Settembre 2012. In questa estate, quasi al termine, in cui
mia figlia Irene ha indossato il costume tipico del paese, in occasione delle
festa dello Scapulaire e di San Lorenzo, mia mamma mi ha raccontato la storia
di sua nonna: Maria Virginia Orcellet. Il racconto mi ha dato lo spunto per
scrivere qualcosina per il nostro Bollettino e rendere partecipe, a chi può interessare,
di un po’ di storia del nostro paese.
Nonna Virginia era nata a Melezet il 9 agosto del 1859 ed
era una mia bis nonna materna. Se lascio volare la fantasia, la immagino come
una di quelle donne anziane con abito nero e capelli bianchi, tirati sulla
nuca. Non so come fosse fisicamente, perché ovviamente al tempo le fotografie
erano una rarità, ma so cosa ha fatto per gran parte della sua vita: lavorato
tanto, preparato e montato le cuffie bianche del costume tipico.
Ma andiamo per ordine!
Nonna Ginie (questo era il suo nome in “patois”) si era
sposata relativamente giovane e, dopo aver avuto quattro figli, era rimasta
vedova del marito: Lorenzo Lantelme.
A quel punto, dovendo provvedere da sola al sostentamento
della famiglia, decide di partire per la Francia al servizio di una famiglia
benestante. Il suo compito sarebbe stato quello di fare da balia ai figli dei
padroni, anche allattandoli con il suo latte, che in tempi normali sarebbe
stato destinato ai suoi figli. Certamente questa fu una decisione difficile, ma
le necessità del momento storico e il poco denaro, condizionarono notevolmente le
scelte di vita di numerose famiglie.
La nonna partì verso la Francia, lasciando a casa i quattro
figli alle cure dei suoi genitori, i quali per avere il denaro per provvedere
al sostentamento dei nipoti dovettero ipotecare l’asino; al suo rientro al
Melezet, la nonna dovette utilizzare quanto aveva guadagnato nel corso del
lavoro da balia per riacquistare l’asino e averlo nuovamente a disposizione
della famiglia, per il lavoro nei campi.
Proviamo ad immaginare la vita del paese di Melezet agli
inizi del 1900, con il lavoro dei campi, gli animali nella stalla o al pascolo,
i figli sempre numerosi e le tante incombenze che gravavano sulle spalle delle donne.
Ma nonna Ginie, come tutte le donne del tempo, deve aver avuto un’energia e una
passione particolare. Tant’è che i suoi figli, anche con l’aiuto dei suoi
genitori, sono cresciuti, si sono sposati, uno è andato in Francia, una a Les
Arnauds (Agata) e due sono rimasti al Melezet (Valentino e Susanna).
Susanna era mia nonna, anche di lei non ho ricordi perché è
deceduta quando io avevo pochi mesi, ma semplici foto, che però dicono tanto:
serenità, amore per i sei figli, per il marito morto giovane e tanta fatica per mandare
avanti tutto quanto. Mia mamma era la terzultima dei sei figli e ricorda che
spesso faceva a gara con suo fratello Sergio per andare a dormire dalla nonna
Ginie, perché la nonna metteva a loro disposizione un materasso e un cu sci no!
Rarità per il tempo!
Probabilmente tutto questo avveniva nei primi mesi del 1939,
perché mia mamma si ricorda che in quell’anno, quando dormiva lì, nelle lunghe
sere invernali, la nonna Ginie si trovava con le sue amiche, nella cucina, a
cucire e a montare cuffie e costumi, da utilizzare per le feste. E di festa, in
quell’anno ce n’è sarebbe stata una particolare: l’inaugurazione della Colonia
Medail a Bardonecchia. Il Duce in persona sarebbe stato presente all’evento e le
donne del paese avrebbero partecipato, indossando il costume probabilmente
preparato da mia nonna e dalle sue amiche.
Immagino con quale cura e delicatezza, le mani stanche
dell’ormai quasi settantenne nonna Ginie, sapessero trattare i preziosi pizzi,
gli scialli e i grembiuli; tra una chiacchiera e l’altra in patois, un sorriso e un occhio al letto do ve dormivano i nipoti, si creavano
piccoli tesori, che per fortuna Irene, quasi un secolo dopo, può ancora
indossare con orgoglio. Negli ultimi anni della sua vita, la nonna visse sola,
in compagnia della mucca Valence e di alcune pecore che affidava ai nipoti per
il pascolo estivo.
Maria Virginia Orcellet, detta Ginie, morì il 30 luglio
1945, poco dopo la seconda guerra mondiale, probabilmente a causa di una
congestione.
Ho pensato di scrivere questo ricordo, per non dimenticare
le nostre origini, nella speranza che le fatiche dei nostri avi, possano essere
di insegnamento per noi e i nostri giovani.
Wanda Nuvolone
Il gioco si ripete nella
piazzetta antica.
* * *
Davanti a S. Antonio Abate
Il tempo che muore sa
dove andare
per poi tornare... sempre
uguale.
Generazioni si alternano.
Oggi, come ieri...
Piccoli uomini e
fanciulli in boccio
cullano i loro sogni, con
giochi e corse,
attorno al tiglio grande,
che profuma l’aria dei
sentimenti.
...Non c’è più il tiglio,
ma la vecchia fontana di
pietra e tufo,
scherza ancora con
l’acqua,
in un’atmosfera di
malizia e benedizione,
mentre lo sguardo azzurro
di una donna,
invita a bere dalla sua
brocca,
quell’acqua che
completerà
una tavola apparecchiata:
col rosso dell’agrifoglio
al centro.
Il campanile sovrasta e
la squilla incombe,
segnando i tempi
di quel mondo ancora un
po’ contadino.