità di amministratore; gli oppositori, alla sua astuzia politica che giudicavano non sempre eccepibile.
I suo biografi, giovandosi dei documenti del tempo, hanno messo in evidenza i suoi meriti e le sue colpe, ma non potranno mai spiegarne la grandezza se non terranno conto della sua grande personalità.
Nel Palazzo delle Feste di Bardonecchia è stato presentato un libro nuovo, unico, che con originale taglio storico, ricco di infiniti particolari scaturiti da una ricerca eccezionalmente documentata, riproduce il personaggio Giolitti. L’autore, Aldo Alessandro Mola, l’ha intitolato «Giovanni Giolitti, lo statista della nuova Italia» edito nelle Scie Mondadori. E, in contemporanea, è in corso la mostra «Giovanni Giolitti nella satira politica, la nascita dell’Italia odierna» promossa dal Centro Europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato di Dronero che, a cura di Dino Aloi, ritrae lo statista in infinite caricature, sottolineando con il garbo e l’acume dell’ironia la sua lunga carriera di statista della nuova Italia.
Fu Casimiro Teja, grande disegnatore ed umorista, fondatore del «Pasquino», a coniare per Giolitti il soprannome di «Palamidone», a causa del suo lungo pastrano, diventato col tempo quasi una divisa. È probabile che nei soggiorni estivi a Bardonecchia lo statista ne facesse a meno, mentre dalla casa dell’avvocato Carlo Suspize, che lo ospitava, scendava per la via Medail fino ad arrivare al caffè omonimo, ritrovo di tante personalità (e sede, al primo piano, del suo estivo ufficio di governo); oppure quando si avviava alla fontana, che ancor oggi è ricordata come «Fontana Giolitti», salutando con bonomia dall’alto della sua statura amici e conoscenti.
Ha scritto di lui Luigi Firpo (in «Gente di Piemonte», Milano 1983): «Alto, imponente, nero come un corvo, uso ad un vestire sobrio e austero, gran camminatore di monte e di piano, schermitore di valentia professionale». Così, con amichevole deferenza, lo descrivevano i valligiani, con i quali, all’occasione, non disdegnava di scambiare quattro chiacchiere. A Bardonecchia, dove soggiornava nei mesi più caldi dell’estate, trovandola più fresca di Cavour, Giolitti concepì l’idea di scrivere le sue «Memorie». Fu il suo amico giornalista Olindo Malagodi a suggerirglielo: era l’agosto 1921, quando lo statista era prossimo agli ottanta anni. Tra le carte sparse di Giolitti, raccolte in tre volumi, è presente una nutrita corrispondenza indirizzata a Bardonecchia, che dimostra quanto la vita politica arrivasse fino a lui anche durante le vacanze estive.
Sono lettere di amicizia e di devozione che gli portarono consensi e preoccupazioni: come quella del ministro del Tesoro Luigi Luzzatti che, in data 21 luglio 1904, gli comunica di sapere con certezza «che si stanno facendo arrolamenti clandestini per una eventuale invasione di garibaldini nell’Austria… Te lo avverto perché lo considero il sommo pericolo nel presente momento. Bisogna togliere ogni pretesto all’Austria per nocerci…».
Alla vigilia della guerra di Libia, il ministro degli Esteri Antonino Paternò di San Giulianom in data 9 agosto 1911, gli scrive: «… penso avrai letto a quest’ora il mio promemoria del 28 luglio sulla questione della Tripolitania da me consegnato a Peano perché tu lo legga a Bardonecchia…».
Il 25 agosto 1914, con un’altra guerra in vista, il deputato Camillo Peano gli comunica di essere preoccupato «per gli avvenimenti che si svolgono in Europa, e che tutta la stampa parteggia per la Triplice Intesa … da due sere seguono dimostrazioni al grido di viva Trento e Trieste … Mi si dice che Sua Maestà sia in condizioni di salute tutt’altro che buone per grave eccitazione nervosa».
In una lettera del giorno successivo, la preoccupazione del Peano aumenta ancora perché pare che «… Sua Eccellenza San Giuliano avrebbe idea di cambiare linea di condotta, uscire cioè dalla neutralità ed appoggiare la Triplice Intesa». Una nota a margine autografa di Giolitti ribadisce il suo pensiero in merito all’intervento italiano nella guerra: «Risposto che già feci sapere la mia opinione nel senso di mantenere la neutralità». Pensiero che fu quanto mai disatteso dal re Vittorio Emanuele III a favore dell’intervento italiano.
Questi pochi frammenti di un’azione di governo esercitata da questo sito di montagna, scelto per ritemprare le forze e per donare la necessaria serenità, rendono la Bardonecchia di oggi particolarmente fiera di presentare nel suo Palazzo delle Feste la ricca vicenda biografica di questo uomo giusto, di questo statista illuminato di cui essa conserva, proprio nella sorgente benefica ai piedi del Colomion, il celebre e riverito nome.
di Maria Luisa Tibone
articolo rinserito nel sito:www.giovannigiolitti.it