LELETTA D’ISOLA, Serva di Dio, ospite bardonecchiese
Figura svelta e minuta, signorile e vispa, che salutava sempre con brio, aveva passato la vita a dare Gesù ai giovani, come insegnante di liceo. Sconosciuta ai più, Aurelia Origlia d’Isola, nata a Torino nel 1926 e tornata a Dio a Saint Pierre - Aosta nel 1993, ebbe con Bardonecchia un certo legame, durato tutta la vita, che merita di essere ricordato, anche perché oggi è Serva di Dio, cioè candidata alla Beatificazione. Quando raggiungerà l’onore degli altari, Bardonecchia – dove Leletta fu ospite in varie occasioni – avrà una patrona in più.
Leletta al Priorato. (foto: Archivio) |
Aurelia Oreglia d’Isola (Leletta) nasce a Torino il 1° aprile 1926. Tutta la sua infanzia è vissuta nel castello avito a Bagnolo Piemonte (Cuneo). Nel 1943-44, con la conoscenza di padre Enrico di Rovasenda O.P., Leletta si converte e si orienta verso l’Ordine Domenicano e decide di studiare filosofia. Si laurea in filosofia all’Università di Torino nel 1950.
Divenuta terziaria domenicana si dedica all’insegnamento: dal 1950 al 1955 a Bra, poi a Chieti e dal 1959 al 1967 al Liceo classico di Aosta.
Dopo il forzato abbandono dell’insegnamento dovuto alle sue condizioni di salute, Leletta è accolta al Priorato di Saint-Pierre dove si offrì di ricevere, accogliere e orientare le persone che da lei aspettavano guida, luce, conforto, consolazione e di condividere in modo gioioso ed eroico i frutti della sua contemplazione. A Saint-Pierre, Leletta conosce il Direttore del Priorato, il can. Commod, che diventa sua guida spirituale fino alla morte del sacerdote (1974) e con lui prega e lavora per l’opera degli esercizi spirituali e condivide il desiderio di avere un monastero di vita contemplativa in Valle d’Aosta.
I tre conferenzieri a Bardonecchia: Alfredo (Dedo) Blanchetti, M. Cristina Margotti,84 Leletta, Maty Blanchetti e don Alberto Prunas Tola. (foto: Archivio) |
1 NORA POSSENTI GHIGLIA, Leletta d’Isola la portinaia del buon Dio, Casa Editrice Ancora di Milano, 2009, p. 5.
Due anni prima, 1987, Leletta promuove la fondazione di un monastero cistercense a Prà ’d Mill (sulle montagne sopra Bagnolo) donando insieme al fratello la proprietà e gli antichi edifici che ne costituiranno il primo nucleo. Oggi la comunità è guidata da padre Cesare Falletti di Villafalletto, anima della fondazione. Leletta muore al Priorato, dopo una lunga malattia sopportata eroicamente, il 18 agosto 1993.
Legami con Bardonecchia
Il “legame” con Leletta fu don Bellando, il quale aveva un fiuto particolare per le anime belle. Da abile tessitore di relazioni e amicizie spirituali ebbe con lei un’affinità spirituale molto forte e lo coltivò fino alla fine dei suoi giorni.
Bazzicando più da vicino, in parrocchia tra gli anni ’80-’90, spesso in sacrestia, nei pellegrinaggi, tra le mani del Parroco e persino delle statue della Madonna, capitavano rosari molto particolari, fatti con semi di zucca o materiale simile, legati con grosso e robusto spago e con dei crocifissi piuttosto grandi, con Gesù ben visibile. Mi è parso di vederne, ancora recentemente, in circolazione. Erano fatti a mano dalla professoressa d’Isola che li inviava a don Francesco tramite pacchi postali o persone che, soprattutto da Torino, frequentavano sia Saint-Pierre che Bardonecchia. Talvolta si potevano anche vedere stretti tra le mani di anziani ed ammalati, portati dal Parroco. Nei frequenti contatti epistolari o telefonici (i primi in occasione delle varie ricorrenze e festività, i secondi per diverse evenienze che si presentavano, soprattutto per esercizi spirituali, incontri e iniziative pastorali importanti come le Sante Missioni) Leletta chiedeva informazioni sulla parrocchia e su persone che mons. Bellando aveva raccomandato alle sue preghiere, o per cui chiedeva qualche consiglio. Mi è capitato più di una volta di prendere io le telefonate e di sentirmi accompagnato dal suo interessamento e dalla sua preghiera. Mi stupiva sempre sentirla perfettamente al corrente, informata di molte cose sulla parrocchia e le sue attività.
La professoressa d’Isola aveva cominciato a venire a Bardonecchia da giovane. Almeno per le notizie documentate che sono riuscito a rintracciare, e la conoscenza con il giovane Parroco don Bellando risale ad allora e si deve alla mediazione del giovane Conte Alberto Prunas Tola di San Salvatore, alunno del Capranica, dove aveva studiato don Bellando. Al Capranica di Roma don Francesco era legatissimo, in particolare al suo rettore mons. Cesare Federici, che venne anche in vacanza a Bardonecchia, presso l’hotel Savoia. Almeno una volta all’anno il Parroco di Bardonecchia vi soggiornava alcune settimane al Capranica, in autunno, durante le sue vacanze romane. Alberto Prunas era allora seminarista e fu lui, amico dall’infanzia con Leletta e la sua famiglia, a presentarla a don Bellando.
Fu così che subito venne lanciata una tre giorni, chiamata di “conversazioni per le persone colte”. Si tennero nel rinnovato salone del cinema Lys (accanto all’albergo Nazionale, al di sotto del passaggio a livello di allora, che accolse, come dice la cronaca del Bollettino di allora «un pubblico colto ed elegante per le riuscitissime conversazioni a carattere spirituale»(2).
Il 23 agosto 1950, lasciamo parlare la nostra fonte: «l’ultima sera la nobile signorina dott.ssa Leletta Oreglia d’Isola ha intrattenuto il pubblico attentissimo sul tema “Stella del mattino”, presentando la figura della Madonna in una luce di spirituale grandezza, spoglia di leggenda, esempio pratico di vita per ogni credente».
La sera prima aveva parlato Prunas e il 21 agosto il dott. Dedo Blanchetti. Il commento finale è che «i giovani conferenzieri hanno saputo attirare tanta simpatia per la loro fresca e profonda esperienza religiosa, sono stati applauditissimi dai presenti e oggetto di vivaci e interessanti commenti».
L’anno seguente, 1951, questa volta presso le Suore del Cenacolo a Villa Amatesi, in via Medail, qualificato centro di vita e attività spirituali, animato dalle Madri del Cenacolo figlie di Santa Teresa Couderc (che quante erano giovani allora certamente ricordano con nostalgia ed edificazione), si tennero ritiri, esercizi spirituali e conferenze. Per quest’ultime, fra molti altri, ritroviamo i nomi di Alberto Prunas Tola e della dott.ssa d’Isola, tornata dunque a Bardonecchia(3).
Futura Beata in una stalla
Questi dati tratti dal Bollettino parrocchiale collimano perfettamente con quanto è descritto nella sua biografia, con qualche particolare meno sacro e più prosaico, avvincente. Quando si descrive la vita nuova che Leletta comincia con l’Anno Santo del 1950, leggiamo: «In gennaio la madre, perché si irrobustisse, la mandò a Bardonecchia nella Casa Alpina di via Roma [che è l’attuale via Giolitti - N.d.R.]. Quella vacanza inattesa, sprofondata nella neve e spazzata dal vento gelido, aveva un sapore di nuovo e di fresco. La mattina andava a Messa e poi, sotto la neve a fiocchi o con il cielo azzurro, faceva camminate. Capitava che dimenticasse di far colazione e che la debolezza la cogliesse durante una “meravigliosa passeggiata fra il bianco e bleu della neve e del cielo” e fosse costretta a bussare a una casetta, chiedendo per favore un po’ di pane perché non aveva fatto colazione... “Ed eccomi installata – racconta lei stessa – in uno stabi (stabbio, luogo dove si tengono gli animali), bellissimo, divorando lardo, burro e formaggio e facendo profondi discorsi sul latte, i pascoli, ecc., con una deliziosa famiglia»(4). Chissà quale era questa “deliziosa famiglia” bardonecchiese che ha accolto e rifocillato questa giovane denutrita che un giorno potrebbe diventare santa. L’inverno era per Leletta momento critico di grande debolezza e spesso doveva mettersi a letto e curarsi con la streptomicina, allora medicamento nuovo.
Nel suo diario inedito, ammetteva: «Giù di salute-psiche l’unica oasi è quel caro Padre Pera» (celebre domenicano professore a Torino). Così si legge ancora nella biografia che anche quell’anno (1951): «La mandarono ancora a Bardonecchia per ristabilirsi in salute, poi finalmente in forze si buttò nel lavoro. Faceva lavori editoriali per la casa editrice Einaudi su richiesta del Professor Serini, traduceva dal francese per don Barra (oggi anche lui, noto prete pinerolese, è Servo di Dio), ricompensata con doni di messalini e breviari»(5).
Quattro presenze documentate, due nel 1950 a gennaio e in agosto, le altre nel febbraio e nell’estate del 1951, a fronte di quelle a noi ignote, ma di cui sappiamo esserci state negli anni.
2 Bollettino Parrocchiale “Bardonecchia”, 1950, p. 16.
3 Bollettino Parrocchiale “Bardonecchia”, 195 1, p. 14.4 Lettera a zia Bibi del 28 gennaio 1950, in Leletta d’Isola, la portinaia del Buon Dio, vedi ref. in nota precedente, p. 135.
5 Diario Inedito di Leletta, 1-2-1951, in cfr. cit. in nota precedente.
Dal 23 giugno 1966, affermata insegnante di filosofia, si era trasferita al Priorato di Saint-Pierre, a pochi chilometri da Aosta e offrì se stessa come “échantillon” (saggio campionario) della Chiesa universale. Il senso ecclesiale, l’amore appassionato per la Chiesa locale e per quella universale, fu una caratteristica della spiritualità di Leletta: soffrì per la Chiesa e di ogni attacco alla Chiesa, delle lacerazioni del post-Concilio e di un tipo di predicazione non sempre sufficientemente attenta a proclamare le verità di fede. A don Tiburzio Lupo scrisse con una sfumatura di umorismo: «Preghi per me, perché veramente l’Amore per la Chiesa mi costi pure sangue, ma non mi faccia fare ... del sang gram!...».
Ogni giorno si svegliava alle 3,30 e nella cappella del Priorato, al freddo nei mesi invernali, si incontrava con il Signore nel dialogo, nell’ascolto, nell’intimità della comunione. Dedicava la mattinata all’allestimento di icone, che poi donava agli amici. In un secondo tempo si specializzò nella confezione di corone del Rosario che donava abbondantemente e che le offrivano l’occasione di parlare di Maria. Durante la mattinata, era anche molto presa dalla corrispondenza, dove trasfondeva la sua ricca dottrina, precise indicazioni spirituali e morali, rivelando una profonda conoscenza dell’animo umano.
Soprattutto nel pomeriggio incontrava le persone, di tutte le età, che si avvicendavano nella sua stanzetta per un colloquio, un dialogo, un conforto. Quando si andava da lei capitava di trovare la fila fuori dalla sua porta con una clientela costituita dall’umanità più varia: conoscenti, amici, ex-allievi, ospiti del Priorato, ma anche gente che veniva da ogni dove, persone malate, con problemi psichici, con depressioni, crisi esistenziali, gravi difficoltà familiari o di ordine economico; c’era chi era nel dubbio o nella ribellione, e c’era chi andava da lei per orientarsi nella ricerca della propria vocazione, per la vita di preghiera ed anche per trattare questioni spirituali e di teologia.
La cercavano anche molti sacerdoti e studiosi nel campo della teologia e della filosofia. Per tutti c’era quella parola chiarificatrice, ispirata dalla fedeltà al Vangelo, dall’insegnamento della Chiesa, dalla fedeltà all’ortodossia che vedeva minacciata da un certo lassismo sia sul piano teologico, sia su quello disciplinare. La sua religiosità era fattiva, intessuta di gesti concreti attenti anche alle necessità materiali di chi veniva da lei. Era dotata di una spontanea simpatia e di una spassosa ironia e autoironia.
Il Card. Georges Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, che ben la conobbe durante i suoi soggiorni estivi al Priorato e che le fu amico, ha scritto: «Aveva un senso acuto delle esigenze della verità. È potuta sembrare ad alcuni intransigente, ma il suo rigore scaturiva dal sapere che la purezza della fede teologale è la pietra preziosa che bisogna difendere prima di tutto nella nostra epoca di grande confusione teologica. Ha sofferto molto della crisi dell’intelligenza cristiana. Le approssimazioni, le imprecisioni, perfino alcune preghiere liturgiche, la ferivano profondamente, perché capiva che l’opera della salvezza viene compromessa quando le anime perdono le luci essenziali»(6).
La d’Isola era un anima di preghiera continua e, grazie ad essa, voleva diffondere il fuoco dell’amore di Dio nel gelo e nell’egoismo del mondo. Diceva spesso: «Un’anima si accende con un’anima accesa».
Le parole che Leletta diceva ai suoi visitatori, venivano scritte nei cuori e hanno lasciato tracce durature soprattutto nel mondo spirituale di chi ha avuto la grazia d’incontrarla.Come in modo incisivo scrive di lei padre Cesare Falletti di Villafalletto, il Priore del Monastero Dominus Tecum di Pra ’d Mill, che la conobbe a fondo: «Consolava perché pregava, e dalla preghiera faceva uscire una parola che salvava».
Don Claudio Iovine
6 GEORGES COTTIER, in Leletta, testimonianze (1993-1996), pp. 87-88, a cura dell’Associazione Amici di Leletta,
Torino 1996. Cfr. Nora Possenti Ghiglia, già citato in nota 1, p. 205.