Con il Bollettino di quest’anno vogliamo aprire uno
spazio alla memoria della Grande Guerra tramite i ricordi delle famiglie
bardonecchiesi. Non è stato possibile dare spazio a tutti coloro che conservano
ancora memoria dei “nonni” che hanno dato anni della loro vita all’immane
massacro della Prima Guerra Mondiale; saremo ben lieti di raccogliere nei
prossimi anni, fino al 2018 centenario della fine della guerra, altre storie e
altri racconti. Chi ritiene di poter contribuire al nostro lavoro può
contattare il Parroco, Don Franco. Sono in preparazione per il Bollettino del
2016 le storie di Francesco Augusto Allemand e di suo figlio Federico Allemand,
del Cappellano Militare Don Fontan, di Giovanni Golzio, zio di Don Paolo Di
Pascale, di Ernesto Lantelme, grande mutilato di guerra, e di Camillo Masset,
medaglia d’argento al valor militare.
ANTONIO BOMPARD
Archivio fam. Bompard. |
Carso. E invece la morte se lo prese a soli 22
anni.
La mamma Margherita riceveva una piccola pensione
di guerra per quel figlio perduto e, ricorda ancora oggi la nipote Clara, ogni
volta che tornava dall’ufficio postale del paese aveva gli occhi pieni di
lacrime: era un dolore che riemergeva, uno strazio per una madre avere in mano
quei pochi soldi che non potevano ripagarla di un figlio.
Antonio riposa nel cimitero di Bardonecchia e nella
casa dei Bompard, in via Cavour, è custodita la sua foto, ricordo per i nipoti
del lontano zio sacrificato alla Patria.
REMIGIO BOMPARD
Archivio fam. Bompard. |
A Lione, solo e senza risorse, aguzzò l’ingegno e
provò ad usare la sua bella voce cantando agli angoli delle strade; poi fece
ogni tipo di umile lavoro finché arrivò ad una bella sistemazione: commesso in una profumeria di
un grande magazzino. Ma la guerra cambiò il suo destino.
Tornato in Italia per il servizio militare nel
settembre del 1914, con l’entrata in guerra dell’Italia Remigio partì con il
25º reggimento fanteria e raggiunse il fronte sull’Isonzo, esattamente nella
valle Judrio, davanti alla testa di ponte di Tolmino.
Il 16 agosto 1915 il suo reggimento iniziò
un’offensiva contro le posizioni austriache di Santa Lucia di Tolmino e per gli
eroici combattimenti e le gravi perdite (tra il 16 agosto ed il 17 ottobre 1915
la brigata aveva perso oltre 1.600 uomini e 57 ufficiali) la bandiera del
reggimento fu decorata di medaglia d’argento al valor militare. Remigio era
stato ferito nel combattimento del 16 agosto (a fine guerra poté fregiarsi del
distintivo d’onore per la ferita riportata); allontanato dalla prima linea
perché ricoverato, dopo pochi mesi, il 30 novembre del 1915, ritornò a
combattere con il 207º reggimento fanteria, questa volta su un altro fronte,
quello della valle dell’Adige. Il 207º reggimento lo troviamo sull’Isonzo
dall’agosto del 1917 e nei giorni della disfatta di Caporetto, travolto
dall’offensiva austrotedesca.
Remigio visse quindi la tragica ritirata e
partecipò infine, con il 244º reggimento fanteria schierato sul Piave, alla
battaglia di Vittorio Veneto, alla vittoria.
La figlia Milena ci parla di suo padre come un uomo
temprato dalla vita, che affrontò i pericoli con coraggio, che combattè sempre
in prima linea, che visse momenti tragici, che vide la morte in faccia, che
ebbe forse fortuna ma che infine portò a casa la pelle. Tra i tanti momenti
drammatici che il padre ricordava, la figlia Milena vuole lasciarci il ricordo di
un’azione eroica.
Remigio Bompard un giorno si trovò con i suoi
uomini senza più collegamenti con le retrovie: erano soli e senza appoggi in
una dolina che finiva in un’alta scarpata che dominava il territorio
circostante, postazione degli austriaci con trincee e mitragliatrici. Non
avevano via di scampo, ovunque si muovessero sarebbero stati bersaglio del
nemico. Bompard decise di rischiare il tutto per tutto. Aspettarono che gli
austriaci avessero il sole negli occhi per mettere in atto la loro azione
disperata: Remigio partì per primo strisciando sul terreno lateralmente alla
postazione austriaca e mano a mano che procedeva faceva segno ai suoi soldati
di seguirlo sui due lati, strisciando nell’erba. Forse ebbero fortuna ma
nessuno li vide e riuscirono a giungere alla base della scarpata: a quel punto
il nemico non poteva più vederli. Aspettarono il momento buono e si
arrampicarono ancora a carponi fino alla trincea nemica prendendo gli austriaci
di sorpresa e riuscendo a disarmarli e a farli prigionieri.
Remigio non aveva mai capito la guerra, l’aveva
vissuta per dovere, ne aveva subito le violenze che lo hanno segnato per tutta
la vita: con le lacrime agli occhi raccontava alle tre figlie, Irma, Milena e
Nella, gli atti di disumana barbarie che la guerra obbliga gli uomini a compiere,
quando bisogna uccidere per dovere, quando si assiste alla fucilazione dei
compagni, quando intorno c’è solo morte.
Remigio Bompard rientrò dal fronte il 6 novembre
1918; era malato, la vita nelle trincee, nel fango, sotto la pioggia, nella
sporcizia e nella promiscuità più totale minavano anche i giovani forti di
vent’anni.
Ricoverato all’Ospedale San Luigi per una brutta
pleurite, quando il medico gli disse che aveva poche speranze, lui fuggì e se
ne tornò sui suoi monti. Riuscì a riprendersi con le sue sole forze: la vita
dei suoi vent’anni lo aspettava.
Remigio Bompard visse fino a 86 anni, sempre lucido
e presente alla vita.
GIOVANNI FERRERO
Archivio fam. Ferrero |
Giovanni Ferrero, nato a Bardonecchia il 3 ottobre
1896, fu chiamato alle armi a guerra iniziata, il 22 novembre 1915; il 30
aprile 1916 giunse in Macedonia con la 1ª Compagnia Automobilisti. Non combattè
la guerra sul fronte perché addetto al trasporto di uomini e munizioni,
trasferimento che avveniva con camionette molto primitive, che vediamo nelle
fotografie che lo ritraggono insieme ai compagni. La sua Compagnia non ebbe una
sede stabile, gli uomini dormivano sempre nelle tende. Giovanni non tornò mai
a casa in licenza e la guerra per lui finì tardi,
nel marzo del 1919 dopo aver recuperato tutto il materiale bellico.
Quando Giovanni Ferrero tornò dalla guerra non ebbe
molto tempo per riposarsi, papà Giuseppe (uomo severo e gran lavoratore) si
tolse il grembiule e lo passò al figlio, lasciandogli il compito di portare
avanti l’attività della macelleria.
La storia della famiglia Ferrero si unì poi a
quella di un’altra famiglia importante del paese, quella di Giovanni Pollonio,
che trasferitosi da Passerano d’Asti a fine ‘800, aveva aperto il caffè Medail,
centro di ritrovo, di cultura e di divertimento per Bardonecchia: Giovanni Ferrero
infatti si era innamorato della bella e giovane figlia di Pollonio, Elena. Si
sposarono nel 1929 e dal loro matrimonio nacque Rosamaria.
Il palazzotto Ferrero di via Medail è rimasto tale
e quale: nell’androne sotto il portone c’è ancora la pavimentazione in legno e
pietra per il passaggio dei carri e delle bestie, al primo piano l’appartamento
dove oggi vive Rosamaria è quello del nonno Giuseppe e si respira un’aria di un
mondo lontano custodito con amore e rispetto dalla nipote.
GIOVANNI GIUSEPPE FRANCOU
Giuseppe Francou con la nipotina
Antonella (Bardonecchia, 1962).
Archivio fam. Filippi
|
L’Albania, che era diventata uno stato indipendente
nel 1912, fu oggetto di interesse da parte dell’Italia che aveva concordato con
il Patto di Londra del 1915 l’annessione di Valona, dell’isola di Saseno e il
protettorato italiano sul resto dell’Albania. Quando gli Imperi Centrali il 9
ottobre 1915 iniziarono l’offensiva verso Belgrado, l’esercito serbo si ritirò
in Albania e il governo italiano, davanti alla minaccia austro-tedesca e
l’avanzata bulgara sul confine albanese, prese la decisione di rafforzare la
presenza militare italiana in Albania.
Tra le brigate di Fanteria scelte per le operazioni
in Albania vi era il 204º reggimento, a cui apparteneva Giuseppe Francou che
partì da Taranto il 14 marzo 1916, sbarcando a Valona il 17 dello stesso mese.
Lo aspettava una guerra durissima combattuta sulle montagne albanesi.
Questa è la storia ma i ricordi sono altri, quelli
tramandati in famiglia e raccontati alla nipote Antonella.
* * *
Il nonno parlava sempre della “sua” guerra, quella
in Albania e io non ho mai capito perché fosse andato laggiù a combattere, ma
per me bambina la Prima Guerra Mondiale era l’Albania. Come tutti i nipoti, non
sempre ho dato ascolto al bisogno del nonno di raccontare e ora che vorrei
ancora sentire la sua storia, ora che passerei ore ad interrogare la sua lucida
memoria, ora sono sola a cercare sui documenti e sui libri qualcosa che mi
parli di lui.
Nonno parlava della sua guerra come l’unica vera
tragedia della sua vita: eppure lui, nato nel 1890, ne aveva vista ancora un’altra
di guerra, non più combattuta ma subita come civile sotto i bombardamenti; era
stato anche preso dai tedeschi in un rastrellamento a Bardonecchia e liberato
per un soffio prima di partire per i campi di concentramento. Ma niente era più
profondo nella sua memoria che quella guerra. E la sua
più grande gioia fu essere insignito del titolo di
Cavaliere di Vittorio Veneto: non si toglieva mai dalla giacca il suo
distintivo di cavaliere che era il suo più grande orgoglio.
Aveva un altro grande legame con la guerra, quello
con un amico, Biagio Armando, suo coscritto, che con lui in Albania aveva fatto
un patto: se fossero tornati si sarebbero fatti un regalo. Conservo ancora con
grande affetto l’orologio Longines, una cipolla d’argento del 1919, che gli
regalò Biagio: era l’oggetto più prezioso che aveva il nonno, lo teneva sempre con
sé, lo caricava con religiosa cura ogni mattina, e chissà quante cose gli
diceva quel ticchettio. Nonno parlava sempre del suo amico Armando, raccontava
che era riuscito a dissuaderlo quando, ormai sconvolto dalle violenze della
guerra, voleva farla finita.
Un’altra storia era legata ad un generale che lo
aveva salvato perché era riuscito a metterlo nelle cucine. Nonno, a soli 10
anni, aveva perso la mamma, Carolina Orcel; suo padre Emilio si era risposato,
ma la matrigna gli dava solo pane nero e al dolore della perdita della mamma si
aggiungeva la durezza di questa donna. Andò a servizio presso la famiglia di un
generale (non so il nome, purtroppo!) che soggiornava per le vacanze a Bardonecchia;
seguì la famiglia a Torino e da lustrascarpe passò alle cucine e imparò un mestiere.
Sul suo foglio matricolare è indicata infatti la professione di cuoco. Era con
lui in Albania questo generale?
Dal foglio matricolare scopro che il fante Francou
il 6 luglio 1918 fu ricoverato nell’ospedale militare di Delvino: erano i
giorni di un’accanita offensiva e la malattia certamente lo salvò
allontanandolo dal fronte.
Ma il ricordo più bello lo confidò alla sua
nipotina quando ormai era molto anziano, alla soglia dei 90 anni. Eravamo soli
quel giorno a pranzo e lui incominciò a parlare dell’Albania, ma quella volta
voleva dirmi qualcosa di nuovo, voleva confidare a me che avevo poco più di
vent’anni, che avevo la sua età quando lui era al fronte, voleva confidarmi il
segreto della sua vita. Parlava senza fermarsi e io ascoltavo stupita e
incredula il suo cuore che si apriva: a Corfù, a guerra finita, nei mesi che
precedettero il ritorno, aveva conosciuto una ragazza pugliese che faceva la
cameriera, ed era nato un amore dopo tanto patire nella guerra. Lui era tornato
a Bardonecchia, si erano scritti ma poi la vita li aveva divisi. Non aveva mai
parlato di questo amore, lui che da buon montanaro non esibiva i sentimenti aveva
nel cuore un dolce segreto.
Questi i miei ricordi, non ho altro, nemmeno la sua
fotografia da soldato, ma tengo nel cuore la sua bontà, il suo esempio di uomo
retto, onesto e pacato e il suo abbraccio rude di montanaro che mi stringeva
nella sua dolcezza.
DIARIO DI GUERRA (Grande Guerra 1915-1918)
di MASSET GIOVANNI di GIUSEPPE
di MASSET GIOVANNI di GIUSEPPE
Archivio fam. Masset. |
C’è molto coraggio nelle parole del Masset che non
impreca mai contro la guerra che sente anzi come un dovere da compiere. Anche
nel momento dell’operazione che subì a freddo per eliminare la scheggia dalla
gamba, scrive con orgoglio che non gli uscì un lamento. In un’occasione
fortuita Giovanni incontrò suo fratello Felice, i due si abbracciarono senza
sapere se si sarebbero ancora rivisti. Anche il terzo fratello Masset, Pietro,
era al fronte: tutti e tre ritornarono a casa a fine guerra.
Giovanni Masset quando partì per la guerra era già
sposato e la moglie era incinta: nell’ottobre del 1915 nacque il bambino e lui
tornò a casa con tre giorni di licenza. Vedrà il piccolo nella successiva
licenza del febbraio del 1916; ma purtroppo il bimbo non sopravvisse, morì dopo
sette mesi: la giovane moglie non sapeva dov’era il marito, non poteva avvisarlo,
visse da sola il suo dolore e la disperazione di non sapere se Giovanni fosse ancora
vivo.
Il diario che ci accingiamo a leggere
inizia da quell’ottobre del 1915.
– Ringraziamo i figli Irene e Angelo Masset per
averci dato la copia del diario –
Ottobre 1915. Il 31 ottobre si parte alle 8 per
varcare la frontiera e si pernotta a Vallarsa, in una frazione.
Novembre 1915. Il 1º novembre si parte alle 11
antimeridiane per raggiungere il Col Santo – 2.114 mt. e si giunge verso le 17 sotto
una tormenta di neve, la marcia rimane assai lunga e faticosa.
Il giorno 3 si parte per il piccolo posto, nottata
di freddo, neve, bufera e si continua così fino al 19. Il giorno 19 si scende fino
al comando, accantonati nelle baracche. Durante la permanenza costì si lavora a
fare trincee, di corvée cct.
Dicembre 1915. Il giorno 5 dicembre, alle ore 2,30,
si parte per Malga Croce; una notte buia. Dopo due ore si arriva alla baracca.
Subito son destinato a dare, con cinque compagni, il cambio alle sentinelle di
fanteria. Il giorno 10, ore 19, si riparte per il Col Santo e si giunge alle
21,30, dopo due ore di marcia nell’oscurità, in mezzo a un fango orribile.
Il 13 mattina ci rechiamo al Passù e senza far
zaino a terra si prosegue fino ai posti di servizio; un freddo infernale,
pazienza.
Gennaio 1916. Il giorno 7 gennaio abbiamo il
cambio, ci ritiriamo verso la gran guardia di sinistra; ore 11 antimeridiane.
Il giorno 21 si parte per andare in licenza, si lascia lo zaino al Comando e si
giunge a Fochx alla sera alle 9. Il 22 ci avviamo per partire, ma appena
oltrepassato il comando tappa un ciclista d’artiglieria di Montagna ci fa fare
dietro front essendo sospese le licenze e si ritorna in giornata al Col Santo.
Il giorno 25 la Fanteria Territoriale ci dà il cambio, la mattina alle 5. Alle
ore11 si parte da Col Santo e si arriva a Parrocchia; alle 17 si pernotta. Il
26 si parte alle 9 ant., e si arriva a Valle dei Signori (oggi Comune di Valli
del Pasubio - N.d.R.) alle 16,30. Il 27 si riparte alle 8,50, si fa colazione a
Schio e si giunge a Piovene alle 16. Sempre privi di libera uscita. Il 29 si parte
verso le 7½per risalire al famoso altipiano di Asiago. Io con 4 miei compagni
siamo di servizio alla cassa forte e soffro molto dolore di stomaco durante il
viaggio e si pernotta
a Conca Treschè, in prossimità di Canova. Il 30 si
riparte da Conca per Camporovere (oggi
frazione del Comune di Roana - N.d.r.), ove si arriva alle 3. Il 31 ordine
sparso in prossimità del paesotto, corsa all’assalto di qualche collinetta.
Dopo pranzo rivista; dopo il rancio baracca a spasso perché sarà l’ultima sera;
domani ripartiremo chissà per dove, forse verso Cernire.
Febbraio 1916. Il 1º febbraio si parte alle 8, si
consuma il rancio a Ghertele (frazione di Roana - N.d.r.) comando di tappa.
Proseguendo sempre si arriva sull’altipiano di Lavarone alle 6 e mi tocca di
servizio subito. Il giorno 11 febbraio si parte per la licenza con zaino
affardellato; meno male che (lo) si lascia al Comando di Battaglione. Si
prosegue fino a Conca Treschè sotto il comando di un caporale di Fanteria e si
giunge verso le 17. Il giorno 12 si parte verso le 0,20 per Musson in
prossimità di Cocollo, marcia breve e si arriva verso le 2 colle gambe mezzo
rovinate dalla stanchezza. Si passa la visita dai CCRR, cosa incredibile al
mondo. Il giorno 13 si riparte per Pontette, alle 5 si prosegue per Thiene giungendo
alle 7,30; alle 9,30 si parte colla tradotta e si giunge a Torino alle 11,53;
si pernotta al distretto. Il giorno 14 si parte alle 5,45 per andare a casa e
giungo a casa a mezzogiorno.
Il 29 parto col treno delle 17 e 2 per il ritorno
al dovere. Alla mezzanotte parte la tradotta e rimango a Torino con Alpe e
compagni. Si parte l’indomani e il 1º marzo si giunge a Thiene ove si pernotta.
Marzo 1916. Si riparte il giorno 2 alle 9 per
Rocchetta e si prosegue per Conca Treschè.
Si riparte il 3 per raggiungere la compagnia e si
arriva alla sera alle 18. Verso il giorno 9 ci dà il cambio la 1ª compagnia
sotto l’imperversare della bufera di neve; ci ritiriamo a Costesin alla
riserva. Si lavora di corvé tutti i giorni col Genio, con un tempo orribile. Il
giorno 18 alle 23 sveglia perché si teme un attacco ricorrendo l’onomastico di
F.sco Giuseppe.
Con un fagotto di sacchi vuoti si gira lungo i
camminamenti di Costesin, sotto quelle trincee fangose, poscia si rientra senza
il minimo incidente. Il giorno 29 si riparte per andare a riposo ad Asiago ove
si giunge alle 22,30. Il 22 aeroplani nemici lanciano 4 bombe senza causare
danni in paese, uccidendo solo due galline. Il 23 si riparte per ritornare a
Costesin essendo che si teme un attacco e si dorme vicino alle cucine,
scendendo verso Valle Morta. Il 28 si dà il cambio alla 1ª compagnia in
trincea, avendo essi lo spaghetto. Il nostro nemico si è fatto più terribile a
causa dello smascheramento delle posizioni. Siamo battuti di continuo
dall’artiglieria di ogni calibro.
Aprile 1916. Il giorno 7 aprile 1916 sempre
giornata terribile; i grossi calibri nemici piovono a destra e a sinistra; si
corre di qua e di là nei camminamenti accompagnati dal ronzio delle schegge di
granata e dal miagolio degli shrapnel. Un solo ferito in tutta la compagnia e
un altro della sezione mitraglieri. In questa settimana il blochause rimane
colpito diverse volte, senza però cagionare vittime. Il giorno 9 alle 6 di
mattina arrivano i 305 a pochi metri dai blochause inondando di schegge di
sassi la tettoia dei nostri nascondigli.
Il giorno 12 riceviamo il cambio dal 162º fanteria
e ci mettiamo in rotta per Asiago, dove giungiamo verso la mezzanotte.
Maggio 1916. Il giorno 1 si cambia accantonamento,
si va alla caserma Riva perché il nemico cerca di bombardare la stazione
ferroviaria. Il nemico invece della stazione pare anche che cerchi di colpire i
comandi e il giorno 18 a sera si va a dormire a Camporovere.
Il 19 verso le 18 arrivano 4 o 5 381 in prossimità
dell’accantonamento danneggiando il tetto della casa occupata da noi. Verso le
21 del giorno stesso andiamo a dormire nel bosco, stante a nord-est di
Camporovere. Il giorno 20 alle 8 antim. si parte, ci dicono i nostri superiori,
per andare fino al Gherile ma invece si va fino a Costesin ove in prossimità
incontro ed abbraccio forse per l’ultima volta il mio fratello Felice, pensando
alla grande offensiva che forse prende il nemico e che i combattimenti, assalti
e bombardamenti uso tempesta, di tutti i calibri, perdurano da tre o quattro
giorni. La notte si passa tranquilla in sonni veglia colla testa appoggiata
allo zaino. Le pallottole di fucile e di mitragliatrice passano al di sopra di
noi sibilando come vipere. Qualche colpo di cannone si scambiano le nostre
batterie con quelle dell’avversario in un via vai continuo di feriti, tutta la
notte. La mattina del 21 alle 6 e tante cominciano ad aumentare di intensità il
fuoco delle artiglierie e in pochi minuti le granate e shrapnel nemici piovono come
una tempesta di grandine battendo il terreno palmo a palmo. Siamo obbligati a spostarci
prendendo posizione sulla nostra destra per respingere l’avversario; in pochi passi
che facciamo diversi ufficiali rimangono feriti e molti compagni chi morto chi
ferito.
Il fuoco di fucileria si fa micidiale da ambo le
parti. Una compagnia di comando del Tenente Berti va all’assalto, fanno
prigionieri e la mischia continua, alle 15 che ci viene ordine di ripiegare. Il
battaglione ripiega passo passo accompagnato dalle granate e shrapnel nemici e
si giunge a campo Vecchio verso la sera alle 6 e tanti, là si trova la fanteria
e altre truppe che ripiegarono qualche ora prima. Ci viene distribuita una scatola
e qualche galletta; si mangia un po’ alla meglio. Una botte contenente qualche
300 litri di vino è messa a disposizione dalla sussistenza per dissetare il
Battaglione; qualcheduno si ubriaca e molti fischiano. Verso le 8 del mattino
andiamo per un po’ di riposo verso Campolungo fortezza, si dorme sotto le
piante, un freddo cane, la neve a pochi passi e neanche un pezzo di coperta o
mantellina per coprirsi. Il 22 alle 3 sveglia e si continua ripiegare fino a
Canove ove prendiamo posto nelle trincee facendo fronte a Roana. La notte passa
tranquilla ma il giorno successivo cioè il 23 si comincia a sentire il cic-tun
delle pattuglie nemiche che aggirandosi nei paesetti e borgate fanno preda di galline,
maiali e altro. I giorni passano, i cucinieri con qualche cosa di caldo non si
vedono e fino al giorno 28 si vive a carne e gallette.
Il 30 si ripiega accompagnati da qualche shrapnel o
granata; colla pioggia e la nebbia circa due compagnie andiamo a finire a
Calvene, in prossimità di Lugo. Si pernotta e il giorno 29 si raggiunge il
battaglione che si trova a Sassa (Sasso, frazione di Asiago - N.d.r.) piccolo
paesetto sparso in mezzo alle colline.
Giugno 1916. Il giorno 8 giugno si va a Conco di
sopra, piccola frazione in prossimità dell’altipiano e di lì si va a lavorare a
fare trincee.
Luglio 1916. Il giorno 5 luglio si parte per essere
incorporati negli Alpini. Il giorno 6 luglio si parte da Bassano col treno in
Val Sugana fino a Grigne (probabilmente Grigno - N.d.r.) ove si cambiano i
distintivi verso le due dopo mezzanotte.
ALPINO
Verso le 6,30 del giorno 7 si parte per raggiungere
il Battaglione Bassano, si pernotta in mezzo ai boschi. Il giorno 8 si
raggiunge le salmerie del Battaglione.
Il giorno 19 si va a raggiungere il Battaglione
accampato [indecifrabile] a Caldes. Lì si pernotta sotto la pioggia
[indecifrabile] alla meglio. Il 20 ci spostiamo sulla sinistra verso la Val
Sugana. Si pernotta lì e si sta fino al 22. Il 22 a sera il Battaglione va di
rincalzo al Baldo Verona (ai battaglioni Monte Baldo e Verona - N.d.r.) per
l’assalto a Cima Ortigara.
Il 24 il mio Battaglione si muove alla mattina alle
4 per tentare l’altro colpo non essendo riuscito il Baldo a espugnare la cima.
Alla notte il battaglione ripiega senza aver ottenuto nessun risultato, dopo
aver subito perdite. Il 25 si ritorna a cima Caldes ove dormo fino alla
mattina, panni e coperta tutti bagnati. Il 25 [sic] si parte verso l’Ortigara,
si dorme all’aperto con un freddo cane. Il 26 si piantano le tende in una valle
incuniata, si dorme tranquilli. Il 27 alla mattina alle 8 gli aeroplani ci
scoprono e dopo pranzo piovono anche i 307 e shrapnel a volontà. Alla sera si viene a
dare il cambio all’Argentera (battaglione Monte Argentera - N.d.r.), qualche
centinaio di metri alla nostra sinistra. Passo la notte ai piccoli posti e il
giorno 28 e notte seguente. Il 29 verso le otto il nemico tanto per farci
capire che è sempre vigile e attivo tasta il terreno qua e là. Alle 12 una
granata cade proprio dove siamo noi e si rimane in 3 feriti. Il 29 pernotto
verso malga Tumistuffi. Il 30 vengo trasportato un po’ in barella e poi in
automobile fino a Enego. Il 31 da Enego a Primolano.
Agosto 1916: Il 1º agosto si parte col treno e si
giunge a Cremona la mattina del 2 alle 7 antimeridiane. Qui mi medicano senza
farmi troppo soffrire. Il giorno 4 vado in osservazione ai raggi per vedere in
che stato si trova la gamba fratturata. Il giorno 6 mi si applica l’apparecchio
ossia il bendaggio con gesso. Il giorno 7 mi si fa un finestrino per poter
medicare la ferita del terzo inferiore faccia interna g. sinistra. Il giorno 7
stesso vengo sceso al primo piano letto nº 53. Continuano le medicazioni come
sopra.
Il giorno 23 mi viene estratta una scheggia di
spoletta della lunghezza di 3 cm e larghezza circa un centimetro. Piccola
operazione subita sul letto mediante un piccolo taglio per allargare la ferita
e poter trovare il proiettile. Scoperto che mi fu venne tirato fuori con una
specie di tenaglia, un dolore quasi insopportabile però sopportato senza emettere
un grido.
Settembre 1916: Il giorno 12 settembre si toglie
l’apparecchio e tutte le ferite sono cicatrizzate. Il 20 si incominciano i
massaggi fino al g. 25.
Ottobre 1916: Il giorno 7 sono messo in uscita.
Vado all’Infermeria Presidiaria per passare la visita dal Maggiore e mi accorda
g. 60 di licenza. Indi si va al Dep. 65 fant. per avere il foglio di via. Parto
da Cremona alle 4 e 51, via Codogno-Ospedaletto-Pavia. A Pavia scendo e aspetto
il treno per Milano ove giungo alle 22 e 40. Parto da Milano alle 4 per Torino
ove giungo verso le 8. Alle 10 riparto per Bardonecchia dopo essere stato
accolto cortesemente dalla croce rossa e mi viene offerto un caffè e latte.
Dicembre 1916: Il giorno 6 parto per rientrare a
Verona Dep. Il giorno 7 parto da Verona per Bassano ove pernotto. Il giorno 8
riparto per Torino per rientrare nella G. di Finanza.
In giornata parto per Bardonecchia ove giungo alle
10 di sera. Il giorno 10 ritorno all’ospedale Principale di Torino.
L’indomani, cioè l’11, alla visita mi concedono g.
40 di convalescenza. L’11 stesso rientro in brigata a Bardonecchia; la mia
licenza decorre dal 12 dicembre. Il giorno 15 vado al paese per usufruire la licenza.
Gennaio 1917: Il g. 21 gennaio 1917 rientro in
brigata e prendo servizio l’indomani mattina.
COMMENTO STORICO DI ALBERTO TURINETTI DI PRIERO
Giovanni Masset nacque il 3 giugno 1887, a
Rochemolles, e si presentò alla visita di leva il 14 aprile 1908. Piccolo di
statura, era alto 1 metro e 59,ma molto robusto, fu dichiarato soldato di 1ª
categoria e chiamato alle armi il 27 ottobre dello stesso anno presso l’87º
reggimento di Fanteria, venendo poi assegnato alla Regia Guardia di
Finanza.Richiamato nel 1911, fu assegnato alla Legione di Genova il 6 dicembre
1912. Fu inviato a fare servizio a sui Ferry Boat sullo stretto diMessina; lui
giunse aMessina dopo il tremendo terremoto del 1911 e vide la città rasa al
suolo, gli rimase sempre il desiderio di rivedere la città ricostruita.
Tornato a casa, fu di nuovo mobilitato il 9 maggio
1915, alla vigilia della dichiarazione di guerra, ed assegnato al 1º
battaglione della Regia Guardia di Finanza, che allo scoppio delle ostilità aveva
preso posizione sull’Altipiano di Asiago per passare poi a presidiare il Col
Santo, estrema posizione italiana sul Pasubio, a 2.114 metri di quota (1).
Il Masset giunse al fronte il 31 ottobre 1915, in
Vallarsa, ai piedi del Pasubio,ma il giorno dopo, il 1º novembre, era già al
Col Santo, dove rimarrà fino alla fine di gennaio. In quei mesi ed in quella
zona il fronte appariva tranquillo,ma la vita di ufficiali e soldati era molto
difficile non solo per le fucilate scambiate con gli austriaci, ma soprattutto
a causa del freddo intenso, della neve alta e del continuo alternarsi ai posti
di vedetta. I comandi italiani pensavano fosse inutile rafforzare le linee del
massiccio, ritenendo possibile un’ulteriore avanzata sino alla linea dei forti
imperiali di Folgaria.Molta neve e pochi attrezzi rendevano comunque inutili
anche i lavori programmati; gli austriaci erano invece occupati nel progetto di
una grande offensiva in primavera.
Il peggio doveva ancora venire.
Dopo un breve turno di riposo, il 29 gennaio 1916,
il battaglione venne di nuovo inviato sull’altipiano di Asiago e là, dopo marce
faticose, tra tormente di neve e freddo, raggiunse la zona di Lavarone.
L’11 febbraio 1916, il Masset fu inviato in
licenza, arrivando a casa il 14, dopo un lungo viaggio in treno,ma il 29, come
annotò nel diario, “parto col treno delle 17 e 2 per il ritorno al dovere”:
aveva ragione, era il 29 febbraio del 1916, anno bisestile.
Intanto il 1º battaglione era salito sulle nuove
posizioni del monte Costesin, alle dipendenze della brigata di fanteria
“Ivrea”, in prima linea (2).
I mesi di marzo e aprile 1916 passarono in un
alternarsi di periodi di riposo nelle retrovie e di guardia al fronte, dove il
tiro dell’artiglieria austriaca andava intensificandosi di giorno in giorno. Il
12 aprile il battaglione venne ritirato ad Asiago, ma anche in città
cominciarono ad arrivare le granate dei grossi calibri austriaci, tanto che il
18 maggio il battaglione venne spostato nei pressi del paesino di Camporovere,
dove piovvero quattro o cinque proiettili da 381 mm., il massimo calibro
dell’artiglieria nemica, ed il reparto si attendò in un bosco che sembrava essere
più riparato.
Masset non lo rileva nel suo diario,ma sta per
essere testimone e protagonista di una delle più cruente battaglie del fronte
italiano. Il 20 maggio 1916 iniziò infatti quella che nella nostra storia è
indicata come “Strafexpedition”, la grande offensiva austro-tedesca, che aveva
come obbiettivo Udine ed il definitivo sfondamento delle linee italiane. Quel
giorno, alle 8 del mattino, al battaglione giunse improvviso l’ordine di
muoversi ed in poche ore esso fu schierato sul monte Costesin, dove la
battaglia si accese con un violento bombardamento d’artiglieria, seguito
dall’attacco delle fanterie austriache il giorno dopo, il 21 maggio. Il 1º
battaglione della Regia Guardia di Finanza resistette all’urto e,malgrado le
perdite, si tenne fermo sulle proprie posizioni, ma come annota nel diario
Masset, verso le 15 ricevette l’ordine di ripiegare. In particolare si
distinsero la sezione mitragliatrici, comandata dal tenente Umberto Adamoli,
che riuscì da sola a respingere un assalto della fanteria nemica.
Nel diario è ricordato il tenente Berti, in realtà
Rocco Bertè, che con il suo plotone non solo riuscì a respingere l’improvviso
attacco di una pattuglia austriaca,ma ne catturò gran parte, rimanendo ferito
nell’azione.
La ritirata ebbe momenti drammatici perché fu
eseguita sotto il costante tiro dell’artiglieria austriaca e gli improvvisi
attacchi di pattuglie nemiche.A causa della confusione creatasi fra i comandi e
l’accavallarsi di ordini contrastanti, il capitano Luigi Squadroni, comandante
interinale del battaglione fu sottoposto ad un’inchiesta e perfino arrestato,ma
il tribunale di guerra del XIV Corpo d’Armata lo assolse da qualsiasi accusa,
rendendogli giustizia (3).
In realtà la ritirata si svolse con ordine, salvo
lo smarrimento di una compagnia che si ricongiunse in breve al comando di
battaglione, tanto che i superstiti si ritrovarono compatti fin dal 28 maggio.
A parte le perdite subite – 4 caduti, 37 feriti e 48 dispersi fra la truppa –
va notato che il reparto riuscì a sopravvivere a otto giorni di pioggia, freddo
e combattimenti senza viveri e senza zaini, tende e mantelline.Tutto
l’equipaggiamento era stato infatti lasciato il 21 maggio nella fretta di
raggiungere la linea di combattimento ed era andato distrutto ad opera di un
reparto di fanteria che, ritirandosi, aveva avuto quella geniale idea affinché
non cadesse in mano del nemico!
Il ripiegamento ebbe termine il 29, nel paesetto di
Sasso.
Il mese di giugno 1916 passò a scavar trincee ai
bordi degli Altipiani ed ai primi di luglio avvenne un fatto singolare,
debitamente segnalato dal Masset nel suo diario: il Comando Supremo decise il
riordinamento dei battaglioni della Regia Guardia di Finanza, riducendone il
numero e riducendo l’organico di ognuno di essi, assegnando l’esubero alla
Fanteria (4). Fu così che Masset annotò: “Il giorno 6 luglio si parte da
Bassano col treno in Val Sugana fino a Grigne ove si cambiano i distintivi verso
le due dopo mezzanotte”. Con il grado di caporale si ritrovò nel 6º reggimento
Alpini, battaglione “Bassano”, riprendendo una vita grama, perché proprio in
quei giorni si svolse il gigantesco tentativo di prendere possesso della cima dell’Ortigara.
Si trovò così testimone e protagonista di un’altra
grande e sanguinosa battaglia della Prima GuerraMondiale, quella dell’Ortigara,
durata dal 16 giugno al 24 luglio 1916, che vide un’ecatombe di alpini (5). Il
22 luglio, i battaglioni “Bassano” e “Monte Baldo” tentarono di avanzare in
valle Agnella, verso il monte Campigoletti, sul rovescio della Cima Ortigara,ma
dovettero ritirarsi di fronte all’accanita resistenza austriaca (6).
-
Note _________________
1 Nel maggio
1915, la Regia Guardia di Finanza mobilitò diciotto battaglioni: i primi
quattro equivalenti ai battaglioni alpini, con salmerie al seguito, atti a
prendere parte ad operazioni di alta montagna. Gran parte di questi battaglioni
partecipò attivamente alla guerra fino al 1916, coprendosi di valore in diversi
tratti del fronte dalla valle di Ledro al Piave.
2 Il monte
Costesin era un importante caposaldo fortificato, organizzato con una linea
avanzata appoggiata da ridotte di sassi (blockhaus) e postazioni di
mitragliatrice, e da un trincerone centrale (sulla quota 1527) per la
resistenza. Già teatro di lotte nel 1915, fu di nuovo investito dalla guerra
nel maggio 1916, quando il 21, dopo due giorni di scontri violenti ed un
concentramento di fuoco di artiglieria inusitato anche per la Grande Guerra, la
brigata “Ivrea”, che lo aveva difeso dall’inizio della guerra, doveva ripiegare
con gravi perdite.
3 Cfr. Sante
Laria, Comando Generale della Guardia di Finanza, Le Fiamme Gialle d’Italia nei
fasti di guerra e del patriottismo italiano, parte II, Luigi Alfieri, Milano
1930, pag. 449.
4 La
decisione nasceva dal fatto che sembrò inutile adoperare questi battaglioni in
un impiego logorante in trincee e località troppo tormentate, distraendo forze
da dedicare a compiti d’istituto. Cfr. Sante Laria, Comando Generale della
Guardia di Finanza, Le Fiamme Gialle d’Italia nei fasti di guerra e del
patriottismo italiano, parte II, LuigiAlfieri,Milano 1930, pag. 436.
5 Nel 1917,
la battaglia si ripeté nei medesimi luoghi con ulteriori sanguinosissime
perdite, italiane ed austriache.
6 Dal 16
giugno al 25 luglio 1916, il battaglione “Bassano” perse 34 caduti, 357 feriti
e 79 dispersi. Cfr. Emilio Faldella, Storia delle Truppe Alpine, Vol. I,
Cavallotti editore, Milano 1972, pag. 514.
66
È mezzogiorno del 29 luglio 1916 ed una granata
esplode in mezzo ad un gruppo di alpini, provocando quattro feriti, tra i quali
il nostro Giovanni Masset, che venne evacuato, prima in barella e poi in
ambulanza.Ebbe una gamba fratturata e lo trasferirono all’ospedale di Cremona
dove, finalmente, il 23 agosto gli venne estratta una scheggia di 3 centimetri
“con una specie di tenaglia, un dolore quasi insopportabile però sopportato
senza emettere un grido”.
Per Giovanni Masset, un po’ Guardia di Finanza e un
po’ Alpino, la guerra era finita, ma non le sofferenze. Rientrerà in licenza a
Bardonecchia il 7 ottobre,ma tra visite e controlli si arrivò fino alla fine
del 1919, di nuovo inquadrato nella Legione di Torino della Regia Guardia di
Finanza, prima di poter passare alla vita civile come ferroviere, nel 1924.
BIBLIOGRAFIA
–
Enciclopedia Militare, a cura del Popolo d’Italia, 6 volumi,Milano 1927-1933.
– Emilio
Faldella, Storia delle Truppe Alpine, 3 volumi,A.N.A.,Cavallotti editore,Milano
1972.
– Sante
Laria, Comando Generale della Guardia di Finanza, Le Fiamme Gialle d’Italia nei
fasti di guerra e del
patriottismo
italiano, parte II, Ed. Luigi Alfieri,Milano 1930.
– Ministero
della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore Centrale-Ufficio Storico,
Riassunti storici
dei Corpi e
Comandi nella guerra 1915-18, Alpini, Libreria dello Stato, Roma 1929.
– Ministero
della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore Centrale-Ufficio Storico,
Riassunti storici
dei Corpi e
Comandi nella guerra 1915-18, Brigate di fanteria, 8 Voll., Libreria dello Stato,Roma
1924-1929.
– Edoardo
Scala, Storia delle fanterie italiane, StatoMaggiore dell’Esercito,Vol.VIII,Gli
Alpini,Roma 1955.
SITOGRAFIA
–
www.gdf.gov.it
–
http://www.cimeetrincee.it
DOCUMENTI
– Archivio di
Stato di Torino,Foglio matricolare diMasset Giovanni Antonio di Giuseppe,Classe
1887.
– Giovanni
Masset,Diario di guerra.