20/10/19

Bardonecchia e la Grande Guerra (2018) "Cesare André"

di Antonella Filippi

Fin dall’inizio del centenario della Prima guerra mondiale il Bollettino parrocchiale ha voluto
ricordare i nostri concittadini coinvolti nel conflitto con un ciclo di articoli in cui si ricostruiva la loro storia. Nell’arco di quattro anni si è reso onore ai caduti, ai decorati, ai cavalieri di Vittorio Veneto e a tutti coloro di cui è stato possibile reperire la memoria grazie alla collaborazione delle famiglie.
Il 4 novembre 2018 il centenario della Vittoria è stato ricordato nella nostra Parrocchia con una sentita e partecipata funzione, alla presenza delle autorità militari e civili, e con la commemorazione al monumento dei caduti del parco di Vittorio Veneto. In quei giorni è stato presentato al Palazzo delle Feste il libro di Antonella Filippi, Bardonecchia e la Grande Guerra, Alzani, Pinerolo 2018, in cui sono stati raccolti i testi già pubblicati nel Bollettino, integrati da approfondimenti storici.
Le storie che pubblichiamo sono state scritte dopo la stesura del precedente Bollettino e vengono qui riproposte affinché le famiglie coinvolte possano ritrovare anche in questa sede la storia dei loro cari. È infatti desiderio del nostro Parroco ricordare tutti coloro che nella guerra soffrirono e diffondere le loro storie affinché la memoria della nostra gente non vada perduta.

Cesare André

Cesare André non amava parlare della guerra e sembrava che i ricordi di quegli anni li volesse dimenticare. Eppure Cesare era a Caporetto quando il fronte fu sfondato e visse tutto il dramma della rotta verso il Piave, quando le truppe e i civili fuggivano all’incalzare dell’esercito nemico.
Cesare, nato a Melezet il 1 febbraio 1897, era l’unico figlio di Massimino e Maria Vittoria Roude. Il padre, originario di Les Arnauds, dopo il matrimonio si trasferì nella casa dei suoceri a Melezet dove al lavoro nei campi, che svolgeva con la moglie, affiancava l’attività
di calzolaio. Era discendente, come la consorte, da dinastie di scultori del legno molto conosciute nella zona (i Roude e gli André).
La moglie Maria Vittoria era la fi glia di Matteo Roude che aveva partecipato con onore, nel corpo dei bersaglieri, alla Terza guerra d’indipendenza del 1866 e alla presa di Roma del 1870 (1.

Cesare aveva studiato fi no alla 6ª elementare, era un ragazzone robusto che amava lo sport: sciare era la sua passione, solcava in largo e in lungo le distese di neve delle sue montagne con gli sci che lui stesso si fabbricava.
Gli piaceva molto la competizione, appena poteva partecipava alle gare organizzate a Bardonecchia fi n dai primi anni del ‘900. Quando era appena adolescente, per amore della sua terra, si rifiutò di partire per l’America con gli zii che avevano fatto fortuna ed erano tornati per portarlo oltre oceano. La sua vita sarebbe cambiata radicalmente e avrebbe forse evitato la guerra: ma il piccolo Cesare non poteva saperlo!
Melezet 1971. Cesare André con la moglie Elisabetta,
le figlie Esterina e Onorina e i nipotini Fulvia e Danilo.

Fu chiamato alle armi nell’ottobre 1916 e per la sua altezza e per la robusta corporatura fu assegnato al 6° reggimento artiglieria da fortezza.
Con l’inizio della guerra le piazzeforti difensive e le fortificazioni erano state disarmate, i cannoni portati in zona di guerra e le compagnie fuse e rimescolate a formare le varie batterie di artiglieria pesante dislocate sul fronte. Quando Cesare arrivò in territorio in stato di guerra, nel maggio del 1917, era con il 9° reggimento artiglieria da fortezza e probabilmente combattè sul fronte dell’Isonzo, dato che lasciò la testimonianza sulla rotta di Caporetto. Di certo era sul Piave nel 1918 poiché ricordava la carneficina di quella battaglia con gli uomini che combattevano nell’acqua per respingere il nemico. Cesare doveva avere
nella mente un incubo della guerra che non raccontò mai perché per tutta la vita, lui che era un uomo buono e pacifico, si tenne nel comodino da notte un tirapugni, come avesse sempre paura di un attacco improvviso.
Finita la guerra rimase nel deposito del 6° reggimento da fortezza fino al 15 gennaio 1920 e fu infine congedato. Tornò a vivere a Melezet coi propri genitori e riprese l’attività di boscaiolo e falegname, facendo anche brevi trasferte in Francia per guadagnare qualcosa in più. Negli anni ’20 prese parte alla costruzione della decauville.
Si sposò con Elisabetta Masthieu e dal matrimonio nacquero quattro figli: Alessio nel 1922, Silvio nel 1926, Onorina nel 1927 ed Esterina nel 1928.
Negli anni ‘30 Cesare fu assunto nelle Ferrovie dello Stato ma continuò a fare il contadino assieme alla figlia Esterina che, non essendo sposata, rimase in casa coi genitori.
La vita di Cesare fu segnata dalla perdita del figlio primogenito Alessio, morto nella Seconda guerra mondiale. Partito per la Russia nel 1942 come caporale nella prima compagnia del battaglione alpini sciatori Monte Cervino(2, fatto prigioniero, morì in un campo di concentramento russo, a Micirinsk, il 20 marzo 1943. Cesare non ne parlava mai, forse per volere della moglie Elisabetta che spesso si ritirava in camera da sola a rileggere le lettere del figlio spedite dal fronte e ne usciva con gli occhi gonfi e il fazzoletto in mano. Non avendo una tomba su cui pregare o su cui portare un fiore, custodivano gelosamente l’unica cosa che rimaneva di lui, il loro dolore. Soltanto nel 1987 una comunicazione della Croce Rossa Sovietica, attraverso la commissione interministeriale degli atti giuridici dei Caduti di guerra, li informò della morte di Alessio (3.
Cesare non parlava nemmeno della sua guerra e alle domande a volte troppo insistenti della nipote Fulvia rispondeva evasivamente con “la guerra è brutta…”. Le poche notizie al riguardo erano raccontate soprattutto dalle figlie: il nonno era a Caporetto quando c’era stata la disfatta, era scappato coi compagni per salvar la pelle e si trovava sul Piave quando era stata bloccata l’avanzata degli Austriaci.
Lui si limitava ad annuire, ma non diceva quasi nulla.
Morì il 22 maggio 1991, alla bella età di 94 anni, accudito amorevolmente dalla propria famiglia.
Concludiamo queste pagine su Cesare André con il ricordo della nipote Fulvia.
Del nonno mi è rimasto l’immagine di una figura bonaria e rassicurante, pronto allo scherzo
e al gioco, desideroso di insegnare e condividere ciò che sapeva, affettuoso e disponibile. Amava moltissimo la compagnia, infatti ogni sera si ritrovava con gli amici al bar del paese, “il circolo”.
Era sempre pronto a dare accoglienza in casa propria a chi incontrava per offrire un bicchiere di vino. Era metodico e meticoloso in tutto, dal taglio del fieno, alla rifilatura della lama della falce, e lo diventava ancora di più quando si trattava del legno, sia che fosse legna da ardere sia che fosse legno per fabbricare attrezzi.
Il suo motto era “in fretta e bene non vanno d’accordo” e se qualcosa andava storto si arrabbiava e diventava davvero buffo.

1 In famiglia sono ancora conservate le onorificenze di Matteo Roude: la Medaglia della Liberazione di Roma con barretta del 1870 e la Medaglia della Guerra d’Indipendenza con barretta 1866.

2 Con Alessio André morirono nella campagna di Russia altri sei alpini di Bardonecchia appartenenti al Battaglione Monte Cervino: Cantone Francesco, Durand Ernesto, Pacchiotti Aldo, Pereno Giovanni, Ratis Giorgio e Vallory Alberto.

3 È stata la nipote Fulvia Mathieu a scoprire ultimamente il documento della Croce Rossa Sovietica, frugando nei cassetti della nonna alla ricerca di vecchie foto.

1978 Cesare André con la moglie Elisabetta, davanti
alla casa di Melezet.
 A casa erano abbonati a La Stampa e il nonno ogni giorno dedicava almeno mezz’ora alla lettura. Amava seguire diversi sport in TV: partite di calcio, per lui il ‘fulbal’, gare di sci e soprattutto il ciclismo.
E ci teneva davvero tanto a far sciare noi nipoti. Ero piccolina quando durante le vacanze di Natale o nei fine settimana venivo su da Torino con i miei genitori e mio nonno dopo il pranzo mi preparava e mi portava a sciare: mi aspettava alla partenza e contava quante piste facevo.
Ogni volta che passavo mi chiedeva “Quante volte sei caduta?”.
La domenica, in estate, veniva volentieri con noi a fare passeggiate o picnic nei prati. Partecipò ai pellegrinaggi al Tabor finché le gambe glielo consentirono ma in genere le gite sulle sue montagne non erano la sua passione perché gli ricordavano il lavoro, la fatica e forse anche il dramma della guerra combattuta in montagna.

FONTI – Il testo è stato scritto in collaborazione con la nipote Fulvia Mathieu, figlia di Onorina André.
– Archivio di Stato di Torino, foglio matricolare di André Cesare.
– Documentazione e fotografie della famiglia André.