Chi
entra nella chiesa di Melezet, frazione di Bardonecchia, non può non restare
colpito dalla sua bellezza. È una bellezza alla portata di tutti, comprensibile
e godibile non solo da parte degli esperti e dei tecnici. Sono motivo di
godimento i dipinti e i colori, gli intagli e gli ori che risplendono. C’è di
più, perché l’artista che ideò la chiesa attuale e chi lo consigliò erano
credenti e teologi per cui, entrando nella chiesa di Melezet, bisogna cogliervi
quella che è una vera e propria omelia: omelia da ascoltare non con l’orecchio
ma con l’occhio. Dante parlerebbe di «visibil parlare» (Purgatorio, X, 95).
La
scena iniziale: la sacra conversazione
Davanti
al visitator
e della chiesa e soprattutto davanti al popolo cristiano che va a
nutrirvi la sua fede sta in posizione dominante la sacra conversazione della
pala d’altare. La lettura del dipinto deve cominciare da sant’Antonio abate, il
santo titolare della chiesa, che allarga le mani a dichiarare la sua
insufficienza per cui fiducioso alza gli occhi a Maria e al suo figlioletto. Al
centro e nella parte alta del dipinto sta infatti la Vergine in gloria, seduta
sulle nubi e circondata da angeli. Con una mano Maria stringe a sé il bambino e
con l’altra esprime esaudimento o prontezza ad esaudire.
Nella
sacra conversazione, cominciata tra Antonio e Maria, interviene poi un terzo
interlocutore: il possente angelo biancovestito eretto sulla destra del
dipinto, il quale orienta il nostro sguardo dal cielo verso la terra, puntando
il dito verso la chiesa di Melezet che si staglia contro lo sfondo delle
Quattro Sorelle (2.698 m s.l.m.). Nella sacra conversazione dunque si parla di
noi, così che anche noi entriamo nel sacro dialogo.
Il
primo sviluppo: verso l’alto
Sopra
la cornice della pala dell’altare, si libra in volo la colomba che
nell’iconografia cristiana simboleggia lo Spirito: dopotutto il figlioletto che
sta tra le braccia della Vergine-Madre è stato concepito «per opera dello
Spirito Santo», come dice la formula del Credo.
Più sopra ancora, poi, a
dominare il tutto, è il dipinto triangolare che corona la pala nel quale il
Padre si volge verso il basso, e cioè verso la scena celeste della Vergine con
il bambino e quella terrestre della chiesa di Melezet. Il triangolo non solo fa
da vertice geometrico, ma è simbolo della Trinità e dice come tutto, preghiera
ed esaudimento, bisogno e dono, si svolge all’interno del piano divino di cui
sono autori il Padre, il Figlio e lo Spirito, mediante il seno verginale di
Maria.
Ma
non è tutto: la parete dell’altare è percorsa ai due lati, dall’alto al basso,
dai «grappoli del Melezet»: grappoli di frutta e legumi scolpiti nel legno
dalla scuola locale d’intaglio che è famosa nella storia dell’arte almeno della
valle di Susa. Dipartendosi da un festone, anch’esso di frutta e foglie, tre
grappoli a destra e tre a sinistra sembrano rappresentare i doni che vengono da
Dio come risposta alle preghiere dei fedeli e, secondo il movimento indicato
dal dito dell’angelo, scendono verso la chiesa, il paese e la montagna di
Melezet.
Il
secondo sviluppo: in avanti
Il
tema decorativo dei grappoli è presente, anzi è ampliato e maggiorato nella
parete dell’arco trionfale e dei due altari minori. Anche qui, dal festone
centrale scendono verso il basso tre grappoli di frutti e foglie. Questa volta
alla loro sorgente è il grande crocifisso che sovrasta tutta la navata centrale
chiesa, come a dire che la sorgente di ogni dono e di ogni grazia è bensì in
Dio, ma ha la sua mediazione nella croce salvatrice. Il bambino che stava fra
le braccia della Vergine qui sta sulle braccia della croce, tanto che una
scritta latina percorre tutta la trave che sta sopra il crocefisso e recita:
«Guardate e vedete se c’è un dolore simile al mio». Sono parole di rimprovero
o, meglio, di invito al pentimento. In una sua «Deposizione dalla croce»
Michelangelo Buonarroti formula diversamente lo stesso invito a guardare e a
riflettere scrivendo: «Non si pensa quanto sangue costa». Ma quelle parole
possono essere intese anche come confronto vincente, come se il Cristo dicesse:
«Non c’è sangue redentore e salvatore come quello della mia croce».
Il
centro del centro e le due parole dei vertici
Al
centro di tutto sta l’altare e il tabernacolo: questo è vero per tutte le
chiese cattoliche dal Concilio di Trento in poi, il quale riaffermò la
centralità dell’Eucarestia nella vita cristiana contro il movimento
protestanico. Ma il tabernacolo di Melezet è particolarmente degno di nota per
la sua fattura e per gli ori di cui brilla.
Sopra
l’immagine del Padre e sopra il Crocefisso figurano due cartigli con due
parole, scritte in lingue ai più sconosciute: sono le due lingue bibliche,
l’ebraico e il greco. Sopra il Padre infatti è il tetragramma ebraico (e cioè
le quattro lettere del nome divino), che solitamente si traslittera con «YHWH»
e che, parafrasato, significa «Io sono colui che è [sempre presente e attivo
fra voi]», come insegna il Libro dell’Esodo nella scena della chiamata di Mosè
(3,15). Sopra il crocefisso è invece il termine greco «Mysterion» col quale si
rimanda al mistero d’amore che ha portato il Figlio di Dio alla morte
salvatrice della croce. Al popolo cristiano di Melezet l’omelia visibile della
sua chiesa dice dunque ogni domenica che il Dio biblico è presente in ogni
giorno con il mistero d’amore della croce e dell’Eucarestia.
Ma
tutto questo è ben più che una omelia: è il Credo del popolo cristiano o, se si
vuole, è la Bibbia, in immagini e simboli, del Melezet.
Giancarlo
Biguzzi
***
l' articolo è tratto dalla Rivista Trimestrale
L’
Araldo del Piemonte e della Valle d’Aosta
N. 4 - 4° trimestre 2014
(per la cortesia dell'editore)
www.araldopiemontevalledaosta.it
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