MONS.
IANNUCCI, amico di Bardonecchia
La penultima
volta che lo vidi fu nel novembre del 1992, quando andai a prenderlo a Porta
Nuova, a Torino, per accompagnarlo a Bardonecchia, dove Mons. Iannucci
nell’arco di quasi 50 anni era già stato tante volte. Questa però era una
circostanza diversa e triste, veniva a celebrare il trigesimo della morte di un grande
amico, fin dai tempi della gioventù al Collegio Capranica di Roma, di cui erano
entrambi alunni come seminaristi. Si avvertiva il grande dolore che gli causava
l’evento, ma che non stemperava la sua serenità e gioia di appartenere al
Signore. In questo molto simile a don Bellando che diceva: “
Sono nato
per essere sacerdote ”, anche se avrebbe potuto fare altre e brillanti
carriere. Volle andare subito alla sua tomba e pregammo a lungo insieme, anche
per Patrizia – di cui sapeva ogni cosa – e i genitori di don Francesco, che lui
aveva conosciuto e di cui ricordava aneddoti e caratteristiche, quando li
frequentava al Savoia, venendo a trovare il compagno Francesco Bellando.
Terminammo con un solenne De Profundis, non senza qualche lacrima e mi fece
impressione, molta, anche perché l’Arcivescovo Iannucci era un omone grande e grosso,
dalla presenza imponente.
L’omelia della Messa in die trigesima fu un accorato cuore a
cuore di un vero pastore, ma anche un amico, intorno a cui Bardonecchia era
radunata, ancora attonita per la perdita del suo amato “parroco”. Sì, direi
soprattutto l’amico: «Una forte amicizia
certamente ricca di affetto, di stima, di simpatia ha legato me da 58 anni a
Mons. Bellando, ma il tutto si sublimò col vincolo sacramentale il 25 marzo
1938, quando ambedue ricevemmo l’Ordinazione Sacerdotale nella Cappella
dell’Almo Collegio Capranica di Roma per il ministero di un santo Vescovo, poi
Cardinale, Mons. Luigi Traglia, allora Vicegerente Ausiliare di Roma».
Antonio Iannucci entrò nel Collegio Capranica nell’ottobre del 1934 e tra i 50 compagni collegiali, confidava nella predica-racconto di quella sera: «Potrei ricordare tra i vivi e i defunti numerose figure, con segni incancellabili lasciati nell’esercizio pastorale, nelle cattedre anche universitarie, nei larghi spazi della cultura sacra, tra i diplomatici pontifici, tra i Vescovi e i Cardinali, ma mi soffermo soltanto a due cari compagni, miei e di Mons. Bellando, ora non più sulla terra; per essi si è avviata la causa di beatificazione: Mons. Enrico Bartoletti, Arcivescovo di Lucca e Segretario Generale della CEI e Mons. Luigi Novarese, fondatore dei silenziosi volontari della sofferenza. Ma sin dai primi anni di vita collegiale lo sguardo mio e di parecchi altri compagni, quasi a punto di riferimento, si volgeva verso un giovane “con un senso giocondo di simpatia” direbbe il Manzoni: si trattava di Francesco Bellando».
Dopo altre
commoventi annotazioni su questa amicizia, terminava così: «Della straordinaria
e mistica dedizione di Mons. Bellando a Bardonecchia altri sanno molto più di
me, ma dalle ripetute visite fatte da me a quella Parrocchia, dai numerosi incontri
avuti con lui a Pescara o a Roma, dove egli passava le ferie ogni autunno, e
dai numerosi riscontri di persone e per iscritto, credo di poter affermare che
i 46 anni di servizio parrocchiale resi da Mons. Bellando sono stati preziosi
per la comunità di Bardonecchia e per i tanti turisti del Piemonte e delle
regioni vicine».
Scorrendo le
raccolte dei Bollettini parrocchiali dal 1946 in poi si trovano fotografie,
articoli e cronache che parlano dell’Arcivescovo Iannucci e delle sue visite e
soggiorni e celebrazioni, nella nostra “perla” delle Alpi.
In opere et sermone
...Ed ora insieme vivono nella gioia eterna,
contemplando il volto splendente di gloria del Padre...
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Diventerà
Arcivescovo di Penne-Pescara il 15 febbraio 1959, non ha ancora compiuto i 45
anni di età.
L’episcopato
di Iannucci è stato finora il più lungo della storia della Chiesa di Pescara-Penne
(il nome della Diocesi è mutato nel 1982). Lascerà la guida dell’Arcidiocesi,
infatti, il 21 aprile 1990, divenendo Arcivescovo emerito e la sera prima che
venisse pubblicata la nomina del suo successore, telefonava all’amico don
Bellando (chi scrive ha preso la telefonata ed era presente alla conversazione amichevole)
perché lo sapesse dalla sua viva voce, prima di leggerlo l’indomani su
“L’Osservatore Romano”.
Una città ed
una Diocesi che si è molto sviluppata negli anni del suo ministero.
Diocesi a cui
Iannucci diede egli stesso impulso, con l’erezione di nuove parrocchie e la
costruzione di altrettante chiese, case canoniche e opere parrocchiali. Compì
quattro Visite Pastorali, oltre ad un nutrito numero di convegni, attività culturali,
documenti di orientamento pastorale. Centoundici sacerdoti ordinati e circa
150.000 Cresime amministrate, riservando sempre particolare attenzione ai sacerdoti
e seminaristi. In Avvento e nel periodo natalizio visitava ogni sera i malati
dell’ospedale e delle cliniche. Durante ogni Quaresima visitava ogni mattina e
celebrava la Messa nelle varie aziende e uffici pubblici. Ha eretto opere in Diocesi,
in Abruzzo e anche in Africa. Notevole è anche la produzione pubblicistica
dell’uomo e del Pastore, con opere essenzialmente di carattere ascetico,
teologico, storico e letterario. Molto interessanti – e uno non se l’aspetterebbe
da un pastore di siffatta stoffa – i tre volumi di commenti alla Divina Commedia.
Anche il mondo civile e sociale dell’intero Abruzzo ha riconosciuto il merito
della sua statura intellettuale, umana e spirituale con l’attribuzione di
svariati titoli e onorificenze.
Antonio
Iannucci ha esercitato l’Episcopato con instancabile spirito missionario,
dedicando tutte le sue energie. L’amore per i giovani lo ha spinto a
promuovere, nel-l’ambito pastorale, varie
iniziative e la nascita di numerosi movimenti e aggregazioni, come pure
per quelli con particolari disagi fisici ed economici creò centri di
accoglienza, di formazione e di spiritualità, convogliate nelle esistenti
realtà della “Fondazione Paolo VI” e della “Oasi dello Spirito”. Sotto la sua
guida si celebrò a Pescara il XIX Congresso Eucaristico Nazionale, dall’11 al
18 settembre 1977, conclusosi con la Messa presieduta da Papa Paolo VI.
Consegnato il
Pastorale al suo successore Mons. Cuccarese, si ritirò a vita privata e mise a
disposizione il suo ministero nelle parrocchie della Diocesi, continuando a
dirigere i Centri della “Fondazione Paolo VI” con scuole, case di riposo, di
accoglienza, di degenza, di cura e di formazione professionale e artigianale
che aveva fondato negli anni, rendendosi anche disponibile all’ascolto e al
consiglio di molte anime. L’Arcivescovo Iannucci ha lasciato a tutti una
testimonianza mirabile di vita spirituale e di governo pastorale saggio,
illuminato, provvido e zelante.
I solenni
funerali presieduti da Mons. Tommaso Valentinetti – suo secondo successore –
concelebrati da numerosi Arcivescovi e Vescovi, presbiterio diocesano e
religiosi, con il concorso di tante religiose e una folla di semplici fedeli di
tutte le età, con autorità di ogni ordine e grado, si sono svolti il 16 ottobre
2008. Al termine, in forma strettamente privata, la salma è stata tumulata
nella cappella laterale destra della Cattedrale di S. Cetteo in Pescara.
Il testamento spirituale
Sono sei
pagine manoscritte datate il 1º gennaio 1996, un capolavoro di semplicità,
rettitudine, intensa spiritualità e vita evangelica, distacco e povertà.
Traspare anche umiltà sincera: «Avrei desiderato di poter incarnare meglio
la Chiesa in mezzo al mio gregge; avrei voluto rendere più luminosa la Chiesa
come casa di tutti; avrei voluto più ascoltare che parlare; più proporre che
imporre. Avrei voluto rendere maggiormente manifesta la fermezza della Chiesa
che non può adulterare il proprio messaggio, che è di Cristo, ma nello stesso
tempo avrei voluto usare meglio l’arma propria della Chiesa, che è quella delle
Beatitudini, accogliendo tutti con comprensione e amore e tutti perdonando in ogni occasione. (…)». Sprattutto, sintesi concreta di una
vita coerente e aderente all’esempio di Cristo, quelle parole, espressione di
un distacco dalle ricchezze, dal denaro e dai beni materiali, non sempre
riscontrabile nei ministri del Signore, ahimé, e invece in lui così trasparenti
e convincenti: «(…) Come Vescovo della Chiesa Cattolica ho erogato in
vita tutto quello che avevo, destinandolo alla vangelizzazione, al culto e ai
poveri. Se qualche piccola cosa rimane all’atto della mia morte sia destinata
agli stessi scopi. I miei parenti a riguardo mi hanno sempre compreso. Ad essi
ho donato e lascio in eredità il mio grande affetto, come gli stessi mi hanno sempre onorato con la loro vita esemplare».
La sua ultima, concreta, grande lezione.
Un’interessante intervista
In occasione
dei 70 anni di Sacerdozio, celebrati il 25 marzo 2008, concesse un’intervista
alle pagine locali di “Avvenire”. Poiché interessa anche Bardonecchia, che vi è
citata, ne riporto una parte:
– Eccellenza,
vuole raccontarci del 25 marzo 1938?
Era la Solennità dell’Annunciazione del
Signore, fui ordinato sacerdote nella Cappella dell’Almo Collegio Capranica di
Roma dall’Arcivescovo Mons. Traglia Vicegerente del Vicariato romano, promosso
in seguito Cardinale e Vicario di Roma. Nel santino ricordo definii il
programma della mia vita: “Respice stellam, voca Mariam”. A 70 anni di distanza
confermo lo stesso radioso programma. Con me furono ordinati sacerdoti mons.
Francesco Bellando, poi Parroco di Bardonecchia in Piemonte, e don Arrighi di Reggio
Emilia. Nello stesso rito furono ordinati diaconi Mons. Enrico Bartoletti, poi
Arcivescovo di Lucca e Segretario della CEI, e mons. Luigi Novarese, fondatore
dei Volontari della sofferenza, miei compagni di collegio per i quali è stata
avviata la causa di Beatificazione. Ricordo che dopo i solenni riti passammo
nell’attiguo salone, e poiché il gruppo dei presenti era composto in
maggioranza di romani, cantammo l’inno al sole, riportato nel carme secolare di
Orazio.
– Come vede
cambiata la Chiesa in questi 70 anni e soprattutto come è cambiato il
Sacerdozio?
Dallo splendore suscitato dal Concilio
Vaticano II la Chiesa è attraversata ora da una certa nebbia che conduce alla
stanchezza religiosa dei fedeli, non solo per la allargata laicità ma,
specialmente, per un focoso laicismo, istigato dal relativismo, dall‘irenismo e
dal materialismo che conducono in prima linea alle immagini contro la verità e
alle lusinghe della vita a scapito della austerità cristiana. I sacerdoti
risentono in qualche modo di un certo montanismo e secolarizzazione, pur tra i
tanti ministri sacri ricchi di vita santa e apostolica.
Le tre certezze di Mons. Iannucci
Di lui don
Bellando parlava sempre in termini entusiastici e positivi. Le numerose volte
che siamo stati ospiti a Pescara, nell’episcopio o quando veniva a Bardonecchia
o in qualche incontro romano, diceva che era un vulcano in continua eruzione,
per l’attività senza posa, accompagnato da una salute di ferro e da
grande
intelligenza. Un vero studioso, fin dai banchi del Collegio Capranica, ma anche
una persona di profonda umanità e ammirevole generosità. Forse un po’ ingenuo,
riconosceva don Francesco, come sono spesso i grandi uomini, non così pronto a
discernere tra le persone, anche quelle meno buone o che cercavano un tornaconto,
quindi mosse da interessi mascherati. Io lo ricordo sempre come un uomo con una
spiccata paternità sacerdotale che ti faceva sentire subito a tuo agio e direi
anche in confidenza.
L’ultima volta
che l’ho visto e siamo rimasti insieme, fu accompagnando il Cardinale Saraiva
Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla casa di Campo
di Giove, sui monti del Gran Sasso, nel 2005, per un convegno organizzato dal
francescano Padre Zavarella. Non sapevo che in quella casa trascorresse qualche
giorno di vacanza e di riparo dal gran caldo di luglio anche Mons. Iannucci, e
abbiamo pranzato vicini. Mi apparve davvero un Patriarca, aveva superato i 90
anni e parlammo a lungo di don Francesco. Parlando bene di me a Sua Eminenza,
mi congedò con parole – le ultime ascoltate dalla sua viva voce di persona, poi
lo sentii solo più al telefono – che sarei immodesto a riportare. Ma la conclusione – perdoneranno e comprenderanno i
lettori di queste righe – mi piace dirla:
«Pensacome è fiero
di te don Francesco, ricordalo sempre, sono sicuro che gli farai fare bella
figura», e mi abbracciò.
Riposa in Cristo S.E. Mons. Antonio Iannucci nella cappella
laterale destra all’ingresso della Cattedrale di Pescara. |
Mons. Iannucci
in prossimità della commemorazione dei defunti il 30 ottobre 2005, scriveva
dopo una bella meditaz
ione sul significato della giornata e dell’esperienza intercorsa alla morte di
Santa Monica, raccont ata da
Sant’Agostino, che possiamo cogliere una triplice certezza: « Anzitutto la certezza che con i defunti è
possibile una nostra conversazione celeste. Detta certezza ci sostiene giorno
per giorno nel nostro cammino terrestre. (…) In questa conversazione con Dio si
trovano tutti coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede. Una
seconda certezza è data dalla continuità tra la nostra conversazione con Dio e
con i Santi, sia sulla terra che nel cielo: sono due realtà distinte ma in
continuazione. Una terza certezza si esprime nella nostra continua preghiera di
cui i nostri defunti hanno bisogno. Sant’Agostino ricorda che la madre Monica
chiedeva una cosa sola dopo la sua morte: il ricordo di lei presso l’altare
del Signore con la celebrazione della
santa Messa in suo suffragio.
L’esortazione concludeva Iannucci – vale per tutti i defunti». E certamente vale anche per lui e
l’inseparabile amico don Francesco Bellando, che insieme rinnoveranno, ormai
per sempre, nella liturgia celeste, le sorgenti della loro giovinezza: «Introibo ad altare Dei, ad Deum
qui laetificat juventutem meam»
(Salmo Iudica Me Deus).
Don Claudio Jovine
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