Interno della Cattedrale |
Il viaggio di circa quattro ore è
terminato poco prima delle undici.
Quindi Don Franco ha celebrato la
Santa Messa in Cattedrale; al termine un sacerdote locale ha fornito in
italiano qualche spiegazione sul monumento.
Il dopo pranzo è iniziato con una
passeggiata guidata nel centro storico della cittadina: il municipio, il teatro,
alcune case a graticcio tra cui l’Hotel Dieu, l’antico ospedale. Qualche
spiegazione anche sui piatti della tradizione locale; l’immancabile patè ma
soprattutto il pollo ruspante (poulet de Bresse) e il formaggio Ble de Bresse.
Visto l’elevato numero di
partecipanti (una sessantina) siamo stati suddivisi in due sottogruppi, ma infine ci siamo ritrovati all’interno della
Cattedrale per un approfondimento storico - artistico.
Ancora un breve tragitto in pullman
verso la meta del nostro pellegrinaggio: il monastero reale di Brou,
all’estrema periferia della città.
Questo luogo di raccoglimento e
di preghiera ci ha subito abbagliato col suo candore, grazie al sole appena
uscito dopo una mattinata di afosa nuvolaglia.
Il complesso fu concepito al
femminile dalla mente, dal cuore e dalla devozione di Margherita d’Austria.
Suoi genitori furono Maria di Borgogna
(figlia unica di Carlo il Temerario) e Massimiliano d’Asburgo imperatore del
Sacro Romano Impero.
Nata nel 1480 a Bruxelles, fin da
bambina ricevette una formazione artistica, religiosa e di savoir faire politico di altissimo profilo.
In quel tempo il maschilismo era
radicato persino a corte: a soli due anni fu promessa al futuro re di Francia. Le
nozze si celebrarono quando lei ne ebbe compiuti tredici, ma presto Margherita
fu ripudiata per ragioni politiche e rimandata al padre.
Il quale non smise di usarla
quale pedina per le sue mire. Presto fu nuovamente data in sposa, questa volta
al figlio del re di Spagna; ma costui, malfermo di salute, morì poco dopo. Qualche
mese più tardi ella ebbe un figlio nato morto, quindi tornò nelle Fiandre.
A soli diciassette anni era stata
due volte sul punto di diventare regina; ma entrambe le esperienze si
conclusero nell’umiliazione e nel dolore.
Nel 1501 sposò Filiberto di
Savoia, in quanto Massimiliano era interessato a quel ducato che controllava i valichi
tra Italia e Francia.
Questa volta i sentimenti prevalsero
sull’aspetto politico del loro legame.
Così scrisse il biografo di lei:
“Il principe Filiberto è nel fiore della giovinezza, bello forte e ricco; a lui
Dio ha inviato Margherita, un prezioso fiore del cielo”. Lui, non a caso, è passato
alla storia come “il bello”.
Dunque tra loro scattò l’amore, quello
dei romanzi e dei film. La coppia scelse di viverlo nella Bresse, evitando le
corti tradizionali dei Savoia: Chambery e Torino.
Ma la favola finì bruscamente
dopo pochi anni: nel 1504 Filiberto morì, probabilmente avvelenato dopo una
partita di caccia.
Margherita, che aveva conservato
i diritti feudali sulla Bresse, volle che il marito fosse sepolto nella zona,
evitando l’ufficialità savoiarda di Altacomba.
Nel 1506, dopo aver ottenuto
l’autorizzazione pontificia ad abbattere una chiesa preesistente, iniziarono i
lavori di costruzione della nuova con annesso convento. Lì desiderava essere
sepolta, accanto al marito e alla suocera.
Ma nello stesso anno il padre le
assegnò la reggenza dei Paesi Bassi, così lei dovette tornare nel nord.
Tuttavia restò innamorata del
marito e non pensò più a risposarsi. Condusse a termine diverse azioni politiche soprattutto in qualità di tutrice
del futuro Carlo Quinto di Spagna, in nome del quale siglò la pace
di Cambrai nel 1529.
Contemporaneamente, seguiva sulla
carta l’avanzamento della costruzione a Brou: altro non desiderava che ritirarsi
lì, dove aveva previsto per sé un appartamento di otto stanze con passaggio
riservato verso la cappella.
Scelse architetti, pittori e
scultori delle Fiandre e l’aspetto dell’abbazia ne risentì: all’esterno come
all’interno trionfa lo stile tardo gotico chiamato fiammingo o fiammeggiante.
Ciò significa grande complessità e raffinatezza di decorazioni, per lo più motivi
vegetali stilizzati. Non sono pochi tuttavia i monogrammi MP (Marguerite –
Philibert) allusivi al loro legame.
I lavori durarono a lungo poiché
il complesso, dedicato a San Nicola da Tolentino, fu consacrato solo nel 1532.
Interno della Cattedrale |
Il complesso è stato realizzato
con una pietra locale chiara che assorbe meravigliosamente la luce, elevando il
visitatore verso ambiti fuori dal mondo. Ho trovato qualche somiglianza col Taj
Mahal, in India; anche se in questo caso fu un imperatore a volerlo in memoria
della moglie.
Come l’esterno, l’interno della
chiesa (grazie alle vetrate non trattate) diffonde una luce bianca da Paradiso
dantesco. Al contrario il pavimento che (ha spiegato la guida) non sopravvisse
al furore antireligioso della Rivoluzione Francese, fu realizzato in piastrelle
colorate di rosso, giallo, verde e blu. Come il tetto.
Doveva essere sublime il
contrasto tra il candido non colore delle pareti e della volta e la vivacità
del pavimento!
La guida ha aggiunto che il
monumento rischiò di essere abbattuto, alla fine del Settecento.
Fortunatamente, qualcuno ebbe l’idea di trasformarlo in fienile, così passò
inosservato e fu risparmiato dalla Rivoluzione.
Oltrepassato il jubè, divisorio in
pietra finemente scolpita che separa la chiesa (accessibile a chiunque) dall’area
riservata ai chierici, ci siamo trasferiti nella parte più intima del complesso,
La presenza del jubè, gli stalli del coro e le vetrate coloratissime fanno sì
che in questo ambiente la luce penetri con toni soffusi, rispettando il riposo
delle sepolture.
Un pittore fu tra i progettisti e
in effetti lo spazio appare suddiviso scenicamente come in una pala d’altare
fiamminga.
Nel mezzo, allineate, ecco le
tombe lucenti di marmo e alabastro emergere nella penombra,
Secondo la moda del tempo,
ciascun monumento funebre è su due piani. Nella parte superiore il defunto è presentato
in veste ufficiale; in quella inferiore il medesimo personaggio si trova come
congelato nella rigidità della morte, spogliato quindi di tutto quanto sia
mondano.
Il nostro sguardo si è soffermato
sui due protagonisti. Sopra, Filiberto appare circondato dai segni della forza
e del potere: un leone accucciato e sei puttini che giocano con le sue armi;
qualcuno di loro regge uno stemma di Casa Savoia.
Nella parte sottostante la sua
figura è semplicemente avvolta da un
lenzuolo funebre.
Accanto, poco distanziata, riposa
la nostra eroina. Così lo sguardo dei visitatori incrocia sullo stesso piano la
testa coronata e il mantello di ermellino di Margherita. Sul suo corsetto, un
medaglione con l’effigie del marito. Il capo giace su un cuscino ricamato con
diversi motivi tra cui la clessidra, segno dello scorrere inesorabile del
tempo.
In basso, il suo volto è
trasformato in una maschera funeraria. Anche se i lunghi capelli sciolti
tradiscono una sorta di nostalgia di quando la bionda principessa era viva.
Adempiendo a un precedente voto
Margherita volle, non lontano dal marito, la tomba della suocera; ai suoi piedi
è accucciato un levriero.
Esiste in questo qualche
assonanza col mausoleo degli Sforza alla Certosa di Pavia.
Si accede infine a un’ulteriore
cappella, dominata da un retablo marmoreo. Dall’alto dell’oratorio superiore,
dotato di caminetto, Margherita avrebbe voluto seguire le funzioni in totale
privacy.
La visita si è conclusa con uno
sguardo ai tre chiostri dell’annesso monastero, originariamente benedettino,
poi agostiniano.
Pur non potendo controllare
personalmente i lavori, la principessa è riuscita a trasformare il suo amore
terreno in qualcosa di eterno: la fedeltà al marito defunto suggellata nell’arte.
Verso sera, mentre il pullman
risaliva l’autostrada della Maurienne sotto un temporale, casualmente mi
voltai; a ovest la tempesta era passata, una luce bianca si era fatta strada ed
ecco apparire due arcobaleni.
Quell’effimero spettacolo della
natura ha come ripreso il progetto di Margherita
a Brou, dove il colore rappresenta la concretezza dell’amore coniugale che
prima o poi ha fine; mentre il candore accenna a un legame che dura per sempre.
Testo e foto di
Guido Alimento
Testo e foto di
Guido Alimento