16/09/15

LA GUERRA DEI NOSTRI NONNI (2014)

Con il Bollettino di quest’anno vogliamo aprire uno spazio alla memoria della Grande Guerra tramite i ricordi delle famiglie bardonecchiesi. Non è stato possibile dare spazio a tutti coloro che conservano ancora memoria dei “nonni” che hanno dato anni della loro vita all’immane massacro della Prima Guerra Mondiale; saremo ben lieti di raccogliere nei prossimi anni, fino al 2018 centenario della fine della guerra, altre storie e altri racconti. Chi ritiene di poter contribuire al nostro lavoro può contattare il Parroco, Don Franco. Sono in preparazione per il Bollettino del 2016 le storie di Francesco Augusto Allemand e di suo figlio Federico Allemand, del Cappellano Militare Don Fontan, di Giovanni Golzio, zio di Don Paolo Di Pascale, di Ernesto Lantelme, grande mutilato di guerra, e di Camillo Masset, medaglia d’argento al valor militare.

ANTONIO BOMPARD
Archivio fam. Bompard.
Antonio Bompard morì in Albania pochi giorni dopo la fine della guerra: quando tutto l’orrore del conflitto sembrava finito e la sua famiglia aspettava il suo ritorno, Antonio contrasse una broncopolmonite che lo fulminò. Giovane di belle speranze, unico figlio maschio su cui i genitori avevano riposto i loro sogni, Antonio aveva proseguito gli studi a Susa, aveva terminato le scuole tecniche che gli avrebbero consentito una bella carriera e un futuro migliore fuori dalla povertà della montagna. La famiglia aveva spinto, non si sa con quali mezzi, affinché lui non finisse in prima linea, pareva che il fronte albanese fosse meno duro del
Carso. E invece la morte se lo prese a soli 22 anni.
La mamma Margherita riceveva una piccola pensione di guerra per quel figlio perduto e, ricorda ancora oggi la nipote Clara, ogni volta che tornava dall’ufficio postale del paese aveva gli occhi pieni di lacrime: era un dolore che riemergeva, uno strazio per una madre avere in mano quei pochi soldi che non potevano ripagarla di un figlio.
Antonio riposa nel cimitero di Bardonecchia e nella casa dei Bompard, in via Cavour, è custodita la sua foto, ricordo per i nipoti del lontano zio sacrificato alla Patria.

REMIGIO BOMPARD
Archivio fam. Bompard.
Remigio Bompard, nato a Bardonecchia il 2 dicembre 1894, aveva imparato fin da ragazzino a cavarsela nella vita. La povertà dell’economia di montagna lo aveva spinto giovanissimo a trovare fortuna in Francia e finita la 5ª elementare era partito da solo attraverso il Col della Scala.
A Lione, solo e senza risorse, aguzzò l’ingegno e provò ad usare la sua bella voce cantando agli angoli delle strade; poi fece ogni tipo di umile lavoro finché arrivò ad una bella  sistemazione: commesso in una profumeria di un grande magazzino. Ma la guerra cambiò il suo destino.
Tornato in Italia per il servizio militare nel settembre del 1914, con l’entrata in guerra dell’Italia Remigio partì con il 25º reggimento fanteria e raggiunse il fronte sull’Isonzo, esattamente nella valle Judrio, davanti alla testa di ponte di Tolmino.
Il 16 agosto 1915 il suo reggimento iniziò un’offensiva contro le posizioni austriache di Santa Lucia di Tolmino e per gli eroici combattimenti e le gravi perdite (tra il 16 agosto ed il 17 ottobre 1915 la brigata aveva perso oltre 1.600 uomini e 57 ufficiali) la bandiera del reggimento fu decorata di medaglia d’argento al valor militare. Remigio era stato ferito nel combattimento del 16 agosto (a fine guerra poté fregiarsi del distintivo d’onore per la ferita riportata); allontanato dalla prima linea perché ricoverato, dopo pochi mesi, il 30 novembre del 1915, ritornò a combattere con il 207º reggimento fanteria, questa volta su un altro fronte, quello della valle dell’Adige. Il 207º reggimento lo troviamo sull’Isonzo dall’agosto del 1917 e nei giorni della disfatta di Caporetto, travolto dall’offensiva austrotedesca.
Remigio visse quindi la tragica ritirata e partecipò infine, con il 244º reggimento fanteria schierato sul Piave, alla battaglia di Vittorio Veneto, alla vittoria.
La figlia Milena ci parla di suo padre come un uomo temprato dalla vita, che affrontò i pericoli con coraggio, che combattè sempre in prima linea, che visse momenti tragici, che vide la morte in faccia, che ebbe forse fortuna ma che infine portò a casa la pelle. Tra i tanti momenti drammatici che il padre ricordava, la figlia Milena vuole lasciarci il ricordo di un’azione eroica.
Remigio Bompard un giorno si trovò con i suoi uomini senza più collegamenti con le retrovie: erano soli e senza appoggi in una dolina che finiva in un’alta scarpata che dominava il territorio circostante, postazione degli austriaci con trincee e mitragliatrici. Non avevano via di scampo, ovunque si muovessero sarebbero stati bersaglio del nemico. Bompard decise di rischiare il tutto per tutto. Aspettarono che gli austriaci avessero il sole negli occhi per mettere in atto la loro azione disperata: Remigio partì per primo strisciando sul terreno lateralmente alla postazione austriaca e mano a mano che procedeva faceva segno ai suoi soldati di seguirlo sui due lati, strisciando nell’erba. Forse ebbero fortuna ma nessuno li vide e riuscirono a giungere alla base della scarpata: a quel punto il nemico non poteva più vederli. Aspettarono il momento buono e si arrampicarono ancora a carponi fino alla trincea nemica prendendo gli austriaci di sorpresa e riuscendo a disarmarli e a farli prigionieri.
Remigio non aveva mai capito la guerra, l’aveva vissuta per dovere, ne aveva subito le violenze che lo hanno segnato per tutta la vita: con le lacrime agli occhi raccontava alle tre figlie, Irma, Milena e Nella, gli atti di disumana barbarie che la guerra obbliga gli uomini a compiere, quando bisogna uccidere per dovere, quando si assiste alla fucilazione dei compagni, quando intorno c’è solo morte.
Remigio Bompard rientrò dal fronte il 6 novembre 1918; era malato, la vita nelle trincee, nel fango, sotto la pioggia, nella sporcizia e nella promiscuità più totale minavano anche i giovani forti di vent’anni.
Ricoverato all’Ospedale San Luigi per una brutta pleurite, quando il medico gli disse che aveva poche speranze, lui fuggì e se ne tornò sui suoi monti. Riuscì a riprendersi con le sue sole forze: la vita dei suoi vent’anni lo aspettava.
Remigio Bompard visse fino a 86 anni, sempre lucido e presente alla vita.

GIOVANNI FERRERO
Archivio fam. Ferrero
Nella vecchia casa dei Ferrero in Via Medail tutto è rimasto com’era un tempo, quando il padrone di casa era il capostipite dei Ferrero di Bardonecchia, Giuseppe, che innamoratosi della nostra conca tra le montagne si trasferì a fine ’800 da Vinovo, comprò i terreni, costruì la casa con la macelleria, le stalle e il mattatoio. È ora custode di tanta storia familiare la signora Rosamaria che tra i ricordi più cari ha un piccolo album di fotografie un po’ ingiallite, vecchie di 100 anni, scattate da suo padre Giovanni sul frontemacedone, durante la Grande Guerra. Si tratta di un vero e proprio reportage di immagini preziose perché testimoniano non solo la guerra ma anche la gente del posto, le donne con i loro costumi tradizionali, con le loro usanze, un mondo ormai scomparso.
Giovanni Ferrero, nato a Bardonecchia il 3 ottobre 1896, fu chiamato alle armi a guerra iniziata, il 22 novembre 1915; il 30 aprile 1916 giunse in Macedonia con la 1ª Compagnia Automobilisti. Non combattè la guerra sul fronte perché addetto al trasporto di uomini e munizioni, trasferimento che avveniva con camionette molto primitive, che vediamo nelle fotografie che lo ritraggono insieme ai compagni. La sua Compagnia non ebbe una sede stabile, gli uomini dormivano sempre nelle tende. Giovanni non tornò mai
a casa in licenza e la guerra per lui finì tardi, nel marzo del 1919 dopo aver recuperato tutto il materiale bellico.
Quando Giovanni Ferrero tornò dalla guerra non ebbe molto tempo per riposarsi, papà Giuseppe (uomo severo e gran lavoratore) si tolse il grembiule e lo passò al figlio, lasciandogli il compito di portare avanti l’attività della macelleria.
La storia della famiglia Ferrero si unì poi a quella di un’altra famiglia importante del paese, quella di Giovanni Pollonio, che trasferitosi da Passerano d’Asti a fine ‘800, aveva aperto il caffè Medail, centro di ritrovo, di cultura e di divertimento per Bardonecchia: Giovanni Ferrero infatti si era innamorato della bella e giovane figlia di Pollonio, Elena. Si sposarono nel 1929 e dal loro matrimonio nacque Rosamaria.
Il palazzotto Ferrero di via Medail è rimasto tale e quale: nell’androne sotto il portone c’è ancora la pavimentazione in legno e pietra per il passaggio dei carri e delle bestie, al primo piano l’appartamento dove oggi vive Rosamaria è quello del nonno Giuseppe e si respira un’aria di un mondo lontano custodito con amore e rispetto dalla nipote.
Fotografia di Giovanni Ferrero. Archivio Rosamaria Ferrero.

GIOVANNI GIUSEPPE FRANCOU
Giuseppe Francou con la nipotina 
Antonella (Bardonecchia, 1962). 
Archivio fam. Filippi
Giuseppe Francou partì per la guerra quando aveva 25 anni, fu inviato su un fronte lontano, quello albanese, un fronte ancora oggi dimenticato dalla grande storia. Con lui c’erano altri bardonecchiesi, Antonio Bompard, i due fratelli Armando. Questi giovani montanari, che vedevano il mare per la prima volta, attraversarono l’Adriatico e giunsero in un paese sconosciuto, sconvolto dalla guerra.
L’Albania, che era diventata uno stato indipendente nel 1912, fu oggetto di interesse da parte dell’Italia che aveva concordato con il Patto di Londra del 1915 l’annessione di Valona, dell’isola di Saseno e il protettorato italiano sul resto dell’Albania. Quando gli Imperi Centrali il 9 ottobre 1915 iniziarono l’offensiva verso Belgrado, l’esercito serbo si ritirò in Albania e il governo italiano, davanti alla minaccia austro-tedesca e l’avanzata bulgara sul confine albanese, prese la decisione di rafforzare la presenza militare italiana in Albania.
Tra le brigate di Fanteria scelte per le operazioni in Albania vi era il 204º reggimento, a cui apparteneva Giuseppe Francou che partì da Taranto il 14 marzo 1916, sbarcando a Valona il 17 dello stesso mese. Lo aspettava una guerra durissima combattuta sulle montagne albanesi.
Questa è la storia ma i ricordi sono altri, quelli tramandati in famiglia e raccontati alla nipote Antonella.
* * *
Il nonno parlava sempre della “sua” guerra, quella in Albania e io non ho mai capito perché fosse andato laggiù a combattere, ma per me bambina la Prima Guerra Mondiale era l’Albania. Come tutti i nipoti, non sempre ho dato ascolto al bisogno del nonno di raccontare e ora che vorrei ancora sentire la sua storia, ora che passerei ore ad interrogare la sua lucida memoria, ora sono sola a cercare sui documenti e sui libri qualcosa che mi parli di lui.
Nonno parlava della sua guerra come l’unica vera tragedia della sua vita: eppure lui, nato nel 1890, ne aveva vista ancora un’altra di guerra, non più combattuta ma subita come civile sotto i bombardamenti; era stato anche preso dai tedeschi in un rastrellamento a Bardonecchia e liberato per un soffio prima di partire per i campi di concentramento. Ma niente era più profondo nella sua memoria che quella guerra. E la sua
più grande gioia fu essere insignito del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto: non si toglieva mai dalla giacca il suo distintivo di cavaliere che era il suo più grande orgoglio.
Aveva un altro grande legame con la guerra, quello con un amico, Biagio Armando, suo coscritto, che con lui in Albania aveva fatto un patto: se fossero tornati si sarebbero fatti un regalo. Conservo ancora con grande affetto l’orologio Longines, una cipolla d’argento del 1919, che gli regalò Biagio: era l’oggetto più prezioso che aveva il nonno, lo teneva sempre con sé, lo caricava con religiosa cura ogni mattina, e chissà quante cose gli diceva quel ticchettio. Nonno parlava sempre del suo amico Armando, raccontava che era riuscito a dissuaderlo quando, ormai sconvolto dalle violenze della guerra, voleva farla finita.

Un’altra storia era legata ad un generale che lo aveva salvato perché era riuscito a metterlo nelle cucine. Nonno, a soli 10 anni, aveva perso la mamma, Carolina Orcel; suo padre Emilio si era risposato, ma la matrigna gli dava solo pane nero e al dolore della perdita della mamma si aggiungeva la durezza di questa donna. Andò a servizio presso la famiglia di un generale (non so il nome, purtroppo!) che soggiornava per le vacanze a Bardonecchia; seguì la famiglia a Torino e da lustrascarpe passò alle cucine e imparò un mestiere. Sul suo foglio matricolare è indicata infatti la professione di cuoco. Era con lui in Albania questo generale?
Dal foglio matricolare scopro che il fante Francou il 6 luglio 1918 fu ricoverato nell’ospedale militare di Delvino: erano i giorni di un’accanita offensiva e la malattia certamente lo salvò allontanandolo dal fronte.
Ma il ricordo più bello lo confidò alla sua nipotina quando ormai era molto anziano, alla soglia dei 90 anni. Eravamo soli quel giorno a pranzo e lui incominciò a parlare dell’Albania, ma quella volta voleva dirmi qualcosa di nuovo, voleva confidare a me che avevo poco più di vent’anni, che avevo la sua età quando lui era al fronte, voleva confidarmi il segreto della sua vita. Parlava senza fermarsi e io ascoltavo stupita e incredula il suo cuore che si apriva: a Corfù, a guerra finita, nei mesi che precedettero il ritorno, aveva conosciuto una ragazza pugliese che faceva la cameriera, ed era nato un amore dopo tanto patire nella guerra. Lui era tornato a Bardonecchia, si erano scritti ma poi la vita li aveva divisi. Non aveva mai parlato di questo amore, lui che da buon montanaro non esibiva i sentimenti aveva nel cuore un dolce segreto.
Questi i miei ricordi, non ho altro, nemmeno la sua fotografia da soldato, ma tengo nel cuore la sua bontà, il suo esempio di uomo retto, onesto e pacato e il suo abbraccio rude di montanaro che mi stringeva nella sua dolcezza.


DIARIO DI GUERRA (Grande Guerra 1915-1918) 
di MASSET GIOVANNI di GIUSEPPE

Archivio fam. Masset.
Il Diario di guerra di Giovanni Masset è la trascrizione dell’inedito manoscritto conservato dalla famiglia: si tratta di un reportage quotidiano che il giovane Masset teneva su un quaderno annotando giorno per giorno spostamenti, tribolazioni, patimenti, paure, in una parola la “guerra”. Giovanni Masset aveva fatto la terza elementare, unico livello scolastico raggiungibile a fine Ottocento a Rochemolles; eppure notiamo nel suo scritto la correttezza ortografica, il lessico preciso e anche curato, la capacità di rendere con poche parole stringate la durissima vita del soldato nella Prima Guerra Mondiale. Tante notti passate all’addiaccio, al freddo, sotto la pioggia, ad alta quota, condizioni estreme che il nostro montanaro subiva e annotava senza troppi lamenti.
C’è molto coraggio nelle parole del Masset che non impreca mai contro la guerra che sente anzi come un dovere da compiere. Anche nel momento dell’operazione che subì a freddo per eliminare la scheggia dalla gamba, scrive con orgoglio che non gli uscì un lamento. In un’occasione fortuita Giovanni incontrò suo fratello Felice, i due si abbracciarono senza sapere se si sarebbero ancora rivisti. Anche il terzo fratello Masset, Pietro, era al fronte: tutti e tre ritornarono a casa a fine guerra.
Giovanni Masset quando partì per la guerra era già sposato e la moglie era incinta: nell’ottobre del 1915 nacque il bambino e lui tornò a casa con tre giorni di licenza. Vedrà il piccolo nella successiva licenza del febbraio del 1916; ma purtroppo il bimbo non sopravvisse, morì dopo sette mesi: la giovane moglie non sapeva dov’era il marito, non poteva avvisarlo, visse da sola il suo dolore e la disperazione di non sapere se Giovanni fosse ancora vivo.

Il diario che ci accingiamo a leggere inizia da quell’ottobre del 1915.
– Ringraziamo i figli Irene e Angelo Masset per averci dato la copia del diario –

Ottobre 1915. Il 31 ottobre si parte alle 8 per varcare la frontiera e si pernotta a Vallarsa, in una frazione.

Novembre 1915. Il 1º novembre si parte alle 11 antimeridiane per raggiungere il Col Santo – 2.114 mt. e si giunge verso le 17 sotto una tormenta di neve, la marcia rimane assai lunga e faticosa.
Il giorno 3 si parte per il piccolo posto, nottata di freddo, neve, bufera e si continua così fino al 19. Il giorno 19 si scende fino al comando, accantonati nelle baracche. Durante la permanenza costì si lavora a fare trincee, di corvée cct.

Dicembre 1915. Il giorno 5 dicembre, alle ore 2,30, si parte per Malga Croce; una notte buia. Dopo due ore si arriva alla baracca. Subito son destinato a dare, con cinque compagni, il cambio alle sentinelle di fanteria. Il giorno 10, ore 19, si riparte per il Col Santo e si giunge alle 21,30, dopo due ore di marcia nell’oscurità, in mezzo a un fango orribile.
Il 13 mattina ci rechiamo al Passù e senza far zaino a terra si prosegue fino ai posti di servizio; un freddo infernale, pazienza.

Gennaio 1916. Il giorno 7 gennaio abbiamo il cambio, ci ritiriamo verso la gran guardia di sinistra; ore 11 antimeridiane. Il giorno 21 si parte per andare in licenza, si lascia lo zaino al Comando e si giunge a Fochx alla sera alle 9. Il 22 ci avviamo per partire, ma appena oltrepassato il comando tappa un ciclista d’artiglieria di Montagna ci fa fare dietro front essendo sospese le licenze e si ritorna in giornata al Col Santo. Il giorno 25 la Fanteria Territoriale ci dà il cambio, la mattina alle 5. Alle ore11 si parte da Col Santo e si arriva a Parrocchia; alle 17 si pernotta. Il 26 si parte alle 9 ant., e si arriva a Valle dei Signori (oggi Comune di Valli del Pasubio - N.d.R.) alle 16,30. Il 27 si riparte alle 8,50, si fa colazione a Schio e si giunge a Piovene alle 16. Sempre privi di libera uscita. Il 29 si parte verso le 7½per risalire al famoso altipiano di Asiago. Io con 4 miei compagni siamo di servizio alla cassa forte e soffro molto dolore di stomaco durante il viaggio e si pernotta
a Conca Treschè, in prossimità di Canova. Il 30 si riparte da Conca per Camporovere   (oggi frazione del Comune di Roana - N.d.r.), ove si arriva alle 3. Il 31 ordine sparso in prossimità del paesotto, corsa all’assalto di qualche collinetta. Dopo pranzo rivista; dopo il rancio baracca a spasso perché sarà l’ultima sera; domani ripartiremo chissà per dove, forse verso Cernire.

Febbraio 1916. Il 1º febbraio si parte alle 8, si consuma il rancio a Ghertele (frazione di Roana - N.d.r.) comando di tappa. Proseguendo sempre si arriva sull’altipiano di Lavarone alle 6 e mi tocca di servizio subito. Il giorno 11 febbraio si parte per la licenza con zaino affardellato; meno male che (lo) si lascia al Comando di Battaglione. Si prosegue fino a Conca Treschè sotto il comando di un caporale di Fanteria e si giunge verso le 17. Il giorno 12 si parte verso le 0,20 per Musson in prossimità di Cocollo, marcia breve e si arriva verso le 2 colle gambe mezzo rovinate dalla stanchezza. Si passa la visita dai CCRR, cosa incredibile al mondo. Il giorno 13 si riparte per Pontette, alle 5 si prosegue per Thiene giungendo alle 7,30; alle 9,30 si parte colla tradotta e si giunge a Torino alle 11,53; si pernotta al distretto. Il giorno 14 si parte alle 5,45 per andare a casa e giungo a casa a mezzogiorno.
Il 29 parto col treno delle 17 e 2 per il ritorno al dovere. Alla mezzanotte parte la tradotta e rimango a Torino con Alpe e compagni. Si parte l’indomani e il 1º marzo si giunge a Thiene ove si pernotta.

Marzo 1916. Si riparte il giorno 2 alle 9 per Rocchetta e si prosegue per Conca Treschè.
Si riparte il 3 per raggiungere la compagnia e si arriva alla sera alle 18. Verso il giorno 9 ci dà il cambio la 1ª compagnia sotto l’imperversare della bufera di neve; ci ritiriamo a Costesin alla riserva. Si lavora di corvé tutti i giorni col Genio, con un tempo orribile. Il giorno 18 alle 23 sveglia perché si teme un attacco ricorrendo l’onomastico di F.sco Giuseppe.
Con un fagotto di sacchi vuoti si gira lungo i camminamenti di Costesin, sotto quelle trincee fangose, poscia si rientra senza il minimo incidente. Il giorno 29 si riparte per andare a riposo ad Asiago ove si giunge alle 22,30. Il 22 aeroplani nemici lanciano 4 bombe senza causare danni in paese, uccidendo solo due galline. Il 23 si riparte per ritornare a Costesin essendo che si teme un attacco e si dorme vicino alle cucine, scendendo verso Valle Morta. Il 28 si dà il cambio alla 1ª compagnia in trincea, avendo essi lo spaghetto. Il nostro nemico si è fatto più terribile a causa dello smascheramento delle posizioni. Siamo battuti di continuo dall’artiglieria di ogni calibro.

Aprile 1916. Il giorno 7 aprile 1916 sempre giornata terribile; i grossi calibri nemici piovono a destra e a sinistra; si corre di qua e di là nei camminamenti accompagnati dal ronzio delle schegge di granata e dal miagolio degli shrapnel. Un solo ferito in tutta la compagnia e un altro della sezione mitraglieri. In questa settimana il blochause rimane colpito diverse volte, senza però cagionare vittime. Il giorno 9 alle 6 di mattina arrivano i 305 a pochi metri dai blochause inondando di schegge di sassi la tettoia dei nostri nascondigli.
Il giorno 12 riceviamo il cambio dal 162º fanteria e ci mettiamo in rotta per Asiago, dove giungiamo verso la mezzanotte.

Maggio 1916. Il giorno 1 si cambia accantonamento, si va alla caserma Riva perché il nemico cerca di bombardare la stazione ferroviaria. Il nemico invece della stazione pare anche che cerchi di colpire i comandi e il giorno 18 a sera si va a dormire a Camporovere.
Il 19 verso le 18 arrivano 4 o 5 381 in prossimità dell’accantonamento danneggiando il tetto della casa occupata da noi. Verso le 21 del giorno stesso andiamo a dormire nel bosco, stante a nord-est di Camporovere. Il giorno 20 alle 8 antim. si parte, ci dicono i nostri superiori, per andare fino al Gherile ma invece si va fino a Costesin ove in prossimità incontro ed abbraccio forse per l’ultima volta il mio fratello Felice, pensando alla grande offensiva che forse prende il nemico e che i combattimenti, assalti e bombardamenti uso tempesta, di tutti i calibri, perdurano da tre o quattro giorni. La notte si passa tranquilla in sonni veglia colla testa appoggiata allo zaino. Le pallottole di fucile e di mitragliatrice passano al di sopra di noi sibilando come vipere. Qualche colpo di cannone si scambiano le nostre batterie con quelle dell’avversario in un via vai continuo di feriti, tutta la notte. La mattina del 21 alle 6 e tante cominciano ad aumentare di intensità il fuoco delle artiglierie e in pochi minuti le granate e shrapnel nemici piovono come una tempesta di grandine battendo il terreno palmo a palmo. Siamo obbligati a spostarci prendendo posizione sulla nostra destra per respingere l’avversario; in pochi passi che facciamo diversi ufficiali rimangono feriti e molti compagni chi morto chi ferito.
Il fuoco di fucileria si fa micidiale da ambo le parti. Una compagnia di comando del Tenente Berti va all’assalto, fanno prigionieri e la mischia continua, alle 15 che ci viene ordine di ripiegare. Il battaglione ripiega passo passo accompagnato dalle granate e shrapnel nemici e si giunge a campo Vecchio verso la sera alle 6 e tanti, là si trova la fanteria e altre truppe che ripiegarono qualche ora prima. Ci viene distribuita una scatola e qualche galletta; si mangia un po’ alla meglio. Una botte contenente qualche 300 litri di vino è messa a disposizione dalla sussistenza per dissetare il Battaglione; qualcheduno si ubriaca e molti fischiano. Verso le 8 del mattino andiamo per un po’ di riposo verso Campolungo fortezza, si dorme sotto le piante, un freddo cane, la neve a pochi passi e neanche un pezzo di coperta o mantellina per coprirsi. Il 22 alle 3 sveglia e si continua ripiegare fino a Canove ove prendiamo posto nelle trincee facendo fronte a Roana. La notte passa tranquilla ma il giorno successivo cioè il 23 si comincia a sentire il cic-tun delle pattuglie nemiche che aggirandosi nei paesetti e borgate fanno preda di galline, maiali e altro. I giorni passano, i cucinieri con qualche cosa di caldo non si vedono e fino al giorno 28 si vive a carne e gallette.
Il 30 si ripiega accompagnati da qualche shrapnel o granata; colla pioggia e la nebbia circa due compagnie andiamo a finire a Calvene, in prossimità di Lugo. Si pernotta e il giorno 29 si raggiunge il battaglione che si trova a Sassa (Sasso, frazione di Asiago - N.d.r.) piccolo paesetto sparso in mezzo alle colline.

Giugno 1916. Il giorno 8 giugno si va a Conco di sopra, piccola frazione in prossimità dell’altipiano e di lì si va a lavorare a fare trincee.

Luglio 1916. Il giorno 5 luglio si parte per essere incorporati negli Alpini. Il giorno 6 luglio si parte da Bassano col treno in Val Sugana fino a Grigne (probabilmente Grigno - N.d.r.) ove si cambiano i distintivi verso le due dopo mezzanotte.

ALPINO
Verso le 6,30 del giorno 7 si parte per raggiungere il Battaglione Bassano, si pernotta in mezzo ai boschi. Il giorno 8 si raggiunge le salmerie del Battaglione.
Il giorno 19 si va a raggiungere il Battaglione accampato [indecifrabile] a Caldes. Lì si pernotta sotto la pioggia [indecifrabile] alla meglio. Il 20 ci spostiamo sulla sinistra verso la Val Sugana. Si pernotta lì e si sta fino al 22. Il 22 a sera il Battaglione va di rincalzo al Baldo Verona (ai battaglioni Monte Baldo e Verona - N.d.r.) per l’assalto a Cima Ortigara.

Il 24 il mio Battaglione si muove alla mattina alle 4 per tentare l’altro colpo non essendo riuscito il Baldo a espugnare la cima. Alla notte il battaglione ripiega senza aver ottenuto nessun risultato, dopo aver subito perdite. Il 25 si ritorna a cima Caldes ove dormo fino alla mattina, panni e coperta tutti bagnati. Il 25 [sic] si parte verso l’Ortigara, si dorme all’aperto con un freddo cane. Il 26 si piantano le tende in una valle incuniata, si dorme tranquilli. Il 27 alla mattina alle 8 gli aeroplani ci scoprono e dopo pranzo piovono anche i 307 e shrapnel a volontà. Alla sera si viene a dare il cambio all’Argentera (battaglione Monte Argentera - N.d.r.), qualche centinaio di metri alla nostra sinistra. Passo la notte ai piccoli posti e il giorno 28 e notte seguente. Il 29 verso le otto il nemico tanto per farci capire che è sempre vigile e attivo tasta il terreno qua e là. Alle 12 una granata cade proprio dove siamo noi e si rimane in 3 feriti. Il 29 pernotto verso malga Tumistuffi. Il 30 vengo trasportato un po’ in barella e poi in automobile fino a Enego. Il 31 da Enego a Primolano.

Agosto 1916: Il 1º agosto si parte col treno e si giunge a Cremona la mattina del 2 alle 7 antimeridiane. Qui mi medicano senza farmi troppo soffrire. Il giorno 4 vado in osservazione ai raggi per vedere in che stato si trova la gamba fratturata. Il giorno 6 mi si applica l’apparecchio ossia il bendaggio con gesso. Il giorno 7 mi si fa un finestrino per poter medicare la ferita del terzo inferiore faccia interna g. sinistra. Il giorno 7 stesso vengo sceso al primo piano letto nº 53. Continuano le medicazioni come sopra.
Il giorno 23 mi viene estratta una scheggia di spoletta della lunghezza di 3 cm e larghezza circa un centimetro. Piccola operazione subita sul letto mediante un piccolo taglio per allargare la ferita e poter trovare il proiettile. Scoperto che mi fu venne tirato fuori con una specie di tenaglia, un dolore quasi insopportabile però sopportato senza emettere un grido.

Settembre 1916: Il giorno 12 settembre si toglie l’apparecchio e tutte le ferite sono cicatrizzate. Il 20 si incominciano i massaggi fino al g. 25.

Ottobre 1916: Il giorno 7 sono messo in uscita. Vado all’Infermeria Presidiaria per passare la visita dal Maggiore e mi accorda g. 60 di licenza. Indi si va al Dep. 65 fant. per avere il foglio di via. Parto da Cremona alle 4 e 51, via Codogno-Ospedaletto-Pavia. A Pavia scendo e aspetto il treno per Milano ove giungo alle 22 e 40. Parto da Milano alle 4 per Torino ove giungo verso le 8. Alle 10 riparto per Bardonecchia dopo essere stato accolto cortesemente dalla croce rossa e mi viene offerto un caffè e latte.

Dicembre 1916: Il giorno 6 parto per rientrare a Verona Dep. Il giorno 7 parto da Verona per Bassano ove pernotto. Il giorno 8 riparto per Torino per rientrare nella G. di Finanza.
Il giorno 9 mi presento al Comando di Legione ove vengo destinato al Circolo di Torino.
In giornata parto per Bardonecchia ove giungo alle 10 di sera. Il giorno 10 ritorno all’ospedale Principale di Torino.
L’indomani, cioè l’11, alla visita mi concedono g. 40 di convalescenza. L’11 stesso rientro in brigata a Bardonecchia; la mia licenza decorre dal 12 dicembre. Il giorno 15 vado al paese per usufruire la licenza.

Gennaio 1917: Il g. 21 gennaio 1917 rientro in brigata e prendo servizio l’indomani mattina.



COMMENTO STORICO DI ALBERTO TURINETTI DI PRIERO
Giovanni Masset nacque il 3 giugno 1887, a Rochemolles, e si presentò alla visita di leva il 14 aprile 1908. Piccolo di statura, era alto 1 metro e 59,ma molto robusto, fu dichiarato soldato di 1ª categoria e chiamato alle armi il 27 ottobre dello stesso anno presso l’87º reggimento di Fanteria, venendo poi assegnato alla Regia Guardia di Finanza.Richiamato nel 1911, fu assegnato alla Legione di Genova il 6 dicembre 1912. Fu inviato a fare servizio a sui Ferry Boat sullo stretto diMessina; lui giunse aMessina dopo il tremendo terremoto del 1911 e vide la città rasa al suolo, gli rimase sempre il desiderio di rivedere la città ricostruita.
Tornato a casa, fu di nuovo mobilitato il 9 maggio 1915, alla vigilia della dichiarazione di guerra, ed assegnato al 1º battaglione della Regia Guardia di Finanza, che allo scoppio delle ostilità aveva preso posizione sull’Altipiano di Asiago per passare poi a presidiare il Col Santo, estrema posizione italiana sul Pasubio, a 2.114 metri di quota (1).
Il Masset giunse al fronte il 31 ottobre 1915, in Vallarsa, ai piedi del Pasubio,ma il giorno dopo, il 1º novembre, era già al Col Santo, dove rimarrà fino alla fine di gennaio. In quei mesi ed in quella zona il fronte appariva tranquillo,ma la vita di ufficiali e soldati era molto difficile non solo per le fucilate scambiate con gli austriaci, ma soprattutto a causa del freddo intenso, della neve alta e del continuo alternarsi ai posti di vedetta. I comandi italiani pensavano fosse inutile rafforzare le linee del massiccio, ritenendo possibile un’ulteriore avanzata sino alla linea dei forti imperiali di Folgaria.Molta neve e pochi attrezzi rendevano comunque inutili anche i lavori programmati; gli austriaci erano invece occupati nel progetto di una grande offensiva in primavera.
Il peggio doveva ancora venire.
Dopo un breve turno di riposo, il 29 gennaio 1916, il battaglione venne di nuovo inviato sull’altipiano di Asiago e là, dopo marce faticose, tra tormente di neve e freddo, raggiunse la zona di Lavarone.
L’11 febbraio 1916, il Masset fu inviato in licenza, arrivando a casa il 14, dopo un lungo viaggio in treno,ma il 29, come annotò nel diario, “parto col treno delle 17 e 2 per il ritorno al dovere”: aveva ragione, era il 29 febbraio del 1916, anno bisestile.
Intanto il 1º battaglione era salito sulle nuove posizioni del monte Costesin, alle dipendenze della brigata di fanteria “Ivrea”, in prima linea (2).
I mesi di marzo e aprile 1916 passarono in un alternarsi di periodi di riposo nelle retrovie e di guardia al fronte, dove il tiro dell’artiglieria austriaca andava intensificandosi di giorno in giorno. Il 12 aprile il battaglione venne ritirato ad Asiago, ma anche in città cominciarono ad arrivare le granate dei grossi calibri austriaci, tanto che il 18 maggio il battaglione venne spostato nei pressi del paesino di Camporovere, dove piovvero quattro o cinque proiettili da 381 mm., il massimo calibro dell’artiglieria nemica, ed il reparto si attendò in un bosco che sembrava essere più riparato.
Masset non lo rileva nel suo diario,ma sta per essere testimone e protagonista di una delle più cruente battaglie del fronte italiano. Il 20 maggio 1916 iniziò infatti quella che nella nostra storia è indicata come “Strafexpedition”, la grande offensiva austro-tedesca, che aveva come obbiettivo Udine ed il definitivo sfondamento delle linee italiane. Quel giorno, alle 8 del mattino, al battaglione giunse improvviso l’ordine di muoversi ed in poche ore esso fu schierato sul monte Costesin, dove la battaglia si accese con un violento bombardamento d’artiglieria, seguito dall’attacco delle fanterie austriache il giorno dopo, il 21 maggio. Il 1º battaglione della Regia Guardia di Finanza resistette all’urto e,malgrado le perdite, si tenne fermo sulle proprie posizioni, ma come annota nel diario Masset, verso le 15 ricevette l’ordine di ripiegare. In particolare si distinsero la sezione mitragliatrici, comandata dal tenente Umberto Adamoli, che riuscì da sola a respingere un assalto della fanteria nemica.
Nel diario è ricordato il tenente Berti, in realtà Rocco Bertè, che con il suo plotone non solo riuscì a respingere l’improvviso attacco di una pattuglia austriaca,ma ne catturò gran parte, rimanendo ferito nell’azione.
La ritirata ebbe momenti drammatici perché fu eseguita sotto il costante tiro dell’artiglieria austriaca e gli improvvisi attacchi di pattuglie nemiche.A causa della confusione creatasi fra i comandi e l’accavallarsi di ordini contrastanti, il capitano Luigi Squadroni, comandante interinale del battaglione fu sottoposto ad un’inchiesta e perfino arrestato,ma il tribunale di guerra del XIV Corpo d’Armata lo assolse da qualsiasi accusa, rendendogli giustizia (3).
In realtà la ritirata si svolse con ordine, salvo lo smarrimento di una compagnia che si ricongiunse in breve al comando di battaglione, tanto che i superstiti si ritrovarono compatti fin dal 28 maggio. A parte le perdite subite – 4 caduti, 37 feriti e 48 dispersi fra la truppa – va notato che il reparto riuscì a sopravvivere a otto giorni di pioggia, freddo e combattimenti senza viveri e senza zaini, tende e mantelline.Tutto l’equipaggiamento era stato infatti lasciato il 21 maggio nella fretta di raggiungere la linea di combattimento ed era andato distrutto ad opera di un reparto di fanteria che, ritirandosi, aveva avuto quella geniale idea affinché non cadesse in mano del nemico!
Il ripiegamento ebbe termine il 29, nel paesetto di Sasso.
Il mese di giugno 1916 passò a scavar trincee ai bordi degli Altipiani ed ai primi di luglio avvenne un fatto singolare, debitamente segnalato dal Masset nel suo diario: il Comando Supremo decise il riordinamento dei battaglioni della Regia Guardia di Finanza, riducendone il numero e riducendo l’organico di ognuno di essi, assegnando l’esubero alla Fanteria (4). Fu così che Masset annotò: “Il giorno 6 luglio si parte da Bassano col treno in Val Sugana fino a Grigne ove si cambiano i distintivi verso le due dopo mezzanotte”. Con il grado di caporale si ritrovò nel 6º reggimento Alpini, battaglione “Bassano”, riprendendo una vita grama, perché proprio in quei giorni si svolse il gigantesco tentativo di prendere possesso della cima dell’Ortigara.
Si trovò così testimone e protagonista di un’altra grande e sanguinosa battaglia della Prima GuerraMondiale, quella dell’Ortigara, durata dal 16 giugno al 24 luglio 1916, che vide un’ecatombe di alpini (5). Il 22 luglio, i battaglioni “Bassano” e “Monte Baldo” tentarono di avanzare in valle Agnella, verso il monte Campigoletti, sul rovescio della Cima Ortigara,ma dovettero ritirarsi di fronte all’accanita resistenza austriaca (6).

-          Note _________________
1 Nel maggio 1915, la Regia Guardia di Finanza mobilitò diciotto battaglioni: i primi quattro equivalenti ai battaglioni alpini, con salmerie al seguito, atti a prendere parte ad operazioni di alta montagna. Gran parte di questi battaglioni partecipò attivamente alla guerra fino al 1916, coprendosi di valore in diversi tratti del fronte dalla valle di Ledro al Piave.
2 Il monte Costesin era un importante caposaldo fortificato, organizzato con una linea avanzata appoggiata da ridotte di sassi (blockhaus) e postazioni di mitragliatrice, e da un trincerone centrale (sulla quota 1527) per la resistenza. Già teatro di lotte nel 1915, fu di nuovo investito dalla guerra nel maggio 1916, quando il 21, dopo due giorni di scontri violenti ed un concentramento di fuoco di artiglieria inusitato anche per la Grande Guerra, la brigata “Ivrea”, che lo aveva difeso dall’inizio della guerra, doveva ripiegare con gravi perdite.
3 Cfr. Sante Laria, Comando Generale della Guardia di Finanza, Le Fiamme Gialle d’Italia nei fasti di guerra e del patriottismo italiano, parte II, Luigi Alfieri, Milano 1930, pag. 449.
4 La decisione nasceva dal fatto che sembrò inutile adoperare questi battaglioni in un impiego logorante in trincee e località troppo tormentate, distraendo forze da dedicare a compiti d’istituto. Cfr. Sante Laria, Comando Generale della Guardia di Finanza, Le Fiamme Gialle d’Italia nei fasti di guerra e del patriottismo italiano, parte II, LuigiAlfieri,Milano 1930, pag. 436.
5 Nel 1917, la battaglia si ripeté nei medesimi luoghi con ulteriori sanguinosissime perdite, italiane ed austriache.
6 Dal 16 giugno al 25 luglio 1916, il battaglione “Bassano” perse 34 caduti, 357 feriti e 79 dispersi. Cfr. Emilio Faldella, Storia delle Truppe Alpine, Vol. I, Cavallotti editore, Milano 1972, pag. 514.
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È mezzogiorno del 29 luglio 1916 ed una granata esplode in mezzo ad un gruppo di alpini, provocando quattro feriti, tra i quali il nostro Giovanni Masset, che venne evacuato, prima in barella e poi in ambulanza.Ebbe una gamba fratturata e lo trasferirono all’ospedale di Cremona dove, finalmente, il 23 agosto gli venne estratta una scheggia di 3 centimetri “con una specie di tenaglia, un dolore quasi insopportabile però sopportato senza emettere un grido”.
Per Giovanni Masset, un po’ Guardia di Finanza e un po’ Alpino, la guerra era finita, ma non le sofferenze. Rientrerà in licenza a Bardonecchia il 7 ottobre,ma tra visite e controlli si arrivò fino alla fine del 1919, di nuovo inquadrato nella Legione di Torino della Regia Guardia di Finanza, prima di poter passare alla vita civile come ferroviere, nel 1924.

BIBLIOGRAFIA
– Enciclopedia Militare, a cura del Popolo d’Italia, 6 volumi,Milano 1927-1933.
– Emilio Faldella, Storia delle Truppe Alpine, 3 volumi,A.N.A.,Cavallotti editore,Milano 1972.
– Sante Laria, Comando Generale della Guardia di Finanza, Le Fiamme Gialle d’Italia nei fasti di guerra e del
patriottismo italiano, parte II, Ed. Luigi Alfieri,Milano 1930.
– Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore Centrale-Ufficio Storico, Riassunti storici
dei Corpi e Comandi nella guerra 1915-18, Alpini, Libreria dello Stato, Roma 1929.
– Ministero della Guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore Centrale-Ufficio Storico, Riassunti storici
dei Corpi e Comandi nella guerra 1915-18, Brigate di fanteria, 8 Voll., Libreria dello Stato,Roma 1924-1929.
– Edoardo Scala, Storia delle fanterie italiane, StatoMaggiore dell’Esercito,Vol.VIII,Gli Alpini,Roma 1955.

SITOGRAFIA
– www.gdf.gov.it
– http://www.cimeetrincee.it

DOCUMENTI
– Archivio di Stato di Torino,Foglio matricolare diMasset Giovanni Antonio di Giuseppe,Classe 1887.
– Giovanni Masset,Diario di guerra.
L’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia sulla prima pagina de “La Stampa” del 24 maggio 1915.