(2ª parte -La Parte prima - sul Bollettino 2007)
Abbiamo
trattato, nel Bollettino Parrocchiale dello scorso anno, dell’efferato, inspiegabile
ed irrisolto delitto che portò alla morte del settantaquattrenne parroco di
Bardonecchia don Giuseppe Maria Vachet, trafitto da 11-12 stilettate al fianco
sinistro nella sua stanza da letto, la notte del 20 agosto 1868. In quella puntata, come
in questa, si fa’ spesso riferimento a fatti comprovati da documentazione certa
che non trova spazio sufficiente in queste pagine ma che è reperibile e
consultabile in originale negli archivi della Parrocchia o in quelli della biblioteca
vescovile di Susa. Si diceva delle difficoltà incontrate da don Vachet nel realizzare
la nuova chiesa; queste difficoltà sarebbero vieppiù aumentate per quel che
riguardava la successiva manutenzione se le autorità ecclesiastiche, alquanto previdenti,
non avessero creato un sistema per ricavare denaro. Infatti già dal 475 d.c.
Papa Simplicio prima e successivamente Papa Gelasio I (499) introducevano l’istituto
della fabbriceria, organo che amministrava il patrimonio di una
chiesa, per la conservazione e manutenzione del manufatto (la fabrica ecclesiae ) e per le spese del
culto. (Non si pensi che fosse un ente di poco conto, infatti era provvisto di
un consiglio di amministrazione nominato, d’intesa con l’autorità ecclesiastica,
dal Ministro dell’Interno e dal Prefetto, col divieto, all’art. 29 , di ingerirsi nei servizi di
culto . L’attivo era costituito dalle donazioni di privati, dalle rendite
di immobili e terreni, dal ricavato delle messe dedicate e quant’altro. Nel 1875,
set te ann i dopo la scomparsa di Don Vachet, Don Tournoud Jean Baptiste, suo
successore, redigeva una minuziosa statistica del patrimonio parrocchiale
conservato negli archivi). Si tenga presente che all’epoca non esistevano
banche in questi piccoli paesi, per cui le fabbricerie ne svolgevano
ufficialmente le funzioni, anche se in un modo tutto particolare.
Basta dare una
occhiata al seguente documento redatto, Don Vachet vivente, l’8 dicembre 1860:
vi si certifica un prestito fatto a tal Guy Gian Francesco di lire 130, (un
migliaio di euro attuali) per un anno senza inteessi, e con l’interesse del 5% dopo
il detto termine. Senonché il sig. Guy non onorò il suo debito, costringendo il
successore di Don Vachet a rivolgersi alla regia pretura di Oulx per l’esazione
forzata. Ma già dal 1829 lo stesso Don Vachet, in qualità di procuratore della
confraternita della Chiesa, non essendo ancora
costruita la nuova chiesa ed istituita la relativa fabbriceria, era costretto a
rivolgersi al Giudice per l’esazione forzata di un prestito di lire 26,5 (circa
800 euro di oggi) a tal Ippolito Giorgio Ponchier fatto dalla stessa confraternita.
Il 29 novembre
del 1848 un personaggio singolare fa la sua comparsa sulla scena di
Bardonecchia: Loquis Francesco ; lo si
desume da un verbale dell’Ufficio Elettorale per la nomina dei consiglieri
comunali, presieduto da Don Vachet, dove il Loquis risulta scrutatore. Di probabili
origini Exigliesi dove tale cognome
era abbastanza diffuso, svolgeva la funzione di ricevitore delle Regie Dogane del
luogo. Senza dubbio di buona istruzione ma... di gola molto profonda. Infatti
dal 31 dicembre 1848 cominciò a tempestare il Vescovo di Susa Mons. Giovanni
Antonio Oddone di lettere, regolarmente firmate, dove riferiva a suo
modo sulla vita di Bardonecchia e soprattutto sul costume dei suoi parroci,
senza salvare nessuno e Don Vachet in particolare.
Queste lettere
esistono in originale nell’archivio vescovile di Susa, alcune di esse, le più
interessanti, sono state
riprodotte in fotocopia ed asseverate agli archivi parrocchiali. Nella prima,
del 31 dicembre 1848, si parla di malcont ento della popolazione vessata e
raggirata, che dimostra contro i parroci dei luoghi che «frequentavano le bettole ...» [...]; auspica
che il parroco venga « tolto da questa cura al più presto per evitare maggiori
scandali, più si prendesse seco il tanto più bravo Vicecurato (?!) ...».
Tace delle «
mere calunnie» fattegli dal «Parroco di Millaures» unitamente a quello « del Melezet ...» [...] . Infine, di tutto quel che afferma, si
dichiara « pronto a darne le più ampie prove» tra le quali « dugento e più
sottoscrizioni».
Sulle missive
del Loquis al Vescovo è scritto
«confidenziale» con la raccomandazione di non divulgarne l’autore,
ben presto rivelato ai signori parroci i quali fanno sapere al Loquis che per loro
è un gioch etto farlo trasferire, come hanno già fatto con l’Intendente. Di
fatto lo fecero, scrivendo un rapporto firmato da tutti, all’Intendente della
Provincia ed ai superiori. Ma il Loquis non demorde, rincarando per contro la
dose, nonostante Don Vachet avesse minacciato di « dar mano allo schioppo» (
quindi ne possedeva
uno!) [...]
.
Si era dunque
ai ferri corti e la lite, se così si può dire, oltre ad essere di dominio
pubblico, rischiava di andare davanti le Autorità Giudiziarie.
Nell’ultim a
missiva al Vescovo, il Loquis esibisce una petizione « firmata da ben 170 Capi
di Famiglie, per le quali si conosce ... di qual pasta si sia il detto Curato
di Bardonecchia». Non si ha notizia del seguito di questi
fatti; il Loquis fu certamente trasferito mentre i parroci rimasero al loro
posto; ma questi accadimenti
furono mai portati a conoscenza degli inquirenti che indagarono sul delitto di
Don Vachet? Non è dato saperlo, quindi la relazione sull’omicidio fatto al
Vescovo di Susa (o meglio al Vicario Capitolare Monsignor Giuseppe Sciandra di
Mondovì, in assenza del Vescovo) dal parroco di Melezet Giò Antonio Allois, (in
originale presso l’archivio vescovile di Susa ed in riproduzione fotostatica in quelli
parrocchiali), resta l’unico documento a nostra disposizione che potremo analizzare.
Dopo il
dispaccio telegrafico fatto a Susa il 21 agosto 1868, due giorni dopo don
Allois relaziona dettagliatamente al suo Vescovo quanto di seguito.
«... venne svaligiato ed ucciso nella propria
stanza da letto con undici coltellate al
fianco sinistro anteriore ed alcune contusioni al capo». E più avanti « ... col capo presso la porta e
rivolto al lambris (rivestimento in
legno) della stanza ... la camicia
punteggiata di sangue senza la menoma fissura di coltello ... il letto e le
vesti solite del sig. Parroco intatte al solito luogo vicino».
Questa
dettagliata descrizione merita molte riflessioni: – don Vachet conosceva i suoi
carnefici, anzi doveva essere in molta confidenza con loro tanto da riceverli
in camicia da notte, prima di andare a letto;
– i suoi
carnefici, per contro, conoscevano molto bene quella casa ed i suoi occupanti,
cioé un parroco armato di schioppo che mai avrebbe adoperato contro persone
conosciute e soprattutto una perpetua anziana e
completamente sorda;
– fu prima
stordito con un colpo al capo, successivamente pugnalato a terra al fianco
sinistro da mano mancina, poiché non c’era spazio fra il corpo a terra privo di
sensi e la parete, per agire frontalmente;
– la mano
sacrilega volle infierire in maniera crudele, sollevando la camicia (da notte)
e pugnalando a pelle nuda, il ché nella mente dell’assassino doveva avere un
particolare significato vendicativo.
– «... il dottor Peyron assistito dal
farmacista Berruti procedevano all’autopsia ... donde risultò la perfetta
conservazione delle parti tutte dello stomaco e visceri, se non fossero lese da
alcune stilettate che attraversarono il cuore e fegato » .
– All’inizio
della relazione si parla di coltellate mentre come si è visto
successivamente si fa riferimento a stilettate; in effetti mai si parlò dell’arma del
delitto, quantomeno del suo ritrovamento; la confusione fra coltellate e
stilettate è dovuta proprio all’arma usata, con tutta probabilità la baionetta
di un fucile da guerra, forse
lo stesso schioppo che Don Vachet diceva di possedere, souvenir di una gioventù passata da
militare nella Grande Armata napoleonica.
– Furono
constatate lesioni al fegato, che per le scarse cognizioni anatomiche di chi
scrive risulta trovarsi sul lato destro, da colpi inferti dal lato sinistro del
corpo, cosa possibile solo se l’arma di che trattasi fosse stata molto lunga ed
affilata come una baionetta.
La vittima
ebbe tuttavia il tempo di gridare aiuto. «Verso le undici e tre quarti ...
udissi dal vicino guardiacanale Goria qualche voce confusa (al soccorso, au
secours)»... ed ancora «l’orologio della stanza parrocchiale, che
venne dislocato dal camino», ... e
poi «I titoli e cedole della fabriceria
parrocchiale non furono derubate ( erano inesigibili) ma il resto svanì. Tutte le carte, pieghi e
quinterni ... furono messi sottosopra e lasciati sparpigliati attorno».
Quindi ne fu
fatto del trambusto «... senza che la vecchia serva Catterina se ne accorgesse
menomamente, mentre dormiva saporitamente al gabinetto terreno con volta».
– Quale mai
estraneo poteva conoscere l’assoluta sordità della perpetua da ignorarla
completamente prima, durante e dopo la delittuosa spedizione?!
– Cosa mai
cercavano gli intrusi da manomettere tutte le carte dopo aver trovato il poco danaro
liquido?! «... del poco denaro rubato
(dicesi L. 500 danari, e L. 2.000 cedole, capitale)» circa 1.800 euro mentre le cedole ammontavano
ad oltre 7.000 euro attuali.
Il frastornato
e devoto don Allois conclude: «... egli morì povero qual visse frugale col tenuissimo reddito annuale della
parrocchia che gli fruttava L. 1.500 ...».
L’anno 1865, tre anni prima della sua morte, don Vachet aveva rifatto il testamento, annullandone uno olografo e depositandolo in forma pubblica a mani del regio notaio Antoine Agnés, testimoni George Folcat, Hyppolite George Francou, Joseph Mathieu Bompard, Paul Francois Pellerin. Con questo documento dona:
L’anno 1865, tre anni prima della sua morte, don Vachet aveva rifatto il testamento, annullandone uno olografo e depositandolo in forma pubblica a mani del regio notaio Antoine Agnés, testimoni George Folcat, Hyppolite George Francou, Joseph Mathieu Bompard, Paul Francois Pellerin. Con questo documento dona:
– una cedola
al portatore della rendita annuale di 20 lire alla fabbriceria della Parrocchia
per le Messe perpetue in suo suffragio;
– duecento
lire nuove a suo nipote Michel Antoine Orcellet figlio di Jean Antoine;
– cento lire a
Josefhte Lantelme fu Alexis moglie di Daupin Grand del Melezet;
– per tutti
gli altri beni, mobili, immobili, diritti, azioni, ragioni e pretese nomina
erede universale suo nipote Jean Francois Vachet fu Jean Baptiste;
– rifiuta, a
richiesta del notaio, di lasciare alcunché al Bureau de Charité del luogo,
all’Ospedale dei Santi Maurizio e Lazzaro di Torino. Ma i nipoti erano quattro,
quindi qualcuno rimase a bocca asciutta!
Il 20 novembre
dell’anno successivo al decesso di Don Vachet, suo nipote Jean Francois Vachet
fu Jean Baptiste, erede universale della successione, con atto privato di
quietanza in bollo, ne eseguiva le disposizioni testamentarie mediante le quali
i nipoti:
– Joseph
Orcellet fu Jean Antoine, nipote di Don Vachet, mescolando franchi e lire
nuove, mera questione lessicale, accusava ricevuta di 200 franchi; da notare che
questa donazione non era stata disposta nel testamento, ciò fa pensare che l’esecutore
testamentario li aggiunse di tasca propria, a che titolo?!
– a Michel
Antoine Orcellet fu Jean Antoine 200 franchi;
L’atto di che
trattasi è conservato presso gli archivi parrocchiali, così come il testamento
in originale, per gentile concessione dei diretti discendenti Ida e Marco Vachet,
ai quali va il nostro ringraziamento per la copiosa documentazione messa a
disposizione. Un doveroso ringraziamento al dr. Andrea Zonato ed alla d.ssa
Laura Gatto Monticone dell’archivio vescovile di Susa, ad Orazio Petrera della
Cancelleria del Tribunale di Susa, a Don Paolo Di Pascale che nonostante i
mille impegni ha trovato qualche briciola di tempo da dedicarci e a Don Franco
Tonda, benemerito parroco, per gli archivi parrocchiali messi a disposizione.
« ... un
arresto preventivo fu eseguito, ma non sarà il colpevole e d’altra parte dubbi assai
fondati fanno credere che gli autori delinquenti saranno forestieri ...». Fosse accaduto verso le due o le tre della
notte ci si poteva credere, ma le «undici e tre quarti» non era ora di delinquenti occasionali per
cui, alla fine di questa indagine ... ritardata rimane l’interrogativo vecchio
di 140 anni: chi assassinò Don Vachet ?
Nastà
(Non ho pubblicato tutti i documenti stampati sul Bollettini 2008 per via della scarsa qualità della loro riproduzione - Il redattore del Blog)
* * *
Due righe, a
conclusione dello studio appassionato e completo che l’Autore dell’articolo ha
dedicato alla tragica morte di don Vachet, cercando di sciogliere l’enigma che
l’avvolge. Non vogliono togliere nulla alla sua fatica, suffragata da tanti
documenti d’epoca che ha ricercato con molta pazienza. Esse vogliono unicamente
contrapporsi alle accuse infamanti che un certo Sig. Loquis rivolgeva contro
don Vachet, dipingendolo come persona dedita al vino e dalla vita morale non
ineccepibile.
Prendiamo la
testimonianza dei suoi funerali dove è detto chiaramente che tutto il paese, al
di là della commozione suscitata dalla sua morte, partecipò al funerale con
visibili segni di dolore e di rimpianto. Il canonico Edoardo Giuseppe Rosaz
(poi Vescovo di Susa ed oggi Beato!) nella omelia funebre lo paragonò al «Buon
Pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle» e il suo sangue «come quello
dei Martiri, seme di nuova vita cristiana».
Potremmo
citare ancora varie frasi dei suoi scritti dove traspare uomo di fede che si manifesta
in espressioni non convenzionali, come la gioia di poter recare il Ss.mo
Sacramento nella nuova chiesa non ancora ultimata.
Tanto basta
per illuminare la vita di un sacerdote a cui Bardonecchia deve molto e, del resto,
alle gravi calunnie del Loquis (dettate da malanimo o da velenoso
anticlericalismo) il Vescovo non ritenne di dover rispondere, perché non ne
aveva trovato alcun fondamento. E Mons. Giovanni Antonio Oddone era uomo
attento, intelligente e presente alle realtà della sua Diocesi.
L’Autore dell’articolo
è a disposizione per approfondire l’argomento di questo suo lavoro di ricerca,
e la documentazione completa dei fatti si trova in originale nell’Archivio Vescovile
di Susa e in copia nell’Archivio della Parrocchia di Bardonecchia. (N.d.R).
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