01/05/09

MONS. IANNUCCI, amico di Bardonecchia (2008)

L’Arcivescovo Metropolita di Pescara
MONS. IANNUCCI, amico di Bardonecchia
Il suo rapporto con Bardonecchia
La penultima volta che lo vidi fu nel novembre del 1992, quando andai a prenderlo a Porta Nuova, a Torino, per accompagnarlo a Bardonecchia, dove Mons. Iannucci nell’arco di quasi 50 anni era già stato tante volte. Questa però era una circostanza diversa e triste, veniva a celebrare il trigesimo della morte di un grande amico, fin dai tempi della gioventù al Collegio Capranica di Roma, di cui erano entrambi alunni come seminaristi. Si avvertiva il grande dolore che gli causava l’evento, ma che non stemperava la sua serenità e gioia di appartenere al Signore. In questo molto simile a don Bellando che diceva: “
Sono nato per essere sacerdote ”, anche se avrebbe potuto fare altre e brillanti carriere. Volle andare subito alla sua tomba e pregammo a lungo insieme, anche per Patrizia – di cui sapeva ogni cosa – e i genitori di don Francesco, che lui aveva conosciuto e di cui ricordava aneddoti e caratteristiche, quando li frequentava al Savoia, venendo a trovare il compagno Francesco Bellando. Terminammo con un solenne De Profundis, non senza qualche lacrima e mi fece impressione, molta, anche perché l’Arcivescovo Iannucci era un omone grande e grosso, dalla presenza imponente.


Mons. Iannucci con il Vescovo di Teramo Vincenzo
D’Addario, suo segretario per molti anni – venne
spesso a Bardonecchia– prematuramente  scomparso:
un grande dolore per l’Arcivescovo emerito di Pescara.
 L’omelia della Messa  in die trigesima fu un accorato cuore a cuore di un vero pastore, ma anche un amico, intorno a cui Bardonecchia era radunata, ancora attonita per la perdita del suo amato “parroco”. Sì, direi soprattutto l’amico:  «Una forte amicizia certamente ricca di affetto, di stima, di simpatia ha legato me da 58 anni a Mons. Bellando, ma il tutto si sublimò col vincolo sacramentale il 25 marzo 1938, quando ambedue ricevemmo l’Ordinazione Sacerdotale nella Cappella dell’Almo Collegio Capranica di Roma per il ministero di un santo Vescovo, poi Cardinale, Mons. Luigi Traglia, allora Vicegerente Ausiliare di Roma».

Antonio Iannucci entrò nel Collegio Capranica nell’ottobre del 1934 e  tra i 50 compagni collegiali, confidava nella predica-racconto di quella sera:  «Potrei ricordare tra i vivi e i defunti numerose figure, con segni incancellabili lasciati nell’esercizio pastorale, nelle cattedre anche universitarie, nei larghi spazi della cultura sacra, tra i diplomatici pontifici, tra i Vescovi e i Cardinali, ma mi soffermo soltanto a due cari compagni, miei e di Mons. Bellando, ora non più sulla terra; per essi si è avviata la causa di beatificazione: Mons. Enrico Bartoletti, Arcivescovo di Lucca e Segretario Generale della CEI e Mons. Luigi Novarese, fondatore dei silenziosi volontari della sofferenza. Ma sin dai primi anni di vita collegiale lo sguardo mio e di parecchi altri compagni, quasi a punto di riferimento, si volgeva verso un giovane “con un senso giocondo di simpatia” direbbe il Manzoni: si trattava di Francesco Bellando».
Dopo altre commoventi annotazioni su questa amicizia, terminava così: «Della straordinaria e mistica dedizione di Mons. Bellando a Bardonecchia altri sanno molto più di me, ma dalle ripetute visite fatte da me a quella Parrocchia, dai numerosi incontri avuti con lui a Pescara o a Roma, dove egli passava le ferie ogni autunno, e dai numerosi riscontri di persone e per iscritto, credo di poter affermare che i 46 anni di servizio parrocchiale resi da Mons. Bellando sono stati preziosi per la comunità di Bardonecchia e per i tanti turisti del Piemonte e delle regioni vicine».
Scorrendo le raccolte dei Bollettini parrocchiali dal 1946 in poi si trovano fotografie, articoli e cronache che parlano dell’Arcivescovo Iannucci e delle sue visite e soggiorni e celebrazioni, nella nostra “perla” delle Alpi.

In opere et sermone
...Ed ora insieme vivono nella gioia eterna,
contemplando il volto splendente di gloria del Padre...
Recitava così il suo motto episcopale, mutuato da S. Agostino: con le opere e le parole. Mons. Antonio Iannucci, Pastore emerito dell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne, è spirato il 14 ottobre 2008 a Pescara. Nato in Bolognano, Arcidiocesi Metropolitana di Chieti-Vasto il 13 giugno 1914, alunno dell’Almo Collegio Capranica in Roma, conseguì il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, dopo l’Ordinazione tornò nella sua Diocesi di origine e fu nominato Cancelliere Vescovile e Parroco di Sant’Agostino in Chieti. Successivamente è trasferito a Pescara, quale Vicario Generale, dal 1949 al 1955, della nuova Diocesi di Penne-Pescara, a seguito di Mons. Benedetto Falcucci, primo Vescovo. Eletto da Papa Pio XII alla Chiesa titolare di Adriania di Elliponto, il 20 marzo 1955, è consacrato Vescovo ausiliare di Pescara, appena quarantenne.
Diventerà Arcivescovo di Penne-Pescara il 15 febbraio 1959, non ha ancora compiuto i 45 anni di età.
L’episcopato di Iannucci è stato finora il più lungo della storia della Chiesa di Pescara-Penne (il nome della Diocesi è mutato nel 1982). Lascerà la guida dell’Arcidiocesi, infatti, il 21 aprile 1990, divenendo Arcivescovo emerito e la sera prima che venisse pubblicata la nomina del suo successore, telefonava all’amico don Bellando (chi scrive ha preso la telefonata ed era presente alla conversazione amichevole) perché lo sapesse dalla sua viva voce, prima di leggerlo l’indomani su “L’Osservatore Romano”.
Una città ed una Diocesi che si è molto sviluppata negli anni del suo ministero.
Diocesi a cui Iannucci diede egli stesso impulso, con l’erezione di nuove parrocchie e la costruzione di altrettante chiese, case canoniche e opere parrocchiali. Compì quattro Visite Pastorali, oltre ad un nutrito numero di convegni, attività culturali, documenti di orientamento pastorale. Centoundici sacerdoti ordinati e circa 150.000 Cresime amministrate, riservando sempre particolare attenzione ai sacerdoti e seminaristi. In Avvento e nel periodo natalizio visitava ogni sera i malati dell’ospedale e delle cliniche. Durante ogni Quaresima visitava ogni mattina e celebrava la Messa nelle varie aziende e uffici pubblici. Ha eretto opere in Diocesi, in Abruzzo e anche in Africa. Notevole è anche la produzione pubblicistica dell’uomo e del Pastore, con opere essenzialmente di carattere ascetico, teologico, storico e letterario. Molto interessanti – e uno non se l’aspetterebbe da un pastore di siffatta stoffa – i tre volumi di commenti alla Divina Commedia. Anche il mondo civile e sociale dell’intero Abruzzo ha riconosciuto il merito della sua statura intellettuale, umana e spirituale con l’attribuzione di svariati titoli e onorificenze.

Antonio Iannucci ha esercitato l’Episcopato con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie. L’amore per i giovani lo ha spinto a promuovere, nel-l’ambito pastorale, varie iniziative e la nascita di numerosi movimenti e aggregazioni, come pure per quelli con particolari disagi fisici ed economici creò centri di accoglienza, di formazione e di spiritualità, convogliate nelle esistenti realtà della “Fondazione Paolo VI” e della “Oasi dello Spirito”. Sotto la sua guida si celebrò a Pescara il XIX Congresso Eucaristico Nazionale, dall’11 al 18 settembre 1977, conclusosi con la Messa presieduta da Papa Paolo VI.
Consegnato il Pastorale al suo successore Mons. Cuccarese, si ritirò a vita privata e mise a disposizione il suo ministero nelle parrocchie della Diocesi, continuando a dirigere i Centri della “Fondazione Paolo VI” con scuole, case di riposo, di accoglienza, di degenza, di cura e di formazione professionale e artigianale che aveva fondato negli anni, rendendosi anche disponibile all’ascolto e al consiglio di molte anime. L’Arcivescovo Iannucci ha lasciato a tutti una testimonianza mirabile di vita spirituale e di governo pastorale saggio, illuminato, provvido e zelante.  
I solenni funerali presieduti da Mons. Tommaso Valentinetti – suo secondo successore – concelebrati da numerosi Arcivescovi e Vescovi, presbiterio diocesano e religiosi, con il concorso di tante religiose e una folla di semplici fedeli di tutte le età, con autorità di ogni ordine e grado, si sono svolti il 16 ottobre 2008. Al termine, in forma strettamente privata, la salma è stata tumulata nella cappella laterale destra della Cattedrale di S. Cetteo in Pescara.

Il testamento spirituale
Sono sei pagine manoscritte datate il 1º gennaio 1996, un capolavoro di semplicità, rettitudine, intensa spiritualità e vita evangelica, distacco e povertà. Traspare anche umiltà sincera:  «Avrei desiderato di poter incarnare meglio la Chiesa in mezzo al mio gregge; avrei voluto rendere più luminosa la Chiesa come casa di tutti; avrei voluto più ascoltare che parlare; più proporre che imporre. Avrei voluto rendere maggiormente manifesta la fermezza della Chiesa che non può adulterare il proprio messaggio, che è di Cristo, ma nello stesso tempo avrei voluto usare meglio l’arma propria della Chiesa, che è quella delle Beatitudini, accogliendo tutti con comprensione e amore e tutti perdonando in ogni occasione. (…)».     Sprattutto, sintesi concreta di una vita coerente e aderente all’esempio di Cristo, quelle parole, espressione di un distacco dalle ricchezze, dal denaro e dai beni materiali, non sempre riscontrabile nei ministri del Signore, ahimé, e invece in lui così trasparenti e convincenti:  «(…) Come Vescovo della Chiesa Cattolica ho erogato in vita tutto quello che avevo, destinandolo alla vangelizzazione, al culto e ai poveri. Se qualche piccola cosa rimane all’atto della mia morte sia destinata agli stessi scopi. I miei parenti a riguardo mi hanno sempre compreso. Ad essi ho donato e lascio in eredità il mio grande affetto, come gli stessi mi hanno sempre onorato con la loro vita esemplare».
 La sua ultima, concreta, grande lezione.

Un’interessante intervista
In occasione dei 70 anni di Sacerdozio, celebrati il 25 marzo 2008, concesse un’intervista alle pagine locali di “Avvenire”. Poiché interessa anche Bardonecchia, che vi è citata, ne riporto una parte:
– Eccellenza, vuole raccontarci del 25 marzo 1938?
Era la Solennità dell’Annunciazione del Signore, fui ordinato sacerdote nella Cappella dell’Almo Collegio Capranica di Roma dall’Arcivescovo Mons. Traglia Vicegerente del Vicariato romano, promosso in seguito Cardinale e Vicario di Roma. Nel santino ricordo definii il programma della mia vita: “Respice stellam, voca Mariam”. A 70 anni di distanza confermo lo stesso radioso programma. Con me furono ordinati sacerdoti mons. Francesco Bellando, poi Parroco di Bardonecchia in Piemonte, e don Arrighi di Reggio Emilia. Nello stesso rito furono ordinati diaconi Mons. Enrico Bartoletti, poi Arcivescovo di Lucca e Segretario della CEI, e mons. Luigi Novarese, fondatore dei Volontari della sofferenza, miei compagni di collegio per i quali è stata avviata la causa di Beatificazione. Ricordo che dopo i solenni riti passammo nell’attiguo salone, e poiché il gruppo dei presenti era composto in maggioranza di romani, cantammo l’inno al sole, riportato nel carme secolare di Orazio.

– Come vede cambiata la Chiesa in questi 70 anni e soprattutto come è cambiato il Sacerdozio?
Dallo splendore suscitato dal Concilio Vaticano II la Chiesa è attraversata ora da una certa nebbia che conduce alla stanchezza religiosa dei fedeli, non solo per la allargata laicità ma, specialmente, per un focoso laicismo, istigato dal relativismo, dall‘irenismo e dal materialismo che conducono in prima linea alle immagini contro la verità e alle lusinghe della vita a scapito della austerità cristiana. I sacerdoti risentono in qualche modo di un certo montanismo e secolarizzazione, pur tra i tanti ministri sacri ricchi di vita santa e apostolica.

Le tre certezze di Mons. Iannucci
Di lui don Bellando parlava sempre in termini entusiastici e positivi. Le numerose volte che siamo stati ospiti a Pescara, nell’episcopio o quando veniva a Bardonecchia o in qualche incontro romano, diceva che era un vulcano in continua eruzione, per l’attività senza posa, accompagnato da una salute di ferro e da
grande intelligenza. Un vero studioso, fin dai banchi del Collegio Capranica, ma anche una persona di profonda umanità e ammirevole generosità. Forse un po’ ingenuo, riconosceva don Francesco, come sono spesso i grandi uomini, non così pronto a discernere tra le persone, anche quelle meno buone o che cercavano un tornaconto, quindi mosse da interessi mascherati. Io lo ricordo sempre come un uomo con una spiccata paternità sacerdotale che ti faceva sentire subito a tuo agio e direi anche in confidenza.
L’ultima volta che l’ho visto e siamo rimasti insieme, fu accompagnando il Cardinale Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla casa di Campo di Giove, sui monti del Gran Sasso, nel 2005, per un convegno organizzato dal francescano Padre Zavarella. Non sapevo che in quella casa trascorresse qualche giorno di vacanza e di riparo dal gran caldo di luglio anche Mons. Iannucci, e abbiamo pranzato vicini. Mi apparve davvero un Patriarca, aveva superato i 90 anni e parlammo a lungo di don Francesco. Parlando bene di me a Sua Eminenza, mi congedò con parole – le ultime ascoltate dalla sua viva voce di persona, poi lo sentii solo più al telefono – che sarei immodesto a riportare. Ma la  conclusione – perdoneranno e comprenderanno i lettori di queste righe – mi piace dirla:     «Pensacome è fiero di te don Francesco, ricordalo sempre, sono sicuro che gli farai fare bella figura»,  e mi abbracciò.
Riposa in Cristo S.E. Mons. Antonio Iannucci nella cappella
laterale destra all’ingresso della Cattedrale di Pescara.
Mons. Iannucci in prossimità della commemorazione dei defunti il 30 ottobre 2005, scriveva dopo una bella meditaz ione sul significato della giornata e dell’esperienza intercorsa alla morte di Santa Monica, raccont ata da Sant’Agostino, che possiamo cogliere una triplice certezza: « Anzitutto la certezza che con i defunti è possibile una nostra conversazione celeste. Detta certezza ci sostiene giorno per giorno nel nostro cammino terrestre. (…) In questa conversazione con Dio si trovano tutti coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede. Una seconda certezza è data dalla continuità tra la nostra conversazione con Dio e con i Santi, sia sulla terra che nel cielo: sono due realtà distinte ma in continuazione. Una terza certezza si esprime nella nostra continua preghiera di cui i nostri defunti hanno bisogno. Sant’Agostino ricorda che la madre Monica chiedeva una cosa sola dopo la sua morte: il ricordo di lei presso l’altare del Signore con la celebrazione della santa Messa in suo suffragio.
L’esortazione concludeva Iannucci –  vale per tutti i defunti».  E certamente vale anche per lui e l’inseparabile amico don Francesco Bellando, che insieme rinnoveranno, ormai per sempre, nella liturgia celeste, le sorgenti della loro giovinezza:  «Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam»       (Salmo Iudica Me Deus).

Don Claudio Jovine













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