15/06/18

NEI BORGHI (2017)



“NATALE NEI BORGHI”
26/27/28 dicembre 2017 – LES ARNAUDS - MELEZET - MILLAURES
Anche quest’anno Les Arnauds, Melezet, Millaures e in particolare le loro splendide chiese hanno offerto un palcoscenico naturale all’evento “Natale nei borghi”, un’iniziativa voluta dall’Amministrazione Comunale nell’ambito di un progetto più ampio e complesso di valorizzazione della nostra identità alpina, che muove dal desiderio primario di far conoscere e far rivivere il territorio, portando animazione ed eventi nei borghi antichi da offrire anche al turista più frettoloso e distratto come esperienza emotiva e di contatto profondo con la nostra cultura alpina e i suoi monumenti,
Il gruppo dei Parenaperde “Sunadur”
Il viaggio natalizio nei borghi di Bardonecchia è iniziato il 26 dicembre a Les Arnauds nella chiesa, gremita, di San Lorenzo con “C’era una volta... Natale” della Compagnia Fucina Bonacci, uno spettacolo di animazione teatrale per bambini, in cui grandi e piccini, condotti per mano da Babbo Natale e il suo elfo, sono diventati protagonisti di divertenti avventure alla scoperta delle origini del Natale e del segreto della sua essenza.
Si è poi proseguito, il 27 dicembre, nella chiesa di S. Antonio a Melezet, con il concerto del gruppo Parenaperde “Sunadur” dell’Alta Valle Dora, alla scoperta di suoni antichi e di storie narrate. Il noto e apprezzatissimo gruppo musicale originario dell’Alta Valle Susa ha proposto brani di musica tradizionale delle nostre vallate e di quelle francesi, balli, canti popolari in lingua occitana, motivi scherzosi e storie di personaggi di un tempo riscoperti e riproposti con la partecipazione di Giorgio Ferraris, Massimo Falco, Alberto Dotta e Simone Del Savio.
Di nuovo grande successo ed entusiasmo da parte del pubblico e grande apprezzamento di tutti per la cura, l’amore e il rispetto con cui da sempre i “Parenaperde” conservano e tramandano melodie e storie della nostra Valle.
La rassegna si è conclusa il 28 dicembre nella chiesa di S. Andrea a Millaures con il concerto “Swingin’Christmas”, ancora una volta della Compagnia Fucina Bonacci. Uno spettacolo musicale nato dall’incontro tra musicisti di estrazione diversa, chi chitarrista Maestro di Conservatorio, chi bluesman cresciuto sulle strade, chi fisarmonicista folk, chi pianista raffinato, e composto di canzoni natalizie tradizionali in un arrangiamento inusuale e altre canzoni d’atmosfera, eseguite in duo. Il tutto contrappuntato da brevi novelle, narrazioni, fatti di cronaca, filastrocche, più o meno note, che al Natale sono legate a doppio filo: per la sorpresa, la cura dell’altro, l’attesa, la gioia, la bontà e la vita che nasce.
Un ringraziamento particolare da parte dell’Amministrazione va a don Paolo Di Pascale, che ha accolto con il consueto entusiasmo e la sua proverbiale disponibilità tutte e tre le iniziative, aprendo le chiese e rendendole più che mai luogo di accoglienza, inclusione, sentimento e riflessione profonda.
Carola Scanavino 

RICORDO DI PADRE STEFANO AIMETTA
Giugno 1986: Padre Emanuele Battagliotti, iniziatore e guida della Cantoria di Melezet, si trasferiva a Torino chiamato a guidare la Provincia francescana, incarico che porterà avanti per otto anni. Anche Padre Claudio in quel mese lasciò Bardonecchia per andare Parroco a Madonna degli Angeli in Via Carlo Alberto. Dopo il vuoto estivo ecco l’arrivo di due nuovi frati: Stefano Aimetta e Angelico Aluffi: sarà Padre Stefano a ricevere il testimone della direzione della Cantoria.
Nato a Genola in provincia di Cuneo dai contadini Antonio Aimetta e Caterina Trucco, il 10 luglio 1937, quartogenito di undici figli, Giuseppe conduce il Noviziato a Monte Mesma e nel 1962 professa solennemente i voti come frate minore a Torino col nome religioso di Stefano.
Il 29 giugno 1964 viene ordinato sacerdote a Torino dal Card. Maurilio Fossati. Poi inizia una catena di trasferimenti che lo destineranno al servizio di molte comunità e conventi del Piemonte: prima a Saluzzo poi a Novara, nel 1973 a TorinoMadonna degliAngeli poi nuovamente a Saluzzo, nel 1983 a Torino Sant’Antonio e nel 1985 a San Bernardino da Siena poi l’approdo a Bardonecchia come economo.
Padre Stefano dirige il Coro di Melezet
Il primo approccio con noi coristi ci lasciò quasi perplessi. Padre Stefano aveva modi e tecniche diverse dal suo predecessore che aveva due lauree in matematica e fisica... ma il ghiaccio fu presto rotto: il nuovo direttore avrebbe fatto cantare anche i sassi e poi era uno di noi, un contadino, nel quale la semplicità e la disponibilità francescane si rivelavano doti uniche.
Con lui la Cantoria divenne un vero e proprio Coro, che oltre ad animare la liturgia delle solennità a Melezet e le feste patronati delle altre frazioni approdò a realizzare circa venticinque concerti. Ne ricordo solo alcuni: il primo nelle festività natalizie del 1987 a Melezet, poi sempre a Melezet nel 1988 con la Corale Aurelio Sestero di Chiusa San Michele e nel 1989 con la Cantoria di Borgone. Nel 1990 e 1991 a Nevache, il 23 maggio 1992 a Modane e il 24 ottobre a Montbonnot presso Grenoble con la Corale “Les Chantisères”, nel 1993 a Val des Pres... e poi la bellissima esperienza dellaMessa dell’Incoronazione di Mozart con il CoroAnge Gardien di Oulx e Area di Briançon.
Il ministero di Padre Stefano e di Padre Angelico, tornato alla casa del Padre il 14 agosto 2009 in Saluzzo, fu impregnato di simpatia e realizzò una rete di amicizia e profonda umanità.
I due frati erano sempre disponibili alle necessità delle parrocchie della Vicaria ed erano diventati pietre vive della realtà religiosa della comunità: Stefano musico, sciatore, dal carattere sereno e Angelico dall’aria svanita sul motorino col saio svolazzante, creatore di presepi alternativi.
Poi nel 1994 il loro trasferimento. Anche se Padre Maurizio e Padre Gian Pietro che li avrebbero sostituiti già li conoscevamo, era una perdita dura da accettare.
Padre Stefano trascorrerà quindici anni al convento di Via Sant’Antonio a Torino e poi otto anni a San Bernardino in Borgo San Paolo dove si spegnerà nell’Infermeria la notte tra il 17 e il 18 maggio 2017. La notizia della sua morte è giunta nei nostri paesi solo dopo qualche tempo, portando un velo di tristezza e facendo riaffiorare nel cuore di molti di noi ricordi e nostalgia.
L’abbiamo ricordato il 17 ottobre con una Messa di suffragio nella chiesa di Melezet. «...Là dove senti cantare fermati: gli uomini malvagi non conoscono canzoni...». Prega per noi Stefano ora che canti la liturgia del cielo.
Romano Nuvolone

LE IMMAGINI DI COMUNITÀ
E IL RUOLO DELLE FESTE RELIGIOSE
NELLA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ
L’iniziativa si propone di raccogliere fotografie, cartoline e altre forme di rappresentazione iconografica, pellicole in formati amatoriali (super 8, 8mm, 9,5mm e 16mm), diffuse a partire dagli anni Sessanta e che oggi rischiano di essere dimenticate e perse nelle cantine e nelle soffitte, immagini in movimento non più visionabili a causa anche di proiettori e tecnologie non funzionanti, presso gli archivi diocesani, le parrocchie e le famiglie.
Il tema della ricerca verte su sette feste tradizionali religiose dove è evidente il collegamento tra elementi precristiani e cristiani.

SAN GIORIO DI SUSA
Rievocazione storica della soppressione del feudatario e sacra rappresentazione della Passione di Cristo
Presso la comunità di San Giorio di Susa si è celebrata, fino agli anni ’30 del Novecento, la tradizione della recita, in tempo di Pasqua, del mystère della Passione di Cristo, la quale coinvolgeva gran parte della comunità. La tradizione dei mystère – forma di teatro religioso popolare diffuso in epoca medievale moderna – è stata nei secoli passati molto presente in Valle di Susa. La tradizione sangioriese, tuttavia, rappresenta una peculiarità in quanto è l’unica ad essere stata celebrata ancora all’inizio del XX secolo.
Più recente è invece la tradizionale rievocazione della soppressione del feudatario, ideata dal Parroco don Attilio Bar, e che ancora oggi è celebrata, con il coinvolgimento di parte della popolazione locale, in occasione della festa patronale di San Giorgio martire.
GIAGLIONE - La danza delle spade La comunità di Giaglione, assieme a quelle di Venaus e San Giorio di Susa, ha mantenuto in vita un’antichissima tradizione popolare, quella della danza degli Spadonari. Il rito tradizionale, legato alla propiziazione della fertilità dei suoli e dell’abbondanza dei raccolti, è celebrato ogni anno in occasione della festa patronale di San Vincenzo, che si celebra il 22 gennaio. In tale occasione la danza degli Spadonari accompagna anche il ballo del “branch”, una struttura ad albero adornato di nastri, fiori e frutti, che viene eretta sul capo dalle Priore elette per l’anno in corso e fatto danzare sulla piazza antistante la chiesa parrocchiale.
CHIOMONTE - La danza della poento In occasione della festa patronale di San Sebastiano, i giovani coscritti della comunità di Chiomonte hanno il compito di far “ballare” la poento. Quest’ultima è una struttura affusolata, alta circa 2,5 metri, ricoperta di nastri colorati e montata su un perno centrale rotante. Intesa come simbolo dei dardi utilizzati per il martirio di San Sebastiano, la sua danza è retaggio di un rito ancestrale legato, come a Giaglione, alla propiziazione della fertilità della terra.
NOVALESA - La processione di San Eldrado La comunità di Novalesa mantiene vive, ancora oggi, numerose tradizioni religiose popolari. Tra di esse spicca per la partecipazione l’annuale processione della preziosa urna reliquiario di Sant’Eldrado – capolavoro di orafo mosano-renano datata al XIII secolo –, la quale viene traslata dalla chiesa parrocchiale di Santo Stefano (dove è conservata) alla Cappella di Sant’Eldrado posta all’interno della cinta dell’Abbazia dei Santi Pietro e Andrea. La devozione per Sant’Eldrado, abate di Novalesa vissuto nel IX secolo, è fortemente sentita tra la popolazione di Novalesa, della Val Cenischia e nelle vicine aree francesi dell’Alta Maurienne e del Briançonnais. Ad esso è dedicata la Cappella posta all’interno della cinta muraria abbaziale, decorata con affreschi datati al 1096-1097.
1960: davanti alla Cappella del Tabor.
MELEZET - La processione alla Madonna del Tabor
Le comunità di Melezet e degli altri borghi della conca di Bardonecchia conservano ancora oggi l’usanza, attestata al XVII secolo e rinnovata nel XIX, di celebrare la processione annuale alla Cappella in onore della Vergine eretta sulla cima del monte Tabor, attualmente in territorio francese ma ancora dipendente dalla parrocchia di Melezet. Tale processione, molto sentita, si snoda lungo un percorso montano lungo il quale sono collocate le stazioni della  Via Crucis. L’origine della processione è legata ad un antico voto emesso negli anni ’30 dell’Ottocento per la cessazione dell’epidemia di colera. Presso la comunità di Melezet sono numerose le famiglie che ancora oggi conservano immagini legate alla celebrazione della processione annuale.

La Cappella del Tabor dopo la tormenta.

MEANA DI SUSA ♦ A Meana, in occasione dei festeggiamenti del patrono San Costanzo (18 settembre), vengono portati in processione i “branc”, grandi rami di conifere realizzati con un’intelaiatura affusolata alta circa 3 metri, rivestita con carta rossa e decorata con fiori, nastri e frutti. I due “branc” vengono portati dei giovani del paese, accompagnati dalle Priore, fino al sagrato della Cappella del Santo e qui vengono agitati lentamente, secondo un’antica danza propiziatoria di cui si è persa la memoria, ma che è da ricollegarsi con antichi rituali della fecondità della terra.

SANT’AMBROGIO DI TORINO ♦ 
A Sant’Ambrogio di Torino la festa patronale di San Giovanni Vincenzo è ancora oggi organizzata dalla Società dell’Abbadia, con un cerimoniale molto articolato stratificatosi nel tempo. Ogni anno è eletto un “abbà”, che ha il compito di sovrintendere e coordinare la festa. Il giorno delle celebrazioni i membri della Società dell’Abbadia, accompagnati dalla Filarmonica, si recano presso la casa dell’abbà eletto per l’anno in corso per comunicargli l’elezione e consegnargli la fascia e la bandiera. L’abbà viene poi accompagnato presso la chiesa parrocchiale al grido di “viva l’abbà”, dove presenzia alle celebrazioni per la festa patronale e alla successiva processione delle reliquie di San Giovanni Vincenzo, portate a spalle dai membri della Società dell’Abbadia. Nel pomeriggio, dopo la Benedizione Eucaristica, l’abbà, in sella ad un cavallo, tiene il tradizionale discorso.
Grazie alla ricerca sono state digitalizzate 3.000 immagini e costituiscono un archivio virtuale on-line: il materiale raccolto, duplicato in formato digitale, ordinato e catalogato, viene reso liberamente disponibile per la consultazione e per attività di studio e di ricerca. I materiali raccolti costituiscono una documentazione di grande rilevanza per le attività di pianificazione territoriale, di progettazione, riqualificazione, studi antropologici e sociali a favore di uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle comunità.
L’archivio rappresenta inoltre una fonte significativa sulla storia e la memoria del paesaggio e delle comunità, di cui potranno fruire studiosi, ricercatori e cultori della storia locale, le scuole e le biblioteche comunali, le associazioni culturali, gli enti della promozione turistica, tutti i cittadini interessati.
Attraverso questo materiale si possono osservare le trasformazioni, i cambiamenti, l’inizio di nuove dinamiche sociali che i grandi eventi storici hanno portato nelle abitudini e nella vita quotidiana delle persone.
Accanto alle immagini, nella biblioteca diocesana sono stati catalogati 250 volumi del fondo di storia locale legati anche al tema delle tradizioni locali e delle feste. La catalogazione è stata effettuata su sistema OPAC SBN-Web, secondo gli standard ICCU-SBN.
Don Gianluca Popolla

RICORDI? 40 ANNI FA
E ora i bambini non giocano più per strada. Quanto tempo è trascorso? 40 anni circa. Nemmeno tanto, tutto sommato, diciamo due generazioni, due generazioni ed è cambiato tutto.
Non si gioca più per strada, non ci sono più i ragazzini in bicicletta con la cartolina sui raggi per fare rumore, i lanci con le cerbottane, la palla che rotola fino al fiume, o i gavettoni di acqua gelata della fontana.
Non è trascorso troppo tempo, 40 anni circa, ma ricordo di quando, noi bambini, facevamo a gara per andare a suonare le campane prima del Rosario del mese di maggio celebrato dal mitico don Masset: spesso quelli “vecchi”, con 6/7 anni in più di noi, arrivavano prima e noi restavamo con un palmo di naso.
Speravamo sempre di rifarci vincendo a palla prigioniera o ai quattro cantoni, sì, perché dopo il Rosario, in piazza, si giocava fino a che non arrivava il buio, con Giustina che ci guardava attraverso la finestra, Anna seduta sulla panca davanti a casa e don Masset che, passeggiando sul sagrato con l’immancabile Gauloise in mano, ci chiamava “tromboni”.
Quarant’anni fa in paese tante famiglie avevano le pecore, a memoria, direi almeno 12 famiglie solo al Melezet. In primavera e in autunno, a inizio giornata, il pastore Giuseppe (Giosuè do pont - Giuseppe che abitava vicino al ponte) passava di casa in casa a raccoglierle per portarle al pascolo; mentre, nel tardo pomeriggio (più o meno quando i ragazzi di oggi hanno le attività sportive), noi, i ragazzini di un tempo, andavamo all’inizio del paese ad aspettarle al rientro. Arrivavano dal Pian del Colle e noi, tutti in fila davanti, le fermavamo in prossimità delle case, dove le pecore dovevano essere ricoverate: ciascun proprietario, attraverso un segno particolare posto sulle orecchie, sapeva riconoscere le sue. Normalmente la passeggiata terminava a Les Arnauds, non senza aver prima “assaggiato”, in autunno, qualche mela del giardino di Livio o di Aventina.
Ora per la merenda c’è il salutare, il biologico, il nutriente, il senza grasso, o senza olio di palma. Quarant’anni fa, in estate, si andava a fare merenda nei prati. Il menù? Pane e prosciutto, pane burro e zucchero o miele; una tovaglietta, il cibo, l’acqua e via nei prati a ridere e a scherzare.
A ridere e a scherzare anche il giorno in cui Margherita ci ha cacciate dal suo prato perché schiacciavamo l’erba che doveva essere tagliata per fare il fieno.
Il Carnevale dei bimbi negli anni ’60.
E il carnevale? Quella era la gran festa del Martedì Grasso. Non c’erano vacanze e da scuola si usciva alle 12,30; alle 13,00 tutti a casa per un pranzo veloce, s’indossava il costume preparato da giorni e, con un sacchetto di coriandoli e uno di stelle filanti, si correva al punto di ritrovo. Qualcuno dei grandi si preoccupava di prendere una busta per i soldi e un cesto per le uova, qualcun altro, più piccolo, poteva pensare a raccogliere le caramelle. Ci si ritrovava un anno a Les Arnauds e uno a Melezet e da lì si partiva, in gruppo, per visitare tutte le case.
Si bussava, ci si faceva aprire e si chiedevano uova, soldini, o caramelle, non senza lasciare in dono una buona dose di coriandoli. Così, per almeno tre ore, di casa in casa, fino alla fine dei due paesi. Poi tutti al ristorante dove ci aspettavano per una “merenda sinoira” cui, ovviamente, non poteva mancare una ricca frittata. Il denaro raccolto serviva a pagare almeno una parte della merenda: alla differenza pensavano i nostri genitori. Le caramelle erano equamente divise tra tutti i partecipanti, tranne quelle mangiate lungo il percorso.
Tanti carnevali sono stati festeggiati da Ricetti, alla Ciaburna e da Sandrin. Altro che Halloween e il suo dolcetto o scherzetto!
Non mancavano certo anche i giochi in scatola: che non erano tantissimi, ma potevamo comunque scegliere tra Monopoli, Scarabeo, L’allegro chirurgo, Rischiatutto, Il Dolce Forno e la piscina di Barbie (per i più fortunati), un semplice Sapientino e carte di tutti i tipi. Senza ovviamente dimenticare il salto con l’elastico, la settimana disegnata con il gesso sul catrame, le capanne costruite sugli alberi, le discese con le slitte legate insieme sulla neve a fare il trenino... ribaltamento gratuito e assicurato!
Il carnevale, il gregge di pecore da accompagnare, i giochi in piazza, la merenda, tutto ci ricorda che il gioco è l’espressione più autentica della nostra cultura e che, con il passare del tempo, si adatta, o si dovrebbe adattare, all’ambiente in cui si svolge.
Quarant’anni fa i giochi si facevano prevalentemente per strada, o nei tanti spazi che la natura ci metteva a disposizione con pochi oggetti e tanta fantasia. Oggi i giochi che fanno i nostri ragazzi sono un po’ diversi ed è giusto che sia così; l’importante è che abbiano la capacità, e magari anche il nostro aiuto, per “condirli” con intelligenza, creatività e fantasia, soprattutto perché “il gioco appartiene ai bambini”.
Wanda Nuvolone

NEL MUSEO DI ARTE RELIGIOSA ALPINA “DON F. MASSET” DI MELEZET SI È SVOLTA NELL’ESTATE 2017 UNA MOSTRA DAL TITOLO:
L’ACQUA NEI RITI DELLA VITA
Con l’allestimento di oggetti, anche provenienti da collezioni private, è stata presentata un’indagine riguardante l’utilizzo dell’acqua nella religione cristiana e l’impiego di questo preziosissimo elemento da parte dei nostri antenati, passando dal rito della benedizione al Battesimo, attraverso acquasantiere, fonti battesimali, fontane, dighe, maceratoi della canapa, alluvioni, ecc. Non potendo approfondire in questa sede la totalità degli argomenti, si è estrapolato il capitolo riguardante le acquasantiere.
L’acquasantiera, recipiente atto a contenere l’acqua santa, è documentata per la prima volta nel IX secolo. Essa doveva essere collocata vicino alla porta d’ingresso della chiesa e avere modeste proporzioni per non gareggiare in ampiezza con il fonte battesimale. In origine era per lo più in marmo o in pietra, non molto profonda e sorretta da un piedritto o addossata a un pilastro della navata; in un secondo tempo San Carlo prescriverà di staccarla dalla parete e dotarla di un aspersorio con catenella ben lavorata e fissata alla vasca, poiché era considerato un atto irriguardoso prendere direttamente l’acqua benedetta con le mani.
Don G. Riva nel suo Manuale di Filotea del 1902 ci tratteggia le istruzioni per preparare l’acqua santa: «... si fa dai sacerdoti in cotta e stola, mischiando sale coll’acqua, recitando sopra di essa le orazioni prescritte dalla Chiesa». Considerando che il sale è simbolo dell’incorruzione e l’acqua simbolo di purezza, tutti gli uomini e tutte le cose che verranno in contatto con l’acqua santa saranno purificati da ogni immondezza. È poi previsto che i fedeli possano prendere di quest’acqua benedetta e portarla con loro a casa, per aspergere gli ammalati e ogni altra cosa, e possono conservarla nelle camere da letto al fine di poterne usare ogni giorno.
Lo stile delle acquasantiere mutò nel tempo di forma, materiali e dimensioni; in epoca romanica (dal X all’XI secolo) furono spesso riutilizzati capitelli, colonne, cariatidi, mentre nel periodo gotico (dal XIII al XIV secolo) l’acquasantiera raggiunse dimensioni monumentali e forme più articolate ispirate dalla stessa architettura e venne decorata con rilievi e statue. Nel Rinascimento (dal XV al XVI secolo) prevalsero due tipologie: la prima caratterizzata da un bacino liscio sostenuto da pilastrino, la seconda a mensola con forma di conchiglia, riconosciuta nell’iconografia cristiana come simbolo di castità e fecondità. Arrivando poi allo stile barocco e rococò (dal XVII al XVIIII secolo), essa assunse forme più elaborate, ricche di decorazioni e figure, scolpita in marmo policromo e dalle dimensioni anche imponenti.
Nei verbali delle Visite Pastorali riguardanti le parrocchie del nostro territorio, tra i secoli XVI e XVIII, raramente si accenna a recipienti per l’acqua santa; questo ci può indurre a pensare che alle acquasantiere veniva data poca rilevanza. Per quel che riguarda la vecchia parrocchiale di Bardonecchia, solo il Gattinara, nel 1731, fa un accenno ad un vaso lapideo per l’acqua santa, posto a lato dell’epistola dell’altare maggiore, a destra dell’ingresso, fissato nella parete.
Per Melezet, il Jertoux, nel 1584, nella sua relazione, parlando dell’arredo dell’altare maggiore nomina un “bassinet” per l’acqua benedetta.
A Millaures, il Broglia, nel 1599, quando descrive la sacrestia, cita un recipiente in bronzo per l’acqua benedetta.
Mentre a Rochemolles, durante la visita del Jertoux, non si accenna all’acquasantiera del 1552, ancora oggi esistente, ma si parla di un recipiente per trasportare l’acqua benedetta (Segusium, n. 19 anno 1983).
L’acquasantiera può essere fissata al muro, quindi definita “a labbro”, o isolata, appoggiata a un sostegno, come un pilastro, una colonna o un piedistallo, in tal caso si parla di acquasantiera “a pila”.
Si ebbero anche acquasantiere domestiche, dette anche “acquasantini” o “benedettini”, spesso poste nella camera da letto o all’ingresso di un’abitazione, in segno di devozione, realizzati in argento, avorio, ...

Interessanti sono gli esempi di acquasantiera realizzati in materiale lapideo di colore rosa rossastro, detto “marmo di Melezet” perché proveniente dalla comba del rio Gorgia. Un modello appartiene alla Cappella S. Giacomo, in località Grange Frejus. È di graziosa fattura, scolpita, e presumibilmente risalente al XVII secolo. Un altro esempio si trova addossato alla Cappella S. Rocco a Melezet: questa acquasantiera è simile alla precedente come dimensioni, anche se lavorata con un semplice motivo, scolpita nel “marmo rosa” e potrebbe risalire alla stessa epoca.
Anche il nostro museo di Melezet possiede una graziosa acquasantiera in marmo bianco, finemente scolpita, con il trigramma di Cristo inciso internamente.
La chiesa parrocchiale di Les Arnauds è dotata di un’acquasantiera, posta esternamente, sul lato destro del portone d’ingresso, scolpita in un materiale lapideo grigio: purtroppo risulta sbeccata in alcuni punti.

Entrando nell’ingresso della chiesa parrocchiale di Millaures, dedicata a S. Andrea, è presente un’acquasantiera eseguita con il “marmo rosa” di Gorgia, incisa e datata 1655; oggi non è più utilizzata come tale. Viene invece adoperata l’acquasantiera interna “a pila”, a destra del portone d’ingresso. Anch’essa scolpita in materiale lapideo.
Nella borgata Millaures sono presenti ancora molte acquasantiere distribuite sul territorio e appartenenti a varie Cappelle, anche se non tutte sono di pregio o in buono stato. Per esempio, nella borgata Medau, troviamo la Cappella di S. Anna in origine intitolata a Notre Dame de Graces, con riferimento all’atto di fondazione risalente al 1629. Citata con il titolo di S. Anna su un calice d’argento del 1646 (D. Garibaldo, Guida dei toponimi di Millaures, 2002). Inizialmente ubicata vicino alla fontana, dal 1840 si trova nel luogo attuale. Possiede un’acquasantiera esterna, a destra dell’ingresso, in materiale lapideo con semplice decoro, purtroppo intonacata.
Nella borgata Rochas, sottostante Brue, nel 1672 venne costruita una Cappella dedicata a S. Sebastiano per volere dei fratelli Rochas, ma con l’aiuto di tutti gli abitanti del borgo. La sua fondazione risale al 1675 mentre il campanile fu edificato nel 1863. Sulla facciata d’ingresso è presente un’acquasantiera in pietra grigia.

Poi la Cappella di Maria Ausiliatrice, in località Cotë Arlau, ne possiede una “a labbro”, decorata a petali, inserita nella facciata, a destra della porta, presumibilmente risalente al 1727. Questa Cappella sorge su di una roccia a strapiombo sul rio Perilbò, fondata nel 1727 fu poi rifatta nel 1854 e consacrata il 2 luglio del 1875. Anticamente dedicata a Notre Dame du Bon Secour, la facciata recava la scritta: “Notre Dame du Bon Secour priez por nous - Nous avons recouru a Vous - Nous diron toute la vie - Vive Jésus et vive Marie” (testimonianza di Andrea Guiffre). La leggenda vuole che la sua costruzione fosse inizialmente prevista nei campi poco prima di dove si trova attualmente, in un luogo meno impervio. Durante la notte però il materiale per la costruzione si spostava misteriosamente sulla roccia a strapiombo dove infine decisero di edificarla. Tutti gli anni al 2 luglio era meta di una processione che partendo dalla parrocchia di Sant’Andrea saliva passando per Sant’Anna, quindi raggiungeva Sant’Antonio al Gutiè e Notrë Dame dlë neë alle Grange Brue per finire a Cotë Arlau con la benedizione del pane (D. Garibaldo, Guida dei toponimi di Millaures, 2002).
Poco prima di arrivare alla borgata Brue, lungo la vecchia strada che sale dal Rochas, si trova la Cappella Madonna della Neve. Sulla semplice facciata un’iscrizione su pietra riporta l’epigrafe latina “S. Maria Mater Dei ora pro nobis” e l’anno di fondazione 1727. Nel 1928 venne completamente ricostruita per volontà di Maximin e Angelo Guiffre, figli di Adolf. Possiede un’acquasantiera “a labbro”, in materiale bianco.
Nella borgata Brue, lungo la vecchia strada per i bacini, si trova un piccolo oratorio privato di proprietà della famiglia Rochas. Venne costruito ove si trova attualmente intorno al 1920 per volontà di Ernestina Vallory che donò il terreno. L’edificio è molto danneggiato dal tempo, la facciata reca una nicchia dove l’11 giugno di ogni anno, in occasione della monticazione, veniva posto una statuetta lignea rappresentante S. Antonio Abate. Possiede un’acquasantiera in pietra grigia, anch’essa danneggiata (D. Garibaldo, Guida dei toponimi di Millaures, 2002).
A Prerichard troviamo la più antica Cappella della frazione dedicata a S. Claudio. Già esistente quando fu fondata la parrocchia di S. Andrea nel 1477, e la sostituì durante i lavori di rifacimento della parrocchiale stessa nel 1893. Non è dotata di acquasantiera antica. All’interno vi è un piccolo esemplare di fattura moderna.
Per concludere la nostra passeggiata sul territorio, ci spostiamo a Rochemolles, dove troviamo, sulla facciata della chiesa parrocchiale dedicata a S. Pietro Apostolo, due acquasan172 tiere lapidee. La più antica, “a pila”, possiede una data scolpita: 1552; è stata eseguita in un blocco di pietra verde, probabile travertino e si trova esternamente, a destra dell’ingresso.
Quella sinistra, “a labbro”, sempre in pietra, è più recente. Anche le Cappelle campestri di questa frazione possiedono delle acquasantiere. Nella borgata Issard, la Cappella di S. Luigi – costruita a metà del XIX secolo da Pier François come ex voto per il ritorno a casa del figlio Luis andato in guerra – è dotata di un’acquasantiera “a labbro”, in pietra, di piccole dimensioni, posta sulla facciata, a destra della porta d’ingresso.
La Cappella di S. Rocco, che si trova di fronte all’abitato di Rochemolles, sulla strada per la diga, in località Plagnon, ne possiede una, sempre lapidea, di dimensioni maggiori, posta in facciata, sul lato destro dell’ingresso. Questa Cappella, già esistente nel 1660, citata nella relazione della Visita Pastorale di Jean Allois, Vicario della Prevostura di Oulx, probabilmente venne costruita in seguito all’epidemia di peste del 1629-1630.
La Cappella dedicata alla Madonna degli Angeli, situata in località Grange du Fond, edificata nel 1842 da Jean Garcin come ex voto per festeggiare il figlio reduce dalla guerra in Crimea, possiede un’acquasantiera in pietra grigia, sempre posta in facciata, a destra della porta d’ingresso. Questa Cappella nel 1930 venne ceduta alla Diocesi.
Da pochi anni la Cappella Madonna della Neve, situata in località Mouchecuite ed edificata negli anni ’30 dall’impresa che costruì la diga di Rochemolles, è fornita di un’acquasantiera in serpentino, posta a destra dell’ingresso. Essa faceva parte dell’arredo della Cappella sepolta dall’invaso che aveva la stessa intitolazione.
Sempre a Mouchecuite si trova un pilone, con un’apertura a nicchia ed una volta a tutto tondo, sulla parete di fondo è presente un affresco rappresentante un angelo che brandisce una spada ed un cartiglio che cita: “Ricordatevi di Maria”, anche le altre pareti sono, in parte, affrescate con figure di santi: su quella di sinistra presenta un S. Bernardo che incatena il diavolo e su quella di destra un probabile S. Giacomo. Sulla facciata, a destra della nicchia vi è un accenno di acquasantiera, ora occupata da una statuetta della Madonna. Vi è anche una data non molto leggibile, forse 1672.
Dobbiamo notare che tutte queste acquasantiere ritrovate nel nostro territorio, sulle facciate delle chiese o cappelle, o al loro interno, si sono rivelate sobrie, dalle forme lineari, quasi sempre prive di decori particolari, solo talvolta ingentilite con scritte e date. Per quel che concerne invece i “benedettini” domestici, possiamo dire che gli autori si sono sbizzarriti maggiormente, sviluppando dei veri e propri temi iconografici. È presente la croce, sola o abbinata al trigramma di Cristo, la crocifissione, molto ricorrente il tema della Madonna con Bambino, i santi, e soprattutto il tripudio di figure angeliche quasi sempre accostate a motivi floreali o vegetali.
Daniela Ferrero

INNO A SANTA EMERENZIANA
video
Letizia Vallory canta l'Inno a Santa Emerenziana

I)
O FIOR DEI MARTIRI
EMERENZIANA SANTA
SEI GLORIA E VANTO
DI GIOVENTÙ.
SEI GLORIA E VANTO
DI GIOVENTÙ.

Rit.:
DIFENDI, EMERENZIANA
I FIGLI TUOI
PROTEGGILI SEMPRE
COL TUO FAVOR.

II)
O TU CHE MI PROTEGGI
EMERENZIANA SANTA
ASCOLTA LA PREGHIERA
CHE ESCE DAL MIO CUOR.
ASCOLTA LA PREGHIERA
CHE ESCE DAL MIO CUOR.

Rit.: DIFENDI ...

III)
QUANDO LA VALANGA
STA PER CADER SU NOI
COPRICI COL TUO MANTO
E SALVI NOI SAREM.
COPRICI COL TUO MANTO
E SALVI NOI SAREM.

 Rit.: DIFENDI ...


Grazie a Renato ed Emy Bompard abbiano recuperato questo inno. Qualcuno può aiutarci a trovare la musica o come si cantava? Grazie!


COMMEMORAZIONE DEL DOTT. PROF.
DON GIANCARLO BIGUZZI:
“Una vita al servizio della Parola di Dio”

Venerdì 28 luglio 2017 nella nostra Parrocchia di Melezet sono arrivati due graditi ospiti: Padre Giuseppe, cappuccino, amico e collaboratore di don Giancarlo, e il fratello di don Giancarlo Biguzzi per tenere una serata di commemorazione dopo la scomparsa di quest’ultimo avvenuta l’8 ottobre dello scorso anno, causata da un terribile tumore al pancreas che purtroppo non ha lasciato scampo.
La serata è stata preceduta da una S. Messa in suo suffragio, concelebrata da Padre Giuseppe e don Paolo. In prima fila era presente il signor Giuliano, fratello del defunto, ed è intervenuta una rappresentanza di cittadini del nostro paese con anche alcuni turisti.
La S. Messa di suffragio è stata commovente, il Vangelo del giorno ci ha presentato la parabola del seminatore, una pagina davvero giusta per questa ricorrenza che si addice molto a don Giancarlo, a colui che ha dedicato tutta la sua vita, terreno buono per seminare la Parola di Dio. Il salmo responsoriale del giorno narrava “Luce di gioia, Signore, è la tua Parola”: don Giancarlo ha dedicato tutto il suo tempo per far comprendere agli altri la gioia della Parola di Dio, ha dedicato la sua vita a studiare la Parola di Dio anche come professore universitario, rendendola comprensibile alla gente per farla diventare luce di gioia. La Parola di Dio è come una lettera d’amore e don Giancarlo ha concentrato i suoi studi anche sull’Apocalisse, dove, per comprenderla, occorrono pastori che ci aiutino a portare nella nostra vita luce e gioia.
Sempre cara e piena di nostalgia
la Figura di don Biguzzi
I Comandamenti annunciati nella prima lettura sono la legge di Dio che non va interpretata come un castigo, ma come luce dove Dio ci indica la strada della felicità. Don Giancarlo è stato una luce preziosa che ci ha guidato versola felicità.
L’omelia, concentrata sulla luce, si è conclusa con un pensiero rassicurante sulla morte, che non ci potrà mai separare da don Giancarlo perché lui sarà sempre una preziosa presenza misteriosa nella nostra Comunità.
Dopo l’omelia è seguita la Preghiera dei Fedeli e abbiamo pregato affinché non manchi mai il terreno fertile per accogliere la Parola di Dio e che don Giancarlo possa ricevere la sua ricompensa dal Signore. Per tutti noi è stata una grazia ed un onore aver avuto la possibilità di poter trascorrere del tempo con don Giancarlo e l’ultimo pensiero era rivolto al Signore, che non si stanchi mai di mandare sacerdoti alla sua Chiesa, Don Giancarlo nell’estate del 2007, su consiglio del Vescovo di Susa del quale era amico, per trascorrere un periodo di riposo tra le montagne, ha fatto il suo ingresso nella nostra parrocchia di Melezet, rinnovando il suo servizio pastorale per tutte le estati seguenti fino a quando la sua salute glielo ha permesso; l’abbiamo salutato l’ultima volta al termine dell’estate del 2015.
Per la nostra parrocchia è stato un prezioso aiuto estivo che ha potuto sollevare don Paolo negli impegni quotidiani, dimostrando fin da subito grande amore ed interesse per la nostra comunità, nascondendo con la sua semplicità i suoi alti gradi accademici.
Alle ore 21 siamo tornati in chiesa per la serata commemorativa in suffragio di don Giancarlo, che, con il suo carattere molto schivo, probabilmente, non avrebbe mai accettato questa ricorrenza, tenuta dal docente universitario cappuccino Padre Giuseppe, seguita anche dall’intervento del signor Giuliano Biguzzi e conclusa dal nostro Parroco don Paolo.
Don Giancarlo, come già anticipato nell’omelia, ha dedicato tutta la sua vita a servizio della Parola di Dio come sacerdote, studioso, biblista e suo divulgatore, scrivendo e rendendo pubblici numerosissimi testi dall’analisi scientifica ai più divulgativi, anche con tematiche non bibliche tra storia locale e arte. Per don Giancarlo scrivere ed insegnare era ritenuto un piacere e non un lavoro, dedicandosi molto alla limatura del testo, ritenuto un aspetto fondamentale per comunicare perché doveva far comprendere agli altri il suo messaggio, attraverso un linguaggio comprensibile ma non banale, di lettura scorrevole e vivace.
Tra le sue opere è stato citato anche il nostro paese di Melezet con un lungo articolo dal titolo “La Bibbia di Melezet”.
Accennando alla sua biografia, don Giancarlo è nato a San Vittore di Cesena l’11 ottobre 1941 ed è mancato l’8 ottobre 2016, in particolare, proprio nel giorno del suo settantacinquesimo compleanno, si è celebrato il suo funerale. Dopo aver ricevuto la chiamata al Sacerdozio, ha studiato presso il Seminario diocesano di Cesena e in seguito nel Pontificio Seminario regionale di Bologna, ricevendo l’Ordinazione il 29 giugno 1965 nella Cattedrale di Cesena dal Vescovo Mons. Augusto Gianfranceschi. Nel 2015 ha potuto raggiungere una tappa importante del cammino sacerdotale segnata dal suo cinquantesimo anno di Sacerdozio.
Le prime esperienze pastorali le ha trascorse nella parrocchia di San Rocco, mentre gli era già stato affidato il compito di vicerettore del Seminario diocesano. Fu anche Parroco a Gatteo a Mare, dove la conoscenza delle lingue straniere gli facilitava la comunicazione con i turisti ospiti della riviera romagnola.
Ben presto maturò un suo progetto trasferendosi a Roma per dedicarsi allo studio della Bibbia, frequentando la Pontificia Università Lateranense, poi il Pontificio Istituto Biblico, raggiungendo nel 1973 la Licenza in Dottorato e nel 1976, presso l’Università Urbaniana, ha conseguito la Laurea in Teologia.
Dal 1990 alla sua morte, don Giancarlo si è dedicato all’Apocalisse attraverso la figura, l’apostolato e il messaggio di San Paolo. Don Giancarlo ha fatto comprendere come l’Apocalisse può essere facile se la si affronta con la dovuta guida, quindi come primo lavoro ha individuato un punto chiave per illuminarla, pubblicando in seguito la sua opera maggiore dedicata ai “settenari” dell’Apocalisse.
Prima del Dottorato ha iniziato l’insegnamento pubblicando vari studi sui Vangeli sinottici, sulla letteratura giovannea e sull’Apocalisse. Ha tenuto anche vari incontri sempre sulla Parola di Dio e ha dedicato del tempo per preparare al meglio le omelie, in modo da renderle comprensibili a tutti, compito non affatto semplice. Don Giancarlo ha insegnato in particolare il Nuovo Testamento, quello che è stata la sua specializzazione, in tre Università: per ventitré anni all’Università Gregoriana, per trentasei anni alla Pontificia Università Urbaniana e per nove anni al Pontificio Istituto Biblico; quest’ultima è considerata l’Università più importante dove don Giancarlo si è specializzato sull’Apocalisse. Alla Pontificia Università Urbaniana ha potuto insegnare a studenti provenienti da ogni parte del mondo, rimanendo sempre disponibile ad aiutarli, pur essendo molto esigente.
Raggiunta l’età della pensione, nel 2014 per quella Urbaniana e nel 2015 per quella Biblica, don Giancarlo aveva anche terminato nella primavera del 2016 di seguire le tesi dei suoi studenti e si stava organizzando per ritornare, dopo quarant’anni, a San Vittore di Cesena dai suoi familiari, ma purtroppo il Signore aveva altri progetti per lui. Dalle parole di suo fratello abbiamo potuto apprendere, con commozione, come si sono svolti i suoi ultimi mesi di vita, non semplici e alquanto dolorosi. Con le sue grandi doti di intelligenza, ma per la sua semplicità e riservatezza, la sua famiglia non ha potuto apprezzare il suo meritato valore. Egli desiderava sempre scendere, stare in basso tra la gente comune dove si faceva voler bene, parlando con parole semplici, seminando, in modo genuino e con profondità, la Parola di Dio attraverso le omelie e l’insegnamento.
Il 25 aprile del 2016, mentre si trovava a Gallipoli, egli si è sentito male, e circondato presto dai suoi familiari ha potuto raggiungere il 2 maggio l’ospedale di Bologna, dove gli è stato purtroppo diagnosticato un tumore al pancreas che, nonostante le cure, purtroppo non ha potuto sconfiggere. L’8 ottobre dello stesso anno, presso l’Hospice di Savignano sul Rubicone, per don Giancarlo si sono aperte le porte del Paradiso e si è addormentato nel sonno eterno, lontano dal dolore, e se anche ora non possiamo più vederlo fisicamente, la sua invisibile presenza sarà sempre tra noi, anche nel nostro piccolo Melezet, paese che lui ha tanto amato. La serata è terminata con l’intervento di don Paolo, che dopo i ringraziamenti ha concluso con le parole di Sant’Agostino: «Signore non ti chiediamo perché ce lo hai tolto, ma ti ringraziamo per avercelo donato».
Arrivederci, don Giancarlo...
Cristina

PRESEPI DI NATALE

Il presepe del sottochiesa a Melezet, 
opera dei ragazzi della Cresima: 
il monte Tabor con i fedeli che 
salgono in vetta.
È da qualche anno che in Bardonecchia e nelle frazioni di Millaures, Melezet, Les Arnauds e Rochemolles si è riaccesa la voglia di vivere il Natale attraverso il tradizionale Presepe.
Con grande entusiasmo tutti i bambini del catechismo hanno accolto la proposta di don Paolo di preparare i presepi nelle parrocchie delle frazioni. Così i bambini di 2ª e 3ª elementare hanno arricchito il presepe di Millaures con gli angioletti e le stelline che ognuno ha creato ispirato dalla propria fantasia, mentre i bambini di 4ª elementare hanno dato sfogo alla loro manualità allestendo il presepe di Les Arnauds costruendo statuine fatte di pigne, rametti e licheni. Infine, i ragazzi di 5ª elementare e delle scuole medie hanno realizzato il presepe nel sottochiesa di Melezet, ambientandolo sul monte Tabor: hanno costruito la chiesetta che ha ospitato la natività, lungo il cammino verso Gesù non hanno dimenticato il “Lago Verde” e dal cielo hanno fatto scendere tanti angioletti.
L’attesa per il Natale è stata così vissuta in modo speciale realizzando i presepi e preparando gli ormai tradizionali auguri di Natale.
Nella chiesa di Melezet hanno presentato una piccola recita accompagnata da canti a genitori, nonni e paesani, portando in ogni casa la luce di Betlemme.

Laura Silvestro