02/07/18

La Grande Guerra - I FRATELLI EDOARDO E GIORGIO PONCHIER (2017)


 I FRATELLI EDOARDO E GIORGIO PONCHIER IN GUERRA
Nel settembre del 1919, quando Edoardo Ponchier tornò dalla guerra lacero, sporco e terribilmente dimagrito per il lungo viaggio di ritorno dalla prigionia e dopo tre anni lontano da casa, scese alla stazione di Bardonecchia e si avviò su per via Medail verso il Borgovecchio.
Davanti alla porta di casa, in vicolo delle torri, c’era il padre seduto sui gradini che prendeva il fresco della sera: quando vide quel soldato si allarmò. “Che cosa vorrà?”.
Giuseppina Pascal.
Giovanni Giuseppe Ponchier
“Avete un posto da darmi per la notte?”. Il vecchio Giuseppe rispose subito di no. Camere in casa non ce n’erano, si sarebbe potuto alloggiarlo nel fienile, ma era troppo pericoloso, “questi soldati hanno l’abitudine di fumare e noi rischiamo che la casa vada a fuoco” pensò papà Ponchier. Nel frattempo la sorella Clementina che aveva invece riconosciuto la voce del fratello, si affacciò alla finestra e gridò: “Papà, è Edoardo, è tornato, non lo riconosci?”.
Edoardo era nato a Bardonecchia il 24 luglio 1892, figlio di Giovanni Giuseppe, nato nel 1835, e di Giuseppina Pascal, nata nel 1852. Il padre, originario di Les Arnauds, faceva il falegname e, come tutti a quei tempi, affiancava al suo mestiere il lavoro di contadino con la moglie Giuseppina.
I Ponchier ebbero tre figli: la primogenita Clementina nel 1889, Luigi Edoardo nel 1892 e infine Antonio Giorgio nel 1894.
Edoardo fu chiamato alla visita di leva nel marzo del 1912: soldato di 1ª categoria, fu arruolato nel settembre del 1912, 62º reggimento fanteria. Dopo solo un mese, forse per una ferita, fu ricoverato ed ebbe tre mesi di convalescenza che trascorse all’ospedale di Bologna, benvoluto dalle suore che se lo tennero caro per l’aiuto che dava agli altri malati. Lo vediamo giovanissimo, in divisa, con la croce rossa da infermiere.
Rientrò al corpo nel gennaio 1913 e nello stesso anno fu riformato e congedato.
Ma la guerra, scoppiata due anni dopo, non lasciava nessuno a casa ed Edoardo fu richiamato per mobilitazione nell’aprile del 1916. Entrò nel 34º reggimento fanteria a Mondovì; fu in seguito trasferito a Tortona nel 98º reparto Mitraglieri Fiat, modello 1907. Il 9 novembre 1916 giunse al fronte, in Val d’Assa, sull’altopiano dei Sette Comuni di Asiago, di stanza al fortino Stella in località Coldarco sopra il paese di Enego. Era questa una fortificazione interamente scavata nella roccia e costruita tra il 1912 e il 1914, composta da una galleria di circa 300 metri rivestita di calcestruzzo, da cui si dipartivano altre cinque gallerie che si affacciavano sulla sottostante Valsugana e ne difendevano l’accesso: una trincea collegava la batteria in caverna ad un fabbricato esterno di servizio, provvisto di magazzino di derrate e materiali vari, dove potevano vivere fino a 100 uomini.
Edoardo Ponchier si spostò, nei sei mesi (dal 9 novembre 1916 al 25 maggio 1917) che passò sull’altopiano di Asiago, tra il fortino Stella e la fortezza di Camporovere di Roana, che era una caserma fortificata.
Il 3 dicembre 1916 partecipò, come scrisse nei suoi appunti, ad un fatto d’armi in val d’Assa. Alla fine di maggio la sua compagnia si spostò sull’Isonzo, a San Martino di Quisca, piccolo insediamento
del comune di Collio (ora in Slovenia). Dopo più di un mese, nel luglio del 1917, Edoardo e i suoi commilitoni furono spostati sul monte Rombon, luogo strategico che dominava tutta la conca di Plezzo. La vetta Rombon, 2207 m., fu tenuta saldamente dagli austriaci fin dall’inizio della guerra e gli alpini italiani cercarono più volte, eroicamente, di prenderne possesso: la vetta passava di mano in mano ma la situazione rimaneva praticamente immutata e le linee nemiche erano così vicine che si poteva sentire parlare il nemico.
Un giorno, raccontava Edoardo Ponchier alla figlia Clementina, erano lui e un compagno d’armi in ricognizione nella trincea sul Rombon, quando videro arrivare un gruppo di sei o sette austriaci: si consultarono e decisero di dividersi senza farsi vedere. All’improvviso uno urlò “Savoia” e l’altro rispose “Savoia”: le due voci che arrivavano da punti diversi diedero agli austriaci la certezza di essere accerchiati da un’intera compagnia. Si arresero e loro riuscirono a prendere prigionieri una manciata di austriaci.
La vita dura nelle trincee continuò per tre mesi, ma il peggio doveva ancora arrivare. Si stava avvicinando il 24 ottobre 1917, la data prescelta dai comandi austro-germanici per attaccare simultaneamente da Plezzo a tolmino per sfondare le linee italiane e scendere nella pianura. Iniziava la 12ª battaglia dell’Isonzo, quella più tristemente famosa come la battaglia di Caporetto. Alle 2 del mattino del 24 ottobre, con grande sorpresa dei soldati della Seconda Armata italiana, «i cannoni tuonarono dalla conca di Plezzo alla Bainsizza, a cento, a mille, e fu tutto un rimbombo che percosse valli e monti, mentre la luce rossastra delle vampe filtrava attraverso la pesante oscurità. Sulle posizioni italiane qualche riflettore si accese e sciabolò le tenebre; sulle trincee, dal Rombon al Monte Nero, dallo Sleme allo Jeza, sibilarono alte le granate»15. Intanto nella conca di Plezzo iniziarono a cadere granate di gas e i soldati si accasciavano, sembravano addormentarsi: il gas sprigionato da novecento bombe uccise più di 700 soldati dell’87º reggimento della brigata Friuli. Gli italiani si difesero strenuamente, sul Rombon gli alpini respinsero gli attacchi, i nostri soldati, seppur abbrutiti dalla violenza del fuoco, riuscirono a resistere tenacemente, ma tagliate le linee di comunicazione con i comandi, poco poterono contro la forza micidiale dell’attacco nemico. Nel pomeriggio di quel terribile 24 ottobre, gli austro-tedeschi scesero a valle e arrivarono a Caporetto.
L’offensiva della XIV armata tedesca conseguì risultati straordinari: gran parte dell’esercito italiano, 700 battaglioni su 850, circa un milione e mezzo di uomini, dovette abbandonare le posizioni che tenevano da più di due anni. Iniziò la ritirata, la tremenda rotta di Caporetto, con centinaia di migliaia di soldati disarmati e colonne di profughi che si muovevano verso ovest, verso il tagliamento. In quei giorni drammatici furono presi prigionieri e portati in Austria, a Mauthausen, 300.000 prigionieri. Il nostro Edoardo Ponchier era con loro e passò in questo terribile campo di prigionia più di un anno, fino al 2 novembre 1918. Del campo ricordava la fame e il freddo e raccontava che si cibavano con le bucce di patate che raccoglievano quando gli ufficiali le buttavano nell’immondizia.
Giorgio Ponchier.
I prigionieri italiani erano inoltre costretti a compiere lavori pesanti, vivevano in condizioni precarie in baracche di legno, senza ricevere generi di conforto dalla madrepatria; dopo Caporetto furono anche considerati traditori e a loro fu addossata la colpa della disfatta.
D’Annunzio li chiamò gli “imboscati d’oltralpe” dando adito alla voce suffragata anche dal Comando Supremo che si fossero arresi al nemico per non combattere. Ma ad Edoardo Ponchier quando arrivò nel campo successe un fatto speciale: incontrò quello stesso soldato austriaco che lui qualche mese prima aveva catturato. In quella occasione Ponchier era stato generoso con il soldato nemico e gli aveva dato del cibo.
L’austriaco, riconoscendolo a Mauthausen, gli diede una gran pacca sulle spalle dicendogli: “tu bravo italiano!” e gli regalò delle sigarette.
Edoardo sopravvisse al campo di prigionia fino ai primi giorni di novembre del 1918 e, quando ormai la guerra era persa per l’impero austro-ungarico, riuscì a fuggire da Mauthausen con altri prigionieri. Arrivarono, non si sa con quali mezzi, fino a Iasi nella parte moldava della Romania, dove probabilmente esistevano dei campi di raccolta per prigionieri.
In un piccolo gruppo raggiunsero il Mar Nero e la traversata fu terribile poiché non avevano acqua, le labbra gonfiavano e non potevano bere l’acqua del mare: era questo uno dei ricordi più drammatici di Edoardo.
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15 Emilio Faldella, La Grande Guerra. Da Caporetto al Piave [1917-1918], Chiari (Bs), Nordpress Edizioni, 2004, p. 76.
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Furono rimpatriati in nave a Barletta dove giunsero il 16 dicembre 1918. Come tutti i prigionieri che tornavano dai campi di concentramento anche loro non rientrarono a casa e vennero “concentrati” in campi appositi, per essere interrogati su quello che avevano vissuto (vi era persino, da parte dei vertici militari, il sospetto che fossero “portatori di idee sovversive” e “diserzione”) e furono messi in quarantena per paura di trasmissioni di malattie infettive (in quel periodo era infatti scoppiata la terribile epidemia di spagnola). Edoardo poté ritornare a Bardonecchia dopo il 4 settembre 1919 quando fu congedato.
Edoardo Ponchier.
Anche il fratello Giorgio Ponchier partecipò al conflitto mondiale. Nato il 12 settembre 1894, era il più piccolo della famiglia, e anche lui alla chiamata alle armi dichiarò di essere contadino.
Giorgio faceva parte del 73º reggimento fanteria, brigata Lombardia: quando giunse al fronte, il 1º giugno 1916, il suo reggimento era impegnato a contenere l’attacco austriaco in trentino, la Strafexpedition, iniziata il 15 maggio sull’altopiano d’Asiago. Gli austriaci avevano tentato con questa potente offensiva una manovra tattica che doveva aprire la strada alla pianura Padana, isolare le armate italiane schierate ad est sull’Isonzo ed accerchiarle. Il 27 maggio 1916 gli austriaci conquistarono Arsiero e il giorno dopo Asiago: la discesa verso Schio e Bassano sembrava inevitabile,ma il concentramento di rinforzi fatto arrivare da altri fronti permise agli italiani di arginare la pressione austriaca sull’estremo limite degli altipiani. Ai primi di giugno l’inizio di un attacco russo in Galizia costrinse gli austriaci a spostare parte delle truppe concentrate in trentino e con la metà del mese l’offensiva si esaurì.
La brigata Lombardia fu successivamente spostata sulle pendici meridionali del Monte San Michele e dal 7 agosto 1916 prese parte alle operazioni per la conquista italiana di Gorizia; in quei giorni, il 10 agosto 1916, Giorgio Ponchier fu colpito alla gamba sinistra da una pallottola di fucile e fu ricoverato nell’ospedale di Rovigo. Il 20 ottobre 1916 passò alla 38ª compagnia Mitraglieri fiat, e tornò sul fronte del Carso. Era in prima linea quando, tra il 3 e il 6 giugno 1917, gli austro-ungarici sferrarono un violento contrattacco nel Carso meridionale16, la cosiddetta battaglia del Flondar, che permise ai nemici di riconquistare le posizioni perse con la Xª battaglia dell’Isonzo e di vanificare i pur minimi successi ottenuti dagli italiani a costo di altissimi sacrifici di vite umane (120.000 morti). Giorgio Ponchier prese parte in quei giorni alla cruenta battaglia, nella difesa del Dosso Fajti.
Il 10 settembre 1917 passò al 26º reggimento fanteria e il 27 ottobre fu ricoverato per malattia all’ospedale di Bologna dove rimase fino al’8 novembre: ebbe un mese di convalescenza che trascorse a Bardonecchia. Non sappiamo se siano stati i postumi della ferita o la malattia ai polmoni che lo porterà alla morte qualche anno più tardi. Rientrò in servizio nella 1572ª compagnia Mitraglieri fiat in Pesaro nel gennaio 1918 e alla fine dell’anno fu esonerato dai servizi effettivi.
tornato a Bardonecchia iniziò a lavorare nelle ferrovie ma la sua salute era minata dalla guerra e il 7 novembre 1925 morì a soli 31 anni.
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16 Vedi: Gianni Pieropan, “Il contrattacco austro-ungarico sul Carso”, in: Storia della Grande guerra sul fronte italiano.
1915-1918, Milano, Mursia, 1988, p. 285 e seg.
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Anche Edoardo tornato a casa entrò nelle ferrovie e lavorò sempre a Bardonecchia come capoturno in centrale. Nel 1923 si sposò con Elisabetta Ruspini che morì a 43 anni, nel 1940, senza figli. All’età di 50 anni Edoardo si sposò con Elena Simiand e nel 1944 ebbe la gioia di avere una figlia, Clementina, rimasta legatissima al ricordo del padre che morì nel 1961, quando lei era una ragazzina. fu sempre un padre dolcissimo e amorevole che coccolava la sua unica figlia come una piccola principessa.
La signora Clementina Ponchier Sereno ha voluto che insieme al papà fosse ricordato lo zio, che lei non ha conosciuto, ma di cui ha sempre sentito la presenza nel ricordo affettuoso del padre.
E ora i due fratelli Ponchier, che hanno combattuto per mesi sugli stessi fronti di guerra, sono di nuovo insieme nella nostra storia.

FONTI:Testimonianza della signora Clementina Ponchier Sereno • Archivio di Stato di Torino, fogli matricolari di Ponchier Luigi Edoardo e di Ponchier Giorgio Antonio Emilio • Archivio Parrocchia Sant’Ippolito, atti di nascita e di morte di Ponchier Giorgio; atti di matrimonio Ponchier Luigi Edoardo • Documentazione fotografica archivio signora Ponchier Sereno • Emilio Faldella, La Grande Guerra. Da Caporetto al Piave [1917-1918], Chiari (Bs), Nordpress Edizioni,2004 • Gianni Pieropan, Storia della Grande guerra sul fronte italiano. 1915-1918, Milano, Mursia, 1988.


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