07/07/18

La Grande Guerra - AUGUSTO GENDRE (2017)


 AUGUSTO GENDRE
Augusto Gendre era nato a le Gleise, frazione di Millaures, il 23 novembre 1898. I suoi genitori, Cirillo Massimino e Margherita Clementina Guiffre avevano avuto tre figli: il primogenito, Alberto, nato nel 1890, Angela, nata nel 1892, e infine Augusto. Alberto morì giovane, a soli 20 anni, probabilmente di malattia. fu iscritto nelle liste di leva ma non partì militare.
1917, 3º reggimento alpini, battaglione Exilles. Augusto Gendre.
Augusto, quando fu chiamato alla leva, lavorava a La Praz, poco oltre Modane, dove c’era un’importante fabbrica per la produzione di alluminio.
Penna fabbricata in prigionia da un  
soldato russo per Augusto Gendre.
Era il maggio del 1917, Augusto aveva 19 anni, lasciò il suo lavoro, tornò in Italia e presentatosi al distretto fu assegnato al 3º reggimento alpini, battaglione Exilles. Quando arrivò al fronte, il 13 agosto 1917, era nella 2ª compagnia del battaglione Mondovì, 1º reggimento alpini. Il Mondovì era stato trasferito da pochi giorni in provincia di Vicenza, nel comune di Arsiero, che era stato riconquistato alla fine di giugno del 1916 dopo che gli austriaci, falliti gli obiettivi della Strafexpedition, si erano ritirati dal fondovalle.


Fino al 13 ottobre il Mondovì mantenne il controllo sul fronte vicentino, per essere poi spostato sull’alto Isonzo. Il 21 ottobre si posizionò a Jama Planina, nel settore di Plezzo. Da lì a qualche giorno, alle due di notte del 24 ottobre, si scatenò l’inferno di fuoco e di gas sui nostri soldati e gli austro-tedeschi scesero dalle alture e dilagarono nella valle di Plezzo fino a Caporetto. Sul Jama Planina il 24 ottobre «il battaglione Mondovì ripiegò al cader della notte in seguito all’ordine di ritirata »11. Il giorno seguente il nostro Augusto, che aveva seguito tutti gli spostamenti del Mondovì, fu fatto prigioniero dagli austriaci. Portato prima a Mauthausen, dove giungevano tutti i prigionieri prima di essere smistati negli innumerevoli campi di prigionia, Augusto Gendre fu inviato in un campo a Magonza. Era addetto alle cucine e pelò patate per un anno: questa fu per lui certamente una fortuna, perché sopravvisse alla terribile fame che tutti i prigionieri patirono nei campi, dal momento che oramai nemmeno più la popolazione civile in Germania ed Austria aveva di che mangiare. Augusto durante la prigionia fece amicizia con un soldato russo che volle fargli un regalo: fabbricò per lui una penna con i bossoli del fucile 91 e Augusto la tenne sempre con sé fino al suo ritorno in Italia. Quella penna ha resistito per cento anni e oggi è conservata con cura dal nipote Angelo Rochas.
Con la resa della Germania rientrò in Italia attraverso un percorso rocambolesco fatto per lo più a piedi o con mezzi di fortuna, attraverso il Belgio e la Francia. Arrivò alle Gleise nel 1919 quando ormai nessuno più lo aspettava: era talmente magro, lacero e malridotto che il padre Cirillo non lo riconobbe. A causa della sua estrema debolezza fisica si ammalò di spagnola, ma riuscì a sopravvivere.
La vita a poco a poco riprese e il 14 maggio 1922 si sposò con Ambrogina Garnier. Ebbero tre figlie: Albina nel 1922, Emma nel 1927 e infine Irene nel 1931. Nel 1950 rimase vedovo.
La figlia minore Irene si sposò con Luigi Rochas, ferroviere, che morì giovane a causa di una polmonite trascurata.
Irene rimase con i tre figli: Rita, Valerio e Angelo. Il nonno Augusto aveva allora 62 anni, si tirò su le maniche e aiutò la figlia a tirare avanti e ad allevare i bambini. Il più piccolo, Angelo, aveva solo 18 mesi quando suo padre morì: divenne il pupillo di nonno Augusto che gli fece da padre.
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11 Emilio Faldella, La Grande Guerra. Da Caporetto al Piave [1917-1918], Chiari (Bs), Nordpress Edizioni 2004, p. 79.
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4 novembre 1971: Augusto Gendre riceve l’onorificenza
 di Cavaliere di Vittorio Veneto.
Lo faceva studiare, gli insegnava il francese che lui conosceva bene per avere lavorato in francia, se lo portava sempre con sé e il bambino gli correva dietro imparando da quel nonno tutto della vita. Augusto morì il 24 gennaio 1983, dopo una vita di sacrifici e di lavoro. Della sua guerra non aveva quasi mai parlato, preferiva non ricordare: ogni tanto con rabbia diceva che quella non era stata una guerra ma una strage in cui si era persa un’intera generazione di giovani.
È il nipote Angelo Rochas che con grande affetto ci ha raccontato la storia di quell’indimenticabile nonno che gli insegnava il patois, i toponimi delle sue vallate e la storia della sua gente.

FONTI: Testimonianza di Angelo Rochas • Archivio di Stato di Torino, foglio matricolare di Gendre
Augusto • Emilio Faldella, La Grande Guerra. Da Caporetto al Piave [1917-1918], Chiari (Bs), Nordpress Edizioni, 2004 • Documentazione fotografica di Angelo Rochas.
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