L’ANGOLO DELLA CULTURA
«Il secolarismo tocca la mentalità del battezzato e lo spinge ad
escludere anche solo il parlare delle cose che riguardano la nostra fede. Una
forma di rispetto umano e d’insicurezza porta il cristiano ad avere timore di
parlare di Dio e del Salvatore addirittura in famiglia, tra le mura domestiche.
Non ci si accorge che il peso dei problemi umani diventa troppo oneroso se
portato da solo. Cristo è la via, la luce di verità e la forza per risolvere le
difficoltà della nostra vita».
«Vi è in alcuni cristiani una difficoltà ad unire fede e culto e
la liturgia con la vita. Ci si dimentica che la domenica è il giorno nato dalla
Pasqua e per celebrare la Pasqua... È urgente uno sforzo della Chiesa a tutti i
livelli, per vivere in modo sempre più consapevole nell’assemblea domenicale,
la celebrazione della Pasqua di Cristo».
«La Chiesa primitiva vive dell’Eucaristia domenicale come momento
essenziale della vita dei fedeli per cui alcuni cristiani preferiscono il
martirio piuttosto che la rinuncia a partecipare alla Messa. I martiri di
Abitene nel 304 affermano davanti ai giudici: “Senza la domenica non possiamo
vivere”».
«Il Vescovo si adoperi perché i fedeli affidati alle sue cure
crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti
e perché conoscano e vivano il mistero pasquale» (C.D.C. n. 387). (foto
A. Polinetti)
85
«La domenica è segno liturgico, con le caratteristiche dei segni
sacramentali che sono simultaneamente: memoria del passato, attuazione al
presente di un evento salvifico, annuncio e profezia del futuro. Non è un
semplice ricordo, ma è un mistero che entra nell’economia della salvezza che
caratterizza l’agire di Dio nella storia umana».
«Di domenica ogni cristiano è chiamato a prendere coscienza della
sua partecipazione alla vita del risorto, a sentire l’urgenza di costruire in
sé l’uomo nuovo, a sperimentare la gioia di appartenere a un mondo nuovo, alla
nuova famiglia di Cristo e a impegnarsi ad edificarla nella giustizia e nella
santità».
«La domenica senza l’Eucaristia non può dirsi giorno del Signore e
della sua Chiesa».
«Il primo punto di rinnovamento sia cercato nel modo e nella
profondità di partecipazione alla celebrazione liturgica, curando con
precisione la preparazione di ogni momento della Messa, dai canti alla
preghiera dei fedeli, alla preparazione delle letture (...) dai paramenti
all’addobbo dell’altare e alla pulizia e all’ordine della casa del Signore». «Un
altro impegno può riguardare il culto eucaristico fuori della Messa, con
l’adorazione
eucaristica, specialmente domenicale».
«Desidero che ci siano ministri straordinari dell’Eucaristia che
al termine della Messa domenicale portino ai malati la S. Comunione».
Noi uomini vogliamo essere i padroni del Creato in prima persona e
da soli. Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo
illimitato. Dio ci è d’intralcio. O si fa di lui una semplice frase devota o
egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni
significato. La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata,
ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza ma
ipocrisia. Laddove però l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di
se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del
potere e degli interessi.
Dall’Omelia di BENEDETTO XVI
tenuta per l’apertura del Sinodo dei Vescovi, il 2 ottobre 2005
86
La santità nel quotidiano
Ringrazio il caro don Franco che mi ha dato nuovamente la
possibilità di potermi dimostrare vicino a Bardonecchia ed alla vostra comunità
parrocchiale. L’argomento di questo articolo è assai ampio e di difficile
trattazione, ma ciò che mi propongo è affrontarlo attraverso l’esperienza
personale vissuta in famiglia e, in questi ultimi due anni, in Seminario a
Roma.
Ricordo ancora lo scalpore e quasi il “dispiacere” che provai
quando durante un’ora di religione la maestra mi rispose che solo i santi vanno
in paradiso, mentre per gli altri c’è il purgatorio o l’inferno. E questo, che
lo si voglia o no, è vero.
Ma chi sono i santi? Fino a pochi anni fa la nozione che possedevo
sul loro conto era ritenerli persone eteree, vissute quasi senza accorgersene,
talmente fuori dal mondo che non ci si poteva neppure accostare e tanto meno
paragonare. In sostanza erano ideali. Come conciliare, allora, questa posizione
con la chiamata universale di Gesù alla salvezza (e quindi alla santità) è
stato uno dei motivi che più mi ha fatto riflettere all’inizio del mio cammino
verso il sacerdozio.
La risposta che gradualmente è emersa sorprende per la sua
facilità: questi uomini
sono persone semplici che hanno volontariamente deciso di
abbandonare le suggestioni del presente per seguire Gesù Cristo in ogni momento
e situazione della loro vita. La vita diviene il campo in cui possiamo
esercitare la nostra libera opzione per il Signore o per il suo rifiuto nel
peccato. Non siamo però, nelle mani di un Dio sadico che ci mette di fronte ad
una prova fine a se stessa; la nostra stessa libertà è legata a questa
condizione scaturita dall’Amore di Dio rivolto verso di noi. Non avrebbe,
infatti, senso sostenere
di essere liberi se fossimo già stati condannati o ultimamente
salvati, poiché ogni nostra azione in questo mondo sarebbe necessariamente
vuota. Tuttavia non siamo lasciati da soli, ma riceviamo l’aiuto divino della
grazia dello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. «Questa grazia
ha il potere di giustificarci,
cioè di mondarci dai nostri peccati e di comunicarci la giustizia
di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo e mediante il Battesimo. Per mezzo
dello Spirito prendiamo parte alla Passione di Cristo morendo al peccato, ed
alla Sua Risurrezione nascendo ad una vita nuova: siamo le membra del Suo corpo
che è la Chiesa, i tralci innestati sulla Vite che è Lui stesso» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, nn. 1987-1988).
La nostra chiamata alla santità, pertanto, consiste nella
conversione della nostra vita dall’essere orientati totalmente sul proprio “IO”
ad un affidamento fiducioso a “DIO”-Trinità.
Questo morire a se stessi in Dio ci conduce ad essere aperti al
prossimo assumendo le nostre sofferenze quotidiane per seguire Cristo. Il tema
della rinnegazione di sé appare non più come atto cinico ed autolesionista, ma
piuttosto come momento necessario per il cammino verso le più alte aspirazioni
dell’uomo: essere inseriti nell’amore divino, rivolgendosi a chi ci sta vicino,
nella comunità dei credenti, che è la Chiesa.
87
L’ANGOLO DELLA CULTURA
Talvolta ho l’impressione che sia molto più semplice essere
“solidali” e capaci di “amore” con persone o in situazioni in cui non siamo direttamente
coinvolti, ma al contrario essere estremamente egoisti ed egocentrici quando in
gioco c’è la nostra persona o le nostre idee. Questo buonismo che pervade la
nostra attuale società non parte da un atteggiamento totalmente negativo, ciò
nonostante se non si purifica dei suoi aspetti diretti
alla sola realizzazione di sé non può che sfociare in una comoda
ipocrisia. Cerco di spiegarmi con altre parole: ogni uomo, che non è accecato
dal peccato, sente l’esigenza di aiutare ed amare il prossimo a causa
dell’opera dello Spirito, ma se non si vede la persona che ci sta di fronte
alla luce di Cristo, presente tra noi, ciò a cui rispondiamo è solamente la
nostra sete dell’altrui approvazione.
L’amore di Dio è sconfinato e non richiede nulla in cambio se non
di essere imitato tra noi uomini. Il santo accoglie quest’istanza
incondizionatamente, ma sempre all’interno della comunità ecclesiale che
attraverso il suo esempio (nella Tradizione) ed insegnamento (nella Scrittura)
fa maturare la vocazione del cristiano alla sequela di Cristo, che essendo
intimamente legato alla Chiesa la santifica e la rende santificante. Inoltre,
da essa il fedele riceve la grazia dei Sacramenti che lo sostengono e
rinnovano, durante il “pellegrinaggio” terreno.
Vorrei far sintesi suggerendo due “modelli” di santità che tanto
mi stanno aiutando in questi anni di formazione e che ritengo essere vissuti da
ogni santo: 1) il modello “mariano”, come Maria il santo ha risposto “Eccomi” e
si è donato totalmente alla Trinità senza calcolo e con la fede degli umili; 2)
il modello “giovanneo”, come Giovanni Battista il suo obiettivo non è quello di
porsi al di sopra od allo stesso livello di Dio, ma egli lo annuncia con la sua
testimonianza e vita e lo indica come unico salvatore.
Assicuro a tutti voi il costante ricordo nelle preghiere e mi
piace concludere con una definizione di San Gregorio di Nissa sulla vita
spirituale: «La perfezione cristiana non ha che un limite: quello di non averne
nessuno».
Alvise Leidi
Gli alunni dell’Almo Collegio Capranica, sabato 21 gennaio, festa
di S. Agnese, Patrona del Collegio, in udienza da Papa Benedetto XVI. Accanto al Card. Ruini, il Rettore mons.
Manicardi e dietro, in seconda fila, il nostro ch. Alvise Leidi, con accanto a lui il ch. Justin Wylie, anch’egli
amico di Bardonecchia. (foto Felici)
88