Giuseppe Antonio Foray
Nella
seconda metà dell’Ottocento era giunto a Bardonecchia un giovane doganiere
francese di nome Francesco Foray. Originario del piccolo paese di Arvillard nel
cantone de La Rochette nella Savoia, a Melezet aveva trovato un amore, si era
sposato ed era rimasto
in
Italia. La moglie si chiamava Alessandra Beraud e faceva la maestra. La giovane
coppia ebbe tre figli: Maria il 18 giugno 1884, Margherita l’11 luglio 1886 e
Giuseppe Antonio il 12 giugno 1889.
Antonio
frequentò la scuola fino alla 3ª elementare e poi incominciò il lavoro in
campagna, come tanti ragazzini di quegli anni.
Fu
chiamato alle armi per mobilitazione il 1° giugno 1915, nella 1ª compagnia di
sanità. Dal 13 ottobre 1915 fu aggregato al treno attrezzato n° 26 di stanza a Treviso,
e per tutta la guerra viaggiò sui treni che portavano i feriti dal fronte ai
vari ospedali militari d’Italia.
Antonio
era un giovanotto che si dava da fare e ben presto si rese utile in tutti i modi
su quei vagoni carichi di sofferenze: imparò a fare le iniezioni e le medicazioni,
a cucinare per i malati e possiamo immaginare che cercasse in ogni modo di
alleviare il martirio dei feriti. Di quel periodo rimangono alcune cartoline
che Antonio spediva a casa, al padre, alla madre, alla sorella e alla
fidanzata, dai luoghi dove il treno ospedale si fermava per lasciare il suo
carico di feriti: da Altamura, Bologna, Lucca, Reggio Emilia e Voghera.
Antonio
ebbe la sua prima licenza per esonero agricolo solo nel gennaio del 1919 e fu
lasciato in congedo illimitato il 19 agosto di quell’anno.
Tornò
a fare il contadino e condusse una vita semplice, legata alle tradizioni delle
sue montagne: l’unica parentesi della sua esistenza che lo portò fuori dal suo
paese fu proprio quella della guerra. Quell’uomo che aveva visto mezza Italia,
cosa rarissima per quei tempi, al suo ritorno si legò di nuovo alla terra e non
la lasciò più. Si sposò con Paolina Roude, nata nel 1892, e nacquero due figli:
Francesco del 1921 e Secondo (detto Dino) del 1924.
Paolina Roude Foray. |
Agli
inizi degli anni ’30 ebbe tre gravi lutti: perse il papà, una sorella e nel
1933 la moglie. Rimasto vedovo, non si risposò e allevò da solo i due figli
ancora bambini, Francesco di 12 anni e Dino di 9. Imparò a fare tutto quello
che l’economia della casa richiedeva, e lo fece fino alla vecchiaia. Cosa
straordinaria per un uomo, sapeva lavorare ai ferri e si faceva i maglioni con
le sue mani, ovviamente con la lana delle sue pecore, e con i ferri da calza
che si era fabbricato da solo.
In
estate andava a fare il margaro alle grange Teppa, sopra il Pian del Colle, dove
portava le sue mucche insieme ad altre bestie del paese: al mattino scendeva a
Melezet per lavorare la campagna e a sera risaliva alle grange per mungere e
fare i formaggi. Una vita durissima fatta solo di grandi sacrifici.
Antonio
Foray era conosciuto in paese per essere un esperto nell’uso delle erbe che
andava a raccogliere nella stagione giusta nei prati, nei pascoli e nei boschi
o coltivava nel suo orto, e poi faceva essiccare e custodiva in un armadio in
legno di sua fabbricazione con tanti reparti catalogati per specie. Era
riuscito a far crescere anche un rarissimo tipo di the selvatico.
Antonio Foray davanti alla sua casa a Melezet. |
Un
uomo prezioso che ancora oggi avrebbe tante cose da insegnare anche alle nuove
generazioni.
Antonio Foray morì nel 1971.
Antonio Foray margaro
alle Grange Teppa, con le mucche e
il suo cane.
FONTI – Testimonianza
della signora Felicina Bertessa, moglie di Dino Foray.
– Archivio di Stato di
Torino, foglio matricolare di Foray Giuseppe Antonio.
–
Documentazione fotografica della famiglia Foray.