18/09/15

Attualità (2014)


L’Onorevole Vittorio Badini Confalonieri nel centenario della nascita
On. Vittorio Badini Confalonieri. (foto Archivio)
L’On. Badini, con la consorte signora Anna Maria e la loro bella famiglia, ha villeggiato lungamente a Bardonecchia a partire dagli anni 1947-1948, in un primo tempo nella casa di Via Fiume, poi nell’abitazione di Via Pietro Micca. Ha partecipato alla vita della comunità con la sua autorevole presenza, attraverso le conversazioni spigliate, briose, piacevoli e sempre ricche di contenuto.
Aveva concluso la sua vita, cogliendo tutti di sorpresa, durante la villeggiatura estiva, il 3 agosto 1993.


La ormai compianta prof.ssa Marisa Mortara così lo ricordava in un articolo pubblicato sul Bollettino della Parrocchia di quell’anno:
«... lo si vedeva spesso in chiesa, alla Messa, con la signora, attorniato dai suoi bimbi che voleva crescessero buoni nel rispetto di Dio ... pure nella vita pubblica si distinse in quanto politico retto, onestissimo, profondamente preparato ... fu eletto nel ’46 Membro dell’Assemblea Costituente e sedette in Parlamento fino agli anni ’70 ... fu Sottosegretario, fu Ministro ... (...). Ma giunse “quel giorno” dove, in serenità,  dovette lasciare le persone e le cose che aveva amato ... la Messa esequiale fu presieduta da Mons. Carlo Furno, Nunzio Apostolico d’Italia, e concelebrata da vari sacerdoti tra cui il figlio Mons. Alfonso ...». Lo vogliamo ricordare nel centenario della nascita proponendo l’articolo di Pier Franco Quaglieni (direttore del Centro Pannunzio), comparso su “La Stampa” (“In città”, del 5 novembre 2014, pag. 53)
«Avvocato di grido, Deputato alla Costituente e alla Camera per sei legislature, Vittorio Badini Confalonieri (1914-1993) apparteneva ad una famiglia liberale (Alfonso fu Sindaco di Torino e Senatore del Regno) che ebbe un ruolo nel Risorgimento.
Considerava la politica come un alto compito civile, da esercitare come parlamentare con discorsi di alto profilo (295 sono stati gli interventi, oltre quelli all’Assemblea Costituente in cui entrò a 32 anni) o come uomo di governo alla Giustizia, agli Esteri, al Turismo.
In parallelo si è svolta la sua attività di dirigente del P.L.I., fino a giungere alla Presidenza nazionale del Partito che esercitò con equilibrio e tatto, succedendo a Gaetano Martino.
Animato da radicate convinzioni europeiste, più volte fu scelto come rappresentante all’Assemblea del Consiglio d’Europa che anticipava in qualche modo il Parlamento europeo.
Alcuni suoi interventi alla Costituente (in particolare quello sull’indissolubilità del matrimonio da inserire nella Magna Charta con motivazioni laiche e non di natura confessionale) suscitarono vivaci polemiche.
Fu critico sulla legge Fortuna-Baslini che introdusse il divorzio, la legge 194 sull’interruzione della gravidanza lo portò al più netto dissenso che segnò il suo ritiro dalla vita politica. Da gran signore, in punta di piedi.
Era un oratore raffinato ed ironico, controllato nelle parole, ma fermo nelle idee, pur nella tolleranza dei modi. Fu un esempio di laicità liberale, non solo non ostile alle fedi religiose, ma capace di convivere con esse. Si richiamava all’insegnamento di Francesco Ruffini che non confondeva la laicità con la miscredenza.
Badini risulta essere una figura atipica rispetto ad un liberalismo piemontese prevelentemente laicista.
Ha avuto una famiglia con molti figli, uno dei quali Vescovo di Susa e un altro sindacalista
della CGIL scuola: seppe essere un padre molto liberale.
Appartiene a pieno titolo alla storia del Piemonte liberale che ebbe in Soleri, Einaudi e Brosio tre statisti a cui è d’obbligo accomunare anche lui nel centenario della nascita».

Via Francigena: Bardonecchia-Roma in bicicletta!

Nel pomeriggio di domenica 21 settembre 2014, in tre amici, con me anche Domenico Fiori e Nadia Bosonin, siamo partiti da Bardonecchia per affrontare la Via Francigena in bicicletta; uno storico percorso di pellegrinaggio che da Canterbury conduceva a Roma, e che, grazie all’Arcivescovo Sigerico di Canterbury che lo percorse nell’anno 990 d.C., prese il nome di “Via Francigena”.
Con i bagagli sistemati sulle biciclette abbiamo percorso circa 100 chilometri al giorno, suddividendo il cammino in otto tappe: 1ª tappa - Bardonecchia-Venaria Reale; 2ª - Venaria Reale-Tromello; 3ª - Tromello-Fiorenzuola d’Arda; 4ª - Fiorenzuola d’Arda- Berceto; 5ª - Berceto-Passo della Cisa e Lucca; 6ª - Lucca-Siena; 7ª - Siena-Bolsena; 8ª - Bolsena-Roma.
Abbiamo attraversato paesi e città bellissime, e, in alcune località, grazie all’ospitalità delle strutture religiose, ci siamo fermati per la notte. Come a Tromello in provincia di Pavia dove il volontario Carlo, di settantasei anni, ci è venuto incontro con un grande sorriso e una gentilezza indimenticabili, ospitandoci nei locali della casa parrocchiale, messa a disposizione dei pellegrini, in cui potevamo rinfrescarci e riposare. In quella circostanza abbiamo incontrato due pellegrine francesi partite da Losanna e dirette a Roma a piedi.
Peregrinando ci siamo trovati a dover affrontare diversi tipi di strade: quelle sterrate, come nel Vercellese nel bel mezzo delle risaie, e quelle asfaltate e trafficate nelle città.

Al centro Francesco Cappiello, con Domenico Fiori e Nadia Bosonin, alla partenza da Bardonecchia. (foto coll. F. Cappiello)




Durante il cammino abbiamo potuto ammirare le molteplici chiese situate in tutti i paesi attraversati.
La sera del 28 settembre, dopo avere pedalato per 896 chilometri, ed esserci imbattuti nel traffico della Capitale, siamo finalmente giunti in Piazza San Pietro. Qualche foto ricordo, cena e l’albergo per la notte.
Il giorno seguente ci siamo recati in Vaticano, all’ufficio del pellegrino, mostrando le nostre credenziali, sulle quali venivano posti i timbri nelle varie parrocchie lungo il percorso per certificare il passaggio.
Grazie a questo documento abbiamo potuto ricevere il “Testimonium peregrinationis”, ossia l’attestato del pellegrinaggio da Bardonecchia a Roma.
Abbiamo visitato la Basilica di S. Pietro, che è la meta del pellegrinaggio, dove sono le reliquie del Principe degli Apostoli e dove ogni pellegrino rinnova la professione di fede all’Altare della Confessione.
Prima di intraprendere il viaggio di ritorno siamo saliti sul “cupolone” dove, per potervi arrivare, è necessario percorrere 537 gradini.
Infine, consiglio a coloro che ne abbiano la possibilità, di percorrere questo viaggiopellegrinaggio
almeno una volta nel corso della vita.
Francesco Cappiello I tre pellegrini giunti alla Basilica di San Pietro.
(foto coll. F. Cappiello)

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VINCITORI – All’Udienza generale di domenica 24 settembre, Papa Francesco ha svolto alcune riflessioni sul suo Viaggio Apostolico in Albania, compiuto tre giorni prima: «Percorrendo il viale principale di Tirana che dall’aeroporto porta alla grande piazza centrale – ha raccontato Papa Francesco –, ho potuto scorgere i ritratti dei quaranta sacerdoti assassinati durante la dittatura comunista e per i quali è stata avviata la Causa di Beatificazione». Come dovrebbe esser noto, il regime comunista proibiva per legge la libertà di credere in Dio e la persecuzione scatenata ha provocato moltissimi martiri. I quali, per Francesco, «non sono degli sconfitti, ma dei vincitori: nella loro eroica testimonianza risplende l’onnipotenza di Dio». (da “Il TIMONE”, n. 137, p. 11)
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Pala d’altare per la Cappella di S. Bartolomeo al Vernet
Si tratta di un dipinto a olio su tela eseguito con la tecnica “a velatura”.
La tela, acquistata a Torino, è del tipo “olona” in canapa, di inizio ’900, individuabile dalle cuciture di tre teli di cm. 60 di larghezza – dimensione dei vecchi telai – usata come fondale di teatro, con preparazione di base a gesso di Bologna e colla di coniglio.

Dopo avere disegnato a carboncino il soggetto da dipingere, ho applicato il colore ad olio in monocromo usando terra di Cassel e bianco di titanio, riportando i chiari e scuri.
Il dipinto è stato ripreso, dopo opportuna asciugatura, con colori a velatura molto leggeri, a più riprese, fino ad ottenere l’effetto finale. Questa tecnica venne scoperta e molto usata dai fiamminghi.
La Pala dipinta rappresenta il martirio di S. Bartolomeo di Gian Battista Tiepolo, esposto nella chiesa di Strà a Venezia.
La composizione e la scenografia del quadro configurano il martirio dell’Apostolo in modo non cruento e con toni caldi di luce.
Il lavoro prima di essere completato è stato presentato in bozzetto al Parroco.
L’attuale Pala ha l’intento di dare continuità al dipinto precedente che era stato offerto dalla famiglia  Sereno in ricordo di Elena, tant’è che nella nuova tela, in alto a destra, è stato dipinto un “putto con cartiglio” recante l’iscrizione “A ricordo di Elena Sereno” per mantenerne la memoria nel tempo, da parte della sua famiglia, del Vernet e di tutta Bardonecchia.
Ermanno Gendre
A sinistra il pittore Ermanno Gendre, con Piero Vallory, custode della Cappella. (foto M. Borghino)
La tela di San Bartolomeo durante la lavorazione, nello studio del pittore Gendre. È ben visibile il cartiglio
con la dedica a Elena Sereno. (foto collezione E. Gendre)




 Ringrazio il pittore bardonecchiese Ermanno Gendre, autore del dipinto da lui realizzato e offerto per la Cappella di San Bartolomeo al Vernet, inaugurato sabato 23 agosto 2014 nel corso della S. Messa in onore del Titolare della chiesetta.
Si tratta di un lavoro – anche economicamente dispendioso – che lo ha impegnato per circa un anno di tempo. L’opera, da lui firmata e datata, rimarrà nei secoli come patrimonio della Cappella, acquistando gradualmente valore storico, che consegnamo alle generazioni future come testimonianza di fede. [d.F.]



Tela precedente di S. Bartolomeo, ora posizionata sulla parete laterale. (foto E. Gendre)




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LOTTA QUOTIDIANA – «Satana è nemico dell’uomo ed è astuto perché presenta le cose
come se fossero buone,ma la sua intenzione è distruggerlo (l’uomo - n.d.r.),magari conmotivazioni
umanistiche». Così ha detto Papa Francesco nell’omelia dellaMessa celebrata a Santa
Marta il 29 settembre scorso, festa dei Santi ArcangeliMichele,Gabriele e Raffaele. Secondo
il Papa «nei suoi progetti di distruzione, Satana inventa spiegazioni “umanistiche” che vanno
propriamente contro l’uomo, contro l’umanità e contro Dio». Per questa ragione: «La lotta è
una realtà quotidiana, nella vita cristiana: nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia,
nel nostro popolo, nelle nostre chiese. Se non si lotta, saremo sconfitti». E pensare
che permolti Satana non esiste, è solo un “simbolo” delmale... (da “Il TIMONE”, n. 137, p. 11)
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“Popoli tutti cantate al Signore,
Lui ha fatto meraviglie per noi”
“Popoli tutti cantate al Signore,
Lui ha fatto meraviglie per noi”
SOS INDIA è una piccola associazione, ma con l’aiuto della Provvidenza di Dio ha fatto grandi cose.
La Comunità di Bardonecchia è stata un grande strumento della Provvidenza di Dio.
È dal 2007 che collabora con noi per realizzare progetti di amore e di dignità verso la popolazione Tribale (fuori-casta) dell’India del Nord, nel distretto di Darjeeling.
Una popolazione che non ha nessun diritto se non quello di essere sfruttata per un piatto di riso al giorno, dove i bambini muoiono ancora per la malnutrizione e pochi riescono ad andare a scuola.
In questi anni con il vostro aiuto sono molti i progetti che abbiamo sostenuto nei poveri villaggi del the, dove le donne, a seguito della loro poca istruzione e povertà, sono sfruttate.
Con i laboratori di cucito abbiamo aiutato più di 300 donne, insegnando loro un lavoro e rendendole orgogliose di mantenere i propri figli.
Grazie alla scuola infermiere si sono diplomate 150 ragazze. I nostri bambini ciechi sono diventati grandi alla scuola “Braille”.
Abbiamo aiutato i seminaristi che presto diventeranno sacerdoti, migliaia di bambini ai quali abbiamo donato non solo una ciotola di riso, ma anche il pane della vita, l’istruzione.
Ad ottobre è iniziata la costruzione della terza “Community Hall”, centro di aggregazione del villaggio: centro di culto, scuola e centro medico.
(foto collezione P. Bianconi)
Il 22 ottobre è stato inaugurato il nuovo lebbrosario con 100 posti letto, ultimato nella struttura e negli arredi del primo piano. Una grande opera d’amore: abbiamo dato dignità 
alle persone scartate ed emarginate da tutti, anche dalle loro famiglie. Ancora oggi la lebbra è considerata una maledizione e non una malattia curabile.
Queste nostre parole di gratitudine esprimono anche la gioia e la riconoscenza di tutti i malati di Jesu Ashram, di tutte le donne, bambini e ragazzi che insieme stiamo aiutando a realizzare i loro sogni per una vita migliore. Ogni settimana in Jesu Ashram viene celebrata una S. Messa per tutti i benefattori.
Quale migliore ringraziamento può essere espresso per noi tutti!
Grazie di cuore del vostro sostegno per tutti questi anni.
SOS INDIA ONLUS
Patrizia Bianconiwww.sosindiaonlus.org

Alcuni bambini durante una lezione scolastica all’aperto. (foto collezione P. Bianconi)






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Ci impegnamo noi e non gli altri, unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto
né chi sta in basso, né chi crede né chi non crede. Ci impegnamo senza pretendere che
gli altri s’impegnino con noi o per suo conto, come noi o in un altromodo.
Ci impegnamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per
amarlo. Per amare anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è
amabile, anche quello che pare rifiutarsi all’amore perché dietro ogni volto e sotto
ogni cuore c’è insieme a una grande sete d’amore, il volto e il cuore dell’Amore.
Don PrimoMazzolari
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 Il dott. Bava racconta la sua storia:
 “50 anni di professione medica a Bardonecchia”
 I primi di gennaio del 1964, nel centro di via Medail, il dottor Pier Giorgio Bava apriva il suo studio da medico condotto. La Bardonecchia di 50 anni fa non era quella di oggi, non c’era l’autostrada, i collegamenti con gli ospedali francesi viaggiavano attraverso una rete di bus attivi solo di giorno e non c’era la guardia medica sul territorio. Nel paese lavoravano un’ostetrica e un medico condotto. Fare il medico voleva dire non avere a disposizione molti macchinari al fine diagnostico, non esistevano ancora la risonanza magnetica, la tac, l’ecografia, la gastroscopia e la colonscopia... Racconta il dottor Bava: «Quando ho iniziato ad esercitare la professione si faceva molta clinica, l’unico macchinario diagnostico a mia disposizione era il radiografo, potevo effettuare nel mio studio pochi esami sul sangue e sulle urine, come l’albumina, la glicemia; era difficile diagnosticare un tumore al colon, visibile solo da un intervento chirurgico addominale esplorativo, veniva spesso scambiato per una colite acuta, per diverticoli, ma solo verso la fine del decorso della malattia si riusciva a diagnosticare; un aforisma medico recita così la visione del dottore riguardo la pancia: “l’addome è la tomba del chirurgo” – continua –. Le morti avvenivano
però più frequentemente per una peritonite, per la polmonite». Abitava a Susa, ha studiato medicina a Torino, una volta laureatosi, Pier Giorgio Bava partì per 18 mesi come militare: «Durante la leva avevo cucito anche i muli». Per avere l’abilitazione ad esercitare la professione ha frequentato due mesi nel reparto di medicina, due in chirurgia, due in ostetricia, a Torino.
Il dott. Bava è del 1935, ha visto un grande cambiamento non solo nel campo della diagnostica, ma anche del ruolo del medico nella società: «Non esistevano orari né turni, se lavoravi in paese eri il punto di riferimento di giorno e di notte, per i casi più gravi i pazienti venivano trasportati a Susa». Negli anni ha preso diverse specializzazioni: odontoiatria, pediatria, medicina del lavoro, anestesia e rianimazione.
Ma come è arrivato 50 anni fa a Bardonecchia il dottor Bava?: «Pensavo di andare a lavorare a Torino, ma per una serie di eventi ho poi pensato di rimanere a Susa e ho prestato servizio in ospedale, come assistente volontario. Un giorno il medico condotto di Bardonecchia ha avuto un incidente con la sua 500, aveva 70 anni, dopo il fatto non se la sentiva più di esercitare il mestiere e sono subentrato io».
Nel 1971 il dottor Bava ha spostato lo studio da Via Medail all’attuale sede in Viale Bramafam 4.
Sono trascorsi 50 anni dalle prime visite in “sella” alla 600 color panna; ora il punto di primo soccorso, da alcune settimane, ha anche a disposizione un defibrillatore semiautomatico, che verrà utilizzato dal personale medico e paramedico presente nel punto di primo soccorso di Bava, che seguirà un corso per l’utilizzo.
«Sono cinque le donne che ho fatto partorire in questi anni, ma una ragazza parigina la ricordo ancora adesso, lì nel mio studio le si sono rotte all’improvviso le acque e in tempo zero il piccolo era nato», racconta.
Nello studio anche i figli del dott. Bava, che esercitano la professione di odontoiatri. Maria Teresa Vivino
Al dott. Pier Giorgio Bava – recentemente colpito da problemi di salute che l’hanno costretto per vari mesi ad assentarsi da Bardonecchia – giungano gli auguri di pronta guarigione, accompagnati da una speciale preghiera per lui e i suoi familiari.

Forte Bramafam

CENNI STORICI
Costruito tra il 1874 ed il 1889 sul colle che domina la conca di Bardonecchia, il Forte venne concepito allo scopo di proteggere lo sbocco della Galleria del Fréjus da eventuali puntate di truppe francesi che non fossero state arrestate dai sistemi di distruzione interni al tunnel ferroviario.
Adibito durante la Prima Guerra Mondiale a campo di prigionia per i prigionieri austriaci, ritornò a svolgere la propria funzione difensiva negli anni Trenta, quando i rapporti con la Francia si erano nuovamente deteriorati. Risalgono infatti a questo periodo i lavori di potenziamento delle difese esterne, caratterizzati, in particolare, dalla costruzione di opere in caverna per mitragliatrici e cannoni anticarro. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i suoi cannoni non intervennero, ma il 21 giugno 1940, giorno in cui iniziò la breve offensiva italiana, il sito subì un bombardamento aereo.
Dopo l’8 settembre 1943 il Bramafam fu occupato dalle truppe tedesche che vi mantennero un piccolo presidio utilizzandolo sino al 1945 come comando del 100º Reggimento Gebirgsjàger; il forte fu definitivamente abbandonato dagli ultimi difensori all’alba del 27 aprile.
Nel primo dopoguerra subì un sistematico saccheggio che fu completato, nella sua azione devastatrice, dallo smantellamento imposto dalle norme del Trattato di Pace di Parigi del 1947.
Fino agli inizi degli anni Novanta il Bramafam è stato oggetto di asportazioni e atti vandalici: tutte le parti metalliche sono state rimosse, così come sono scomparsi i manufatti lapidei e demoliti numerosi tramezzi e muri di tamponatura per il recupero dei mattoni pieni. [Dal sito: www.fortebramafam.it]
* * *
Spesso la memoria storica si conserva solo grazie al lavoro silenzioso e instancabile di studiosi ed appassionati che abbiano più a cuore la preservazione del bene piuttosto che il tempo da destinare gratuitamente ad essa.
È così che dal maggio 1995 il Forte Bramafam ha potuto trovare nuova vita.
Ad occuparsene è l’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare (ASSAM), fondata nel 1990 dall’incontro di un gruppo di ricercatori, accomunati dall’interesse per la storia e l’architettura militare.
Nel 1993, per non rimanere inattivi davanti allo sfascio del patrimonio fortificato italiano, si fece strada l’idea di “sporcarsi le mani” in prima persona, cercando di salvare almeno una fortificazione. Così la scelta cadde sul Bramafam. Da allora sono state impiegate oltre 70.000 ore di lavoro per poterlo offrire al
pubblico così come lo si vede ora. I contributi pubblici e privati sono stati senz’altro utili, ma il lavoro più oneroso è quello fatto dai volontari che hanno recuperato il sito e lo hanno allestito.

Il Forte Bramafam a Bardonecchia.


Si tratta ora di un percorso visivo e olfattivo. Transitare per le stanze del forte è una vera esperienza a tutto tondo. Quei vecchi ruderi in declino stanno lentamente scrollandosi di dosso la polvere dell’oblio, mentre qua e là riemerge il fascino delle originarie strutture.
Disinfestata da una vasta e incolta vegetazione, è così riaffiorata la severa architettura delle mura di cinta, l’ampia bellezza della piazza d’armi e del fossato, l’austera eleganza del blocco ufficiali.
All’interno del forte, gli ampi locali, pazientemente ripuliti da cumuli di macerie, risanati dalle infiltrazioni, che nel corso degli anni ne avevano accelerato il degrado, e, soprattutto, resi sicuri da numerosi interventi, quali il rifacimento di gradini, parapetti, infissi, serramenti e putrelle di sostegno delle volte, offrono al visitatore, attraverso un percorso di visita facilmente accessibile, un percorso davvero suggestivo.
Attualmente tutto il settore attinente la Piazza d’Armi è stato recuperato, ad esclusione di una parte del Magazzino d’artiglieria, resta da completare il restauro del perimetro esterno delle mura, la Galleria di gola e il Basso forte.
Poi c’è l’allestimento interno alle caserme con un’area espositiva di 3.500 metri quadri dove – attraverso una serie di attente ricostruzioni ambientali, completate da 180 manichini che indossano uniformi originali, 32 pezzi d’artiglieria, oltre 2.000 reperti di vita militare – si può effettuare un inedito viaggio a ritroso nel tempo.
Tenendo al centro l’obiettivo di salvaguardare la memoria storica delle fortificazioni in Valle di Susa e con esse il patrimonio culturale locale, da quest’anno si è dato vita ad un’opportunità per giovani appassionati di storia e attrezzatura militare.
Da questo punto di vista il Forte Bramafam, forte dell’aspetto volontaristico che da sempre lo ha sorretto, ha deciso di ampliare la disponibilità nei confronti dei visitatori coinvolgendo giovani valligiani nella conoscenza e divulgazione delle nozioni legate al Forte.
Anna Olivero

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La Pace
Di questo argomento scrivono tutti, tra una guerra e l’altra. Lo posso fare anch’io.
Qualche tempo fa andammo alla Madonna del Rocciamelone di Mompantero.
Con Maria Grazia entrammo in chiesa. Nel suo atrio vi erano sparsi, inmodo disordinato,
alcuni inginocchiatoi, forse spostati per compiere la pulizia del pavimento.
La pace,mi sono detto. È dal loro uso che nasce la pace.
C’è chi la propone con la politica – che non vedo – chi, i più ingenui, dagli atteggiamenti
dettati dalla bontà. No, la pace si ottiene in ginocchio. Attraverso l’uso degli inginocchiatoi si potrà certamente raggiungere la pace.
Giuseppe Bernardi, settembre 2014
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Augusto Guiffre rimane nel cuore di tutti
«Oltre che ai suoi cari, Augusto mancherà a tutta Bardonecchia», questo il pensiero di Claudio Bugatti, caro amico e compagno d’avventura di Augusto Guiffre, nel G.I.S. (Gruppo Intervento Sociale), scomparso all’affetto dei suoi cari e dell’intera comunità.
Un brutto male, che a maggio gli aveva portato via sua sorella, e che ad agosto ha stroncato anche lui. Ma Augusto, nessuno lo può e lo vuole dimenticare: «Chi aveva male e aveva bisogno d’aiuto trovava in Augusto una persona disponibile. Lo ha sperimentato direttamente il povero Luca Pezzetti dalle cui importanti esigenze di spostamento Augusto e il GIS di Bardonecchia hanno fatto nascere l’attuale e frequentatissimo trasporto dei malati verso ospedali, visite specialistiche e terapie», così ha scritto Bugatti a nome suo e del GIS. Augusto aveva capito che occuparsi di qualcuno non voleva dire solo stargli vicino fisicamente, ma dare alle persone una speranza, quella speranza che per lui nasceva dalla fede... una fede cieca, solida.
Sua moglie Christiane ha aperto le porte di casa sua, per far conoscere da vicino il suo Augusto; una casa che si affaccia sulla Piazza Don Bellando, la piazza della Parrocchia di Sant’Ippolito, che lo ha accolto, gremita di gente, anche nel giorno dell’estremo saluto. «Vorrei che la mia morte servisse a qualcuno, che le mie sofferenze potessero alleviare un domani quelle di qualcun altro», così ha sussurrato a denti stretti ad un’amica di famiglia, generoso e altruista fino alla fine. Un uomo che ha perso a soli 6 mesi la sua mamma di 25 anni, una sofferenza personale che ha trasformato la sua anima in mani per gli altri, un cuore grande che ha saputo accogliere il bene e il male della vita a braccia aperte e con il suo crocifisso sempre al collo.
L’amore che lo ha legato a Christiane per 50 anni di matrimonio, e 4 di fidanzamento: «Faremo qualcosa di speciale per i nostri 50 anni», e invece in un mese se n’è andato via, senza fare troppo rumore, senza arrecare troppo “disturbo” come aveva vissuto, sempre per gli altri.
A sentire la sua mancanza sono senza dubbio soprattutto i suoi cari più stretti, oltre alla moglie, compagna di vita, i figli Sylvie e Patrick e i nipoti Stefano, Luca e Alessandro.

Augusto Guiffre (con gli occhiali scuri) con l’ex Sindaco Ambrois e l’allora assessore Franceschini e un componente del G.I.S. con il nuovo (all’epoca) pullmino per il trasporto dei malati.


«Ma lassù non possiamo chiamarlo il nonno?», un pensiero del nipotino Luca, per dire con le sue parole che anche a lui il nonno manca.
E chissà se ora Augusto, che ha sempre creduto nella vita dopo la morte, sarà di nuovo con Luca Pezzetti, suo caro amico, ragazzo per cui ha dato il via alla raccolta fondi per l’acquisto di un mezzo per poterlo trasportare fino in Olanda, per permettergli di curarsi. Augusto che ha vissuto molto tempo della sua vita sui mezzi pesanti, per via del suo lavoro, con bisarche trasporto vetture, ora è di nuovo in viaggio.
Il paese non si rassegna: «Augusto aveva capito che il GIS era anche un modo per superare la solitudine, una malattia dell’anima che spesso emargina tante persone, soprattutto se stanno male; aveva capito che non di solo pane vive l’uomo», ha commentato Emanuela Lantelme, socia del G.I.S.
E così concludeva il suo saluto la lettera del G.I.S, letta in chiesa il giorno del suo funerale: «Il destino non tiene conto della stima che la comunità ha di quella persona, del bene che la gente è abituata ad attendersi dalla sua disponibilità e dal suo amore per il prossimo. Ciao Augusto. Era bello fare queste cose con te».
(M.T.V. - da “La Valsusa”)

“Festa delle maestre di Bardonecchia in pensione con alcuni dei loro ex alunni - anno 1994”. Nella prima Pla di maestre in piedi, la terza da destra è la maestra Nilda Medail, recentemente scomparsa.
(foto collezione A. Gleise)


Una proposta originale per difendere il matrimonio

Il giurista e professore universitario avv. Ubaldo Giuliani-Balestrino, ordinario di Diritto penale all’Università di Torino, villeggiante di Bardonecchia, lancia un’idea originale al mondo politico: varare una legge che consenta ai coniugi, all’atto del matrimonio, e in sede civile, di impegnarsi a non ricorrere né alla separazione né al divorzio.
Pubblichiamo parte di un articolo-intervista rilasciata a Luciano Garibaldi della rivista “Riscossa cristiana”.
– Lei ha ipotizzato la possibilità di rinunciare alla facoltà di divorziare, oggi consentita dalla Legge. Vuole spiegarci come si potrebbe realizzare questo progetto?
Come ben sappiamo, la possibile scelta di escludere la prospettiva del divorzio non è prevista dalle leggi vigenti, a chi vuole contrarre il vincolo matrimoniale. Oggi, chi si sposa sa che il divorzio è ammesso dal nostro ordinamento. E tra i danni che arreca il divorzio, il più invisibile – ma uno tra i più gravi – è il “pensiero”, è la “prospettiva” del divorzio. I coniugi italiani sanno che alla prima crisi del loro rapporto l’altro coniuge potrà divorziare; che si vive insieme, ma con l’idea che la via della rottura è aperta.
– È giusto che la facoltà, il diritto di divorziare, non sia rinunziabile?
A mio convincimento, no. Ciò tanto più che molti Stati nord-americani ammettono da tempo il “covenant marriage”, ossia la facoltà degli sposi di ridurre, tanto al momento del matrimonio quanto dopo, i casi di divorzio. So bene che, contro questamia opinione, si possono addurre vari argomenti.
– Quali?
Una prima obiezione potrebbe essere questa: la facoltà di chiedere il divorzio non èmai stata ritenuta rinunziabile da alcuno, nel quarantennio abbondante succeduto alla legge che ha introdotto il divorzio in Italia. Il fatto è vero. E si può sostenere che una prassi così consolidata e unanime ha il valore di una legge.
– Come ovviare a una tale prevedibile osservazione?
Non c’è che una strada: ovvero, che la facoltà di rinunziare al diritto di chiedere il divorzio venga istituita da una nuova legge. Il legislatore italiano ha stabilito che il matrimonio è un contratto che ognuna delle due parti contraenti può porre nel nulla ricorrendo al divorzio. Con ciò, il matrimonio è divenuto un rapporto “disponibile”.
– Se la sua proposta venisse accolta dal Parlamento e diventasse legge, verrebbe a crearsi una  contrapposizione tra coniugi religiosi (tenuti dalla Chiesa a rinunziare alla facoltà di divorziare) e coniugi  agnostici.
La risposta a detta obiezione è semplice. Alla convenzione prematrimoniale di rinunzia alla facoltà di divorziare potrebbero ricorrere anche laici, atei, non cattolici, islamici e via dicendo. Non vi sarebbe nessuna violazione del principio di uguaglianza.
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– Un’ altra obiezione alla sua proposta potrebbe essere quella che – oggi – l’opinione pubblica è favorevole al divorzio.
Da un lato, l’opinione pubblica è favorevole a che nel nostro ordinamento esista il divorzio: tuttavia non è mai stata – almeno fino ad oggi – posta di fronte alla proposta della rinunziabilità (libera e spontanea) alla facoltà di divorziare. Un conto è voler proibire il divorzio, un conto è dire: “Chi preferisce, può liberamente rinunziare alla facoltà di richiedere il divorzio”. Peraltro dobbiamo tener presente che i frutti avvelenati del divorzio (costi economici, delitti, padri che non riescono più a vedere figli, divorziati che sono obbligati a coabitare perché non possono sostenere il peso economico di due case, difficoltà nell’educare i figli, aumento vertiginoso delle separazioni coniugali e via dicendo) hanno fatto molto diminuire gli entusiasmi iniziali a favore del divorzio stesso.
– Effettivamente si riflette poco su questa serie dimali causati dalla legge sul divorzio.
Ma c’è di peggio. Il divorzio è tra i coefficienti di alcuni tra i massimi mali della società contemporanea: in particolare, della decisione di non avere figli, della solitudine, della depressione.
L’idea che il matrimonio può – in ogni momento – sfasciarsi, induce a non caricarsi del peso dei figli e della loro educazione: peso che dura – di regola – per vari anni e, talvolta, per moltissimi anni. E ciò porta a quel “suicidio demografico” dell’Europa, denunziato tanto da Papa Benedetto XVI quanto dai demografi: tra breve l’Europa potrebbe divenire islamica per mancanza di nascite nelle famiglie non musulmane. Inoltre, è in crescita il numero delle persone sole che proprio perciò rischiano di non curarsi o di non curarsi abbastanza e chemuoiono senza essere assistite da alcuno. Infine, oggi le torme dei depressi sono infinite. Tra le schiere dei depressi (si dice pure “stressati”) molti sono i divorziati. (...) Bisogna dimostrare che i cattolici sono meno depressi e più felici dei neo-pagani: hanno più figli e matrimoni più stabili. Se s’introdurrà il matrimonio “rafforzato” – contrapposto al matrimonio “dissolubile” – a sostegno della Chiesa potrà giungere la statistica.
La statistica potrà infatti dimostrare che i cattolici intransigenti, i quali rinunziano al diritto al divorzio, sono più felici e più sani delle altre coppie.
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Chissà se questa “originale” idea del prof. Giuliani-Balestrino potrà essere raccolta da qualche politico e fatta diventare “proposta di legge”? Se sono rose fioriranno...!

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la fiducia
Quando entro in una delle tante e belle chiese che noi abbiamo, penso alle persone che sono entrate prima dime e a coloro che le hanno costruite, indietro, nei secoli, nei millenni. Anch’essi erano animati dalla Fiducia, dalla Fede, altrimenti non le avrebbero edificate. Queste chiese da sole resterebberomute.
Cristo stesso ha provveduto a farci guidare dai suoi Ministri. Essi dedicano la loro esistenza allamissione affidata. Io li ascolto con interesse. Alcunimi incantano per ilmodo di esprimersi nel presentare gli insegnamenti del Vangelo. È grazie a loro chemi sento un Cristiano. Spero un buon Cristiano.
Giuseppe Bernardi, settembre 2014
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Un cuore nuovo
La mia vita fin da ragazza è sempre stata quella di una sportiva, io e le malattie non abbiamo mai avuto niente a che fare; poi un giorno, dopo aver attribuito per più di un anno la mia stanchezza e la mia nuova pigrizia all’età che avanza, non ce l’ho fatta più a respirare e ho deciso di fare un salto in pronto soccorso.
Tutto succede in un attimo: “Signora, dobbiamo trasferirla, qui non siamo attrezzati per casi come questo”: mi sento proiettata in un mondo irreale, forse è un sogno... Ma stranamente non ho paura, sento una grande calma dentro. Sono sempre stata credente ed in questo momento, come in altri difficili della mia vita, comincio a parlare con Dio: sia fatta la tua volontà ma ti prego pensa a mio figlio, ha solo 21 anni...
Inizia così la mia avventura: un mese a Grenoble dove mi viene salvata la vita una prima volta, poi il trasferimento in Italia alle Molinette e poi, una volta stabilizzata, l’ingresso in lista d’attesa per il trapianto di cuore. Che impressione queste parole: trapianto di cuore, un intervento quasi fantascientifico...
Dopo soli quattro mesi di attesa, ed un ictus per fortuna transitorio, arriva un cuore adatto a me: una persona generosa che aveva deciso di donare i suoi organi mi fa questo regalo stupendo, mi dona una nuova vita. Il Signore mi dà una nuova possibilità, non è da tutti; e per di più il trapianto avviene mentre a Roma Papa Francesco proclama Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: con due angeli custodi così, cosa posso temere?
Come ci si sente ad avere un nuovo cuore? Ci si innamora di altre persone, si vede la vita in modo diverso? È quello che mi chiedono tutti. No, amo mio figlio con la stessa immensa intensità, mi commuovo ugualmente davanti ad una bella nevicata, ad un’alba o ad un tramonto, ad uno scodinzolio di cane o ad un sorriso di un bambino. Forse con più intensità di prima, ma non credo dipenda dal cuore nuovo, ma dal fatto che quando si sfiora la morte si apprezza con intensità maggiore la vita.
È strano avere un nuovo “motore”, unmotore che qualcuno ti ha regalato in un estremo atto d’amore, ma è ancora più strano – e meraviglioso – avere una nuova vita da vivere, quando la tua bene o male è arrivata al capolinea.
Adesso quello a cui penso di più non è se il mio nuovo cuore ama in maniera differente dal vecchio, perché so che non è così, ad amare è la mia anima, e lei non è cambiata... quello che ora mi interessa è utilizzare bene questa nuova vita che Dio mi ha regalato. Non mi sono mai sentita sola, ho tanti amici che hanno fatto e fanno l’impossibile per aiutarmi e ho sempre avuto il Signore vicino a me, in ogni momento.
E non c’è sera in cui non ringrazi Dio per tutto quello che mi ha concesso e che non preghi per quel donatore sconosciuto che con la sua generosità ha permesso a me ed altri malati di tornare a vivere.
So che la strada verso la guarigione è ancora lunga e disseminata di ostacoli, ma sono sicura che con l’aiuto del Signore tutto andrà per il meglio, perché non mi ha abbandonato e non mi abbandonerà mai.
Piera Cianfarani
P.S.: il disegno in alto, accanto al titolo, me lo ha dedicato il mio alunno Foxy.