16/08/16

Notizie dal Museo - Melezet (2015)



In occasione della festa dello  “Scapulaire”, il 18 luglio 2015, nel Museo di Arte Religiosa Alpina di Melezet dedicato a don Francesco Masset è stata inaugurata la mostra

ANTONIO, L’ABATE PROTETTORE
PASSEGGIATA NEI LUOGHI DI CULTO DEDICATI AL SANTO
in collaborazione con gli “Amici dell’Ordine Mauriziano” che ci hanno fornito degli interessanti pannelli che riguardano la storia del Santo ed alcuni luoghi sacri dedicati a lui

Vita del Santo
Sant’Antonio Abate nacque intorno al 251 d.C. in Egitto, nella località di Coma.
Padre del monachesimo orientale, e primo degli Abati (termine che deriva da Abbà, padre spirituale) fu uno dei più illustri eremiti da quando, a circa 20 anni, seguendo letteralmente il passo evangelico «Se vuoi essere perfetto va’, vendi quello che hai, e dallo ai poveri», lasciò tutto per ritirarsi nel deserto egiziano per condurre una vita da anacoreta. Ben presto la sua fama fece accorrere numerosi discepoli. Pur abbandonando la vita da eremita, mantenne sempre una condotta ascetica. Per due volte rientrò ad Alessandria d’Egitto, nel 311 per confortare ed aiutare i cristiani perseguitati dall’imperatore Massimino Daia e nel 355 per combattere l’eresia di Ario. Morirà ultracentenario nel 356, in odore di santità, tanto che persino l’Imperatore Costantino si rivolse a lui in cerca di consigli. Gran parte delle notizie sulla sua vita le possediamo grazie alla biografia scritta da Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto tra il 326 e il 372, discepolo di S. Antonio.
Sant’Antonio fu il più importante, tra i Santi relazionati con l’ergotismo, per il diffuso credo legato alla potenza curativa della sua invocazione e all’efficacia dell’uso delle sue reliquie nel dare sollievo ai sofferenti. È stato riportato che, durante la sua vita ascetica, Sant’Antonio mangiava pane contaminato dall’ergot e che le sue condizioni generali di salute erano diretta conseguenza dell’ergotismo. Ricordiamo per esempio gli stati visionari, legati per lo più a tentazioni demoniache, per i quali bisogna anche considerare, come fattori contributivi, l’isolamento nel deserto, il silenzio, l’insonnia e la scarsezza di cibo e acqua. I metodi di cura dell’ergotismo erano basati sulla credenza nelle proprietà taumaturgiche delle reliquie del Santo, su trattamenti medici e chirurgici (amputazione degli arti colpiti), e sull’uso di differenti prodotti, sia naturali (fitoterapia) che chimici.
La malattia della segale e di altre graminacee è provocata da un fungo ascomicete che produce un micello il quale arresta lo sviluppo dell’ovario della pianta, invadendone i tessuti fino a sostituirli. Questi tessuti sostituiti contengono degli alcaloidi (ergotamina, ergometrina) che, se vengono ingeriti per mezzo di alimenti preparati con farina di cereali infetti, possono caratterizzare una intossicazione caratteristica, talora mortale, detta ergotismo. Inoltre la segale cornuta contiene alcune sostanze allucinogene, simili al famoso L.S.D., pertanto è quasi certo che l’ingestione di alimenti confezionati con farina contaminata fosse la responsabile di molte follie e possessioni collettive, soprattutto tra le popolazioni rurali e in particolari condizioni come guerre e carestie, narrate da cronisti medievali.
L’ergotismo era diffuso per lo più tra le persone delle classi sociali basse, le quali vivevano in aree rurali povere, dove il pane e altri simili prodotti rappresentano la parte più importante delle provvigioni giornaliere. Il pane preparato con farina contaminata era noto come pane maledetto. Così l’uso del pane bianco o scuro costituì un’ulteriore differenziazione tra le classi sociali. Segni distintivi del Santo I principali segni distintivi del Santo possono essere riepilogati come segue:
croce a T (tau) spesso di colore rosso, posta sulle vesti o all’apice del bastone;
bastone, spesso a forma di tau, la lettera “t” dell’alfabeto ebraico-greco (se il Santo è raffigurato in abiti monacali, il bastone è spesso dotato di una campanella);
pastorale, se il Santo è raffigurato in abiti da abate, talora è adornato con un campanello;
maiale, ai piedi (talora sono presenti altri animali, come il cinghiale);
campanella, in mano o legata al bastone, talora più di una;
libro delle Sacre Scritture, tenuto in mano, generalmente aperto (talvolta ai piedi o sostenuto da angeli);
fuoco, sul libro o ai piedi (richiama la protezione del Santo sui malati del fuoco di Sant’Antonio).

Sant’Antonio sul nostro territorio Dopo aver descritto la figura del Santo, proveremo a capire perché esso venne venerato per così tanto tempo dai fedeli di Melezet.
Sappiamo che nel Delfinato, antico Regno di Francia, di cui fino al 1713 faceva parte anche la nostra frazione, la malattia fu chiamata per la prima volta “fuoco di Sant’Antonio” nel 1090: inoltre una comunità di Antoniani, partiti da Vienne, si stabilì a Névache, appena al di là del Colle della Scala, e nel 1498 edificò una chiesa (ancora esistente), decorata con affreschi e dotata di un piccolo centro di accoglienza per viaggiatori e pellegrini. Qui all’ospitalità si affiancò la cura delle malattie che colpivano i pellegrini durante il loro viaggio, dedicandosi soprattutto alla cura del “male degli ardenti”.
Con il tempo questa funzione divenne prevalente, tanto che dall’hospitale medievale derivò l’ospedale che, per molto tempo, si prese cura anche dei parrocchiani.
Gli Antoniani intervennero anche in campo agricolo, introducendo la rotazione delle colture.
S. Antonio è rappresentato anche in un affresco della chiesa di Saint Marcellin a Névache.
Sempre da Névache proviene lo scartafaccio occitano di Sant’Antonio, del 1503, scoperto nel 1881 negli archivi del paese dal Parroco, don Guillaume, archivista dipartimentale.
Si sa che fino al 1700, sui sagrati delle chiese, venivano recitati i mystères, antiche forme devozionali e catechetiche rivolte al popolo, e proprio il testo in dialetto ritrovato a Névache ne è uno tra i più celebri. I parrocchiani durante l’intero inverno preparavano accuratamente questa rappresentazione teatrale sacra e a giugno, di solito, la eseguivano dando prova di una emozionante testimonianza di cultura popolare e religiosa.

Névache, chiesa degli Antoniani. 168

Nella nostra area il culto di S. Antonio si diffuse fin dal XVI secolo ed ancora oggi viene invocato questo Santo il 17 gennaio, giorno della sua morte. In tempi non molto lontani, un santino spesso stropicciato e di scarso o nessun valore artistico, raffigurante S. Antonio abate, faceva bella mostra di sé sul retro della porta d’ingresso della stalla, oppure era presente nei luoghi dove vivevano e riposavano gli animali domestici.
In occasione della festa di questo Santo, a Bardonecchia si celebrava la S. Messa degli Offerenti e le offerte consistevano in uova, formaggi, burro e patate, mentre a Melezet, anticamente, i contadini, dopo una solenne celebrazione in onore del Santo, conducevano sul sagrato della chiesa i loro animali, soprattutto muli, per farli benedire; inoltre, in previsione della festa del Santo, veniva ucciso il maiale, quindi il menu del giorno di Sant’Antonio prevedeva delle portate a base di carne di maiale, come prosciutto, ravioli ripieni di carne e verdura, arrosto.
Era inoltre usanza fare una processione con la statua del XVI secolo raffigurante il Santo, ora esposta nel Museo di Arte Religiosa Alpina, ma che, ancora oggi, ritorna a fare presenza in chiesa per la celebrazione in suo onore. La devozione per questo Santo, probabilmente, ha semplicemente valicato le Alpi, passando da Névache a Melezet: sappiamo che gli abitanti dei due paesi furono costantemente in contatto tra di loro ed è pressoché certo che qualche melezettino abbia assistito alla rappresentazione del mystère di S. Antonio. Che questi ne siano i motivi o meno, è certo che a S. Antonio furono dedicate alcune chiese e cappelle, una tra queste la chiesa parrocchiale della nostra borgata.
È inoltre da ricordare che tra i primi ospitali presenti in Italia possiamo annoverare, sulla Via Francigena, la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e le fondazioni site presso Susa, Torino, Asti, e così via, fino a raggiungere Roma.
La chiesa parrocchiale sita nella frazione Melezet è oggi intitolata a Sant’Antonio Abate. La fondazione della Parrocchia risale al 6 aprile 1487, quando il Vicario Generale della Prevostura d’Oulx concesse alla comunità di Melezet di distaccarsi dalla Parrocchia di Bardonecchia, permettendole di erigere a chiesa parrocchiale con diritto battesimale e annesso cimitero la locale cappella dedicata alla Vergine e a Sant’Antonio
Abate (AD Susa, Fondo Archivio Storico vescovile, fald. 55, fasc. 2).
La titolazione iniziale, tuttavia, non fu a Sant’Antonio: la chiesa parrocchiale è infatti indicata come «ecclesia parochialis Beate Marie» sita «Melezeto mandamenti Bardonischia » nella visita De Mari, datata 9 agosto 1546. Sempre con riferimento alla Vergine essa è indicata come: Santa Maria della Consolazione (visita Broglia 1599), Santa Maria della Consolazione e Sant’Antonio (visita Broglia 1609), Assunzione della Beata Maria Vergine (visita Beggiamo 1673), Assunzione di Santa Maria Vergine e Sant’Antonio Abate (visita Gattinara 1731) per poi arrivate all’attuale e sola titolazione a Sant’Antonio Abate.

Statua lignea di Sant’Antonio Abate, XVI sec. - Proviene
dalla parrocchiale di Melezet, era circondata da tavole raffiguranti
episodi di vita del Santo (Segusium n. 19 1983) e Paliotto.

Nel corso del XVII secolo l’abitato di Melezet fu interessato da due eventi disastrosi.
Nel 1668 e nel 1694 gran parte d’esso fu distrutto da incendi, ma anche se questi fatti interessino marginalmente la parrocchiale, essa si trovava già in condizioni molto gravi, tanto da minacciare di crollare.
Si decise quindi di ricostruirla e ciò accadde  tra il 1694 e il 1698 in seguito alla donazione di un terreno  a parte della vedova Foumier, con la specifica clausola di utilizzarlo per il nuovo edificio, e all’acquisto di case e ruderi dei sigg. Teresa Aguet, Maria Soubeyran ed Antonio Orcel. La nuova chiesa fu benedetta  il 20 maggio del 1698 da M. George Fantin, abate d’Oulx, ma solo nel 1726 venne consacrata da Monsignor Francesco Giacinto Valperga di Masino, Vescovo e principe di St. Jean de Maurienne. Ancora oggi sono visibili le croci di consacrazione.
La spesa per il nuovo edificio fu sostenuta per gran parte dalla comunità, si riutilizzò parte delle pietre dell’antico edificio (per esempio la cuspide del campanile), si fuse il ferrame per poi riciclarlo, furono installate delle fornaci per la calce, le lose del tetto si acquistarono alla cava della Baume di Oulx, mentre i vetri delle finestre giunsero da Lyon. Il portone, in legno di noce, fu opera di Jean Faure di Chiomonte.
Il campanile, alto complessivamente 31 metri, costituisce un pregevole esempio di campanile in stile romanico delfinale, slanciato e con una elevata cuspide gotica tipica delle torri campanarie dell’Alta Valle Susa e dell’antico Delfinato. Le campane, realizzate nel 1696, furono prodotte da François Vallier di Plampinet; l’orologio fu comprato a Torino nel 1771.
Il vano sotto chiesa, nei periodi invernali, a causa della difficoltà nello scavare il terreno gelato, fu utilizzato per molto tempo per le sepolture provvisorie dei defunti.
Sulla facciata le nicchie contenevano statue lignee policrome, ora riposte al Museo don Masset di Melezet; ma esposte fino al 1935 circa.
All’interno si possono ammirare: il ricco retable dell’altare maggiore realizzato nel 1698, per una spesa di 550 livres, con una icona rappresentante Sant’Antonio Abate che allarga le mani a dichiarare la sua insufficienza per cui fiducioso alza gli occhi a Maria e al suo figlioletto. Al centro e nella parte alta del dipinto sta infatti la Vergine in gloria, seduta sulle nubi e circondata da angeli. Con una mano stringe a sé il Bambino e con l’altra esprime esaudimento o prontezza ad esaudire. Nella sacra conversazione, cominciata tra Antonio e Maria, interviene poi un terzo interlocutore: il possente
angelo biancovestito eretto sulla destra del dipinto, il quale orienta il nostro sguardo dal cielo verso la terra, puntando il dito verso la chiesa di Melezet che si staglia contro lo sfondo delle Quattro Sorelle (G. Biguzzi 2014). Nell’angolo in basso vediamo uno stemma e il nome delle famiglie Des Geneys e Agnés, signori di Bardonecchia, che contribuiscono alle spese dell’opera. Sul lato destro del presbiterio, un interessante dipinto, raffigurante l’Assunzione della Vergine con gli Apostoli, è opera di Paolo Gerolamo Della Croce, datato 1609 e quindi appartenente alla precedente chiesa parrocchiale. Il soffitto è stato dipinto nel 1935 dal pittore Fiorio, che ha raffigurato i quattro evangelisti: S. Luca con il bue, S. Matteo con l’angelo, S. Marco con il leone e S. Giovanni con l’aquila.
Sullo Jubé la scritta in greco significa Mistero. L’antico pulpito, ora trasformato in ambone, ed il leggio datano 1700 e sono opere in legno di noce realizzate da Jean Faure di Chiomonte, che con il portone eseguì anche la balaustra e i mobili per la sacrestia.
I due altari laterali, intitolati al S. Rosario e a S. Antonio, sono stati eseguiti con parti del retable della vecchia chiesa. Essi furono utilizzati dalle omonime Confraternite.
La Confraternita di S. Antonio Abate fu istituita nel 1606. Il suo statuto, esposto al Museo, è composto da 23 articoli che regolamentavano l’intera organizzazione della Confraternita stessa e porta le date 1880, con la firma del Vescovo di Susa Mons. Rosaz, e 1886 con la firma dell’allora Parroco di Melezet PietroMassimino Vallory.
Dallo statuto emerge che la Confraternita possedeva un Direttivo, composto da un Rettore, un Vice Rettore, un Tesoriere-Segretario, un Portiere-Sacrestano, 8 Consiglieri, un Portecroix, un Porteclochette e un Batonnier. Ognuno aveva un ruolo e incarichi ben precisi. Processioni e sepolture erano sempre accompagnate dai membri della Confraternita ed il loro comportamento doveva essere impeccabile.
I consiglieri erano nominati una volta all’anno, la domenica precedente la festa di S. Antonio. In questa giornata, tutti i conti della Confraternita erano verificati alla presenza dei Parroci e del Direttivo e, ogni anno, sempre in questo giorno, ogni confratello o consorella doveva pagare la propria quota di partecipazione del valore di una lira.
Al momento dell’iscrizione, ogni associato doveva fare penitenza e partecipare all’Eucaristia, procurarsi un abito di Confraternita, presentarsi con l’abito sul braccio all’altare di S. Antonio per ricevere dal curato la benedizione propria e del proprio abito. Era prevista una tassa di 70 centesimi se l’associato era in buona salute, 2 lire se malato, 10 lire in punto di morte, per il consumo delle candele.
Il tesoriere, ogni anno, faceva celebrare quattro Messe cantate per i confratelli defunti.
Portecroix e Porteclochette, come è facile intuire, erano presenti davanti ad una processione con croce processionale e campanella. Il Batonnier era anche detto Sergente di processione, aveva il compito di mantenere l’ordine, anche a costo di usare il bastone, se qualche membro si prendeva la libertà di comportarsi in modo poco consono. Erano in uso anche le punizioni, per chi veniva meno ai propri compiti, che consistevano in una ammenda di 50 centesimi o nel consegnare una candela del peso di un ettogrammo.
Le Confraternite e Compagnie avevano normalmente sede presso altri siti in Cappelle laterali della chiesa parrocchiale o presso la sacrestia del medesimo edificio, solo in alcuni casi, come per la Confrairie du Saint Scapulaire a Melezet e quella del Rosario a Bardonecchia è attestata la presenza di un edificio autonomo e di un rettore “officiante”.
Il fonte battesimale lapideo risale all’inizio del XVI sec. con vasca a vaso in marmo rosa locale appoggiante su un piede polilobato. Il ciborio ligneo è di epoca successiva ed è composto da sette pannelli traforati sormontati da una piramide con croce in apice. Anche la collocazione, entrando a sinistra, risponde ai dettami dell’epoca successiva al Concilio di Trento.
Poco lontano, vi sono due dipinti del ’700 rappresentanti la Madonna col Bambino e le anime del Purgatorio. Si tratta di un’iconografia consueta soprattutto nell’ingresso delle chiese: il terrore delle fiamme doveva indurre il credente ad entrare nella casa del Signore con atteggiamento penitente.
Ma ciò che rende la chiesa di Melezet unica nel suo genere, sono gli intagli lignei con decorazione policroma e doratura, conosciuti con il nome di “Grappoli del Melezet” che ornano l’arco del presbiterio e ispirano gli intagliatori dell’antistante Scuola di Intaglio.
Nel corso dei secoli, tutto l’apparato è stato più volte restaurato, ma ricorderemo l’ultimo, radicale e costoso restauro del 2005, voluto dall’attuale Parroco don Gian Paolo Di Pascale, che ne ha risanato la struttura e riportato il tutto al suo antico splendore.
L’inaugurazione della chiesa ristrutturata è avvenuta il 4 gennaio 2006.
(tratto dallo studio di Daniela Ferrero e Valeria Bonaiti)