TREDICI SECOLI DI STORIA
Un invito alla visita dell’Abbazia di Novalesa
IL VISITATORE che, negli scorsi mesi è salito lungo la valle verso
il Moncenisio, fino all’Abbazia di Novalesa per ammirarvi la stupenda mostra di
codici qui ospitata della mostra “Carlo Magno e le Alpi”, può completare in
questo anno in cui Torino con la sua Provincia è stata definita dall’UNESCO
“Capitale mondiale del Libro con Roma” la visita del monumento con la lettura
di un importante libro intitolato “Nuove luci dall’abbazia”. Con i tipi
dell’Electa l’ha curato Maria Grazia Cerri per proporre, dopo ricchi ed
accurati lavori di restauro coordinati da Andrea Bruno e sostenuti dalla
Provincia di Torino e dalla Compagnia di San Paolo, storia e arte dell’abbazia
altomedievale.
Il testo raccoglie le rivelazioni degli scavi archeologici attuati
nel tracciato murario preesistente all’attuale chiesa: due fasi preromaniche e
una, più o meno corrispondente al disegno attuale, romanica e i resti della
cappella della SS. Trinità con l’emozionante lacerto dell’affresco con la
lapidazione di santo Stefano.
I contributi architettonici, descritti da Gisella Cantino Wataghin
si accordano con i reperti scultorei medievali studiati da Stefania Ugge:
alcuni, inediti, in loco; altri del Museo Civico di Palazzo Madama. Sono
reperti tardoantichi di grande interesse a nastri, cerchi, nodi e ventagli, a
trame geometriche arricchite un tempo dal colore di cui si leggono tracce e
rivelano in alto medioevo la presenza di botteghe lapicide evolute.
«Nei primi secoli di vita, protetta dalla corte merovingica in
seguito dai Carolingi (anche Carlo Magno, amico dell’abate Frodoino, vi era
ospitato) l’abbazia, ricca di possedimenti qua e di là delle Alpi, godeva di
prestigio e privilegi tali da affermare la propria autorevolezza ben oltre i
confini della valle». Le parole della Cerri alludono alla ricca storia della
Novalesa che affascina, proposta nel volume da Giuseppe Sergi.
Qui il percorso della via Francigena conduceva pellegrini e
mercanti; il suono delle campane, diffuso dall’ampia torre campanaria,
raggiungeva chi percorreva la valle rivelando la presenza del monastero a cui
l’abate Eldrado conferiva, tra VII e IX secolo, prestigio, arricchendo lo
scriptorium e sviluppando l’attività edilizia. “Immagini ed apparati per il
culto e la memoria” sono proposti da Guido Gentile che, procedendo
dall’intarsio di storia e leggende costituito dal “Chronicon Novaliciense”
propone la descrizione degli affreschi ora ritrovati ricuperando ipotesi
stratigrafiche relative alle cappelle, alla navata, al coro ligneo un tempo nel
presbiterio. Di quest’ultimo, riccamente intagliato per committenza dell’abate
Aschieri (1398-1452), oggi nella chiesa parrocchiale di Sant’Ippolito a
Bardonecchia, si propone una attenta lettura che consente di collegare così –
con un trait-d’union storico artistico di massimo interesse – la cittadina sita
al termine della Valle di Susa con l’antico monastero della Val Cenischia,
sulla strada del Moncenisio.
Proprio lo studio degli stalli così ricchi e complessi, opera di
artigiani di area alpina, forse savoiardi, restituisce pregnante presenza
all’opera scolpita che merita di essere meglio proposta alla lettura dei
visitatori.
Tra le altre ipotesi suggestive è il possibile riconoscimento
dell’ancona dell’altar maggiore di cui potrebbero essere parte le due tavolette
dipinte attribuite a Jaquerio, giunte ai Musei Civici torinesi nel 1975 e
presentate recentemente al Valentino nell’esposizione sul Gotico internazionale
a Torino intitolata “Corti e Città”.
Le bellisssime figure di Santi benedettini, affrescate a Novalesa
nel presbiterio della chiesa abbaziale, attribuite ad Antoine de Lonhy, sono
descritte da Gentile come “maestosi attori di una rappresentazione” con
realistici ritratti. Ad essi conferisce drammatica pregnanza la crivellatura
scalpellata a cui nel tempo sono stati sottoposti. S’aggiungono le “vigorose e
quasi scontrose” figure di quattro profeti nel sottarco d’ingresso e nella
parete sud. Quanto i visitatori della chiesa abbaziale possono ora godere si
completa con il pannello di alabastro del Museo d’arte sacra di Susa, ricordato
in un inventario dell’abbazia del 1644. È opera di scultura inglese,
frammentaria ma di grande interesse; è stato un acquisto antico, tramite i
Paesi Bassi? L’ipotesi è una delle suggestioni che si traggono dal saggi del
volume in cui ancora Claudio Bertolotto presenta gli affreschi ritrovati nel
Salone Carlo Magno e nella Camera Stellata. Fra Duecento e Trecento sono
partiture decorative che, come quelle della Camera delle rose e di quella degli
stemmi, inducono attente indagini critiche. Sempre denso di mistero è ancora,
nell’antico refettorio, sulla parete verso il chiostro il piccolo affresco
monocromo con un cavaliere che caccia un animale maculato: una tigre? Un motivo
assolutamente originale, collegabile a immagini riprodotte su tessuti
orientali.
Il fascino di una visita a Novalesa, in cui tutti questi motivi
possono essere proposti, si arricchisce con il ricordo del museo che rivela i
segreti del restauro cartaceo. Dalla pergamena alla carta, dal legno alla cera,
alla pietra, al papiro; dagli strumenti per la scrittura alla conoscenza
strutturale del libro – con la presenza drammatica di un volume disastrato –
alla patologia e finalmente alle tecniche di restauro che, nel laboratorio
organizzato da padre Daniele Mazzucco, veneziano giunto dall’isola di San
Giorgio, si realizzarono
fin dal 1973 in un laboratorio tra i più prestigiosi in Europa.
Maria Luisa Tibone