In occasione della festa dello “Scapulaire”, il 18 luglio 2015, nel Museo di
Arte Religiosa Alpina di Melezet dedicato a don Francesco Masset è stata
inaugurata la mostra
ANTONIO, L’ABATE PROTETTORE
PASSEGGIATA NEI LUOGHI DI
CULTO DEDICATI AL SANTO
in collaborazione con gli “Amici
dell’Ordine Mauriziano” che ci hanno fornito degli interessanti pannelli che
riguardano la storia del Santo ed alcuni luoghi sacri dedicati a lui
Vita
del Santo
Sant’Antonio Abate nacque intorno al 251
d.C. in Egitto, nella località di Coma.
Padre del monachesimo orientale, e
primo degli Abati (termine che deriva da Abbà, padre spirituale) fu uno dei più
illustri eremiti da quando, a circa 20 anni, seguendo letteralmente il passo
evangelico «Se vuoi essere perfetto va’,
vendi quello che hai, e dallo ai poveri»,
lasciò tutto per ritirarsi nel deserto egiziano per condurre una vita da anacoreta.
Ben presto la sua fama fece accorrere numerosi discepoli. Pur abbandonando la
vita da eremita, mantenne sempre una condotta ascetica. Per due volte rientrò ad
Alessandria d’Egitto, nel 311 per confortare ed aiutare i cristiani
perseguitati dall’imperatore Massimino Daia e nel 355 per combattere l’eresia
di Ario. Morirà ultracentenario nel 356, in odore di santità, tanto che persino
l’Imperatore Costantino si rivolse a lui in cerca di consigli. Gran parte delle
notizie sulla sua vita le possediamo grazie alla biografia scritta da
Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto tra il 326 e il 372, discepolo
di S. Antonio.
Sant’Antonio fu il più importante,
tra i Santi relazionati con l’ergotismo, per il diffuso credo legato alla
potenza curativa della sua invocazione e all’efficacia dell’uso delle sue
reliquie nel dare sollievo ai sofferenti. È stato riportato che, durante la sua
vita ascetica, Sant’Antonio mangiava pane contaminato dall’ergot e che le sue
condizioni generali di salute erano diretta conseguenza dell’ergotismo.
Ricordiamo per esempio gli stati visionari, legati per lo più a tentazioni demoniache,
per i quali bisogna anche considerare, come fattori contributivi, l’isolamento nel
deserto, il silenzio, l’insonnia e la scarsezza di cibo e acqua. I metodi di
cura dell’ergotismo erano basati sulla credenza nelle proprietà taumaturgiche delle
reliquie del Santo, su trattamenti medici e chirurgici (amputazione degli arti
colpiti), e sull’uso di differenti prodotti, sia naturali (fitoterapia) che
chimici.
La malattia della segale e di altre
graminacee è provocata da un fungo ascomicete che produce un micello il quale
arresta lo sviluppo dell’ovario della pianta, invadendone i tessuti fino a
sostituirli. Questi tessuti sostituiti contengono degli alcaloidi (ergotamina, ergometrina)
che, se vengono ingeriti per mezzo di alimenti preparati con farina di cereali
infetti, possono caratterizzare una intossicazione caratteristica, talora
mortale, detta ergotismo. Inoltre la segale cornuta contiene alcune sostanze
allucinogene, simili al famoso L.S.D., pertanto è quasi certo che l’ingestione
di alimenti confezionati con farina contaminata fosse la responsabile di molte
follie e possessioni collettive, soprattutto tra le popolazioni rurali e in
particolari condizioni come guerre e carestie, narrate da cronisti medievali.
L’ergotismo era diffuso per lo più
tra le persone delle classi sociali basse, le quali vivevano in aree rurali povere,
dove il pane e altri simili prodotti rappresentano la parte più importante
delle provvigioni giornaliere. Il pane preparato con farina contaminata era
noto come pane maledetto. Così l’uso del pane bianco o scuro costituì
un’ulteriore differenziazione tra le classi sociali. Segni
distintivi del Santo I principali segni distintivi del
Santo possono essere riepilogati come segue:
– croce
a T (tau) spesso di colore rosso, posta
sulle vesti o all’apice del bastone;
– bastone, spesso a forma di tau, la lettera “t”
dell’alfabeto ebraico-greco (se il Santo è raffigurato in abiti monacali, il
bastone è spesso dotato di una campanella);
– pastorale, se il Santo è raffigurato in abiti
da abate, talora è adornato con un campanello;
– maiale, ai piedi (talora sono presenti altri
animali, come il cinghiale);
– campanella, in mano o legata al bastone, talora
più di una;
– libro
delle Sacre Scritture, tenuto in mano, generalmente aperto
(talvolta ai piedi o sostenuto da angeli);
– fuoco, sul libro o ai piedi (richiama la protezione
del Santo sui malati del fuoco di Sant’Antonio).
Sant’Antonio sul nostro territorio Dopo aver descritto la figura del
Santo, proveremo a capire perché esso venne venerato per così tanto tempo dai
fedeli di Melezet.
Sappiamo che nel Delfinato, antico Regno
di Francia, di cui fino al 1713 faceva parte anche la nostra frazione, la
malattia fu chiamata per la prima volta “fuoco di Sant’Antonio” nel 1090:
inoltre una comunità di Antoniani, partiti da Vienne, si stabilì a Névache,
appena al di là del Colle della Scala, e nel 1498 edificò una chiesa (ancora esistente),
decorata con affreschi e dotata di un piccolo centro di accoglienza per viaggiatori
e pellegrini. Qui all’ospitalità si affiancò la cura delle malattie che
colpivano i pellegrini durante il loro viaggio, dedicandosi soprattutto alla
cura del “male degli ardenti”.
Con il tempo questa funzione divenne prevalente,
tanto che dall’hospitale medievale derivò l’ospedale che, per molto tempo, si
prese cura anche dei parrocchiani.
Gli Antoniani intervennero anche in campo
agricolo, introducendo la rotazione delle colture.
S. Antonio è rappresentato anche in
un affresco della chiesa di Saint Marcellin a Névache.
Sempre da Névache proviene lo
scartafaccio occitano di Sant’Antonio, del 1503, scoperto nel 1881 negli archivi
del paese dal Parroco, don Guillaume, archivista dipartimentale.
Si sa che fino al 1700, sui sagrati
delle chiese, venivano recitati i mystères, antiche forme devozionali e
catechetiche rivolte al popolo, e proprio il testo in dialetto ritrovato a Névache
ne è uno tra i più celebri. I parrocchiani durante l’intero inverno preparavano
accuratamente questa rappresentazione teatrale sacra e a giugno, di solito, la
eseguivano dando prova di una emozionante testimonianza di cultura popolare e
religiosa.
Névache, chiesa degli Antoniani. 168
Nella nostra area il culto di S.
Antonio si diffuse fin dal XVI secolo ed ancora oggi viene invocato questo
Santo il 17 gennaio, giorno della sua morte. In tempi non molto lontani, un
santino spesso stropicciato e di scarso o nessun valore artistico, raffigurante
S. Antonio abate, faceva bella mostra di sé sul retro della porta d’ingresso
della stalla, oppure era presente nei luoghi dove vivevano e riposavano gli
animali domestici.
In occasione della festa di questo
Santo, a Bardonecchia si celebrava la S. Messa degli Offerenti e le offerte
consistevano in uova, formaggi, burro e patate, mentre a Melezet, anticamente,
i contadini, dopo una solenne celebrazione in onore del Santo, conducevano sul
sagrato della chiesa i loro animali, soprattutto muli, per farli benedire;
inoltre, in previsione della festa del Santo, veniva ucciso il maiale, quindi
il menu del giorno di Sant’Antonio prevedeva delle portate a base di carne di
maiale, come prosciutto, ravioli ripieni di carne e verdura, arrosto.
Era inoltre usanza fare una
processione con la statua del XVI secolo raffigurante il Santo, ora esposta nel
Museo di Arte Religiosa Alpina, ma che, ancora oggi, ritorna a fare presenza in
chiesa per la celebrazione in suo onore. La devozione per questo Santo,
probabilmente, ha semplicemente valicato le Alpi, passando da Névache a
Melezet: sappiamo che gli abitanti dei due paesi furono costantemente in
contatto tra di loro ed è pressoché certo che qualche melezettino abbia
assistito alla rappresentazione del mystère
di S. Antonio. Che questi ne siano i motivi
o meno, è certo che a S. Antonio furono dedicate alcune chiese e cappelle, una tra
queste la chiesa parrocchiale della nostra borgata.
È inoltre da ricordare che tra i
primi ospitali presenti in Italia possiamo annoverare, sulla Via Francigena, la
Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e le fondazioni site presso Susa,
Torino, Asti, e così via, fino a raggiungere Roma.
La chiesa parrocchiale sita nella
frazione Melezet è oggi intitolata a Sant’Antonio Abate. La fondazione della
Parrocchia risale al 6 aprile 1487, quando il Vicario Generale della Prevostura
d’Oulx concesse alla comunità di Melezet di distaccarsi dalla Parrocchia di
Bardonecchia, permettendole di erigere a chiesa parrocchiale con diritto
battesimale e annesso cimitero la locale cappella dedicata alla Vergine e a
Sant’Antonio
Abate (AD Susa, Fondo Archivio
Storico vescovile, fald. 55, fasc. 2).
La titolazione iniziale, tuttavia,
non fu a Sant’Antonio: la chiesa parrocchiale è infatti indicata come «ecclesia
parochialis Beate Marie» sita «Melezeto mandamenti Bardonischia » nella visita
De Mari, datata 9 agosto 1546. Sempre con riferimento alla Vergine essa è
indicata come: Santa Maria della Consolazione (visita Broglia 1599), Santa Maria della Consolazione e
Sant’Antonio (visita Broglia 1609), Assunzione della Beata Maria
Vergine (visita Beggiamo 1673), Assunzione di Santa Maria Vergine e
Sant’Antonio Abate (visita Gattinara 1731) per poi arrivate all’attuale e sola
titolazione a Sant’Antonio Abate.
Statua lignea di Sant’Antonio
Abate, XVI sec. - Proviene
dalla parrocchiale di Melezet, era
circondata da tavole raffiguranti
episodi di vita del Santo (Segusium
n. 19 1983) e Paliotto.
Nel corso del XVII secolo l’abitato
di Melezet fu interessato da due eventi disastrosi.
Nel 1668 e nel 1694 gran parte d’esso
fu distrutto da incendi, ma anche se questi fatti interessino marginalmente la
parrocchiale, essa si trovava già in condizioni molto gravi, tanto da minacciare
di crollare.
Si decise quindi di ricostruirla e
ciò accadde tra il 1694 e il 1698 in
seguito alla donazione di un terreno a
parte della vedova Foumier, con la specifica clausola di utilizzarlo per il
nuovo edificio, e all’acquisto di case e ruderi dei sigg. Teresa Aguet, Maria Soubeyran
ed Antonio Orcel. La nuova chiesa fu benedetta il 20 maggio del 1698 da M. George Fantin,
abate d’Oulx, ma solo nel 1726 venne consacrata da Monsignor Francesco Giacinto
Valperga di Masino, Vescovo e principe di St. Jean de Maurienne. Ancora oggi
sono visibili le croci di consacrazione.
La spesa per il nuovo edificio fu
sostenuta per gran parte dalla comunità, si riutilizzò parte delle pietre
dell’antico edificio (per esempio la cuspide del campanile), si fuse il ferrame
per poi riciclarlo, furono installate delle fornaci per la calce, le lose del tetto
si acquistarono alla cava della Baume di Oulx, mentre i vetri delle finestre
giunsero da Lyon. Il portone, in legno di noce, fu opera di Jean Faure di
Chiomonte.
Il campanile, alto complessivamente
31 metri, costituisce un pregevole esempio di campanile in stile romanico
delfinale, slanciato e con una elevata cuspide gotica tipica delle torri
campanarie dell’Alta Valle Susa e dell’antico Delfinato. Le campane, realizzate
nel 1696, furono prodotte da François Vallier di Plampinet; l’orologio fu
comprato a Torino nel 1771.
Il vano sotto chiesa, nei periodi
invernali, a causa della difficoltà nello scavare il terreno gelato, fu
utilizzato per molto tempo per le sepolture provvisorie dei defunti.
Sulla facciata le nicchie contenevano
statue lignee policrome, ora riposte al Museo don Masset di Melezet; ma esposte
fino al 1935 circa.
All’interno si possono ammirare: il
ricco retable dell’altare maggiore realizzato nel 1698, per una spesa di 550
livres, con una icona rappresentante Sant’Antonio Abate che allarga le mani a
dichiarare la sua insufficienza per cui fiducioso alza gli occhi a Maria e al
suo figlioletto. Al centro e nella parte alta del dipinto sta infatti la
Vergine in gloria, seduta sulle nubi e circondata da angeli. Con una mano
stringe a sé il Bambino e con l’altra esprime esaudimento o prontezza ad
esaudire. Nella sacra conversazione, cominciata tra Antonio e Maria, interviene
poi un terzo interlocutore: il possente
angelo biancovestito eretto sulla
destra del dipinto, il quale orienta il nostro sguardo dal cielo verso la
terra, puntando il dito verso la chiesa di Melezet che si staglia contro lo
sfondo delle Quattro Sorelle (G. Biguzzi 2014). Nell’angolo in basso vediamo uno
stemma e il nome delle famiglie Des Geneys e Agnés, signori di Bardonecchia, che
contribuiscono alle spese dell’opera. Sul lato destro del presbiterio, un
interessante dipinto, raffigurante l’Assunzione della Vergine con gli Apostoli,
è opera di Paolo Gerolamo Della Croce, datato 1609 e quindi appartenente alla
precedente chiesa parrocchiale. Il soffitto è stato dipinto nel 1935 dal
pittore Fiorio, che ha raffigurato i quattro evangelisti: S. Luca con il bue,
S. Matteo con l’angelo, S. Marco con il leone e S. Giovanni con l’aquila.
Sullo Jubé la scritta in greco
significa Mistero. L’antico pulpito, ora trasformato in ambone, ed il leggio
datano 1700 e sono opere in legno di noce realizzate da Jean Faure di Chiomonte,
che con il portone eseguì anche la balaustra e i mobili per la sacrestia.
I due altari laterali, intitolati al
S. Rosario e a S. Antonio, sono stati eseguiti con parti del retable della
vecchia chiesa. Essi furono utilizzati dalle omonime Confraternite.
La Confraternita di S. Antonio Abate
fu istituita nel 1606. Il suo statuto, esposto al Museo, è composto da 23
articoli che regolamentavano l’intera organizzazione della Confraternita stessa
e porta le date 1880, con la firma del Vescovo di Susa Mons. Rosaz, e 1886 con
la firma dell’allora Parroco di Melezet PietroMassimino Vallory.
Dallo statuto emerge che la
Confraternita possedeva un Direttivo, composto da un Rettore, un Vice Rettore,
un Tesoriere-Segretario, un Portiere-Sacrestano, 8 Consiglieri, un Portecroix,
un Porteclochette e un Batonnier. Ognuno aveva un ruolo e incarichi ben
precisi. Processioni e sepolture erano sempre accompagnate dai membri della
Confraternita ed il loro comportamento doveva essere impeccabile.
I consiglieri erano nominati una
volta all’anno, la domenica precedente la festa di S. Antonio. In questa
giornata, tutti i conti della Confraternita erano verificati alla presenza dei
Parroci e del Direttivo e, ogni anno, sempre in questo giorno, ogni confratello
o consorella doveva pagare la propria quota di partecipazione del valore di una
lira.
Al momento dell’iscrizione, ogni
associato doveva fare penitenza e partecipare all’Eucaristia, procurarsi un
abito di Confraternita, presentarsi con l’abito sul braccio all’altare di S.
Antonio per ricevere dal curato la benedizione propria e del proprio abito. Era
prevista una tassa di 70 centesimi se l’associato era in buona salute, 2 lire se
malato, 10 lire in punto di morte, per il consumo delle candele.
Il tesoriere, ogni anno, faceva
celebrare quattro Messe cantate per i confratelli defunti.
Portecroix e Porteclochette, come è
facile intuire, erano presenti davanti ad una processione con croce
processionale e campanella. Il Batonnier era anche detto Sergente di processione,
aveva il compito di mantenere l’ordine, anche a costo di usare il bastone, se
qualche membro si prendeva la libertà di comportarsi in modo poco consono. Erano
in uso anche le punizioni, per chi veniva meno ai propri compiti, che
consistevano in una ammenda di 50 centesimi o nel consegnare una candela del
peso di un ettogrammo.
Le Confraternite e Compagnie avevano normalmente
sede presso altri siti in Cappelle laterali della chiesa parrocchiale o presso
la sacrestia del medesimo edificio, solo in alcuni casi, come per la Confrairie
du Saint Scapulaire a Melezet e quella del Rosario a Bardonecchia è attestata
la presenza di un edificio autonomo e di un rettore “officiante”.
Il fonte battesimale lapideo risale
all’inizio del XVI sec. con vasca a vaso in marmo rosa locale appoggiante su un
piede polilobato. Il ciborio ligneo è di epoca successiva ed è composto da
sette pannelli traforati sormontati da una piramide con croce in apice. Anche
la collocazione, entrando a sinistra, risponde ai dettami dell’epoca successiva
al Concilio di Trento.
Poco lontano, vi sono due dipinti del
’700 rappresentanti la Madonna col Bambino e le anime del Purgatorio. Si tratta
di un’iconografia consueta soprattutto nell’ingresso delle chiese: il terrore
delle fiamme doveva indurre il credente ad entrare nella casa del Signore con
atteggiamento penitente.
Ma ciò che rende la chiesa di Melezet
unica nel suo genere, sono gli intagli lignei con decorazione policroma e
doratura, conosciuti con il nome di “Grappoli del Melezet” che ornano l’arco
del presbiterio e ispirano gli intagliatori dell’antistante Scuola di Intaglio.
Nel corso dei secoli, tutto
l’apparato è stato più volte restaurato, ma ricorderemo l’ultimo, radicale e
costoso restauro del 2005, voluto dall’attuale Parroco don Gian Paolo Di
Pascale, che ne ha risanato la struttura e riportato il tutto al suo antico splendore.
L’inaugurazione della chiesa
ristrutturata è avvenuta il 4 gennaio 2006.
(tratto dallo studio di Daniela
Ferrero e Valeria Bonaiti)