BENIAMINO STEFANO BOMPARD
Stefano, Tien in patois, visse tutta la sua
giovinezza tra Bardonecchia, il Chaffaux e i vasti pascoli sopra il Pian delle
Stelle.
Quando partì militare nel settembre 1914 con
il 45º reggimento fanteria, brigata Reggio, dovette raggiungere la sede di
Sassari e si trovò per la prima volta davanti al mare a Genova; scrisse allora
una cartolina: «Cara mamma, non ti vedrò mai più!».
Tutta quell’acqua che lui non aveva mai visto
gli aveva dato la sola certezza che per lui sarebbe stata la fine. Per quasi
otto mesi non riuscì più a dare sue notizie: in famiglia erano certi che oramai
fosse stato inghiottito dalle acque. Un giorno la mamma e la sorella Francesca,
di passaggio a Torino e in attesa del treno a Porta Nuova, videro giungere una
compagnia di soldati e la sorella, sospirando, disse alla mamma: «Che bello se trovassimo
anche il nostro Tien». In quel momento lui arrivò e se le strinse in un lungo
abbraccio.
Tien ricordava sovente quel momento: amava raccogliere i suoi tre nipotini, Alda, Claudia e Renato, e alla sera raccontava. Raccontava della guerra e della sua giovinezza, tanti piccoli grandi episodi che i nipoti non avrebbero più scordato.
Tien ricordava sovente quel momento: amava raccogliere i suoi tre nipotini, Alda, Claudia e Renato, e alla sera raccontava. Raccontava della guerra e della sua giovinezza, tanti piccoli grandi episodi che i nipoti non avrebbero più scordato.
Il Gran Lagazuoi davanti alle Tofane.
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Stefano, come tanti altri ragazzini di
Bardonecchia, nell’estate aiutava l’economia della famiglia e il suo compito
era quello di badare alle mucche in altura. Erano poco più che bambini e
trascorrevano le loro giornate nei pascoli, correndo liberi nei prati,
inventandosi giochi per trascorrere il tempo mentre guardavano le mandrie. Era
da tempo che in paese si raccontava di una lince che vagava tra le montagne,
qualcuno forse l’aveva avvistata, i bambini non l’avevano mai vista e ne
avevano paura. Quel giorno Tien e il suo amichetto Augusto Moutoux erano al
pascolo in traversière, in alto, sopra il Pian delle Stelle: erano entrati in
un fortino, giocavano spensierati, quando videro sbucare un animale bianco. Era
la lince, pensarono: terrorizzati iniziarono a scendere di corsa verso casa e
non si fermarono più fino al Chaffaux. Ma non era la lince, era solo la povera
capra bianca di Luigi Gerard del Chatelard!! Quante risate alle spalle dei due
poveri ragazzi. E Tien, ormai anziano, rideva ancora con i suoi nipoti sulla
storia della lince.
Un altro episodio, purtroppo triste, Stefano
Bompard raccontava ai nipoti. Era il 21 agosto 1901, il nonno di Tien, Antonio
Bompard, classe 1843, aveva finito prima del tempo di fare il fieno e decise di
salire sopra il Pian delle Stelle per raggiungere suo nipote e controllare le
manze al pascolo. Era agosto ma c’era ancora una comba piena di neve e per spostare
la mandria era necessario attraversarla: Antonio sapeva per esperienza che
quella neve accumulata non avrebbe retto, sotto era certamente vuota poiché la
neve a contatto con il terreno si era sciolta. Per provarne la tenuta prese un grosso
sasso, lo lanciò, ma la crosta di neve si ruppe, e lo inghiottì.
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Ernestina Bompard fu l’ultima bambina a nascere al Chaffaux, il 22 luglio 1894.
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Antonio morì così, sotto gli occhi di suo nipote Stefano, a soli 58 anni. Tien, legatissimo al nonno, fece poi fare in suo ricordo una lapide con il marmo verde della cava del frejus. fu portata nel luogo della disgrazia, in Cunvieran, e si fece sul posto una sentita cerimonia religiosa.
Antonio morì così, sotto gli occhi di suo nipote Stefano, a soli 58 anni. Tien, legatissimo al nonno, fece poi fare in suo ricordo una lapide con il marmo verde della cava del frejus. fu portata nel luogo della disgrazia, in Cunvieran, e si fece sul posto una sentita cerimonia religiosa.
Stefano Bompard partì per il fronte con
l’entrata in guerra dell’Italia, subito dopo il rientro da Sassari.
Il 24 maggio 1915 la brigata Reggio era dislocata
sul fronte delle Dolomiti con la 4ª armata, esattamente tra i due piccoli
borghi di Perarolo e Tai di Cadore, poco distanti da Cortina. Gli
austro-ungarici si erano ritirati da Cortina (che faceva parte dell’Impero)
all’inizio dell’ostilità spostando il
fronte sulle Dolomiti: dal Sasso di Stria al
passo di Valparola, dalle cime del Lagazuoi alle tofane.
Le splendide vette dolomitiche diventarono
teatro di inutili massacri e di gesti eroici, fino alla ritirata di Caporetto
quando i nostri soldati, che tanto avevano sofferto per quelle cime, dovettero
abbandonare il Cadore.
Baraccamenti sulla cengia Martini. |
Gli austriaci dominavano dall’alto il nemico e
con pochi uomini, tiratori scelti, potevano difendere le loro postazioni:
essere più alti aveva inoltre il vantaggio di avere la forza di gravità dalla
propria parte, si poteva combattere anche facendo rotolare sassi e bombe. fino ai
primi di giugno la 4ª armata ritardò l’offensiva senza alcun motivo evidente e
questo diede agli austriaci il tempo di trincerarsi dentro le montagne che
divennero delle roccaforti naturali, e di approntare barriere di filo spinato.
Era la prima volta che nella millenaria storia della guerra le battaglie si
combattevano sulle montagne e tutte le tattiche, tutte le conoscenze militari
valide fino a quel momento, scomparvero; non esistevano altri modi di combattimento
se non quelli di arrampicarsi sulle rocce e di tentare l’impossibile.
I soldati si portavano sulle spalle i cannoni,
i muli salivano con i carichi di vettovaglie, di acqua, di
munizioni e di esplosivo, si costruivano
teleferiche per sveltire le operazioni. Ma le teleferiche erano sotto il tiro nemico
e bisognava salire con il buio, in silenzio, senza accendere la sigaretta che avrebbe
segnalato ai cecchini la presenza di uomini.
Il 13 giugno il 45º reggimento (e quindi il
nostro Stefano) iniziò, con le altre truppe della divisione, una azione
offensiva per impossessarsi delle postazioni nemiche, a più di 2000 metri di
altitudine, tra Val travenanzes e la Valparola sotto il gruppo dolomitico del
Lagazuoi, da dove gli austriaci difesero con ferocia le loro postazioni.
Solo l’11 luglio i nostri riuscirono a
impadronirsi del col di Bois e della cima Falzarego a 2547 metri. Il 45º
reggimento riuscì ad aggrapparsi poco sotto la cima a poca distanza dal nemico
e da quella posizione tentarono la conquista di un grosso roccione che per la
sua forma era chiamato il Castelletto, a ridosso della tofana I, che gli
Austriaci avevano trasformato in un bunker formidabile a protezione della alta
Val Travenanzes.
Stefano Bompard, attendente a Torino, secondo da sinistra |
I tentativi dei fanti della brigata Reggio
(tra cui presumibilmente Stefano Bompard) e degli alpini del Belluno e Val
Chisone vennero respinti dai difensori.
Il 18 ottobre 1915 un gruppo di alpini al comando del tenente Martini riuscì nella notte a scalare il Lagazuoi e a raggiunge una fenditura naturale della roccia che divenne la postazione italiana: qui vennero scavati cunicoli nella roccia, si costruirono nidi d’aquila in legno addossati alla montagna, si approntarono una cucina e un’infermeria. Alla fine del 1915 gli austriaci si resero conto che l’unico modo per snidare gli italiani era quello di far crollare loro addosso la montagna: iniziò la guerra di mine che continuò fino al 1917. La montagna si sbriciolava sui soldati e le esplosioni si vedevano fino a Cortina.
Il 18 ottobre 1915 un gruppo di alpini al comando del tenente Martini riuscì nella notte a scalare il Lagazuoi e a raggiunge una fenditura naturale della roccia che divenne la postazione italiana: qui vennero scavati cunicoli nella roccia, si costruirono nidi d’aquila in legno addossati alla montagna, si approntarono una cucina e un’infermeria. Alla fine del 1915 gli austriaci si resero conto che l’unico modo per snidare gli italiani era quello di far crollare loro addosso la montagna: iniziò la guerra di mine che continuò fino al 1917. La montagna si sbriciolava sui soldati e le esplosioni si vedevano fino a Cortina.
Stefano Bompard il 21 febbraio 1916, non si sa
per quale motivo, partì dal fronte e rientrò a Torino:
fu certamente la sua salvezza. Si sa per certo,
dai ricordi dei nipoti, che fece fino alla fine della guerra l’attendente ad un
ufficiale.
1923, Stefano e Letizia Bompard sposi |
Terminata la guerra Stefano Bompard entrò in
ferrovia ma ben presto decise di mettersi in proprio con un’attività di
commercio: era un uomo intraprendente e l’attività di dipendente gli andava
stretta. Iniziò con la bassa valle un commercio di prodotti della sua terra:
fieno, patate, segale, orzo e avena. fu grazie a questi suoi spostamenti che
conobbe il suo futuro suocero, un commerciante di bestiame di Chiomonte. Si
sposò nel 1923 con Letizia Remolif, a suo dire la più bella ragazza di
Chiomonte.
Stefano Bompard morì il 4 settembre 1977. Gli
sarebbe sempre piaciuto tornare sulle Tofane, per vedere i luoghi della “sua
guerra”: chiese tante volte al nipote Renato di accompagnarlo, ma gli anni
passavano e le Tofane rimasero solo nei suoi ricordi. E ancora oggi Renato si
porta nel cuore il rimorso di non avere accontentato il nonno.
– FONTI: Testimonianza di Alda, Claudia
e Renato Bompard • Archivio di Stato di Torino, foglio matricolare di Bompard
Beniamino Stefano • Mark Thompson, La guerra bianca. Vita e morte sul fronte
italiano 1915-1919,Milano, ilSaggiatore, 2014 • Giovanni Cenacchi,Mario
Vianelli,Teatri di guerra sulle Dolomiti. 1915-1917: guida ai campi di battaglia,
Milano, Mondadori, 2006 • Documentazione fotografica della famiglia Bompard.