Perché
non si perda il ricordo di don Serafino
Il papà Achille era cantoniere stradale,
la mamma Luigia Lambert casalinga e c’era pure una sorella, Adele. La vecchia
casa di Vicolo Costamerlino era piccola e angusta, al limite della povertà, ma
la vita era serena, nelle tradizioni del paese, con il soggiorno estivo alla
baita della “Fraita” dove il piccolo Serafino pascolava la capretta, unica
ricchezza della famiglia.
Il Seminario di Susa lo accolse al
termine delle scuole elementari, inviato dal Parroco don Antonio Isolato che
aveva visto nel piccolo Serafino, fanciullo semplice e devoto, i segni della
vocazione al Sacerdozio. Trascorsero gli anni della preparazione nei vari
corsi: medie, ginnasio, liceo, teologia, segnati anche dagli eventi della
guerra, e finalmente il 27 giugno 1947 il vescovo Mons. Umberto Ugliengo lo ordinava
sacerdote.
Alla fine dell’estate, come era
consuetudine allora in cui le vocazioni erano ancora numerose, il Vescovo lo
designava Viceparroco a Bardonecchia, accanto al Parroco mons. Francesco
Bellando: a Bardonecchia rimarrà tutta la vita e mons. Bellando sarà per lui un
padre e un maestro, instillandogli nell’animo l’amore per la liturgia e il
bello. Ricordo i primi approcci di don Serafino con i giovani della parrocchia:
timido e riservato, ma zelante e aperto all’amicizia, disponibile all’aiuto
anche nelle ripetizioni delle materie scolastiche.
Iniziava così il suo ministero in vari campi:
la parrocchia, l’oratorio, la scuola che lo vedrà insegnante di religione per
tanti anni, la cantoria con l’organista prof.ssa Nuccia Mariani e le
impeccabili esecuzioni delle Messe a più voci, soprattutto del Perosi.
In quegli anni ci fu la celebrazione
degli 80 anni della GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) nel 1948 e don
Serafino accompagnò un gruppo di Bardonecchia nella Capitale per delle giornate
indimenticabili, con l’angelica figura di Pio XII, con la figura carismatica di
Carlo Carretto, Presidente Nazionale dei giovani, legato alla nostra Valle, e
migliaia di giovani: i “baschi verdi”.
Nel 1950 altro pellegrinaggio a Roma, in
occasione del Giubileo dell’Anno Santo, sempre con la guida impareggiabile di
mons. Bellando che aveva conoscenza e
amore per la Città Eterna e così anche don Serafino imparò a conoscere la
Capitale nei suoi grandi monumenti e anche negli scorci più nascosti e
significativi della vita e del carattere popolare.
Nel 1954 il Vescovo Mons. Giuseppe
Garneri lo nominava Parroco di Rochemolles: fu quasi un fulmine a ciel
sereno... Gli aveva detto: «Voglio promuoverlo... mettergli una mozzetta sulle
spalle», ma non si trattava solo di un onore bensì di tanti problemi che don Serafino
affrontò con la determinazione silenziosa e fattiva che lo distingueva.
Fece il suo ingresso solenne a
Rochemolles, che allora contava più di un centinaio di residenti, con
l’accoglienza al ponte e il corteo verso la chiesa dalla via del “portico” al
canto del Benedictus. Una foto ritrae visivamente l’evento, nell’atrio della
chiesa con mons. Bellando, don Luigi Garcin, le associazioni con bandiere e
tanta gente.
Iniziava così un ministero che doveva
durare 7 anni, con il problema di unire insieme alla parrocchia l’incarico di
Viceparroco a Bardonecchia. Si trattava tra l’altro di risolvere il problema
della mobilità... Don Serafino non aveva imparato ad andare in bicicletta e
quando un gruppo di signore gli regalò una “Vespa” fece qualche tentativo per
imparare, ma si perse subito d’animo e abbandonò l’impresa. C’erano persone
buone che lo portavano in automobile, ma ben più sovente faceva la strada a
piedi (10 chilometri tra andata e ritorno ) resi più difficili nella stagione
invernale quando sulla strada passava il “radò” trainato dai muli e tracciava
solo una pista sulla strada stessa.
Furono anni di sacrificio ma anche di
impegno pastorale per quella parrocchia che imparò ad amare, contrassegnati da
opere e iniziative fattive: il restauro della chiesa riportata alla purezza
delle sue linee primitive, il decoro delle sacre funzioni, il ritorno di
tradizioni antiche come le “rogazioni” tenute ogni anno nelle varie parti del
paese, secondo la rotazione delle semine.
Chiesa di Maria Ausiliatrice in una foto
degli anni ’40.
Evento impegnativo furono in quegli anni
le Sacre Missioni, predicate con vero zelo apostolico dal Padre Berruti, dei
Gesuiti, Vescovo missionario che aveva rinunciato ai segni della dignità
episcopale e con grande umiltà e fervore predicava la Parola di Dio. Fu un
rifiorire di vita cristiana in una piccola comunità che era stata un po’
abbandonata negli anni precedenti, e la mamma Luigia trascorreva lunghi periodi
nella casa parrocchiale, che don Serafino aveva resa più accogliente con molti
lavori e sacrifici personali, legando bene con le donne della frazione.
Gli anni trascorsero veloci e quando, il
mattino del 26 giugno 1960, celebrava la sua ultima Messa come Parroco e dava
il suo saluto alla comunità, molti avevano le lacrime agli occhi.
Il Vescovo infatti lo aveva nominato
Rettore della chiesa di Maria Ausiliatrice in Bardonecchia, in sostituzione del
can. Alfonso Fontan, e avrebbe portato in questa nuova missione lo stesso
impegno che aveva contrassegnato le altre: zelo per la casa di Dio, il suo
decoro, la bellezza delle sacre funzioni, la cura dei paramenti sacri, dei
fiori che sapeva disporre con tanta cura e proprietà.
In quegli anni a Maria Ausiliatrice
sorse un laboratorio sacro: varie donne si dedicavano alla cura, al restauro e
al confezionamento di paramenti sacri e don Serafino era l’anima
dell’iniziativa con i suoi consigli a la progettazione di nuovi paramenti per
la Messa, allora che si iniziavano ad usare le “casule” al posto delle vecchie
“pianete”.
Ogni iniziativa era in perfetto accordo
con la parrocchia, a cui Maria Ausiliatrice era legata come Succursale, e alla
parrocchia don Serafino non mancava di dare ancora il suo aiuto in varie
incombenze, soprattutto nella direzione della Cantoria. Nel 1982 mancava, quasi
improvvisamente, la mamma Luigia che aveva condiviso con il figlio gli anni di
Rochemolles e poi all’Ausiliatrice.
Col passare degli anni anche la sua
salute divenne più precaria, dovette man mano ridurre gli impegni, sottoporsi a
cure varie e così il nuovo Vescovo di Susa Mons. Alfonso Badini Confalonieri,
nel 2002 decise di sollevarlo dall’incarico di Rettore di Maria Ausiliatrice, nominando
al suo posto mons. Luciano Vindrola. Accettò questo sacrificio come sempre in
silenzio, raramente lasciando trasparire la sofferenza del suo spirito.
Gli ultimi mesi di quell’anno furono un
lento e progressivo peggiorare delle sue condizioni, sempre sereno e
lodevolmente assistito, soprattutto dalla sig.na Liliana Garipoli, fino alla
notte del 27 dicembre quando chiudeva gli occhi.
Il funerale fu dimostrazione dell’amore
di Bardonecchia per questo sacerdote, nella partecipazione numerosa e sentita,
presieduto da Mons. Vescovo e con una ventina di sacerdoti concelebranti: in
ossequio alle sue volontà la Cantoria eseguì, tra l’altro, le Esequie del
Perosi che tante volte aveva diretto. Un corteo di automobili lo accompagnò poi
fino a Novalesa, dove riposa accanto alla mamma.
Una pagina di storia di Bardonecchia che
in quel giorno si à conclusa, ma che non deve cadere nell’oblio: 55 anni di
fedeltà e di servizio a Bardonecchia sono per lui titolo di gloria in Cielo, ma
devono essere per noi segno di un ricordo grato e orante.
don Gian Paolo Di Pascale
Mons.
Claudio Iovine nominato Prevosto di Condove
Ebbi il piacere di conoscere don Claudio
intorno agli anni ’70. Frequentavo, infatti, la Parrocchia di S. Ippolito da
quando, studente universitario, venivo con la mia famiglia in villeggiatura a
Bardonecchia e, in quel periodo, conobbi altri giovani che, nel tempo,
sarebbero diventati sacerdoti: don Alfonso Badini Confalonieri, destinato a
diventare Vescovo di Susa, e don Alberto Pecheux, purtroppo già mancato; tutti
calamitati dal fervore e dallo stile sacerdotale del Parroco mons. Bellando.
Passarono gli anni e, io iniziai la mia
professione di insegnante presso l’Istituto Enologico di Alba, mentre loro si
avviarono nel cammino verso il Sacerdozio. Don Claudio andò a studiare al
Collegio San Tommaso frequentando i corsi di teologia dell’Angelicum a Roma, dove insegnava
il Domenicano padre Spiazzi, amico di Bardonecchia dove è venuto per un
trentennio.
Venne ordinato sacerdote da Papa
Giovanni Paolo II nella Patriarcale Basilica di San Pietro il 12 giugno 1983.
Da Bardonecchia, guidati da mons. Bellando, ci furono un centinaio di persone
presenti alla stupenda celebrazione e ai festeggiamenti dei giorni successivi.
Il Vescovo lo destinò Viceparroco a S.
Ambrogio, ma già l’anno successivo tornò a Roma per completare gli studi. In
seguito, dal 1986 al 1991, collaborò con don Silvio Bertolo come Viceparroco di
Condove, assumendo contemporaneamente anche la nomina di Parroco a Mocchie.
Lasciati questi incarichi pastorali, nel 1993 diventò Pievano di Rubiana,
facendosi apprezzare per le tante iniziative e per lo zelo sacerdotale. È stato
anche Assistente Diocesano dei giovani di Azione Cattolica per dieci anni.
Nel periodo trascorso a Roma aveva
lasciato traccia di sé e, alla fine dell’anno 1997, il Cardinale Bovone, che
era originario di Alessandria, Prefetto della Congregazione delle Cause dei
Santi, lo volle come suo segretario particolare. Un ufficio che confermò anche
successivamente il Cardinale Saraiva Martins. Fu in quel periodo che ricevette
la nomina a Monsignore e, per i suoi meriti e le capacità, dall’anno 2011 fu
nominato Vice Promotore della Fede e, recentemente, nel febbraio 2013, il Papa
Benedetto XVI lo promosse “Relatore”, un incarico delicato e prestigioso.
Il suo animo, che pur contemplava e
ammirava quotidianamente il Cupolone di San Pietro, restava, tuttavia,
fortemente attaccato alle montagne della sua Valle. Un forte richiamo
interiore, divenuto sempre più forte e intenso lo spingeva a vivere il suo Sacerdozio,
come Parroco, a contatto diretto con le anime. Per questo, don Claudio, non ha
esitato un istante quando, al termine dell’estate 2013, il Vescovo di Susa gli
ha proposto di lasciare Roma, il Vaticano, per assumere l’incarico di Prevosto
di Condove. Lo dirà lui stesso, con entusiasmo, nel corso del saluto rivolto ai
parrocchiani nel giorno dell’ingresso sabato 26 ottobre: «... fino ad ora
cercavo i Santi nelle carte, nelle testimonianze processuali, nei documenti,
nelle prove; ora sono mandato a cercarli qui, sul campo. Prima stavo con i
“santi di carta”, ora vengo inviato ai “santi in carne e ossa”, per così dire,
che siete voi, carissimi e amati parrocchiani di Condove, Mocchie, Frassinere e
Maffiotto ...».
Il Cardinale Amato, attuale Prefetto
della Congregazione, con rammarico, in considerazione delle capacità e
dell’esperienza di don Claudio, dopo 16 anni e 10 mesi di permanenza a Roma,
acconsente al suo ritorno nella Diocesi di Susa.
La Parrocchia di S. Pietro in Vincoli di
Condove venne istituita nell’anno 1717 e don Claudio è il 12º Prevosto. In pari
tempo dovrà occuparsi anche delle Parrocchie di Mocchie, Frassinere e Maffiotto
con le loro 75 frazioni montane.
Don Claudio sulla sede in presbiterio. |
Nelle parole, pronunciate al termine
della Messa, nella chiesa gremita di fedeli, con il Vicesindaco dott. Emiliano
Leccese, innumerevoli labari e gagliardetti appartenenti a tutte le
Associazioni religiose e civili di Condove, don Claudio ha avuto un pensiero
speciale e riconoscente per mons. Bellando, che aveva coltivato la sua
vocazione, ed anche per don Luigi Crepaldi, per «la sua finezza liturgica che
ci ricorda che esiste una “ars celebrandi” che noi sacerdoti dobbiamo coltivare
perché le nostre celebrazioni non diventino degli shows...».
Il saluto del Vicesindaco, dott. Emanuele Leccese. |
Un saluto particolare lo riserva per le
Suore di Casa Teresa Grillo Michel giunte da Roma, dove aveva svolto l’incarico
di Cappellano della Casa di Riposo da loro diretta.
Un sontuoso ricevimento ha concluso la
giornata in un clima di fraternità ed amicizia.
Don Claudio ha poi proseguito il suo
colloquio con i nuovi parrocchiani nell’omelia della domenica, citando, tra gli
altri, il Beato Giovanni Paolo II, il Beato sacerdote Cura Brocero, “il Curato
d’Ars dell’Argentina”, che incentrò la sua azione pastorale nella preghiera,
nella celebrazione della Messa, nell’Adorazione Eucaristica, nelle Confessioni,
negli Esercizi Spirituali ed anche il S. Giuseppe Benedetto Cottolengo con la
sua nota giaculatoria: «Vergine Maria Madre di Gesù fateci Santi».
In questa espressione è riassunta la
missione di ogni Parroco posto a servizio del gregge: «fare i santi in carne e
ossa».
Marco Rissone
Don Claudio torna in Valle dopo quindici
anni
Sacerdote dall’anno 1983, dopo i primi
anni di ministero in Diocesi, era stato chiamato a Roma dove, da oltre quindici
anni, divenuto monsignore, era impegnato presso la Congregazione per le Cause
dei Santi. Mentre l’estate 2013 volgeva al termine, trovandosi la Parrocchia di
Condove vacante, il Vescovo propose a don Claudio di diventare lui Prevosto di
San Pietro in Vincoli. Con ammirevole disponibilità subito rispose:
«È da qualche tempo che pensavo di
tornare a fare il Parroco e a vivere di nuovo a servizio del gregge di Dio».
Offerta questa sua disponibilità, torna
a Roma per un paio di mesi per chiudere varie pratiche di Beatificazione,
trovando il dispiacere per questa sua scelta da parte dei Superiori del
Dicastero. «Erano contrari e mi dissero che se avessi cambiato parere mi
avrebbero trattenuto a Roma, ma sentivo in me questa chiamata a tornare di
nuovo “pescatore di uomini”», afferma don Claudio, e conclude: «Mi hanno
permesso di rientrare in considerazione della situazione di crisi di sacerdoti in
Diocesi e per il mio desiderio». L’ultima Beatificazione è stata quella del
Seminarista 14enne Rolando Rivi di Modena, a inizio ottobre. La domenica
seguente saluta le Suore di Casa Teresa Grillo Michel e le ospiti del
Pensionato di cui è stato in questi anni Cappellano.
Fa ingresso a Condove nel pomeriggio di
sabato 26 ottobre, accolto dal Vescovo, da numerosi sacerdoti, da tanti amici,
associazioni, numerosissimi fedeli, da ex parrocchiani di Rubiana, dell’Alta
Valle e da una rappresentanza di Cavour, dove vi sono i suoi parenti da parte
di mamma.
«Dio non abbandona mai il suo popolo –
dice don Claudio rivolgendosi per la prima volta ai nuovi parrocchiani – oggi
per me è una sorpresa stare fra voi, e voi lo siete per me... il Beato Giovanni
XXIII ci ricorda che la Chiesa non è un museo da conservare, ma un giardino da
coltivare... negli anni passati a Roma ho avuto la grazia di lavorare in una
parte scelta di questo giardino, di conoscere la vita dei Santi che sono già in
Paradiso... adesso sono con voi a lavorare in un’altra parte dello stesso
giardino, per fare crescere la santità qui, sul campo».
Ricorda inoltre che una raccomandazione
di Papa Francesco è che le chiese restino aperte e questa è un’altra
preoccupazione del Parroco: «Vorrei allestire una piccola Cappella
da lasciare sempre accessibile per la preghiera personale davanti al
Tabernacolo».
Si è rivelata una giornata importante
anche per l’Alta Valle, soprattutto da Bardonecchia, Melezet e Savoulx sono
arrivate tante persone al suo ingresso parrocchiale, stringendosi accanto per
un augurio sincero. Numerosi fedeli e giovani sono venuti anche da S. Ambrogio
e Rubiana, rimasti fortunatamente legati a don Claudio.
Danilo Calonghi
I
Frati a Bardonecchia
l Convento “San Francesco” di
Bardonecchia venne fondato nel 1936 per volontà della signora Margherita Bono
sul terreno donato dal Cav. Luigi Visetti con la consorte Teresa. L’impresa
Visetti ne curò la costruzione. Tra i primi Padri ricordiamo p. Celestino
Gennaro, p. Fedele Provera e p. Ruggero Cipolla. Al Convento è annessa una
Cappella dedicata a San Francesco d’Assisi con opere di scultura di p. Davide Formiglia.
Per lo sviluppo della zona, un tempo
solo pineta, è stata costruita una nuova chiesa nel 1976 su progetto dell’ing.
Groppi. È in stile moderno e armonizza bene l’ambiente che l’accoglie:
nell’entrata é la suggestiva fontana bronzea dedicata a S. Francesco e il lupo.
Il piccolo campanile in stile cinese è pure opera di p. Davide.
Nei giorni 1-5 aprile 2013 si è svolto
presso la Casa S. Francesco il Capitolo Provinciale dei Frati Minori del
Piemonte. È un momento di comunione e confronto, di verifica del cammino
percorso e di progettazione del futuro. In questa riunione sono anche eletti i
frati chiamati a condurre la vita e missione della Provincia. Sotto la
presidenza di fra Bruno Miele, delegato del Ministro Generale dell’Ordine, sono
stati scelti: fra Maggiorino Stoppa (Ministro Provinciale), fra Fedele Pradella
(Vicario), e come consiglieri: fra Giuliano Selti, fra Mauro Zella, fra
Gabriele Cadorin Romano e fra Francesco Pasero.
La presenza del Capitolo Generale a
Bardonecchia è, senza dubbio, da considerarsi un segno di vitalità del Convento
e nessuno poteva prevedere che di lì a pochi mesi, appena conclusa la stagione
estiva, potessero cambiare così radicalmente le cose. La già esile presenza,
saltuaria, per il servizio religioso festivo e nei periodi di turismo data da p.
Mauro Zella, con la fine del mese di agosto 2013 è rimasta sospesa. Padre
Mauro, infatti, ha dovuto trasferirsi al Convento del Monte Mesma, come
superiore di quella comunità di frati, e Bardonecchia, non ha più potuto avere,
dopo di lui, nessun frate per questo Convento.
I Padri Capitolari riuniti a Bardonecchia: nella seconda fila, in centro, è fr. Maggiorino Stoppa eletto nuovo Provinciale dei Frati Minori del Piemonte. [foto Archivio] |
A raccontarci della chiusura – si spera
momentanea – del Convento sono fra Mauro e fra Maggiorino: «Casa San Francesco
è attualmente chiusa. La struttura è stata data in gestione alla
cooperativa”Liberi tutti”. Purtroppo non è stato possibile gestire nemmeno
part-time la parte pastorale, quindi restano sospese le Messe e tutte le
funzioni religiose».
Continua fra Mauro: «... Amo Bardonecchia
come molti dei frati della mia comunità, ma ho dovuto sospendere il mio
servizio perché sono stato trasferito sul Lago d’Orta. Per ora è tutto nelle
mani dei nuovi Gestori ma conserviamo il desiderio di potere, un giorno,
tornare anche noi».
La chiusura del Convento ci rattrista
molto. Preghiamo perché al più presto possa tornare ad essere vivo!
La chiesetta dei Frati a Bardonecchia
I “nostri” frati, ci hanno lasciato.
Temporaneamente.
Nella speranza di un loro prossimo
ritorno, ripercorriamo un po’ la storia della loro presenza.
La presenza di una fraternità di Frati
Minori nel nostro Convento è stata ininterrotta dal 1936 al 2006. Settant’anni
che in modo diverso, hanno segnato la storia della parte di Bardonecchia più
vicina a Campo Smith. La chiesa è stata frequentata soprattutto da affezionati
villeggianti “stanziali”, e ha offerto un luogo di preghiera tranquillo e
accogliente nella parte del paese più lontana dalla Parrocchia di
Sant’Ippolito. L’orario delle Messe e delle celebrazioni è stato sempre attento
alle necessità degli sciatori e a tutti gli sportivi che giungevano con il
treno della neve. Nel tragitto dalla stazione a Campo Smith, erano tanti quelli
che si fermavano qui per una sosta di preghiera a quel Creatore, che poi avrebbero
celebrato nella natura.
Il Convento francescano di Viale della
Vittoria. [foto Archivio]
Il Convento era stato edificato subito
dopo la costruzione della Colonia Medail, come luogo di vacanza e di studio
estivo per i novizi dell’Ordine dei Frati Minori, allora molto numerosi. Dato
poi il clima particolarmente favorevole, anche i frati con qualche acciacco vi
trovavano, con il riposo, tutti i benefici dell’aria buona di montagna.
Il luogo di preghiera era la piccola
Cappella che si trova al pian terreno, nella zona più a ovest dell’edificio.
Negli anni, per il sempre maggiore afflusso di turisti verso i campi di sci,
non era più sufficiente; così per iniziativa di p. Marcello fu costruito il
nuovo edificio.
L’inaugurazione
della nuova chiesa, così come la conosciamo oggi, è avvenuta nel 1975. È uno
spazio sacro moderno e accogliente, protetto dal grande crocifisso ligneo della
Val Gardena che definisce l’ambiente di montagna.
Già dall’anno 2006 il Convento non è più
stato abitato da una fraternità stabile, seppure minima, di frati. La Famiglia
Francescana provinciale piemontese – colpita tra l’altro anche nella comunità
di Belmonte nel 2008 dai noti fatti di cronaca che ne hanno ulteriormente
aggravato la situazione numerica – era però riuscita ad assicurare le
celebrazioni festive e l’apertura della casa nei mesi estivi, a Natale e Pasqua
nella casa di Bardonecchia. Anche per la festa di San Francesco la celebrazione
coinvolgeva la comunità di Bardonecchia con solennità e amicizia. Per tutto
questo periodo l’accoglienza dei gruppi e dei singoli era proseguita anche con
il sostegno di volontari che, per quanto possibile aiutavano nel gravoso
compito fra Mauro che “francescanamente” svolgeva, in questi anni, anche un
impegno parrocchiale in città nei giorni feriali.
Ora, con la fine dell’estate la chiesa
di San Francesco ha le porte chiuse. La Casa di ospitalità sarà prossimamente
gestita da una cooperativa, che proseguirà nell’accoglienza dei gruppi e dei
singoli che ricerchino un’oasi di pace e di spiritualità. Ad oggi (inizio di
dicembre) non è possibile fare previsione a riguardo delle celebrazioni per i
mesi futuri.
Le vocazioni alla vita religiosa per i
Frati Minori sono molto esigue e la prospettiva sarà, per l’Ordine Francescano
dei Minori, una unificazione delle Provincie del Nord Italia nel 2016. Ma i
Frati della Provincia piemontese sono molto legati alla casa di Bardonecchia e
sperano che in futuro sia loro consentito tornare a vivere pienamente nel
Convento della nostra città.
Anna Maria Bellet
<<<>>>
E’ nella famiglia fondata sul matrimonio
e aperta alla vita che la persona sperimenta la condivisione, il rispetto e
l’amore gratuito, ricevendo al tempo
stesso, dal bambino al malato, all’anziano, la solidarietà che gli occorre. Ed
è ancora la famiglia a costituire il principale e più incisivo luogo educativo
della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per
aiutarli a trarre fuori il meglio di sé ... La famiglia, cellula originaria
della società è pertanto radice che alimenta non solo la singola persona, ma anche
le stesse basi della convivenza sociale
BENEDETTO XVI (22 settembre 2012)
(da:
“I valori fondanti e l’etica per la società della globalizzazione”, di Antonino
Giannone, Ed. Mazzanti VE)
La
Cappella del Cimitero intitolata a Maria Regina del Cielo e della Terra
Nel pomeriggio di giovedì 22 agosto,
memoria liturgica di Maria Regina, si è celebrato al Cimitero un rito,
particolarmente suggestivo, per l’intitolazione della Cappella a Maria Regina
del Cielo e della Terra, con l’inaugurazione della nuova statua in suo onore.
La memoria odierna, di origine devozionale, fu istituita nel 1955 da Pio XII.
Viene celebrata a pochi giorni dalla solennità dell’Assunzione. Maria,
partecipe della gloriosa regalità universale del Cristo, è proposta come
modello e segno di speranza per i cristiani, che già in virtù della dignità
regale del Signore nel Battesimo, sono chiamati a regnare eternamente con lui.
Ella è Regina perché eccelle su tutte le creature, in santità: «In lei s’aduna
quantunque in creatura è di bontade», dice Dante nella Divina Commedia.
La regale statua della Madonna, con in
capo la corona, era stata esposta in chiesa parrocchiale domenica 18 agosto ed
oggi, all’arrivo dei fedeli al Cimitero, è collocata, di fronte alla grande
croce, tra le tombe dei nostri cari. Tutti si ritrovano accanto a lei, come ci
si pone accanto ad una madre, sentendo, quasi palpabile, la sua protezione,
poi, al canto delle Litanie attinte dal Rito dell’incoronazione, si snoda una
raccolta e devota processione, all’interno del Cimitero, passando accanto a
ogni tomba, quasi a volere chiedere a Maria “portinaia del Paradiso”, secondo
l’espressione del Curato d’Ars, di raccogliere le anime di tutti i defunti per
condurle in Cielo.
Sono i familiari del compianto geom.
Mario Rossetti a portare a spalle la statua in processione, in quanto il suo
acquisto si è reso possibile usufruendo della cifra destinata in sua memoria da
amici, conoscenti, colleghi e familiari, lo scorso anno, quando improvvisamente
era mancato all’affetto dei suoi cari. (cfr. Bollettino 2012, pag. 147).
Si è trattato di un momento commovente e
interiormente arricchente per la nostra vita di fede. Poi la statua, al canto
del Magnificat, è collocata in Cappella, su elegante mensola, predisposta dalla
falegnameria di Andrea Mainardi. «O Dio, che alla tua Chiesa pellegrina nella
fede, hai dato in Maria Vergine, l’immagine della futura gloria, concedi ai
tuoi fedeli, che ti presentano questa Icona, di poter sempre alzare gli occhi
con fiducia verso di lei, fulgido modello di virtù, per tutto il popolo degli
eletti».
«Maria Regina è proposta come modello e
segno di speranza per i cristiani, che rivestiti della dignità regale del
Signore nel Battesimo, sono chiamati a regnare eternamente con Lui». [foto G.
Malavasi]
Nei giorni precedenti il sig. Michi
Negro aveva voluto ripulire la facciata dell’edificio sacro e renderla
maggiormente luminosa, applicando anche la targhetta, a lato della porta, che
identifica il luogo: «Cappella del Cimitero dedicata a Maria Regina del Cielo e
della terra». Le signore Erosia Sacco e Rita Simiand hanno provveduto, come
sempre, alla pulizia della Cappella e le fioraie del “Tempietto” Stefania e
Gianna Bianchi, hanno offerto la decorazione floreale per l’altare e per la
portantina della Statua, usata durante la processione.
L’iniziativa ha riscontrato largo
apprezzamento e, da oggi ogni anno, il giorno 22 agosto, celebreremo la festa
della Cappella del Cimitero con la Messa di suffragio per tutti i fedeli
defunti e le anime del Purgatorio in aggiunta alle Messe del primo lunedì di
ogni mese celebrate da maggio a ottobre.
Per completezza di cronaca, desidero
aggiungere che l’attuale Cimitero con la sua Cappella venne benedetto dal
Parroco mons. Agostino Rousset nell’anno 1931, in sostituzione del precedente,
che aveva spazio appena fuori l’abitato di Borgovecchio, non lontano dal ponte
in cima a Via Medail. Con l’espansione del paese, giustamente, le autorità
comunali dell’epoca avevano pensato di identificare un’area cimiteriale adatta
ai nuovi tempi. Questo antico Cimitero sostituiva, a sua volta, l’uso della
sepoltura dei defunti che, precedentemente, ovunque, anche a Bardonecchia,
avveniva sia all’interno che immediatamente all’esterno e attorno alle chiese.
Si
chiamava Ferruccio (1935-1982)
Eravamo fratelli. Abbiamo lavorato anche
molti anni assieme e sono contento di non avere interrotto il nostro sodalizio
che è durato tutta la vita.
Ci volevamo bene, operavamo nel settore
dell’imprenditoria edile, ma cosa ricordo con più rimpianto, è la sua stretta
di mano. Ci stringevamo la mano sovente, dopo un po’ di giorni che non ci si
vedeva, in occasioni di accordo comune, o, anche solo per il piacere di
rivedersi.
Me la ricordo anche adesso la sua
stretta di mano, e sono già passati più di trent’anni! Sapeva di franchezza, di
fiducia, di stima.
Credo che non la dimenticherò
facilmente, anche perché mi succede raramente di sentirla trasmessa da altri,
qualche volta un poco sì, anche se meno intensa.
Ma ora lasciamo Ferruccio, e torniamo a
Bardonecchia.
Parrebbe che stia saltando di palo in
frasca, ma non è così e adesso vedremo perché. Io l’ho sentita in questi
giorni... Eravamo al Cimitero il 22 agosto, quella camminata in Processione,
ora ci vedo molto meno, avevo paura d’inciampare nel percorso ed altre
insofferenze, ma sono andato avanti. Seguivamo Lei, la Madre. Non c’erano
incertezze. Chi lo direbbe?... Eppure!! Era Lei la “Maria Regina del Cielo e
della Terra”. Ora è lì con tutti i “Nostri” che abbiamo salutato come si deve
quel giorno. Senza contare il saluto del nostro Parroco che poi ho avuto il
piacere di ringraziare, seguito da una moltitudine di parrocchiani.
Giuseppe Bernardi
Una
memoria ritrovata: la Croce Processionale del 1442
La Croce Processionale in argento
sbalzato, cesellato, inciso e parzialmente dorato, è un magnifico esempio di
oreficeria tardo gotica, datata sull’impugnatura 1442 (il prof. Giuseppe Romano
nell’articolo pubblicato nel catalogo “Valle di Susa dall’XI al XVIII sec.”, a
pag. 5 propone la data del 1413, da una prima e sommaria indagine compiuta dopo
il ritrovamento pareva databile 1432, mentre in fase di restauro è apparsa
leggibile, sull’impugnatura, la data 1442, alla quale ora la Soprintendenza fa
fede nei suoi documenti), assegnabile ad una bottega orafa franco-piemontese, è
realizzata in argento, applicato con chiodi ad un’anima di legno.
I bracci, con incrocio potenziato da un
elemento quadrangolare, hanno terminazioni polibole, con sferette a spicchi; il
nodo è in rame dorato, con placche di smalto.
Le figure, realizzate a sbalzo e
applicate sul fondo liscio, sono distribuite secondo l’iconografia
tradizionale, con il Crocifisso a capo chino e i fianchi cinti posto
all’incrocio dei bracci, tra l’Addolorata, a sinistra, e San Giovanni
Evangelista, a destra, entrambi presenti a figura intera,
in ginocchio in alto vi sono il Redentore e, in basso, il Cristo Risorto che
esce dal sepolcro. Sul verso, al centro è raffigurato l’Agnus Dei, mentre nelle
quattro terminazioni ci sono i simboli degli Evangelisti: l’aquila (Giovanni),
il toro (Luca), il leone (Marco), l’angelo (Matteo), ciascuno recante un
cartiglio col nome. Negli spazi liberi da figure, sono applicati elementi
vegetali. Il nodo, coevo e probabilmente originale, è a sfera schiacciata con
rilievi a losanghe, con sei placchette quadrangolari in smalto con figure,
presumibilmente, riferentesi a San Giovanni Battista, Sant’Ippolito (figura di
un martire), San Lorenzo, San Pietro, San Paolo e lo stemma dei Visconti de
Bardonnéche (divenuto stemma della città).
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La magnifica croce fresca di restauro, con sullo sfondo l’antico coro monastico e il Retable lucente del suo oro. [foto E. Boanelli]
La croce, rubata dalla parrocchiale di Bardonecchia nella notte del 26 marzo 1971, è stata rinvenuta – nel corso di una perquisizione effettuata dai Carabinieri del Nucleo per la tutela del Patrimonio Culturale di Roma – in una villa privata della Capitale nella primavera del 2012 e riconsegnata alla proprietà nel corso di una solenne celebrazione tenuta il 13 agosto del medesimo anno. Il restauro, effettuato nel mese di giugno 2013 dalla restauratrice Valeria Borgialli, è avvenuto sotto la direzione della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, nella persona della dott.ssa Valeria Moratti e interamente patrocinato dalla “Fondazione Cav. Mario e Anna Magnetto”. In fase di restauro è apparso un sepolcreto ricavato nell’anima lignea, coperto da lamina d’argento, in prossimità del capo del Crocifisso, contenente un cartiglio ed un piccolo involto in seta gialla che contiene la Reliquia (non meglio identificata).
La preziosa croce, dal mese di gennaio
al mese di marzo 2014, è stata esposta al Palazzo del Quirinale di Roma – residenza
del Capo dello Stato – in una mostra di alto livello dal titolo “Una memoria
ritrovata”, e inserita in un elegante catalogo d’arte.
■
Restaurata
la Cappella delle Grazie in memoria di Elena Balestra Torta
Interno della Cappella Madonna delle Grazie |
Al fine, invece, di quanto desidero scrivere
in questa paginetta, vorrei ricordare che, pur avendo in animo da vario tempo
il desiderio di rendere più grazioso l’edificio, la decisione s’è presa quando
i familiari della compianta signora Elena Balestra Torta – villeggiante
affezionatissima di Bardonecchia – in sua memoria hanno espresso il desiderio
di «fare qualcosa che restasse nel tempo».
La mia immediata proposta di porre lo
sguardo sulla chiesetta di Cime d’la Viere è stata immediatamente accolta con
entusiasmo.
Questa prima generosa donazione,
successivamente integrata attingendo alle disponibilità della chiesa in
considerazione della notevole spesa prevista, ha permesso di dare l’avvio ai
lavori: il nuovo tetto di lose come in origine, sostituendo le antiestetiche
lamiere; le grondaie; la tinteggiatura esterna e interna; l’elettrificazione
del lampadario alimentato da un pannello solare che permette anche il funzionamento di due lampade votive
poste ai lati della statua della Madonna, sono tra i lavori più evidenti.
Il progetto – presentato alla competente
Soprintendenza e al Comune per le necessarie approvazioni – è opera dello
Studio Arch. Mainardi, che si è avvalso della collaborazione dell’ing. Mauro
Taragna e del geom. Massimiliano Vinassa per le parti di loro competenza.
L’impresa edile che ha compiuto i lavori
è la Cogribe di Paolo Grimaldi. La decorazione è opera della Ditta Bruno
Romanello. Le opere di falegnameria delle Ditte Paolo Avidano di Savoulx e
Andrea Mainardi di Bardonecchia. La parte elettrica è stata compiuta con opera
di volontariato da Angelo Balsamo.
Per un resoconto economico definitivo
mancano ancora alcune fatture da porre in conteggio.
L’inaugurazione avvenuta nella mattinata
di mercoledì 28 agosto ha registrato la presenza di numerosissimi fedeli,
suscitando in loro parole di lode e di vivo apprezzamento per quanto compiuto.
La Madonna delle Grazie benedica
Bardonecchia!
d.F.T.
I
terreni della Cappella del Ciafau
«Inventaire
des biens et revenues de la chappelle S.te Catherine des Chaffaux hameau de la
parroisse de Bardonnéche, chappelle succursale dont Mons. le Curé de la
parroisse est recteur né».
Così come le chiese, anche le Cappelle
potevano possedere terreni i quali erano frutto di secolari lasciti
testamentari per devozione o per adempiere ad un voto. Si trattava in genere di
appezzamenti di superficie non estesa che venivano ceduti in affitto con
pagamento in denaro o in natura (fieno, cereali, ecc.). Tali rendite, sottratte
le imposte, servivano in genere per celebrare Messe, ma anche per la
manutenzione della Cappella o per dotarla di ornamenti o arredi sacri. La
gestione dei beni era affidata ad amministratori che potevano essere il Parroco
o altri religiosi o varie figure di laici (procureurs, recteurs, ecc.).
Dai catasti possiamo ricavare una
cronistoria dei beni immobili posseduti da ogni Cappella nelle varie epoche,
catasti che riportano per ogni appezzamento il luogo, la qualità di coltura
(prato, campo, ecc.), la superficie in misura locale e il reddito catastale.
Sui vecchi catasti inoltre, per ogni terreno sono segnate le particelle
confinanti (à bize, au lévant, à midi, au couchant, au pied, dessus, dessous)
con i rispettivi proprietari. Ad esempio, da un inventario dei beni e redditi
della Cappella con data 18 aprile 1729, risultavano i seguenti appezzamenti di
terreno per una superficie totale di circa 11.700 metri quadri:
1) «une terre aux Traverses derrier les
Chaffaux» di 64 tese, con rendita catastale di 4 denari e frazioni di denaro
(la tesa di Bardonecchia corrisponde a 3,799 metri quadri);
2) «une terre en la Grangette dessus les
Chaffaux» di 105 tese, gravata di 10 denari e 1/4 di pitte;
3) «un pré e terre en la Grangette» di
731 tese più una javidonnée di incolto, in estimo a 2 soldi, 6 denari e
spiccioli;
4) «une terre a Pras Laurens» di 130
tese, in estimo a 7 denari e spiccioli;
5) «un pré aux Cellerieux» di 454 tese,
in estimo a 8 denari e spiccioli;
6) «un pré aux Saignieres» di 170 tese,
in estimo a 5 denari e spiccioli;
7) «un pré en Calamelin» di 1295 tese,
in estimo a 2 soldi, 11 denari e spiccioli.
In un elenco dei fondi della Cappella
del 1758 troviamo gli stessi appezzamenti con le superfici espresse in multipli
di tese: la seterée (= 400 tese quadrate) e la javidonnée (= 25 t. q.). Ancora
oggi i terreni conservano gli stessi toponimi di allora.
Le monete di riferimento sono il soldo
(20 soldi = 1 lira), il denaro (12 per un soldo), l’obolo (2 per un denaro) e
la pitte (2 per un obolo).
Alcuni decenni dopo, anno 1807 in
periodo Napoleonico, tra le proprietà terriere della Cappella figurano altri
tre appezzamenti a campo.
Tuttavia il numero dei terreni è ancora
aumentato come risulta dall’inventario dei beni immobili appartenenti alla
Parrocchia di Bardonecchia e alle Cappelle, redatto nel 1851 in occasione della
vendita all’asta dei medesimi per far fronte alle spese per la ricostruzione
della chiesa parrocchiale. In tale data ai sette già elencati si aggiungono i
seguenti cinque:
1) «une
terre au dit lieu des Grangettes» di 478 tese;
2) «une terre nello stesso luogo» di 187
tese;
3) «une
terre en Serre Bertra» di 244 tese;
4) «une
terre en Routes des Mottes» di 355 tese;
5) «une terre sur les maisons des Chaffaux» di
137 tese.
In totale pertanto alla data del 1851
gli appezzamenti di proprietà della Cappella risultavano 12 per una superficie
totale di circa 18.605 metri quadri.
Emy Bompard
Celebrazione
estiva di San Bartolomeo alle Grange Vernet (24 agosto 2013)
La borgata di montagna delle Grange del
Vernet si erge sulle pendici della Melmise, a destra del Vallone del Fréjus, un
tempo forse la più popolosa tra le borgate della conca di Bardonecchia. Molte
famiglie vi abitavano tutto l’anno, tra di esse i Durand, i Vallory, gli
Ambrois, gli Yves, i Sereno, i Bompard. Il Vernet era dotato di un forno per il
pane e di una scuola elementare che funzionò fino all’anno 1930 circa e le cui
lezioni si svolgevano, a quanto pare, proprio nel locale dello stesso forno: un
maestro e uno degli ultimi abitanti a lasciare la borgata fu Antonio Vallory,
nonno di Piero e Laura Vallory, mentre l’ultimo insegnante che vi lavorò fu il
sig. Bertot, di Pragelato. Il Vernet fu anche l’ultimo villaggio di montagna
della conca che si spopolò nel corso del secolo scorso.
Cappella
di S. Bartolomeo al Vernet. [foto R. Chareun]
Le tappe di preghiera hanno animato la
salita fino a giungere alla Cappella, dove è stata celebrata la S. Messa da don
Franco, con la distribuzione del pane benedetto, quest’anno offerto dalla
famiglia Gerard-De Costanzo. Al rito della S. Messa è seguita una dolce e
corroborante colazione, con pane e con il miele prodotto dalla famiglia
Gerard-André.
L’Archivio Parrocchiale conserva alcuni
documenti redatti in francese che ne attestano la fondazione all’anno 1608, e
sono corredati da resoconti relativi alle dotazioni della Cappella, facente
parte, come tutta la conca di Bardonecchia, della Prevostura di Oulx.
Nel corso di questi ultimi anni la
Cappella è stata oggetto di restauri, in particolare nel 2013 è stato posato il
nuovo pavimento in legno, per opera di Federico Sereno, Piero Vallory e del
sig. Nino.
Al suo interno è possibile ammirare un
quadro raffigurante San Bartolomeo, opera del pittore Serafino Geninetti e dono
della famiglia Sereno in ricordo della loro Elena. Bartolomeo fu Apostolo e
Martire: così chiamato nei Vangeli sinottici, mentre nel Vangelo di Giovanni è
chiamato con il nome di Natanaele. L’etimologia del nome Bartolomeo deriva
probabilmente dall’aramaico «bar», figlio, e «Talmai», il valoroso, e si
identifica così come il patronimico, mentre Natanaele sarebbe, secondo gli
studiosi, il nome vero e proprio, ed in ebraico significa «dono di Dio».
Nacque a Cana, in Galilea e prima della
chiamata di Gesù era forse un pescatore, ma le fonti storiche relative alla
storia della sua vita, delle sue opere e del suo martirio, sono purtroppo
confuse e contraddittorie, e spesso si incrociano con eventi leggendari e,
dunque, non attendibili.
Secondo il Vangelo di Giovanni,
Bartolomeo, forse già appartenente alla cerchia del Battista ed amico di
Filippo di Betsaida, fu da quest’ultimo introdotto a Gesù allorquando il Messia
si recò in Galilea dopo aver chiamato a sé i primi discepoli. Narra l’Evangelista
che Natanaele si dimostrò inizialmente alquanto scettico ma tuttavia, quando
giunse al cospetto di Gesù, quest’ultimo ne superò la diffidenza esclamando «Ecco
davvero un Israelita in cui non c’è falsità» e narrando un episodio della sua
vita che Gesù conosceva grazie alla sua onniscienza: Natanaele ne rimase
sgomento, ma invaso dal fervore di aver veramente incontrato il Figlio di Dio.
Gesù gli disse, e disse a tutti i presenti: «Vedrai
cose ben più grandi di queste ... vedrete il cielo aperto, e gli angeli di Dio
ascendere e discendere sul Figlio dell’Uomo». Tre giorni dopo ci furono le
nozze di Cana e anche il nuovo Apostolo assistette alla conversione dell’acqua
in vino.
Da quei momenti Bartolomeo rimase
accanto a Gesù fino al termine della sua vita terrena ed alla Pentecoste,
l’Assunzione al cielo, ed il suo nome compare negli Atti degli Apostoli
nell’elenco dei dodici inviati da Cristo a predicare dopo la sua Risurrezione.
Ma, come scritto in precedenza,
dell’attività apostolica di Bartolomeo dopo la Pentecoste non si hanno notizie
certe, ne parlano le leggende che lo vogliono missionario e predicatore
itinerante in varie regioni del Medio Oriente, e forse fino in India,
Azerbaigian, Mesopotamia e Armenia, itinerario durante il quale guarì malati ed
ossessi.
Tali narrazioni tradizionali si
configurano certamente come un tentativo, un modo per spiegare l’espandersi del
Cristianesimo in luoghi anche molto remoti.
Le stesse leggende ne narrano il
martirio, crudele e tremendo, avvenuto forse in Siria o in Armenia: in Oriente
si ritiene che sia stato crocifisso, mentre nell’Occidente cristiano si
tramandarono altre due varianti, quelle della morte per decapitazione o per
scuoiamento.
Quest’ultima versione si è affermata
nell’arte e nella letteratura ed egli è stato ritratto, tra gli altri, anche da
Michelangelo nel Giudizio
Universale della Cappella Sistina.
Altrettanto avventurosa è la storia delle sue reliquie, giunte fino in
Mesopotamia, una parte trasferita a Lipari e Benevento, successivamente trafugate
durante l’invasione saracena per poi ricomparirvi, e traslate nel 999 a Roma
nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina. Alcune reliquie
dell’Apostolo furono portate a Francoforte sul Meno, ove sono venerate nel
Duomo a lui dedicato. San Bartolomeo è patrono dell’Arcidiocesi di Benevento,
di Campobasso-Boiano, Patti e di Francoforte sul Meno, Maastricht e Alm, ed è
patrono di macellai, conciatori e rilegatori, sarti e pellicciai.
L’Apostolo Bartolomeo è certamente uno
dei padri della Chiesa Orientale e la sua memoria di uomo inizialmente
diffidente ma poi capace di donarsi totalmente a una causa ci aiuta a
riflettere su come anche noi possiamo riconoscere il Signore nel nostro mondo,
così vasto e variegato ma spesso confuso e sfiduciato. Questa è la preghiera
che, dal nostro cuore, sale al Cielo dalla Cappella del Vernet, circondata da
monti e boschi, ora come nei secoli passati.
Chiara Marino
Fonti e Approfondimenti:
– Chapelle
de Saint Barthelemy 1608, Archivi Parrocchiali.
– G.
Di Pascale, A. Re Bardonecchia e le sue Valli, Tipografia, 1971.
– AA.VV.
Tempi del sacro, tempi dell’uomo, Ed. Centro Culturale Diocesano, Susa, 2007.
– D.
Agasso, G. Pettinati San Bartolomeo Apostolo, Famiglia Cristiana.
– AA.VV.
Enciclopedia Cattolica, Ed. Sansoni, Firenze, 1948-54.
– O.
Ophan Gli Apostoli, Casa Editrice Marietti, Torino, 1950.
– P.
Manns (a cura di) I Santi. Dagli Apostoli al primo Medioevo, Jaka Book, Milano,
1987.
I
100 anni di Enrica Pacchiotti Nervo
La centenaria Enrica Pacchiotti Nervo con i suoi familiari.
[foto coll. F. Pacchiotti]
|
Il primo momento è stato lunedì 21
ottobre: il Parroco ha celebrato una S. Messa di ringraziamento nella “sua”
Cappella, affiancata alla casa: la chiesetta di Maria Ausiliatrice che vede la
signora Enrica ancora oggi, quotidianamente, raccolta nella preghiera del
Rosario. Al termine, un dono singolare: la copia del Certificato di Battesimo
che don Franco ha estratto dagli Archivi Parrocchiali. Un goloso rinfresco in
casa, con un’originale e buonissima torta, ha riunito tante amiche attorno alla
centenaria e ai suoi figli.
Il secondo momento di festa, sabato 26
ottobre, ha visto insieme una trentina di persone tra figli, nipoti e pro
nipotini e le famiglie dei tre figli del fratello Marcello, legatissimi alla
loro “zia Enrica”. Nella S. Messa, celebrata nella chiesa parrocchiale di S.
Ippolito, il Parroco ha accennato ai tanti cambiamenti storici e politici,
culturali e tecnologici, medici e religiosi che gli occhi della signora Enrica
hanno visto, sottolineando che ben poche persone hanno conosciuto 10 Papi... E
a questo punto, una bella e apprezzatissima sorpresa: don Franco ha letto un
telegramma di auguri e la Benedizione apostolica, inviata alla festeggiata,
molto commossa, da Papa Francesco. Poi una riflessione più intima: l’esempio
che Enrica ha dato e dà a tutti noi nella fedeltà alla partecipazione alla S.
Messa e alla preghiera quotidiana, nell’accoglienza disponibile a tutti,
sempre, nella generosità verso chi ha più bisogno. Infatti non c’è stato alcun
regalo personale, per i 100 anni della signora Enrica che ha chiesto, al posto,
un’offerta per un missionario che opera in Bolivia.
C’è proprio tanto da imparare da questa lunga
vita dono di Dio!
F.P.B.
Il
dott. Tito Sensini ha chiuso il suo ambulatorio
La notizia circa l’imminenza del suo
pensionamento l’ho avuta attraverso una inattesa telefonata che la signora
Sensini volle premurosamente e cordialmente farmi in una mattinata di fine
ottobre: «Desideravo informarla, prima che lo venisse a sapere in altro modo,
che mio marito, con il prossimo 1º novembre, andrà in pensione – mi disse – in
quanto, in questi giorni, l’Inps ha accolto la sua domanda».
Confido che, in quel momento, ho provato
dispiacere, come, in passato, lo avevo similmente provato, prima per il dott.
Massara, poi per il dott. Allemand, che erano stati i miei medici curanti. Ci
si affeziona al proprio medico di famiglia e quando giunge per lui l’età
pensionabile, questo, è vissuto dai pazienti, se posso azzardare un esempio,
come la partenza di un amico che, dopo tanti anni, decide di andare ad abitare
altrove. Vi è del dispiacere.
Ci eravamo rispettivamente conosciuti
meglio, quando, ai tempi della malattia di mia mamma, veniva spesso in casa
parrocchiale, per visitarla, curarla e a dare i suoi consigli medici. In quel contesto
ho scoperto la sua schiettezza, la franchezza e anche quella parte del suo
carattere che ha sempre favorito in lui una certa riservatezza, il non apparire
nelle cose. Mi aveva sempre incuriosito il suo nome Tito, abbastanza raro. Il
nome di un famoso Imperatore Romano ma che, personalmente, ho sempre abbinato,
forse per mia “deformazione professionale”, al nome di uno dei più tenaci
collaboratori di San Paolo che, assieme a Barnaba, l’aveva accompagnato nel
Viaggi Missionari, Nel Nuovo Testamento vi sono due Lettere pastorali
indirizzate dall’Apostolo all’amico Tito. Il dott. Tito Sensini continuerà a
vivere a Bardonecchia, potrò, e potremo, pur sempre, incontrarlo e chiamarlo
“dottore”, ma sarà diverso.
L’ho, in questo contesto, sentito,
telefonicamente, in questi giorni e ho capito che, adesso che è in pensione e
l’impostazione delle giornate e della vita sono diverse, gli mancano i suoi
pazienti, l’ambulatorio, le visite a casa, le tante persone che lo cercavano
per le cure, le ricette, le medicine.
Potrà, indubbiamente, impostare il
futuro con maggiore elasticità e disponibilità di tempo, come ha affermato in
una intervista a “La Valsusa”: «Una parte di me è contenta, posso progettare le
cose che amo fare, leggere, viaggiare, andare al cinema e al teatro e,
soprattutto, godermi il mio nipotino Ludovico... ».
Il dott. Sensini, dopo il Liceo Massimo
D’Azeglio a Torino, aveva frequentato la Facoltà di medicina all’Università di
Torino e discusso la tesi a Pavia, dove si era laureato nel 1978. Aveva, fin da
subito, iniziato la professione medica, per un breve periodo presso la Clinica
Neurologica di Torino, poi, per un anno e mezzo, all’ospedale di Susa; è
seguita la Guardia Medica e dal 1981 medico di famiglia a Bardonecchia, in un
primo tempo con l’ambulatorio aperto in quella che era la vecchia “Casa
Medica”, ora Villaggio Olimpico e, in seguito, nello studio di Viale Callet,
fino al 31 ottobre 2013.
Grazie, dott. Sensini. Si goda la
meritata pensione e l’affetto della consorte Marisa, di Matteo, Giovanna e del
piccolo Ludovico!
d.F.T.
L’uomo
della Sindone
Il Circolo Culturale “Dino Ariasetto”,
del quale Maria Teresa Vivino è Presidente, con il patrocinio del Comune di
Bardonecchia e del Club dei Cento Aps, sabato 25 maggio 2013, nel corso di una
ricca cerimonia tenuta al Palazzo delle Feste, ha premiato le poesie presentate
alla 2ª edizione del Concorso Internazionale di Poesia e narrativa “Dino
Ariasetto”.
La poesia prima classificata della
sezione religiosa – valutate dalla Commissione composta da Maria Fiorenza Verde
e Rosella Barantani – è “L’uomo della Sindone” di Walter Giuseppe Milani di
Druento.
(Di fronte alla serenità che emana dal
volto dell’Uomo della Sindone mi sono sorpreso in una domanda non scontata:
l’iniziale “Chi sei?” è diventata “Chi sono io, per porre questa domanda?”
W.G.M.)
Di
fronte a Te,
immerso
in greve silenzio;
domande
mute
rimbombano
nell’anima.
Intimo
colloquio di spiriti
che
inseguono una risposta,
una
verità assurdamente vera.
Chi
sei?
Arcano
segreto
nasconde
quel volto di pace. Chi sei?
Dietro
le palpebre chiuse
i
tuoi occhi mi interrogano.
Tu
mi conosci da sempre,
hai
pietà della mia miseria;
lo
sento.
“Io
sono l’Amore assoluto,
l’amore
di un mondo
di
uguali-diversi,
perché
diverso è ogni uomo,
eppur
così uguale.
Io
sono l’Amore,
io
sono quel che tu pensi io sia...
Ma
Tu...
Chi
sei?”.
“Il
silenzio degli eroi”
Il Maresciallo Tacchino, un
sopravvissuto al campo tedesco di Sandbostel
Il silenzio degli eroi” è il titolo di
un libro, un libro che fa riflettere, specie in relazione al 27 gennaio, data
proclamata alcuni anni fa dalle Nazioni Unite, come “Giorno della Memoria”. Il
libro è stato scritto da Giovanni Tacchino, bardonecchiese da cinquantacinque
anni, ma originario di Montaldeo in provincia di Alessandria. Fu uno dei
750.000 militari italiani deportati nei campi di concentramento tedeschi subito
dopo l’8 settembre 1943, data in cui venne firmato l’armistizio tra l’Italia e
gli Alleati. Un giorno che per le giovani reclute italiane segnò una triste
parentesi di vita durata circa due anni, in quanto dopo la firma, non vennero
date precise disposizioni sul futuro dei soldati italiani. Cosicché, in balia
di se stessi, furono catturati dai tedeschi, che, in gran segreto, stavano
preparando l’Operazione Alarico per invadere l’Italia.
Il giovanissimo soldato Tacchino, appena
diciottenne, trascorse due terribili anni nel Nord della Germania, cambiando
ben tre lager, subendo privazioni e umiliazioni, fino alla liberazione da parte
del Comando Alleato, avvenuta nell’agosto 1945.
Oggi Giovanni Tacchino ha 89 anni. Dopo
i campi di concentramento venne arruolato in Polizia e nel 1986 fu congedato dopo circa quarant’anni
di servizio con il grado di Maresciallo di Prima Classe. Se non fosse per un
fastidioso morbo di parkinson l’arzillo pensionato gode di buona salute,
coccolato dalle figlie e dai nipotini, nella sua casa bardonecchiese.
A
sinistra: il Maresciallo Giovanni Tacchino con la medaglia d’oro della
Presidenza della Repubblica consegnatagli nel 2009. A destra:
le baracche del campo di concentramento di Sandbostel.
Due anni fa, spronato da tanti amici,
decide di prendere in mano una penna ed iniziare a scrivere ciò che ricordava
di quel passato, con l’intenzione di dedicarlo alle generazioni future.
Il lettore del 2013 rimane colpito dalla
narrazione, così ben dettagliata e molto toccante. A distanza di settant’anni i
giorni, vissuti in quei due anni, sono rimasti impressi nella memoria dell’ex
soldato, come un marchio indelebile.
Ma Giovanni Tacchino, nonostante la
crudeltà conosciuta e subita, non serba rancore, anzi tra le pagine si
percepisce alcune volte anche un fondo di bontà, che scaturisce dall’animo di
alcune persone incontrate sul suo cammino. Purtroppo dopo mesi di denutrizione
e freddo l’ex soldato contrasse una brutta pleurite, quasi guarita del tutto
grazie alle cure, prodigate da un capo tedesco! Fu molto turbato, invece, dal
comportamento della Croce Rossa Internazionale che non ha mai assistito nei
lager questi poveri IMI (Militari Italiani Internati), perché non classificati
prigionieri di guerra. Una denominazione ribadita, poi, dall’Organizzazione
Internazionale per l’Emigrazione. Il Maresciallo Tacchino, infatti, inoltrò nel
1950 a detto ente una richiesta di indennizzo per il lavoro coatto svolto nei
lager. Richiesta negata sia allora che nel recente 2001. Nelle sue memorie
cita, però, con grande benevolenza l’attuale Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano che riconoscendo le sofferenze subite, con decreto del 2008,
consegnò nel 2009 agli aventi diritto le prime Medaglie d’Onore, di cui una
troneggia nel salotto bardonecchiese..
Il libro, pubblicato da “Cultura e
dintorni Editore”, è stato presentato al Palazzo delle Feste sabato 25 gennaio
2014, in occasione del Giorno della Memoria, alla presenza del Sindaco Roberto
Borgis e di numerosi bardonecchiesi convenuti a rendere omaggio a questo eroe,
“rimasto per tanti anni nel silenzio”.
Luisa Maletto
<<<>>>
Consapevole
della mia vocazione cristiana, io rinnovo oggi nelle tue mani, o Maria, gli
impegni del mio Battesimo. Rinuncio a Satana, alle sue seduzioni, alle sue
opere, e mi consacro a Gesù Cristo per portare con lui la mia croce nella
fedeltà di ogni giorno alla volontà del Padre. Alla presenza di tutta la Chiesa
ti riconosco per mia madre e sovrana. A te offro e consacro la mia persona, la
mia vita e il valore delle mie buone opere, passate, presenti e future. Disponi
di me e di quanto mi appartiene alla maggior gloria di Dio, nel tempo e
nell’eternità. Amen.
PAPA FRANCESCO
(“Atto di consacrazione a Cristo per
mezzo di Maria”, compiuto dal Papa domenica 13 ottobre 2013, nell’anniversario
dell’ultima apparizione di Fatima dell’anno 1917)
Il Pé du Plan rivive.
Un
gruppo di residenti racconta, su facebook
Continua il viaggio nel mondo dei
ricordi sulla pagina facebook del Pé du Plan, il Borgo Nuovo bardonecchiese!
Foto storiche che ricordano vestiti dell’epoca, il passaggio del Duce,
attività, ma anche ricordi di scuola in “bianco e nero”. Una pagina in cui far
conoscere ai giovani quelle che erano le attività presenti nel borgo ora
scomparse, ricorda Odilia Gally con un suo post sulla pagina «( ...) domani
lunedì è giorno di bucato, nel nostro borgo posizionato nell’incrocio tra via
Garibaldi e via Medail c’era un Bacias (lavatoio) in legno con due grosse
vasche, il lunedì mattina molto presto si prenotava il lavatoio mettendo un
asciugamano bianco sul trave ciò dimostrava la precedenza per sciacquare la
biancheria che la sera prima era stata lavata nella pentola gigante con la
lisciva e messa a bollire sulla stufa, la liscivos (pentolone) aveva in mezzo
un tubo dove passava l’acqua bollente che si riversava nuovamente sulla
biancheria. Era un prototipo della lavatrice. Il giorno successivo si andava a
sciacquare alla fontana e la centrifuga era a mano, cioè ci si metteva uno per
lato delle lenzuola e si girava la tela uno a destra e uno a sinistra, è chiaro
che l’acqua era corrente e fredda e si iniziava sciacquando prima nella seconda
vasca e poi nella prima, bello era la cordialità e le chiacchiere che si
facevano trovandosi pur lavorando», e Bruna Maria Giacoma Ghello fa un appello:
«Vorrei tanto che le persone che abitano ora questo posto bellissimo parlassero
delle cose positive, e credetemi ce ne sono state tante io ad esempio nel mio
piccolo tenevo dei cavalli nel giardino la signora Odilia e sua figlia ne
potrebbero parlare è stato un periodo meraviglioso vivo e bello, e poi c’è
stata una fioraia che era la sig.ra Maria Gay, come non se ne può parlare una
donna meravigliosa. Non credo che tutto sia finito così nel sotto passaggio vi
prego raccontate le vostre storie amici!».
Una pagina facebook che vive da circa un
anno.
Ma cos’è il
Pé du Plan? Ce
lo spiega bene con un suo post Adriana Chiabrando: «Se chiudo gli occhi,
ripensando alla mia infanzia, rivedo il mio Borgo com’era negli anni ’50-’60...
Vorrei farlo “vedere” anche ai miei compaesani più giovani, in un’immaginaria
passeggiata – spero di riuscirci – e mi piacerebbe che i “più grandi” mi
correggessero quando, nella confusione dei ricordi lontani, ho riportato delle
immagini sbagliate o dimenticato qualche particolare... Il “Pé du Plan” è il
nome in patois del Borgo Nuovo, che si estende nella parte pianeggiante della
conca di Bardonecchia, dove esisteva un lago, prosciugato – pare – dai
Saraceni, agli inizi del X sec. d.C., e che si sviluppò nel 1800, quando iniziò
la costruzione del traforo del Fréjus. La parte più bassa del Pé du Plan,
isolata per anni da un passaggio a livello quasi sempre chiuso e poi dal
sottopassaggio costruito alla fine degli anni ’60, è un piccolo Borgo a sé
stante, il Borgo del Sottopasso, appunto, il “nostro Borgo”. All’incrocio di
Via Susa con la strada che saliva a Millaures e la strada del Vecchio Mulino,
un ponte di ferro attraversava il torrente Rochemolles che, pochi metri più
avanti, confluisce nel torrente La Rhô – a cui si è unito il torrente Melezet,
dopo aver attraversato la Valle Stretta – dando origine alla Dora Riparia, il
fiume della Val di Susa. Immaginiamo di oltrepassare il ponte: ci troviamo alla
fine di Via Medail, la via più importante di Bardonecchia che da qui sale fino
al Borgo Vecchio, attraversando tutta la cittadina (poche persone, eccetto i
residenti – comunque – sanno che questa via continua oltre l’attuale
sottopassaggio). Eppure è proprio qui che comincia il Pé du Plan».
Per saperne di più si può curiosare
sulla pagina facebook: Pé du Plan Sottopasso. Maria Teresa Vivino
Il
“Giro d’Italia” a Bardonecchia
18 maggio 2013: sotto pioggia e gelo la
tappa CervèreBardonecchia!
La calda accoglienza bardonecchiese al
Giro non è stata sufficiente a riscaldare fisicamente le numerose persone
giunte, anche da molto lontano (qualcuno addirittura dagli Stati Uniti) per le
pessime condizioni meteo. Tanto freddo, pioggia, qualche fiocco di neve sullo
Jafferau, sabato 18 maggio. Un Giro proprio sfortunato, sin dall’inizio sotto
la pioggia. Tutte le manifestazioni collaterali si sono svolte però secondo
programma: gli sbandieratori di Susa, gli intagliatori del legno, il folletto
dei fornelli, che ha intrattenuto i bambini, i gruppi musicali Parenaperde e
Bandaradan. Ma certamente difficile è stato rimanere fermi per ore, in attesa
di quei pochi secondi che solitamente riserva il passaggio dei corridori.
Lo scambio di doni tra i Sindaci
di Cervère e Bardonecchia.
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Tra le innumerevoli iniziative, quella
del maestro Eugenio Bolley, l’artista locale, che, dopo aver donato al Comune
la sua bicicletta stilizzata, collocata come benvenuto all’ingresso del paese,
ha messo in vendita a fini benefici le tazze firmate e decorate con la sua
bicicletta. Il ricavato delle vendite verrà interamente devoluto all’Associazione “Porte Aperte” che si interessa di
assistere i cristiani perseguitati in diversi Paesi del mondo e di altre realtà
disagiate.
La Piazza Statuto, quartier generale di
tappa, è stata completamente allestita con bancarelle di sponsor.
Eugenio Bolley con il bozzetto da lui
realizzato della bicicletta (lunghezza m. 3,67 altezza m. 2,09) posizionata
sulla rotonda all’ingresso di Bardonecchia, adornata di fiori e arricchita dei
tre colori della nostra bandiera.
Tra le curiosità: in Via Medail si è
visto perfino un cane con pelo rosa. La padrona ha precisato che l’aveva tinto
con il colore naturale della barbabietola.
Anche in serata il freddo e la pioggia
non hanno dato tregua, condizionando molto il prosieguo della festa organizzata
dalla Carovana del Giro in Via Medail.
Luisa
Maletto
Camosci
all’ora del tè
Mentre rivedevo sullo schermo del
computer le foto dell’ultimo inverno a Bardonecchia, il display ricordava la
data degli scatti: venticinque febbraio duemilatredici.
Nonostante la brutta stagione fosse agli
sgoccioli, non smetteva di nevicare; così che il calendario era smentito dal
paesaggio pienamente invernale. Finalmente approfittai di un pomeriggio di
tregua per ciaspolare.
Passo dopo passo affondavo dentro alla
polvere bianca quasi senza far rumore, e mi resi conto che tutto all’intorno
era rigido; persino gli uccelli tacevano.
Finché quell’atmosfera grigiastra che
aveva cristallizzato la conca della Rhô in una patina di galaverna venne
scossa.
Folate di vento ridettero vita
all’ambiente, i tronchi presero a oscillare cigolando lamentosamente e i rami
si libravano elastici rimbalzando verso l’alto; così si liberavano dal peso
della neve che tonfava sordamente, ricoprendo ogni traccia del terreno
sottostante.
Il cielo ripulito lasciava spazio alla
luce, mentre i boschi verso le Tre Croci si frantumavano in inquiete pennellate
d’argento. A distanza, i profili di quelle piante apparivano ricami, non quelli
che adornano maglioni e camicette, ma segni di mondi fuori dalla nostra
portata; come il pulviscolo celeste e oro sollevato dalle folate gelide che
avevano beffato la nuvolaglia.
Di nuovo mi guardai intorno; ora la neve
incastrata fra i rami, trasformatasi in ghiaccio, tentava di sciogliersi alle
prime occhiate di sole, prendendo a gocciolare lentamente. Notai piccoli fori
profondi dentro al manto candido; erano le impronte dei camosci che avevano
attraversato il sentiero. Loro seguono direzioni diverse dalle nostre. Li
cercavo insistentemente con lo sguardo nel fitto del bosco e nelle radure
ariose; tuttavia ero consapevole che, in realtà, non si avvistano quasi mai.
La carrareccia sale impercettibilmente
prima di ridiscendere verso la Rhô. Mentre il fogliame estivo cela il
villaggio, in inverno esso compare all’improvviso tra i fusti degli alberi.
Dallo sfondo oscuro dietro le baite
emergeva un filare di betulle; si presentava come uno scheletro di luce tanto
bianca da essere irreale. Temevo che quegli alberi non avrebbero resistito al
gelo della notte, tanto apparivano caduchi nel loro splendore.
Presto essi caddero nell’ombra, insieme
alle poche case e alla chiesina.
Più su verso le creste, tra neve e
roccia resisteva una striscia di luce giallastra. Sembrava eterna, ma anch’essa
finì in ombra come i due o tre sorbi in primo piano. Se il verde li nasconde
durante la bella stagione, in quel tardo pomeriggio i rami nudi, deformati e
ingobbiti dalle tempeste, apparivano un caos inestricabile di nodi, opera di
uno scultore impazzito.
In mezzo ad essi vedevo impigliarsi le
lunghe chiome di Sansone, d’altra parte mi trovavo in un set perfetto per
replicare uno scenario biblico.
L’ambiente si fece ancora più drammatico
quando il vento prese a sollevare intorno a sé mulinelli di neve e foglie
secche, un frangersi di qualcosa che quasi non esiste tanto è lieve. Tutto
ammonticchiato su un lato della strada innevata, quel fogliame prendeva consistenza
e tendeva a cancellare il percorso. Solo allora mi resi conto che persino il
segnavia rosso e marrone era sepolto sotto la neve, quasi ad ammonire: «I
sentieri sono scomparsi, dove credi di andare? Torna a casa!».
Ma io continuavo a fotografare le
macchie di luce che insistevano sui cuscini immacolati. Quella crosta appena
bagnata da un tocco di calore si accendeva, sotto gli ultimi raggi, di miriadi
di puntini come stelline. Abbagliava, quella strana via lattea, come se il
cielo si fosse rovesciato sulla terra e, uniti assieme, avessero formato un
tutt’uno. Forse la discesa di Gesù nel mondo e il suo ritorno al Padre possono
essere rappresentati da immagini come questa.
«Qui c’è un camoscio!», dissi fra me
mentre seguivo sul computer la sequenza delle foto.
L’avevo ripreso senza accorgermene; in
effetti la sua sagoma si notava a stento essendo ormai avvolta nelle ombre
bluastre.
Curioso di vederlo meglio lo
ingrandii... i programmi di fotoritocco permettono questo e altro. Allora mi
accorsi che il suo sguardo trascurava la nuvolaglia arancio e oro cosparsa come
un velo verso le montagne colme di neve sovrastanti il valico della Rhô. Certo
non era interessato a quel confine che lasciava presagire altre montagne, nuove
vallate.
Senza curarsi minimamente della mia
presenza, l’animale appariva assorto in se stesso.
In estate il camoscio è in grado di
percorrere decine di chilometri al giorno, ma allora il suo universo iniziava e
terminava in quella radura contesa tra luce e buio. Tranquillo sostava nel suo
mondo dove ogni minimo particolare era regolato alla perfezione, cominciando
dalle estremità.
Lui non aveva i piedi freddi come me.
Mentre scendevo a valle il vento si era
nuovamente acquietato, ma gli erano bastate poche ore per indurire la neve,
così i ramponi delle ciaspole rompevano rumorosamente la crosta. Quell’andare
pesante mi rendeva consapevole di disturbare il bosco che si stava preparando
ai silenzi della notte. Così la foresta restava sulle sue ed io a mia volta mi
sentivo estraneo ad essa. Allungai il passo poiché quella separazione mi
rattristava.
«Fortunatamente – pensavo – non mi trovo
troppo lontano dall’asfalto e dalle relative comodità, in primo luogo il
riscaldamento dell’automobile».
In quel momento belati improvvisi di
spavento e disperazione dirottarono il mio sguardo e i miei pensieri verso
quattro o cinque piccoli camosci dal pelo lungo e chiaro, fortemente spaventati
al mio apparire. Subito comparvero le madri, tornate indietro precipitosamente
incontro ai figli.
Poi ho visto quelle mamme riprendere il
controllo della situazione, protendersi col loro corpo verso i piccoli
tenendoli accuratamente a monte, pelo contro pelo. Nel frattempo salivano in
diagonale verso dirupi inaccessibili.
Ciò nonostante i capri non smettevano di
piagnucolare anche se in definitiva quel minuscolo branco non fuggiva, ma si
ritirava con un certo stile. In pochi momenti scomparvero al riparo di un
costone. Tornato il silenzio, incredulo notai il musetto di una camoscia
riaffacciarsi tra le rocce; teneva il capo inclinato per scrutarmi meglio.
Curiosità femminile o piuttosto muto rimprovero verso un intruso che,
inconsapevolmente, aveva disturbato la prole?
In un attimo la sua mossa inattesa aveva
ristabilito armonia tra me, il bosco e i suoi abitanti: anzi, con tutto il
creato. Ora la foresta non era più estranea donandomi una quiete interiore che
ha ricordato le parole di alcuni Pontefici.
Nel comportamento delle mamme camoscie
ho intravisto uno scorcio della presenza attiva di Dio. Per Lui cielo e terra
sono un unico universo, come un’ora prima alla Rhô. Fede cristiana significa
certezza che la sua mano tocchi ogni vicenda umana e si preoccupi anche di ogni
minimo respiro nel bosco.
Guido Alimento
In estate il camoscio è in grado di percorrere decine di chilometri al giorno... e di addentrarsi verso dirupi inaccessibili. [foto G. Alimento]
L’attacco
delle Sette religiose
E’ necessario vigilare attentamente e
sapere congedare con carità e fermezza coloro che periodicamente suonano il
campanello delle nostre case o fermano le persone al mercato e per le strade,
con l’intento di propagandare le loro convinzioni religiose. Nei casi in cui
non si è sufficientemente accorti, solitamente profittando di qualche momento
di fragilità interiore dovuta ai problemi e alle sofferenze della vita, come
dopo avere perduto una persona cara, oppure per necessità economiche, non è
raro che qualcuno, gradualmente, si lasci convincere e cada nella rete delle
Sette religiose che, quasi sempre, cancellano gradatamente la libertà personale
portando al fanatismo religioso.
Tra le Sette, quella che utilizza una
propaganda martellante è quella dei Testimoni di Geova. Per trovare notizie si
può consultare la recente “Enciclopedia delle religioni in Italia” redatta dal
CESNUR (Centro Studi sulle nuove religioni), opera di Massimo Introvigne e Pier
Luigi Zoccatelli (Ed. Elledici, alle pagg. 452-457).
Ai fini di questo articolo basti
ricordare che in Italia il primo gruppo nacque nel 1903 presso Pinerolo, e che
la crescita degli aderenti in Italia inizia soprattutto dopo il 1946.
«Il geovismo è un grande pericolo per la
fede cattolica: provoca danni anche in chi, accettando le conversazioni, non
entrerà mai nella Setta. Chi aderisce ai Testimoni di Geova non diventa
soltanto “eretico” ma addirittura “apostata” della fede cattolica e cristiana.
I Testimoni di Geova sono apparentemente ben preparati su argomenti a loro
congeniali – che poi sono sempre i medesimi – mentre i cristiani, solitamente,
non lo sono ed esposti a tutti i pericoli. È sconsigliabile entrare in dialogo
che in realtà è poi sempre un monologo e congedarli con gentilezza e fermezza»
(da “I TdG”, di G. Crocetti, EDB, pagg. 285-286).
Gli argomenti loro congeniali, usando i
quali si fanno spazio negli animi degli ignari uditori, riguardano il “vero” nome
di Dio, la negazione della Trinità, la persona di Gesù che, pur chiamato Figlio
di Dio, rimane una persona, l’uomo non ha un’anima è un essere animato che alla
morte dorme nella tomba, affermano che Gesù non morì sulla croce ma sopra un
palo e altri temi, ancora, che qui non possono essere affrontati. Tutti, da
loro “provati” con citazioni bibliche estrapolate da una Bibbia erroneamente
tradotta e, pian piano, marcando sempre più che la Chiesa e i preti «vi hanno
mentito».
Chi volesse può approfondire personalmente
e rendersi conto, con uno studio storico-scientifico serio, come stanno le
cose, dal punto di vista cattolico, utilizzando il Blog della Parrocchia: