L’ANGOLO DELLA
CULTURA
L’abate
Baruffi e la festa di Sant’Ippolito
Uno dei
personaggi che molto contribuì a provincializzare lo Stato sabaudo fu sicuramente
il monregalese abate Baruffi, docente presso l’Università di Torino, il quale
si occupò oltre che di filosofia, anche di letteratura, storia e scienze
naturali.
Ritratto di Luigi Des Ambrois de Névache.
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Dal 1834
viaggiò molto attraverso paesi come: Olanda, Austria, Ungheria, Egitto e Turchia
inviando un resoconto sottoforma di lettere alla “Gazzetta Piemontese”; le
lettere vennero poi raccolte in tre volumi stampati nel
1841. Molte furono anche le “passeggiate autunnali” nei dintorni di Torino.
Durante una di
queste “passeggiate” nell’agosto del 1861 l’abate si recava in alta Val Susa, ospite a Oulx
del cavaliere Luigi Des Ambrois de Névache, per visitare i lavori del traforo e
«presentare una relazione sullo stato presente di quest’opera gigantesca al
congresso scientifico di Francia, che doveva aprirsi il 16 del prossimo mese di
settembre nella città di Bordeaux»
«Il caldo
estremo e prolungato eccessivamente aveva fatta quasi deserta la città di Torino,
sicchè si correva oltre il consueto della stagione in cerca di aure fresche e
trovai i vagoni della strada ferrata pieni zeppi di torinesi e di viaggiatori.
Da Susa a Bardonnêche sedeva meco nel
coupé della diligenza un
vecchio belga oltre ottuagenario e molto allegro, il quale aveva lasciato pochi
dì prima Bruxelles per correre ad abbracciare ancora una volta un vecchio amico
compaesano, addetto ai lavori del traforo delle Alpi.
Il calore
eccessivo, il sole che pareva voler abbruciare la carrozza co’ suoi raggi, e la
gran nube di polvere che ci avviluppò costantemente, non mi concessero di goder
del piacere delle variate in questa curiosa strada montanina»
Il viaggio da
Torino a Susa, avveniva lungo la strada ferrata, inaugurata nel maggio del
1854, e offriva interessanti digressioni come un’amena ed istruttiva passeggiata
alla Sagra di San Michele, ai laghi d’Avigliana, a Susa coll’Arco d’Augusto e
le rovine della Brunetta, «… colle sue leggende e tradizioni storiche e col bel
paesaggio, somministra ampia materia di visite, di studi, di riflessioni d’ogni
maniera … Simili piaceri colti in un bel giorno di primavera o d’autunno, due
stagioni ugualmente poetiche, la prima ricordando le speranze, e la seconda le rimembranze
della vita, sono dolcissimi e si possono quasi moltiplicare a piacimento,
ripetendo simili escursioni colla compagnia simpatica de qualche colto e lieto
amico».
Una volta
giunti a Oulx il viaggiatore poteva proseguire il viaggio in diligenza fino a Briançon
oppure con la carrozza del corriere in un’ora e mezza circa si poteva
giungere alla stazione del traforo di Bardonecchia e quindi un viaggio da Torino
a Bardonecchia durava ben sei ore e trenta minuti!
L’abate
parlando di Bardonecchia la descrive come un borgo di 1.084 abitanti, 187 case
e 211 famiglie, tutti dediti prevalentemente alla pastorizia, all’allevamento
del bestiame e al traffico di legname, un insieme di genti «… tuttora (sic) oneste
e quasi vergini» ma animata ora da un
grande fermento di uomini e macchine, nuovi complessi abitativi come le “case
rosse” , per i tecnici dei lavori, case per gli operai, magazzini, un gasometro
che fanno presagire «una gran città nascente e sorprendono per il loro
complesso, pel movimento e per la situazione a’ piè di altissime montagne» .
I cantieri che
Baruffi vede sono ancora in fase di rodaggio perché soltanto cinque compressori
su dieci funzionano per otto ore al giorno con soli 24 addetti alla perforazione,
mentre quando tutti i compressori funzioneranno a pieno regime per 24 ore al
giorno ben altri saranno i tempi di avanzamento. Interessante è
altresì il
fatto che l’abate ci indichi casa di Oulx dell’ex-ministro Des Ambrois come il
punto di riferimento per i notabili del regno in visita al traforo e dove era stato
installato un telegrafo per tenere costantemente informato il conte Cavour sull’andamento
dei lavori .
La visita
dell’abate in alta valle coincide con la festa di Bardonecchia che così viene
descritta: «Ricorrendo la festa di Sant’Ippolito (martedì 13 agosto) patrono del
borgo, trovai l’intiera popolazione in abito festivo e versata nelle vie e
sulla piazza. I vecchi del paese vestono ancora l’abito corto, tutto in lana,
calzette bianche e portano il codino
. Su d’un gran cartello a stampa, affisso all’albo pretorio, leggevasi il
seguente invito: Occorrendo la festa
dell’Assunzione in Giaglione, il giorno 15 e16 agosto, avrà luogo in detti
giorni ballo pubblico con musica scelta». Da queste poche righe si evince
l’immagine di una Bardonecchia ancora legata agli antichi rituali, lontana
dalla modernità che la ferrovia e il traforo del
Frejus
porteranno.
L’apertura del
tunnel significò per Bardonecchia la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova
epopea con nuovi mestieri (doganieri, ferrovieri, albergatori…) con un nuovo
assetto urbanistico e la nascita del “Borgonovo” nella zona della stazione
ferroviaria e delle case per gli operai del cantiere, Negli anni a venire
Bardonecchia scoprirà la propria vocazione come stazione climatica e di
villeggiatura. Non dimentichiamo che in quegli anni vi è la nascita
dell’alpinismo moderno e della montagna come luogo di scoperta di spazi
inesplorati dove «L’esplorazione diventa allora occasione di chiarificazione e
ridefinizione dei contorni della persona e, attraverso l’osservazione di un
mondo che passa davanti
agli occhi,
permette il raggiungimento di una diversa consapevolezza di sé»
In tale
contesto Bardonecchia facilmente raggiungibile con il treno e circondata da
vette inesplorate e innominate diviene meta ideale di alpinisti prima e poi con
l’avvento dello “Ski”, di turisti alla ricerca di sport, divertimento e
mondanità.
La
Bardonecchia del traforo ferroviario verrà celebrata in un grandioso Bogorama dal titolo “Bardoneccio-Suez-Bogorama”. Si
trattava di uno spettacolare padi- glione eretto in piazza Castello, sul retro
di palazzo Madama, sulla cui facciata, alta 10 metri, era dipinta una sfinge,
che nascondeva un enorme panorama dipinto su una tela lunga 120 metri e alta 3,
che illustrava le visioni dalle Alpi al Cairo e poi la riva sinistra del Nilo
sino alle rovine del tempio di Tebe. «A detto tempio fanno capo i sacerdoti del Bogo , con leggiadra finzione degli
artisti, quasi a chiudere le variate e dilettevoli vedute, cui piacevolmente
vollero chiamare Bogorama » .
L’opera venne
realizzata su un progetto di Casimiro Teja, al ritorno da un viag- gio in
Egitto, dai pittori Francesco ed Enrico Gamba, Cerutti, Perotti, Barucco, Pastoris
e dal neo-socio del “Circolo degli Artisti” e “Cavaliere del Bogo” Tommaso
Juglaris.
Il “Bogorama”
rappresentò non solo una prima forma di pubblicità per Bardonecchia e la Val di
Susa, ma anche il legame ideale fra il Frejus e il canale di Suez, la
cosiddetta “valigia delle Indie”, da Londra alle Indie orientali attraverso due
opere titaniche che rappresentavano, agli occhi delle genti di fine ‘800, la
possibilità di
vedere finalmente a portata di tutti il viaggio dal nord Europa “verso la cuna
del mondo”, verso l’India: due utopie tecniche avevano coronato l’incontro di
due mondi lontanissimi.
Al di là delle
visioni e dei sogni evocati dalle grandi costruzioni ottocentesche e della
ventata di modernità portata dal “progresso” la festa patronale di
Sant’Ippolito si celebra ancora oggi con un rituale non dissimile da quello
visto dall’abate Baruffi: i priori, gli antichi costumi, la Messa solenne con
il Sindaco e il Consiglio Comunale, le feste e i giochi per i bambini…
La festa
patronale quindi si pone non solo come la ripetizione di un’antica usanza
quanto piuttosto come un’ occasione per non dimenticare le proprie radici in un
momento in cui la modernità ha investito il territorio alpino, soprattutto
quello con valichi che danno accesso a territori oltralpe, lacerandone l’identità e il
tessuto sociale ed economico.
In ultima
analisi vale la pena di ricordare le parole con le quali Des Ambrois chiude
nella “Notice sur
Bardonècche” la parte dedicata al traforo del Frejus: «Il paese
ha perduto la sua poesia, ma l’afflatto potente di un grande progresso della civilizzazione
e dell’industria umana vi ha impresso una vita nuova, e in questi luoghi un
tempo solitari si realizza una delle opere che onorano il genio e l’audacia
dell’uomo» … e forse non è peregrino
pensare che il ricordare la festa di Sant’Ippolito ogni 13 agosto sia un modo
per non perdere completamente la ”poesia” di Bardonecchia.
Roberto Borgis
Il testo, Pellegrinazioni
e passeggiate autunnali nell’anno 1861 , dell’abate Baruffi mi è stato gentilmente
messo a disposizione dal dott. Marco Albera.