Si tratta di rocce che, ricavate
dalle viscere del Frejus furono portate, con intendimenti diversi, a Torino. Ma facciamo un salto all’indietro
nel tempo.
25 dicembre 1870.
“Bardonecchia, 25. Dalla
galleria. In questo momento. Ore 4,25, la sonda passa attraverso l’ultimo
diaframma di 4 metri, esattamente nel mezzo. Ci parliamo da una parte
all’altra. Il primo grido ripetuto dalle due parti fu di Viva l’Italia.
Firmato: Grattoni”.
E’ il telegramma con cui si dava
notizia del compimento di un’opera del piccolo Piemonte, ciclopica per quei
tempi e seconda solo all’apertura del canale di Suez: il traforo ferroviario
del Frejus.
La storia del traforo,
ostinatamente proposto dal Medail e patrocinato dal Cavour e dal Des Ambrois,
ebbe una lunga e travagliata vicenda parlamentare sino alla decisione di
realizzarlo.
Prima della sua realizzazione fu
oggetto di lunghe valutazioni sia dal punto di vista progettuale che geologico.
Il Des Ambrois affidò la valutazione della struttura delle rocce al Prof. A.
Sismonda dell’Università di Torino. Il Sismonda, dopo aver effettuato numerose
ricognizioni sui terreni affioranti in superficie, sulla pendenza e direzione
degli strati, in una relazione inviata al Des Ambrois assicurò che non si
sarebbero incontrate gravi difficoltà tranne una vena di quarzite di circa
quattrocento metri.
Le previsioni del Sismonda furono
confermate in pieno. Partendo dall’imbocco nord s’incontrarono in successione:
- banchi d’arenarie e scisti
antracitici, per 2.094 metri, di durezza variabile e talvolta notevole.
- quarziti compatte, di
particolare durezza, per 389 metri.
- calcari dolomitici, di
perforazione relativamente facile, per 356 metri.
- calcari scistosi con vene di
quarzo bianco, misti a strati scistosi
friabili, per i rimanenti 9394,55 metri.
Durante il procedere dello scavo,
il Simonda raccolse sistematicamente campionature delle varie rocce incontrate.
Il materiale è conservato nei
sotterranei del Museo di Scienze Naturali di Torino. Si tratta di 556 pezzi,
contrassegnati ognuno da un cartellino con il tipo di roccia e la progressiva
del prelievo, accompagnati da un catalogo manoscritto. La collezione costituiva
un reperto unico per quei tempi e rivestiva una grande importanza scientifica
per gli studi geologici delle Alpi.
Prima di iniziare gli scavi
occorreva procedere alle misure geodetiche. Furono effettuate ben 28
triangolazioni con 21 vertici, di cui il più elevato è a 3100 m sulla Pelouse.
Le operazioni, anticipate da numerose ricognizioni preliminari nell’autunno
precedente, iniziarono a metà luglio 1858 e terminarono dopo soli due mesi.
Complessivamente furono misurati 86 angoli, ripetendo ogni misura da venti a
sessanta volte.
La precisione dei calcoli trovò
conferma dalla minima differenza riscontrata quando i due tronchi, scavati da
Modane e da Bardonecchia, s’incontrarono: lo scarto finale fu di soli quaranta
centimetri in direzione e di sessanta in altezza.
Contemporaneamente si provvide ad
impiantare i due cantieri poiché sia Forneaux (400 abitanti) sia Bardonecchia
non erano in grado di sopperire alle esigenze di un alto numero d’operai.
In Bardonecchia furono costruite
due caseggiati destinati agli uffici della dirigenza ed alle abitazioni del
personale con ruoli direttivi. Dal rispettivo colore vennero denominate “casa
rossa” e “casa bianca”. La casa rossa, che esiste tuttora, era destinata
successivamente a diventare la stazione ferroviaria. A causa dell’eccessiva
pendenza della sede dei binari che avrebbe ostacolato la fermata e la
ripartenza dei treni, la stazione sarà poi spostata più a valle, previo
livellamento del piazzale. L’edificio ottocentesco della stazione è stato poi
demolito poco prima della seconda guerra mondiale e sostituito con l’attuale.
Le abitazioni degli operai furono
collocate lungo l’attuale via Sommellier, chiamata inizialmente via del
traforo. Erano dette case “Bedoni” dal nome del costruttore, ma meglio
conosciute come “’l numer ot” perché erano appunto otto.
L’inaugurazione dei lavori
avvenne il 31 agosto 1857 a Modane alla presenza di Vittorio Emanuele II
accompagnato da Cavour, dal ministro dei lavori pubblici Paleocapa,
dall’aiutante di campo Cialdini e da rappresentanti dei parlamentari.
Presso Fourneaux, nel luogo dove avrebbe
dovuto aprirsi la galleria, era stata posta , tra due torri improvvisate, una
tela su cui era stata dipinta l’apertura del traforo.
Alle 7,30 iniziò la cerimonia
alla presenza delle delegazioni piemontesi e francesi, delle autorità dei
paesi, degli ingegneri e dei Delegati.
La “Gazzetta Piemontese” del
tempo riporta la cronaca della cerimonia:
“… La gran vallata verso levante
illuminata dal sole presentava una sequela interminabile di monti altissimi. Il
vescovo della Moriana tenne un breve discorso e, avvicinatosi all’altare,
invocò l’assistenza di Dio nell’esecuzione della grande opera e impartì la
benedizione”.
Terminata la funzione religiosa,
l’ing. Ranco porse al re il manubrio del conduttore elettrico e Vittorio
Emanuele II diede inizio simbolicamente ai lavori facendo brillare una volata
dimostrativa di 500 mine, scavate ad una distanza di circa tre chilometri, “che
scoppiarono istantaneamente tutte assieme, poco dopo le 9”.
Decisivo per il procedere dei
lavori fu l’utilizzo delle perforatrici ad aria compressa.
L’ultimo diaframma di un metro e
mezzo fu fatto saltare alle 17,25 del Natele 1870.
Sgomberato il materiale, le
squadre s’incontrarono al grido di “Viva l’Italia – Vive la France”. Si
raccolsero frammenti di roccia, donati poi al Museo industriale ed all’Istituto
Tecnico di Torino.
Il 17 settembre 1871 ebbe luogo
l’inaugurazione ufficiale della galleria alla presenza di ministri,
parlamentari ed i maggiori esponenti della nobiltà piemontese oltre che del
progettista del canale di Suez Ferdinand de Lesseps, degli ingenieri che
avevano realizzato il traforo e del figlio di Medail.
Innumerevoli furono a Torino i
festeggiamenti per la grandiosa impresa che ispirò, tra l’altro, un quadro del
ballo “Excelsior”.
Ma se i campioni di rocce
prelevati durante lo scavo giacciono in qualche scantinato dei musei, un’altra
testimonianza della nostra Bardonecchia è sotto gli occhi di tutti i passanti
in Piazza Statuto a Torino. Si tratta del monumento al traforo del Frejus di
cui ricorre il 145° anniversario della sua inaugurazione.
A proporre la sua attuazione, a
ricordo dei realizzatori del traforo: Sommelier, Grandis e Grattoni, furono le
società operaie di Torino. In tempi relativamente brevi furono raccolte 22.919
lire.
A questa cifra si aggiunsero
17.149 lire per una sottoscrizione patrocinata dall’industriale Laclaire.
Infine il Comune, inizialmente
titubante, stanziò 44.000 lire, destinate anche alla realizzazione del giardino
di piazza Statuto dove si era deciso di collocare il monumento.
La piazza era stata progettata
nel 1846 come piazza aperta verso quella che allora costituiva la periferia, e
dedicata due anni dopo allo Statuto Albertino. Era stata concepita come
destinata ad ospitare le sedi delle ambasciate straniere accreditate a Torino.
Fu inaugurata solo nel 1865 quando ormai la città aveva perso il suo ruolo di
capitale.
Ad ideare il monumento fu il
conte Marcello Panissera di Veglio, “artista distintissimo”, senatore e
direttore della Regia Accademia Albertina. Il bozzetto iniziale si deve al
giovane Luigi Belli.
Su un basamento piramidale,
composto da enormi massi estratti dall’interno del Frejus, si erge il Genio
alato della Scienza che scrive su una targa i nomi di sommelier, Grandis e
Gattoni e che domina alcuni titani,
rappresentanti la forza bruta, che tentano invano di inerpicarsi. Secondo il
positivismo imperante all’epoca, si celebrava così il primato della ragione.
I modelli dei titani furono
realizzati, gratuitamente, dagli alunni
dell’Accademia Albertina, sotto la guida di Odoardo Tabacchi.
Le fusioni dei bronzi furono
attuate nell’Arsenale di Torino. Il costo complessivo dell’opera, stimato
inizialmente in 150.000 lire, superò di poco la metà.
L’inaugurazione avvenne il 26
ottobre 1879 in presenza del re Umberto I. I tre realizzatori del traforo non
furono presenti; Sommelier e Grattoni erano già scomparsi e Grandis preferì,
per vari motivi, non intervenire.
Il sindaco Ferrari celebrò la
“scienza che volge a servigio nostro,
domate le cieche forze della natura” mentre Ubaldo Cassone, in rappresentanza
delle società operaie, esaltò “un degno monumento” che “segna al forestiero che
volere è potere e che un popolo, quando è retto a principio di sana libertà,
compie delle opere titaniche”.
GLI
ITALIANI
RICONOSCENTI
AUSPICE
IL MUNICIPIO
DI
TORINO
LE
SOCIETA’ OPERAIE
INIZIATRICI
ERESSERO
A
SOMMELIER
GRATTONI
GRANDIS
CHE
UNIRONO DUE
POPOLI
LATINI
COL
TRAFORO DEL
FREJUS
AL
COSPETTO
DI
UMBERTO I
IL
DI XXVI OTTOBRE
MDCCCLXXIX
Guido Ambrois