Quello
di mercoledì 6 maggio 2015 per un folto gruppo di bardonecchiesi è stato un
pomeriggio ricco di emozioni davanti al Mistero dell’Uomo della Sindone. Alcuni
avevano già vissuto questa esperienza, per altri è stata la prima volta. Una
lunga coda, assieme agli altri pellegrini giunti da tutta la nostra Diocesi di
Susa, poi qualche istante preparatorio con il video della “lettura” del sacro
lenzuolo e di seguito un lungo corridoio, con l’esposizione dei pannelli con la
vita di San Giovanni Bosco e altri Santi torinesi dell’800 e ’900.
Davanti alla Sindone le domande e le
richieste di ognuno si sono alzate silenziose dalla mente e dal cuore a Dio. Il
mistero della Sindone si infittisce di fronte allo scatto fotografico di
Secondo Pia quando, in occasione dell’Ostensione del 25 maggio 1898, scoprì che
il negativo della foto si comportava come un positivo fotografico. La storia
della Sindone e il mistero che l’avvolge continua a essere oggetto di studi
pluridisciplinari da parte di scienziati di tutto il mondo, tra i quali anche
il dott. Pier Luigi Baima Bollone, autore del libro “Storia e scienza” (Ed.
Priuli e Verlucca).
In preparazione all’Ostensione nella
nostra Diocesi si erano tenuti vari incontri, tra i quali, all’Unitre di Oulx,
il poeta e scrittore Dino Ariasetto aveva presentato proprio il libro del dott.
Baima Bollone. Il prof. Bruno Barberis aveva invece parlato, per tutta la zona
Altavalle, nel salone dei Salesiani a Oulx, la sera di venerdì 20marzo,
ripercorrendo la storia della Sindone, ricordando gli incendi di Chambéry e
Torino e analizzando le tecniche di conservazione attuate nel corso dei secoli.
Il prof. Barberis, docente
universitario di matematica e membro della Confraternita del Santissimo Sudario
di Torino, tra l’altro aveva affermato che «i medici legali hanno effettuato sulla
Sindone un’autopsia “sui generis”... un’autopsia infatti necessita di un
cadavere, ma qui c’è un telo, del sangue e un’immagine. Papa Giovanni Paolo II
l’aveva definita “specchio del Vangelo”. Ad oggi non è possibile provare con assoluta
certezza che il Sacro Lino sia effettivamente il telo della sepoltura di Gesù,
ma – continua Barberis – le motivazioni che portano a credere, proprio sul
piano scientifico, che possa trattarsi di lui, sono notevoli: sia l’uomo della
Sindone che Gesù sono stati avvolti in un lenzuolo, hanno portato un casco di
spine, hanno portato sulle spalle il patibulum, sono stati affissi alla croce
con chiodi, non con corde, riportano una ferita al costato destro, non hanno le
gambe fratturate, hanno ricevuto una sepoltura non definitiva e sono rimasti
per un breve periodo nel lenzuolo. Nella complessa spiegazione è emerso che ad
oggi non è possibile dimostrare né spiegare con i mezzi che c’erano allora, e
tolto il caso del laser, anche con i mezzi moderni, un’ipotetica creazione
artistica del Sacro Lino. Curioso il ritrovamento del sangue di gruppo AB, lo
stesso gruppo rinvenuto sul Santo Sudario e nel Miracolo Eucaristico di
Lanciano. Il gruppo AB è posseduto solo dal 5% della popolazione mondiale. Un
gruppo raro». È da poco uscito nelle librerie un libro curato dal prof.
Barberis, “Autopsia dell’uomo della Sindone” (Ed. Elledici).
Dopo avere venerato la Sindone i
circa 800 pellegrini provenienti da tutta la Diocesi si sono ritrovati nella
chiesa di San Filippo dove il Vescovo ha presieduto la solenne concelebrazione.
In tarda serata abbiamo fatto ritorno a casa portando nel cuore un ottimo
ricordo e la gioia di avere contemplando il Volto di colui che «tanto ha amato
gli uomini da dare la vita per noi».
Maria Teresa Vivino
Il
2015, anno del bicentenario della nascita di Don Bosco, si è aperto con le
solenni celebrazioni all’Abbazia dei Salesiani di Oulx in occasione dell’arrivo
dell’urna contenente le preziose reliquie di San Giovanni Bosco. Il 14 e 15
gennaio, un folto gruppo di bardonecchiesi ha partecipato all’evento per
rendere onore alle reliquie del Santo. Don Franco, in considerazione del grande
interesse spirituale suscitato, ha pensato di organizzare, per il 20 maggio, il
pellegrinaggio parrocchiale a Castelnuovo Don Bosco, terra di grandi Santi
piemontesi, in particolare nelle frazioni dei Becchi, Colle Don Bosco, Morialdo
e Mondonio San Domenico Savio.
Puntuali, alle 7 del mattino, i
numerosi pellegrini prendono posto sul pullman occupando tutti i sedili
disponibili e si parte con destinazione Colle Don Bosco. Dopo una breve sosta sulla
tangenziale di Torino per un caffè ristoratore, il Parroco illustra lo
svolgimento della giornata.
Il gruppo davanti alla casa di Don Bosco. (foto L. Tancini) |
Si giunge così, alle 8,45, nel grande piazzale antistante l’imponente Basilica dove ad attenderci, per fare gli onori di casa, c’è la prof.ssa Patrizia Porcellana con quattro volontarie dell’associazione Amici Ca.Ri. di Asti vestite con il folkloristico costume monferrino.
Prima della visita, ci accomodiamo
in un ampio auditorium dove viene proiettato un coinvolgente filmato sulla vita
di “Giovannino” e sulle opere salesiane nel mondo. Il cicerone ci fa quindi
visitare la Basilica inferiore dove, dietro all’altar maggiore, è posto un
prezioso reliquiario contenente un frammento del braccio di Don Bosco e, nella
luminosa cappella laterale di sinistra, quella di San Domenico Savio. Sul
fondale della Basilica campeggia in alto la riproduzione fotografica, a
dimensione naturale, dell’Ultima Cena. Si accede quindi alla Basilica superiore,
la guida spiega il significato dei dipinti che riproducono alcuni sogni di Don
Bosco: il lupo, gli agnelli e Gesù che indica Maria come maestra per realizzare
la sua missione fra i giovani. Molto interessante è pure la spiegazione della
struttura architettonica della Basilica (altro sogno di Don Bosco) che
rappresenta una grande barca su cui c’è il Papa assalita da numerosissime piccole
barche, ci sono però due solidi pilastri che lo sostengono: la Madonna e
l’Eucaristia.
Sui vetri cattedrali sono
raffigurati monsignor Vincenzo Cimatti, evangelizzatore salesiano del Giappone,
e don Giovanni Cagliero, evangelizzatore della Patagonia. Conclusa la visita
delle Basiliche, attraversiamo il grande piazzale a cui fa da sfondo un meraviglioso
panorama di colline che si chiude con la cerchia delle Alpi; giungiamo così
alla “mia casa” come la chiamava Don Bosco. In realtà, Giovanni nacque in una
casa ora non più esistente, dove sorge l’altar maggiore della Basilica
inferiore, perché dopo la morte del padre, avvenuta quando aveva solo 2 anni,
mamma Margherita, fece ristrutturare una tettoia che diventò così la casa di
abitazione della famiglia Bosco.
La Celebrazione Eucaristica avviene
nel piccolo santuario di Maria Ausiliatrice edificato fra il 1915 e 1918 su
progetto del salesiano Giulio Valotti e dominato dalla statua della Vergine.
Toccanti sono state le parole
dell’omelia tutta imperniata sull’importanza dell’educazione cristiana dei giovani.
Il Parroco evidenzia come il Monferrato sia stato veramente terra di Santi: San
Giovanni Bosco, San Domenico Savio, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, San Giuseppe
Cafasso, e conclude citando due episodi non molto noti, ma non per questo marginali.
Don Bosco, all’inizio della sua attività apostolica, era molto ammirato da don
Cafasso, ma, nell’accompagnare al patibolo i condannati a morte, sviene a
motivo della sensibilità del suo carattere, inizia così la sua attività fra i
giovani. Don Franco ricorda ancora che Don Bosco ebbe modo di conoscere Edoardo
Rosaz e, dopo la morte di mamma Margherita, andò a Susa per trovare una parola
di conforto dall’amico Vescovo.
A Morialdo, dove Domenico Savio, con la sua famiglia, visse dal 1844 al 1852. (foto L. Tancini) |
Dopo avere consumato un ottimo
pranzo presso il ristorante “Mamma Margherita” ed avere goduto un momento di simpatica
convivialità, risaliamo sul pullman per visitare i luoghi dove visse San
Domenico Savio a Morialdo e Mondonio San Domenico Savio.
Il Santo nacque a Riva presso Chieri
il 2 aprile 1842. La famiglia, per motivi di lavoro, si trasferì a Morialdo nel
1844 dove risiedette fino al 1852, ed infine a Mondonio dove Domenico, ancora
giovinetto, morì il 9 marzo 1857 per colera. Nel 1854, ai Becchi, avvenne
l’incontro con Don Bosco, il giovane Domenico aveva una lettera di
presentazione di don Cagliero, Parroco di Castelnuovo, in cui il sacerdote lo
paragonava al novello San Luigi! Storiche sono rimaste le frasi di Domenico Savio
che, rivolgendosi a Don Bosco, chiese di farlo Santo, ed altrettanto famosa è
la risposta del Santo: «Qui c’è la stoffa ed io sarò il sarto». Nel cortile
della casa di Morialdo una lapide ricorda al visitatore che il 5 marzo 1950 fu
riconosciuto Beato ed il 12 giugno 1954 fu proclamato Santo.
A Mondonio il tempo si è fatto
nuvoloso e, durante la visita alla casa del Santo cominciano a scendere grossi
goccioloni, ciò però non impedisce di visitare il piccolo museo annesso alle
camerette dove sono raccolti numerosi attrezzi per la lavorazione dei campi
forgiati dal padre di Domenico che era fabbro ed il semplice laboratorio di
cucito della mamma che esercitava il mestiere di sarta.
Basilica di Maria Ausiliatrice a
Torino. L’urna con la reliquia di S. Giovanni Bosco.
In alto la pala d’altare in
onore dell’apostolo dei giovani. (foto
L. Tancini)
Si giunge a Torino con largo
anticipo rispetto all’orario in cui siamo attesi a Valdocco, così riusciamo ad
inserire una breve visita in Duomo dove è esposta la Sacra Sindone, i
pellegrini ne approfittano per un momento di riflessione e per venerare il telo
sindonico.
La visita al Santuario di Maria
Ausiliatrice suscita in tutti i pellegrini un’emozione molto intensa sia perché
fra soli quattro giorni, il 24 maggio, ricorre la festa della Madonna
Ausiliatrice, istituita da Pio VII nel 1814, sia perché l’ora serale crea nel
tempio una luce soffusa che infonde un’atmosfera quasi irreale da Paradiso; la
spiegazione della guida è molto efficace specie nelle camere dove Don Bosco è
vissuto a Torino in mezzo ai suoi giovani e, conclusa la visita, uscendo dalla
Basilica oramai semibuia e quasi deserta, volgendo lo sguardo verso l’altare dove
è conservato il corpo di San Giovanni Bosco sembra di sentire risuonare, a voce
spiegata, il canto di migliaia di giovani che invocano: «Don Bosco ritorna tra
i tuoi giovani ancor» o «Ausiliatrice vergine bella» e si è presi da profonda
commozione.
Nel viaggio del ritorno il nostro
animo è pervaso da tanta nostalgia per la bella giornata trascorsa e siamo
gioiosi nel nostro cuore perché abbiamo ricaricato le pile della nostra fede.
Marco rissone
Mercoledì
29 luglio, quasi a metà delle vacanze estive, è la data scelta dalla parrocchia
per il pellegrinaggio
al Santuario di Ars-sur-Formans, il
paese del Santo Curato Giovanni Maria Vianney. Non è la prima volta che ci
rechiamo ad Ars, questo piccolo paese a nord di Lione che deve la sua notorietà
all’opera di un santo parroco, ma la scelta è dovuta anche all’anno giubilare
che ricorda i duecento anni della sua Ordinazione, avvenuta il 13 agosto del
1815. Ogni anno il Santuario accoglie più di 400mila pellegrini, al punto che
alla vecchia chiesetta è stata affiancata una moderna chiesa sotterranea per
accogliere le celebrazioni con grande affluenza di popolo, e gli eventi come il
giubileo o l’anno sacerdotale indetto da Papa Benedetto XVI lo scorso 2009 per
la ricorrenza dei 150 anni del “dies natalis” del Santo hanno aumentato ancora
le presenze.
La nostra visita inizia dalle stanze
in cui San Giovanni Maria visse i suoi anni nella parrocchia di Ars: era il 13
febbraio 1818 quando il giovane pretino di 32 anni, poco considerato dai
superiori, raggiunse la cappellania di Ars di appena 230 abitanti. «Non c’è molto
amor di Dio in quella parrocchia, voi ce ne metterete», gli aveva detto il
Vescovo. Per oltre quarant’anni San Giovanni Maria si dedicò alla preghiera e
alla penitenza: entrava in chiesa all’aurora
e ne usciva al calare della sera, sottoponendosi a digiuni e penitenze che
peggiorarono il suo stato di salute. Nelle povere stanze annesse alla
parrocchia c’è una testimonianza della vita dell’Ottocento:
la cucina costituita da un paiolo
sul camino e un povero tavolo di legna e lo scrittoio accanto al letto. Insieme
a questo povero arredamento, il diploma incorniciato con cui Napoleone III lo
decorò della Legion d’Onore, anche se il Santo Curato non diede mai importanza
alle onorificenze civili, ponendo al di sopra di tutto il fare la volontà di
Dio, come non ne diede neanche alla nomina a canonico, di cui non portò mai le
insegne, continuando a celebrare la Messa e a confessare nella parrocchia
dedicata a San Sisto.
S. Giovanni Maria Vianney, Curato
d’Ars
«A che servirebbe una casa piena
d’oro se non
aveste nessuno per aprire la porta?
Il sacerdote
ha la chiave dei tesori celesti; è
lui che apre la
porta, è l’economo del buon Dio, l’amministratore
dei suoi beni». (S. Curato d’Ars)
Alla carità spirituale affiancò
sempre quella materiale, costruendo negli anni una scuola e un orfanotrofio per
ragazze, la “Providence”, che arrivò ad ospitare fino a 60 fanciulle. Il poco
che avanzava lo dava ai poveri.
Negli anni in cui il Santo Curato
resse la parrocchia, la ricostruzione spirituale della comunità andò di pari
passo con quella materiale. Questa cosa non poteva lasciare indifferente il
demonio, da cui San Giovanni Maria fu lungamente tormentato, e che vinse con le
armi della preghiera e del digiuno.
Proseguiamo la visita nel Santuario,
ricavato dall’ampliamento della parrocchia primitiva, dove si trovano molti
ex-voto, il confessionale in cui il Curato d’Ars spese la sua vita passandoci anche
18 ore al giorno e la statua della martire romana Santa Filomena, alla cui
intercessione don Giovanni Maria attribuiva le grazie ricevute dai suoi
parrocchiani e dai fedeli che a poco a poco avevano trasformato Ars in un luogo
di preghiera e di riconciliazione. Qui don Franco celebra la Messa all’altare
laterale in cui è custodito e venerato il corpo del Santo. Notiamo il contrasto
fra la “dignità” della chiesa e la “povertà” della sua casa: insieme a San
Francesco possiamo dire che «La povertà si ferma ai piedi dell’altare», non c’è
contraddizione fra una vita di penitenza e l’abbellimento della casa di Dio,
che è anche casa dei figli di Dio. Quante volte ci tocca invece vedere chiese
mal tenute, per trascuratezza o per un malinteso senso di “sobrietà” che non
può elevare gli animi.
All’Abbazia di Charlieu. (foto L. Tancini)
Dopo il pranzo, la giornata prosegue
nel pomeriggio con la visita all’abbazia di Charlieu, un capolavoro del
romanico francese, fondata nell’872 e diventata un importante centro religioso,
quando l’Ordine Benedettino era la più importante realtà del monachesimo
occidentale.
Nel 932 l’abbazia divenne dipendenza
della grande abbazia di Cluny, e lo rimase fino alla fine del XVIII secolo. Dopo la partenza dei monaci
l’abbazia è stata trasformata in museo, della grande chiesa rimangono solo le
tracce di dove si trovavano abside e colonne, mentre è ben conservato
l’edificio monastico con il chiostro, utilizzato come museo.
Danilo Calonghi
L’abbazia
benedettina del secolo XI di Saint Pierre di Solesmes, località del nord ovest
della Francia nei pressi di Sablé-sur-Sarthe vicino alla città di Le Mans, da
sempre è considerata grande centro di spiritualità cristiana e uno dei più
potenti centri di studio e diffusione di musica liturgica e in particolare del
canto gregoriano. Questo canto liturgico, la cui composizione fu attribuita a
San Gregorio Magno, segna l’inizio della storia della musica occidentale; esso
è costituito da un repertorio di canti liturgici monodici della Chiesa
cattolica che fiorì nel Medioevo e fu praticato fino in tempi recenti
soprattutto nelle funzioni solenni nelle chiese e nei Seminari diocesani. Poi
con l’offuscamento della lingua latina anche il canto gregoriano ne seguì la
stessa sorte. Sennonché in età moderna, facendosi pressante la necessità di
recuperare la musica e i canti del passato sotto l’aspetto culturale ma in
particolare liturgico, furono appunto i monaci dell’Abbazia di Solesmes a
riportare in vita il canto gregoriano tramite lo studio di antichi manoscritti.
Il gruppo di Bardonecchia a Solesmes. (foto A. Bosco) |
Così, alle ore 5 del mattino di martedì
18 agosto, 37 pellegrini “bardonecchiesi” si incontrano sulla piazza del mercato
del giovedì pronti per vivere insieme in modo il più possibile autenticamente cristiano
questa nuova esperienza di gioia e serenità ancora una volta in quella nazione,
la Francia, considerata tradizionalmente “figlia primogenita della Chiesa”.
Come sempre sono appassionati i
saluti tra di noi che non ci vedevamo dallo scorso anno, ma soprattutto nei
confronti di don Franco, il quale oltre a saper scegliere ogni anno in modo
appropriato le località di pellegrinaggio e a provvedere con cura estrema
all’organizzazione e alla gestione, ci fa poi sempre da valido pastore e guida
con le preghiere, i canti, le Celebrazioni Eucaristiche quotidiane e con la sua
continua vicinanza e disponibilità nei
nostri confronti.
Il primo giorno di viaggio trascorre
quasi per intero attraverso il magnifico paesaggio del centro della Francia:
prima si percorrono le vallate alpine scavate nelle rocce calcaree, che formano
talora pareti molto ripide, e percorse da torrenti tumultuosi; poi la
sterminata campagna pianeggiante, o al più leggermente ondulata, costituita da
distese interminabili di appezzamenti regolari di campi coltivati a mais,
frumento, girasoli, soia e colza e prati ordinati con gruppi e boschetti di
alberi, all’ombra dei quali riposano beatamente piccole mandrie di bovini e
greggi di pecore e capre.
Dom Prospère Gueranger |
Poiché noi arriviamo a Solesmes da
est, ossia dalla parte opposta rispetto al fiume Sarthe, l’Abbazia non ci
appare in tutta la sua imponenza, anche se questa si riesce già a cogliere,
almeno in parte, dalla sua estensione. Dopo l’annuncio del nostro arrivo da
parte del Parroco, siamo accolti da un simpatico monaco-portinaio, che ci
accompagna alla chiesa abbaziale, all’entrata della quale ci vengono consegnati
i libretti delle preghiere per poter seguire l’ufficiatura.
La storia dell’Abbazia è molto
complessa, partendo dal secolo XI con distruzioni e restauri diversi, fino all’ultima
ricostruzione nel secolo XIX ad opera di un sacerdote di Solesmes, dom Prospère
Gueranger, il quale nel 1833 fondò il nuovo movimento monastico della
Congregazione Benedettina di Solesmes, sia per riprendere la vita religiosa
soffocata anni prima dalla Rivoluzione Francese sia per fare dell’abbazia un
punto di riferimento per il rinnovamento liturgico.
Gran parte dell’edificio fu
ricostruito in stile gotico, mentre la chiesa nella quale stiamo entrando ha
conservato la navata e il transetto originari dei secoli XI e XIV. La navata colpisce
subito perché è molto lunga e stretta e poi perché è praticamente divisa in due
tratti nel senso della lunghezza: uno più largo immediatamente dopo l’entrata
principale, riservato ai visitatori; l’altro invece più lungo e stretto fino al
coro, riservato ai monaci e ai gruppi di persone o singoli che accedono
all’abbazia per condividere qualche giorno di esercizi o ritiro spirituali. In
questo seconda parte sono molto suggestivi gli snelli pilastri sovrastati dai
fasci di costoloni delle volte disposti a palmizio.
Il coro della chiesa abbaziale di Saint-Pierre di Solesmes.
Un monaco ci conduce ad ammirare lo splendore della costruzione abbaziale, dalla parte che si specchia nell’acqua del Qume Sarthe. (foto A. Bosco)
Un monaco ci presenta e descrive la vita monastica. (foto A. Bosco)
Il coro della chiesa abbaziale di Saint-Pierre di Solesmes.
Un monaco ci conduce ad ammirare lo splendore della costruzione abbaziale, dalla parte che si specchia nell’acqua del Qume Sarthe. (foto A. Bosco)
Un monaco ci presenta e descrive la vita monastica. (foto A. Bosco)
I monaci occupano velocemente i loro
stalli nel coro della chiesa e danno inizio ai Salmi di Compieta, che è un
momento di preghiera delle comunità religiose, ma anche laiche, che precede
direttamente il riposo notturno. Essa fa parte della cosiddetta Liturgia delle
Ore, composta dalle Lodi al mattino, dai Vespri al pomeriggio e appunto da
Compieta come preghiera serale. La preghiera si innalza a Dio con canto
gregoriano monodico di versetti in lingua latina, che si susseguono in un
dialogo lento, a volte tra le due parti del coro altre volte invece tra un
solista e il coro intero, a ricordare e insegnare che la preghiera per il suo
duplice aspetto di richiesta di aiuto e di lode e rendimento di grazie a Dio
per tutto il bene che ci concede non deve essere una recita di parole
affrettata e superficiale ma un dialogo lento e pacato con Gesù e con il Padre.
Tutti siamo inevitabilmente coinvolti e partecipiamo intensamente.
Al termine della preghiera lo stesso
monaco che ci ha accolti ci conduce ad ammirare l’imponenza e lo splendore
della costruzione abbaziale dalla parte che si specchia nell’acqua del fiume. Il rosso intenso del tramonto, che a sua
volta si riflette nell’acqua, contribuisce ad esaltare la bellezza del
fenomeno, facendoci rimanere estasiati.
Il giorno dopo, mercoledì 19 agosto,
trascorriamo la mattinata in Abbazia con la partecipazione prima al canto delle
Lodi, poi alla celebrazione della S. Messa conventuale, con canti questa volta
a più melodie. Il successivo incontro con un monaco ci presenta e ci descrive
la vita monastica dell’abbazia: vita di studio di liturgia e teologia, vita di
lavoro interno e addirittura partecipazione alla vita sociale, politica e
amministrativa della comunità civile di Solesmes, con l’elezione di un monaco
rappresentante nel Consiglio Comunale.
Il pomeriggio trascorre con la
visita guidata di Sablé-sur-Sarthe, con il suo magnifico centro storico in
parte ricostruito, e il Palazzo Rinascimentale immerso in un grande parco
disseminato di alberi centenari monumentali. Quindi si ritorna in Abbazia dove,
dopo la partecipazione al canto de Vespri, ci accomiatiamo dai monaci, che a
loro volta promettono a don Franco di ricambiare la nostra visita con una loro
venuta a Bardonecchia.
Questo secondo giorno si conclude
con la partecipazione alla preghiera di Compieta nel monastero femminile di
clausura di Santa Cecilia, voluto dallo stesso dom Gueranger, per affiancare alla
Congregazione maschile anche quella femminile. Noi prendiamo posto nella chiesa
con la speranza di poter vedere le monache, ma riusciamo solo ad intravederle,
perché esse rispettando rigidamente la loro clausura si sistemano una dopo
l’altra nel coro e da lì
fanno salire al cielo i loro canti
al tempo stesso lievi e solenni.
La Messa nel Santuario di N. D. du Chêne. (foto A. Bosco) |
Ultima tappa del nostro viaggio è la città di Le Mans, nella quale giungiamo verso le ore 10, dove ci attende una guida per portarci a visitare questa splendida città, che in genere è molto conosciuta per il famoso circuito automobilistico e per le diverse corse, come il Grand Prix e le “24 heures du Mans”, ma molto poco come città d’arte. Dalla grande piazza ai piedi della Cattedrale abbiamo già modo di osservare l’assetto urbanistico della città, divisa nettamente tra la parte antica situata in posizione elevata e la parte nuova invece nella sottostante zona pianeggiante. Infatti, come ci racconta la guida, la città ha origini antichissime, tra il 4000 e il 5000 a.C., è sorta su uno sperone roccioso e conserva testimonianze preistoriche e galliche, ma soprattutto romane e medievali.
Testimonianza preistorica è il
grande “menhir”, una pietra arenacea in cui pare essere stato scolpito un idolo
pagano oggetto di numerosi culti e simbolo di fertilità. Esso è poi stato da San
Giuliano sormontato da una croce e accostato alla Cattedrale come monumento
cristiano (Pietra di S. Julien). Resti romani sono invece le terme, scoperte
nel 1980 in uno scavo di cantiere, la cinta muraria e il cardo, a testimoniare
la struttura urbana romana, ricalcata da alcune vie del centro.
La Cattedrale di Le Mans, dedicata a St. Julien. (foto A. Bosco) |
Questi stili sono ben evidenziati nel
complesso strutturale esterno, in particolare nella zona absidale le cui
murature alte sono rinforzate da numerosi snelli e robusti archi rampanti.
Subito dopo la guida ci conduce ad esplorare un’altra bellezza medievale nel
centro storico della città, le vecchie case a graticcio, risalenti ai secoli
XIV-XV: ristrutturate da qualche decina di anni, esse hanno riacquistato i loro
originari colori vivaci (blu, verde, nero, rosso). Sono dette a graticcio
perché sono formate da una più o meno fitta intelaiatura di robusto legname di quercia
con i riquadri chiusi da muratura. Erano tutte dimore di nobili, aristocratici
e ricchi borghesi, che dopo un lungo periodo di abbandono, sono state
restaurate riportando così splendore al centro storico.
Dopo l’ottimo pranzo consumato in una
bella veranda con vista sulla Cattedrale, ci accingiamo mestamente ad iniziare
il viaggio di ritorno, che trascorre intercalando momenti di riposo e
conversazione alla preghiera del Rosario e a canti, nonché alle riflessioni di
don Franco che ripercorre i varimomenti del pellegrinaggio, soprattutto la
giornata vissuta in Abbazia. Si alternano poi alcune interessanti conversazioni
tenute dal dott. M. Albera (la preziosa reliquia contenuta nell’antica croce
processionale custodita in S. Ippolito e l’evoluzione urbana e demografica di
Bardonecchia dalla metà dell’Ottocento, in particolare legata all’apertura del
Traforo del Frejus), dal dott. G. Alimento (una profonda riflessione personale
sul tema centrale del pellegrinaggio) e dal dott. V. Bosco (geologia e geomorfologia
dei territori francesi attraversati).
Ringraziamo calorosamente don Franco
per la disponibilità e la vicinanza a ciascuno di noi, e un cordiale
ringraziamento all’autista Federico, che ci ha accompagnato per la maggior
parte del viaggio, e agli altri due autisti “di spinta” che lo hanno affiancato
nel tratto Bardonecchia-Lione.
Famiglia Bosco
CHIERICHETTO
Appollaiato
sul vecchio coro
un chierichetto
guarda curioso
i grandi quadri
il Sacerdote
di cui vorrebbe
seguir la voce.
Compunto apre
chiude le mani
nell’ampio gesto
dell’orazione
ma poi si stanca
e già sbadiglia
scalcia il piedino
perde l’attenzione.
Se sol potesse
toccare il manto
del Sacerdote
seduto accanto!
Infin gli porgono
un cero acceso:
con le due mani
lo innalza fiero.
ROSELLA BARANTANI
(questa poesia è stata ispirata all’Autrice osservando il piccolo chierichetto Federico Bompard, alle sue prime armi nel servizio all’Altare)