17/08/14

I NOSTRI PELLEGRINAGGI (2013)


Il pellegrinaggio della Parrocchia di Bardonecchia del mese di maggio, quest’anno ha come meta il Santuario Mariano della Diocesi di Gap e di Embrun: NOTRE-DAME DU -LAUS.

Il giorno prescelto è mercoledì 22, ricorrenza di Santa Rita. La scelta è particolarmente significativa perché Papa Giovanni Paolo II, nel 1981, diede impulso alla causa di Beatificazione di Benoîte Rencurel che già Papa Pio IX, il 16 ottobre 1872, aveva pro- clamata “Serva di Dio”; nel 2009 Papa Benedetto XVI l’ha dichiarata “Venerabile”, quindi ad un passo dalla sua Beatificazione. Inoltre, il prossimo anno 2014 ricorrono i 350 anni dalle prime apparizioni della Vergine a Benedetta.
Superato il valico del Monginevro, la cittadina di Briançon e costeggiato il Lac de Serre- Ponçon, giungiamo verso le 9,30 nella conca del Laus, cuore delle Alpi del Sud, situata a 900 m. s.l.m.. Questo piccolo borgo, costituito da una manciata di case ed alcune fattorie che fanno corona alla Basilica, mantiene intatto il fascino dei tempi di Benedetta con un ambiente naturale ed incontaminato che induce al raccoglimento e alla preghiera. La vallata è rimasta come ai tempi delle apparizioni ed è racchiusa, come in uno scrigno, dalle montagne che vanno da Puy-Cervier a Chamoussières e da Saint-Maurice verso Chabrières. Il territorio che si può ammirare dai finestrini del pullman, quando affronta i tornanti che conducono al Laus, è austero, quasi aspro con marne affioranti che si alternano a boschetti di faggi, querce e pini silvestri; ed è proprio qui che Benoîte, conducendo al pascolo una trentina di pecore e la sua capretta “roussette” dal Vallon des Fours a Pindreau e da Rochebrune a Costebelle, ha vissuto la sua grande esperienza mistica.

Basilica di N. D. du Laus con annessa l’ampia struttura di accoglienza per i pellegrini. [foto Archivio]

Ad accoglierci al Laus è Mère Marie Céline delle Suore Benedettine del Sacro Cuore di Mont-Martre di Parigi, che in un perfetto italiano ci sintetizza la vita di Benoîte Rencurel e la storia del Laus: tutto inizia nel 1647 con la nascita di una bimba che fu battezzata il 17 settembre nella chiesa di Saint-Etienne d’Avançon con il nome di Benedetta, nome veramente “profetico”! A soli 7 anni Benoîte rimane orfana del padre, ed è costretta a fare la pastorella con l’unica compagnia della Corona del Rosario che l’accompagna nelle sue peregrinazioni nel Vallon des Fours cosiddetto perché si faceva cuocere la calce, unica risorsa alternativa ad una povera agricoltura e pastorizia.
Suor Céline sottolinea la semplicità della fede di Benoîte che pregava davanti alla chiesa, al mattino presto. quando la porta era ancora chiusa, e che esprimeva il desiderio di conoscere la Vergine; fu così che nel maggio del 1664 inizia una lunga relazione spirituale con le apparizioni della Madonna che dura ben 54 anni. Quindi non c’è nulla da stupirci se le apparizioni di Medjugorje si protraggono nel tempo, perché qui al Laus c’è un precedente assai significativo.
Per tre mesi le apparizioni sono silenti, ma il 29 agosto la Bella Signora parla a Benoîte e si rivela: «Io sono Maria, la Madre del mio carissimo Figlio». Dopo un mese, dal versante opposto al borgo di Avançon appare al Pindreau ed indica a Benedetta di andare al Laus dove c’è una Cappella dalla quale emanano buoni profumi. La Cappella, cui fa riferimento la Vergine, era stata edificata 20 anni prima ed era dedicata a N. D. de Bon Rencontre. Qui la Madonna, in piedi sull’altare, attende Benoîte e le rivela il suo progetto: «Ho chiesto questo luogo a mio Figlio per la conversione dei peccatori ed Egli me l’ha concesso».
Suor Marie Cèline ci accompagna a visitare la “Logis d’en bas” cioè la casa con la camera dove Benoîte risiedette stabilmente dal 1672 per poter meglio svolgere il suo ministero di messaggera della Madonna ed anche del suo Figlio Crocifisso ed inoltre di pregare per la conversione dei peccatori: infatti Benedetta aveva il dono di leggere nell’animo dei pellegrini. La Madonna le imponeva di ammonirli e di condurli contriti al confessionale.
Suor Céline ci conduce poi a visitare la Cappella del Preziosissimo Sangue in cui l’altare è sormontato da un reliquiario che racchiude la Croce di Avançon dove per ben cinque volte Benoîte ha avuto la visione della crocifissione, ma Benedetta ha avuto molte altre esperienze mistiche come la visione del Paradiso, inoltre lottò contro il demonio che di notte la trascinava sulle montagne e poi gli Angeli del Signore provvedevano a ricondurla a casa ed a curare le ferite che si era procurata nella lotta con il maligno.
Alle 11,15 ci troviamo nella Basilica per la celebrazione della S. Messa in lingua francese, però la lettura viene fatta in italiano come pure alcuni canti vengono intonati dalle monache in italiano per consentire una migliore partecipazione della comunità di Bardonecchia alla Celebrazione Eucaristica. Al termine, in silenzio, entriamo nella Cappella del Bon Rencontre, ci segniamo con l’olio benedetto, ci avviciniamo alla bianchissima statua di Notre-Dame du Laus in marmo di Carrara scolpita da Honoré Pela, veneriamo la statua della Madonna delle Grazie e, nella Cappella Absidale detta “la Rotonde”, vediamo il grande ritratto di Benoîte, all’età di circa 40 anni, eseguito dal pittore siciliano Deviai nel 1688.
Dopo il pranzo, servito in un grande e luminoso refettorio, Suor Marie Céline ci accompagna al Pindreau dove si vede nel fondo valle il borgo di Avançon sovrastato dal Vallon des Fours e ci narra l’episodio della capra che le fu richiesta più volte dalla Madonna in dono, ma che Benoîte rifiutò perché l’animale le serviva come sostegno per attraversare il fiume. Suor Céline coglie l’occasione per invitarci ad abbandonare al Laus la nostra capra cioè il nostro eccessivo attaccamento alle cose terrene.
Prima di lasciare il Laus, don Franco ricorda che il Vescovo di Gap, Mons. Depery, ottenne dal Papa Pio IX l’incoronazione della statua della Vergine, la cerimonia avvenne il 23 maggio 1855 e, nel 1892, Papa Leone XIII innalzò la chiesa del Laus al grado di “Basilique mineure”.
Sulla strada del ritorno facciamo una tappa all’Abbaye de Boscodon, a 1.150 m. s.l.m., dove padre Domenico fa gli onori di casa raccontandoci l’origine della comunità.
L’abbazia è un monumento di rilievo perché è la più grande del Delfinato e della Provenza. Risale al XII secolo e fu fondata dall’ordine monastico dei Chalais – ordine vicino ai Cistercensi; i monaci giunsero a Boscodon dal massiccio della Chartreuse nel 1142. La costruzione dell’abbazia durò 32 anni ed i monaci edificarono poi il monastero, a base quadrata, attorno alla chiesa. A seguito di eventi bellici fra i secoli XV-XVIII, nel XIV secolo l’abbazia Chalaisienne divenne Benedettina; con la rivoluzione del 1789 i locali vennero adibiti a foresteria e la struttura diventò un piccolo borgo dove risiedettero circa 20 famiglie. Nel 1972 l’Associazione degli amici dell’Abbazia di Boscodon iniziò la ristrutturazione dei locali e dal 1974 essa è classificata Monumento storico.
Attualmente l’abbazia è abitata da una comunità di Domenicani, con i quali recitiamo il Vespro, e poi facciamo rientro a Bardonecchia contenti della bella giornata di spiritualità.
Marco Rissone


Il 23 luglio è un luminoso martedì di fine mese, il giorno in cui la nostra parrocchia parte per il pellegrinaggio al SANTUARIO DI LA SALETTE, sulle Alpi dell’Isère. C’è un fascino particolare in questo luogo di alta montagna che, con l’andare degli anni, è stato collegato con il fondovalle da una spaziosa strada carrozzabile e dove sorge una poderosa struttura di accoglienza per i pellegrini. Qui nel 1846 la Madonna ha voluto apparire a due bambini – Maximin Giraud e Melanie Calvat – poveri pastorelli che sui monti che ora circondano la Basilica erano saliti a pascolare le mucche di un contadino di Corps. I due, poco più che bambini, vedono una Bella Signora in lacrime, affranta per i peccati dei suoi figli. Un’ammonizione e un segreto vengono rivelati ai pastorelli, prima che la Signora scompaia verso il Cielo.
Nel corso del viaggio in bus è previsto il canto delle Lodi, la recita del Rosario ed anche la lettura delle poche parole consegnate a Massimino e Melania dall’Apparizione de La Salette: «Fate bene la vostra preghiera, mattino e sera?... La gente non prega più, lavora anche di domenica... d’estate a Messa vanno solo alcune donne anziane... sopraggiungerà una grande carestia». La profezia si realizza e quell’anno le coltivazioni sono scarsissime: fame e  mortalità  dilagano  ovunque.
Il messaggio della Salette va oltre le circostanze di un breve periodo. È un monito per tutta l’umanità a non dimenticare che siamo creature, collaboratori di Dio e non proprietari del Creato.
Il gruppo sul luogo dell’Apparizione. [foto L. Tancini]
Quella del 19 settembre 1846 è l’unica apparizione e i due ragazzi che non erano mai andati a scuola né al catechismo faticheranno a sostenere una lunga serie di interrogazioni che verranno loro rivolte dal Parroco, dal Sindaco e, da ultimo, da una Commissione istituita dal Vescovo di Grenoble. Ci vorranno cinque anni prima che venga approvato il decreto che riconosce l’autenticità dell’apparizione.
La Via Crucis. [foto L. Tancini]
Ripercorrendo su un comodo pullman i sentieri che salgono da Corps, ci prepariamo alla giornata di spiritualità e, al nostro arrivo, siamo accolti nel Santuario per la celebrazione della Messa. Dopo il pranzo è previsto un filmato che presenta la storia delle apparizioni, la Via Crucis che gira attorno alla montagna a ridosso del Santuario, il Rosario accanto al  complesso statuario con possibilità, per coloro che lo desiderano, di restare in solitudine. Sulla grande croce in cima alla collina sono bene evidenti un martello e delle tenaglie, simili a quelle che ornavano la croce che la Madonna portava al collo, divenuti il simbolo dei Missionari de La Salette, istituiti da Mons. Filiberto Bruillard il 1º maggio 1852 per assistere i pellegrini che giungevano sempre più numerosi.
«La missione dei pastorelli è finita, inizia quella della Chiesa», ebbe a dire il Vescovo di Grenoble alla conclusione del processo diocesano, e questo deve essere un insegnamento anche per noi: quello che ci rende santi non è assistere a un’apparizione, bensì ricercare la volontà di Dio e impegnarci nel perseguirla.
Danilo Calonghi




...al SANTUARIO di MOMPANTERO
Quello tenuto al SANTUARIO DIOCESANO DI MOMPANTERO di Susa la sera di martedì 30 luglio è un breve pellegrinaggio che impegna qualche ora appena. È programmato ogni anno nei giorni della Novena che prepara la festa del 5 agosto in onore della Madonna del Rocciamelone, Patrona della Diocesi di Susa. Oltre al capoluogo    sono invitate le parrocchie delle Frazioni ed anche quelle di Beaulard e Savoulx che, unite assieme, formano la Vicaria di Bardonecchia. Le altre Vicarie della Diocesi si recano al Santuario secondo un turno prestabilito.
Il Santuario di Mompantero di Susa, voluto dal Vescovo Mons. Giuseppe Garneri, opera dell’arch. Godone, venne consacrato il 9 luglio 1961.
L’origine della devozione è da ricercarsi alla data del 1º settembre 1358 quando il cittadino di Asti Bonifacio Rotario, per adempiere a un voto, portò in vetta al Rocciamelone una preziosa icona della Vergine. Quel suo “trittico” divenne un cimelio sacro che incoraggiò, da parte dei valsusini, i devoti pellegrinaggi in Vetta.
Un notevole impulso alla devozione alla Madonna del Rocciamelone si ebbe a partire dal 1899, quando gli Alpini del Battaglione Susa portarono in cima la grandiosa statua della Madonna. Fu il coronamento del culto cristiano alla Vergine. La celebrazione radunò molte personalità, e il Papa Leone XIII rimarcò il fatto dettando una elegante composizione latina.
Il Santuario diocesano, al quale siamo diretti, fu incoraggiato per favorire la devozione mariana soprattutto per coloro che non possono recarsi in cima al monte. Ad accoglierci c’è il Vescovo Mons. Badini Confalonieri che presiede la Messa e tiene l’omelia. Nei confessionali ci sono il can. Pent e il can. Penna, a disposizione per il Sacramento della Riconciliazione.
Nel viaggio di ritorno un simpatico chiacchiericcio sul pullman accomuna i partecipanti in spirito di amicizia.

...ad ALBI - ROCAMADOUR - TOLOSA
Anche quest’anno, estate 2013, dopo la valida esperienza degli ultimi due anni, prima a Lourdes poi a Parigi, il pellegrinaggio estivo da Bardonecchia è ancora stato di tre giorni e si è svolto da lunedì 19 agosto a mercoledì 21 agosto in tre località altamente significative ed importanti per la cristianità: la città vescovile di ALBI, al centro delle controversie medievali tra la Chiesa e gli eretici catari; il borgo medievale di ROCAMADOUR; la città di TOLOSA, con la basilica dell’Eglise des Jacobins che ospita le spoglie di San Tommaso d’Aquino (1225-1275), il più grande filosofo e teologo di tutti i tempi della Chiesa Cattolica, proclamato Santo nel 1323 e insignito del titolo di Dottore della Chiesa. Nel raggiungere queste tre località ricche di spiritualità e di arte e cultura medievale, situate nel Sud della Francia, noi pellegrini abbiamo anche potuto ammirare, godere ed essere estasiati dai meravigliosi paesaggi attraversati.
Il gruppo di 50 persone, è partito in pullman da Bardonecchia la mattina presto del 19 agosto, dopo la celebrazione della S. Messa. Dopo calorosi saluti a tutti, don Franco invita alle  preghiere  del  mattino  partecipate con grande intensità ed emozione per ringraziare Dio di averci concesso il dono di questo nuovo pellegrinaggio; quindi con molta simpatia rende conto a tutti dell’impegno che è stato necessario per organizzare il tutto con precisione, soprattutto in termini di risparmio. A questo proposito, dice, si è visto che sarebbe stato più conveniente passare dal Colle del Monginevro invece che dal Traforo del Fréjus, percorrendo la Valle della Durance fino alla Camargue. Questa valle insieme a quella parallela del Rodano, che si sarebbe percorsa passando dal Fréjus, forma un vasto corridoio che a Nord-Nord-Est si unisce alla Valle del Reno permettendo e facilitando i collegamenti stradali non solo tra Nord e Sud della Francia, ma di tutta l’Europa settentrionale alle coste del Mediterraneo.
Come abbiamo avuto modo di constatare già negli anni passati, durante gli altri pellegrinaggi in Francia, anche qui, dopo aver superato il confine italiano,  tranne  che  dove  sono  presenti grandi città o centri abitati, ci vengono incontro solo villaggi, fattorie, castelli, borghi... disseminati in una campagna incantevole  nel  suo  susseguirsi  ordinato di campi, vigneti e frutteti molto ben lavorati e di prati dove pascolano tranquille mandrie di bovini.

Cattedrale di S. Cecilia di Albi, con l’aspetto di una fortezza medievale, serrata da contrafforti semicircolari e coronata dal giro di ronda e da torricelle, innalzata tra il 1282 e il 1390.  [foto E. Allia]

Dopo una breve sosta si attraversa la Camargue osservando le sue bellezze, tra le quali riusciamo a intravedere alcune mandrie dei famosi tori da corrida e, passando per Nimes, si giunge a Montpellier per l’ora di pranzo.
Il pomeriggio trascorre nel viaggio verso Albi, che si raggiunge in serata. Qui, dopo la sistemazione in albergo e la cena, si parte con grande entusiasmo per una prima visita della città, accompagnati da una guida. Così apprendiamo che la città di Albi attualmente è un Comune di circa 50.000 abitanti, situata nella Regione Midi-Pyrenées, e attraversata dal fiume Tarn. Ma la sua grandezza e splendore si devono ricercare nel tardo medioevo, quando per combattere l’eresia dei catari, chiamati anche Albigesi poiché si erano insediati nell’area circostante la città, fu trasformata dalla Chiesa in Città Episcopale e fu fortificata. La città vecchia comprende la Cattedrale di Santa Cecilia, il Palazzo della Berbie, la chiesa di San Salvi e il suo chiostro e il Ponte Vecchio. Tutto circonda l’imponente Cattedrale, che con il suo enorme campanile sovrasta l’intera città (vecchia e nuova). Noi ci limitiamo per ora a osservarla dall’esterno perché questa sera è in programma solo la visita della città vecchia in notturna, denominata “Albi la nuit”.
La città, che è stata inserita nel Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, è chiamata Ville Rouge (città rossa), perché costruita quasi interamente in mattoni cotti. Con la guida ne percorriamo le vie in un ambiente estremamente suggestivo: questo quartiere vecchio ha conservato l’incanto medievale con le caratteristiche piccole case in legno e muratura ed è uno spazio di tranquillità, interrotta solo dal suono delle campane. Si alternano vie e viuzze strette e tortuose, ai lati delle quali si possono ammirare le vecchie dimore medievali, restaurate soltanto qualche decina di anni fa. Da qui si scende al Ponte Vecchio sul fiume Tarn, uno dei più vecchi ponti francesi; costruito nel 1035, portava sui suoi pilastri delle case, che furono demolite dopo essere state danneggiate dalla grande piena del novembre 1766 e le otto arcate di cui è composto hanno profilo diverso l’uno dall’altra, alcune ad arco acuto, altre a tutto sesto.
Il gruppo dei pellegrini all’uscita dalla Messa ad Albi.  [foto E. Allia]
Dopo il pernottamento in albergo e la sveglia alle prime luci dell’alba del giorno 20 agosto, si ritorna a piedi dall’albergo al centro della città per visitare in particolare la Cattedrale di Santa Cecilia. Qui prima della visita, per iniziare degnamente questa giornata, don Franco celebra per tutti noi la S. Messa, alla quale partecipiamo intensamente e con commozione.
La chiesa, spiega la guida, è un capolavoro dello stile tardo gotico o gotico fiammeggiante e si tratta piuttosto di una cattedrale fortificata. È stata eretta con migliaia di mattoni di colore rosso e arancio prodotti in zona. Ha dimensioni esterne di 113 metri di lunghezza, 35 di larghezza, 40 di altezza dei muri, con spessore alla base di 2,50 metri e altezza del campanile di 78 metri. Entriamo nell’edificio attraverso una porta laterale sormontata da un timpano leggero e preceduto da uno snello baldacchino. Mentre l’esterno è tutto molto severo e rude a causa dei muri dritti e della mancanza di ornamenti, l’interno è vivacizzato dai colori dei dipinti e dalla pietra bianca intagliata. Colpiscono subito il colore azzurro del soffitto e l’immensità della navata, che termina con l’abside principale, poi la volta con tutte le sue nervature. Tra le navate e il coro vi è lo “Jube”, la tribuna in pietra calcarea intarsiata, da dove il lettore dei testi sacri, prima di annunciare la parola, chiedeva al sacerdote la sua benedizione, dicendo: «Jube domine benedicere», da cui il nome dato alla tribuna. Il deambulatorio in pietra calcarea tenera circonda sul lato destro il grande coro, con le statue dei personaggi dell’Antico Testamento, come quella di Giuditta in procinto di uccidere Oloferne. Essa è preceduta sul portale, che introduce al deambulatorio, dall’“Annunciazione fatta a Maria” dove un angelo è inginocchiato di fronte a Maria.
Da una porta con serratura in ferro battuto si entra nel Grande Coro, ornato da 120 stalli in legno di quercia, sovrastati da sculture del Nuovo Testamento e da angeli su pannelli. Sotto le due grandi torri interne del campanile i dipinti del Giudizio Universale, tratti dal Vangelo di San Matteo, con scene dell’Inferno e del Paradiso. Si esce dalla chiesa con un sentimento di serenità oltre che di contentezza per la visita di un così grande gioiello dell’architettura religiosa, con tanta solidità all’esterno e tanta delicatezza e raffinatezza all’interno!
La visita prosegue al Palazzo della Berbie, una roccaforte fatta costruire dal primo Vescovo di Albi e poi trasformato in palazzo di residenza del Vescovo, detto in provenzale Besbie, da cui poi Berbie. È una fortezza con muri possenti che raggiungono spessore di parecchi metri, con archi e merli, edifici rinascimentali e giardini alla francese, dai quali si può ammirare il paesaggio sottostante.
Nel palazzo ha sede attualmente il Museo Toulouse-Lautrec con una collezione di oltre 1.000 opere tra dipinti, disegni e stampe di questo artista, nato qui ad Albi nel 1846. Visitiamo poi ancora la Collegiata di Saint Salvi con architettura che riunisce in sé elementi romanici e gotici. Da un passaggio laterale si può entrare nel Chiostro, che si trova sul fianco della Collegiata e che percorriamo tutto rimanendo incantati dalle belle arcate sostenute da colonnine doppie di grande eleganza.
Ma ormai è l’ora del pranzo che consumiamo in un ristorante ai piedi della Cattedrale in allegria anche se un po’ malinconicamente, per dover poi subito lasciare Albi. Infatti, dopo pranzo, ci è ancora concesso qualche tempo per un ultimo giro, magari fino al Ponte Vecchio per un rapido salto verso l’altra parte della città sulla riva sinistra del Tarn. Quindi partenza per Rocamadour, dove si arriva nel tardo pomeriggio, dopo un nuovo lungo percorso nella splendida campagna francese.


Rocamadour è un borgo medievale, situato ai piedi e contro un’alta rocca calcarea, dalla quale si domina la sottostante Valle dell’Alzou. Noi siamo stati portati dal pullman proprio sulla sommità di questa rocca, dove si trova il castello del XIV secolo che domina il paese e da qui possiamo godere di una splendida vista dell’intera valle e del borgo immediatamente sotto di noi. Poi la guida, che nel frattempo ci aveva raggiunti, ci accompagna nella discesa lungo il cosiddetto “Sentiero della Via Crucis” fino al villaggio, parlandoci delle particolarità del borgo. Così veniamo a conoscere che il borgo, situato ai piedi della rocca, ha un’unica via centrale tra due file di case antiche, con quattro porte fortificate e una lunga scalinata che si inerpica fino alla cosiddetta “Città Religiosa”. Ma la cosa più sorprendente è il mistero sulle origini e sull’identità di Amadour, il cui corpo fu trovato intatto scavando il suolo per seppellire un abitante del paese: la tradizione popolare ha identificato Amadour con diversi personaggi, tra cui Zaccheo, il giudeo di Gerico che, per vedere Gesù, si arrampicò su un sicomoro. Dopo questo incontro diventò servitore della Vergine Maria, sposò la Santa Veronica, con lei si stabilì in Gallia e dopo la morte di lei si fece eremita e visse nelle grotte di Rocamadour.
Si giunge quindi alla Città Religiosa dove, tutto intorno ad una suggestiva piazza, si riuniscono, come a darsi la mano, numerose chiese e cappelle.
La Cappella di Notre-Dame di Rocamadour è il santuario principale che ha sempre attirato folle di fedeli e nel corso dei secoli ha subito diversi interventi di ricostruzione e ingrandimento. Qui c’è la “campana miracolosa” che pare sia stata forgiata in epoca carolingia e con i suoi rintocchi improvvisi annunciava i naufraghi miracolati. Infatti la guida dice che Notre-Dame di Rocamadour è sempre stata molto venerata dai marinai in pericolo sul mare, che la invocavano promettendo di recarsi in pellegrinaggio a Rocamadour: a questa promessa la campana si metteva a suonare. Nel santuario sono stati esposti anche numerosi modelli di navi, offerti alla Vergine dai marinai scampati ai pericoli.

A Rocamadour, sospesa ai fianchi dell’abisso, con le Cappelle medievali, tra le quali la Cappella di N. D. di Roc Amadour con l’antica statua del secolo XII. [foto E. Allia]

Anche il timpano sopra al portone della chiesa, fatto ad archi a forma di chiglie di navi, sembra volerci ricordare la chiesa come luogo di salvezza dalle burrasche della vita. Sulla destra del portone poi non si può fare a meno di essere colpiti, quasi spaventati, dall’affresco detto “dei tre morti e dei tre vivi”, dove tre scheletri usciti dai loro sepolcri affrontano minacciosamente tre cavalieri vivi, riccamente vestiti e spaventati dalla terribile visione, per ricordare loro che anch’essi sono destinati a morire, nonostante il loro sfoggio di ricchezza e potenza. L’affresco è molto bello, anche se un po’ macabro, e suscita un senso di sgomento per l’espressione verosimile dei sei personaggi.
All’interno la chiesa ha tre navate e cori coperti da volte a costoloni e sull’altare dedicato a San Marziale (che l’avrebbe consacrato) in una nicchia in bronzo è posta la Vergine Nera di Rocamadour, una statua in legno ricoperta da lamine d’argento e scollature e polsi della tunica in oro. La statua è giunta sino a noi dal medioevo, dopo aver subito ogni sorta di oltraggio e profanazione e sempre spogliata dei rivestimenti di oro e pietre preziose.
Dalla zona dei santuari si scende ora nel borgo sottostante e non c’è niente di meglio che farlo con il grande scalone di 216 gradini, che in passato era interamente percorso in ginocchio dai pellegrini con la recita di preghiere. Dopo aver percorso la via centrale del borgo, soffermandoci presso i negozi caratteristici, raggiungiamo l’albergo per l’assegnazione delle camere e per la cena; poi ognuno ha la serata libera per rivedere tutto con calma e magari ripercorrere lo scalone in salita.
L’indomani mattina si parte molto presto con destinazione Tolosa; all’alba, che preannuncia una splendida giornata di sole, salutiamo un po’ malinconicamente Rocamadour, cercando di imprimere profondamente nel nostro cuore la visione del borgo e della sua rocca illuminati dal sole nascente.
Giungiamo così a Tolosa, ultima tappa del nostro pellegrinaggio, per rendere omaggio a San Tommaso d’Aquino, le cui spoglie sono conservate proprio qui, nel convento domenicano dei Giacobini.
Tolosa, che è capoluogo del Dipartimento dell’Alta Garonna e della Regione Midi-Pyrenées, è una delle città più importanti della Francia sia culturalmente sia industrialmente. Arriviamo in città verso le ore 10 e a piedi raggiungiamo la nostra meta principale, cioè l’Eglise des Jacobins, compresa nel convento dei Domenicani di Tolosa, In questa chiesa le spoglie di San Tommaso d’Aquino sono collocate in un’urna all’interno di un altare posto al centro della chiesa: qui don Franco celebra la S. Messa per noi, tutti fortemente emozionati per trovarci a pregare sulla tomba dei più grande Dottore della Chiesa.
Dopo essere stati suddivisi in due gruppi, seguiamo le guide, che nel frattempo ci hanno raggiunti e ci parlano dapprima di Tolosa: essa è detta città rosa per il colore rosa dominante degli edifici antichi, è attraversata dal fiume Garonna ed è considerata la capitale culturale dell’Occitania, una vasta zona che comprende tutto il sud francese più le parti alte di alcune vallate italiane del Piemonte e una parte dei Pirenei spagnoli; a ricordare ciò è il simbolo della croce occitana sulla bandiera della città.
La chiesa dei Giacobini, fanno notare le guide, è stata sconsacrata ed è possibile celebrare la S. Messa solo nella ricorrenza di San Tommaso d’Aquino, il 28 gennaio di ogni anno. Quindi la S. Messa alla quale noi abbiamo partecipato è stata concessa in via del tutto eccezionale.
San Tommaso d’Aquino, come risulta dalla storia della filosofia e della teologia e come ci ha ben spiegato don Franco, è riconosciuto tra i massimi pensatori di tutti i tempi e con-siderato uno dei più grandi Santi della Chiesa; a lui fu attribuito il titolo di “Dottore della Chiesa”, proprio perché si è distinto sia per la santità di vita sia per l’eccellenza del suo sapere teologico, svolto principalmente a gloria di Gesù e in difesa dei principi cattolici contro l’eresia.
Sacerdote e frate domenicano, studioso di filosofia e teologia nel periodo della cosiddetta “Scolastica”, cioè della filosofia studiata nelle “scholae” universitarie, fu discepolo di Sant’Alberto Magno e poi collega del francescano San Bonaventura da Bagnoregio come docente dell’Università di Parigi. La sua formazione avvenne alla scuola dei principali autori classici di lingua greca e latina, ma soprattutto fu nella sua epoca il massimo commentatore del pensatore greco Aristotele. Ebbe come grande principio ispiratore la ricerca del vero e di ciò che è razionale, senza badare alla cultura e alla fede dello studioso da lui commentato e questo fu per lui anche fonte di dispiaceri.
Fondò il suo pensiero su argomentazioni razionali sottoposte volutamente a disputa e si accostò sempre al Vangelo e alla Sacra Scrittura, considerandoli fonte di conoscenza e di amore per Gesù Cristo; così alla luce della Rivelazione egli sottolinea la grandezza dell’uomo in quanto tale e in rapporto con Gesù, modello di perfezione umana.
È autore di numerosissime opere di filosofia e teologia delle quali la più importante e la più studiata ancora attualmente nelle Facoltà teologiche e nei Seminari è senz’altro la “Summa Teologica”, un’opera enorme ma che altro non era che un manuale o una sintesi ad uso degli studenti di teologia o, come dicono scherzando i teologi moderni, “il Bignami dei medievali”.
Tommaso era tenuto in così grande considerazione all’interno della Chiesa da essere invitato da Papa Gregorio X al Concilio di Lione, ma dopo essersi messo in viaggio morì a Fossanova di Triverno, in provincia di Latina, nel 1274; fu Beatificato nel 1323 da Papa Giovanni XXII con il titolo di “Doctor Angelicus”.
Dopo una fotografia di gruppo per immortalare il momento più importante di tutto il pellegrinaggio, in cui tutti ci siamo sentiti profondamente onorati di aver fatto visita a un così grande personaggio della Chiesa, ci spostiamo ancora a visitare la Basilica di Saint Sernin, imponente costruzione in mattoni e pietra risalente al secolo XI. Essa fu costruita per accogliere le spoglie di San Saturnino, primo Vescovo di Tolosa, il quale era stato martirizzato trascinato da un toro, per essersi rifiutato di sottomettersi agli idoli pagani. Anche questa basilica colpisce per la sua linearità e semplicità.
Seguiamo ancora le guide in una veloce visita del cuore della città, la Piazza del Capitole o Campidoglio, dove possiamo osservare le croci occitane simbolo di Tolosa, e girare tra le bancarelle del mercato locale. Poi entriamo ad ammirare il Capitole, nobile costruzione di metà Settecento che ospita il Municipio di Tolosa.
E proprio qui, dopo l’ottimo pranzo consumato in allegria e amicizia, ha ormai termine il nostro intenso pellegrinaggio e ci prepariamo al ritorno a Bardonecchia, dove giungiamo verso l’una.
Il viaggio di ritorno è, come sempre, un po’ triste e malinconico.
Poi con canti e preghiere ringraziamo ancora il Signore di tutti questi momenti così belli passati insieme, e di essi ci scambiamo impressioni.
Ringraziamo il prof. Albera per i suoi precisi e puntuali interventi, e un grande e sincero grazie ancora una volta al mitico Renzino, il quale con la sua preparazione ed esperienza di capitano di lungo corso ci ha traghettati in tutto il viaggio, infondendo sempre sicurezza e tranquillità.
Famiglia Bosco
 
Eglise des Jacobins di Tolosa, dov’è l’urna con le reliquie di San Tommaso d’Aquino. [foto E. Allia]

PELLEGRINAGGIO ALL’URNA DI SAN TOMMASO
Un breve viaggio, ricco di suggestioni, al quale ha aderito anche un gruppetto di astigiani, si è tenuto nella seconda parte del mese di agosto, organizzato dalla parrocchia di Bardonecchia. Meta principale di quello che si configurava come un “pellegrinaggio sulle orme di San Tommaso d’Aquino”, la rosa Toulouse.
Dopo avere toccato le città di Albi – nota roccaforte contro l’eresia dei Catari – e il pittoresco villaggio di Rocamadour, una Celebrazione Eucaristica di prima mattina officiata dal Parroco don Franco Tonda nell’Eglise des Jacobins, gioiello d’arte gotica della Linguadoca, ha fatto pregare davanti al reliquiario del grande Dottore della Chiesa. Domenicano, morto nell’Abbazia cistercense di Fossanova, viene traslato nella chiesa dei Giacobini il 28 gennaio 1369. La chiesa impressiona per la sua volumetria interna. Le colonne sono alte 22 metri.
Il “palmizio” poi è un capolavoro unico al mondo e si innalza per 28 metri. Si tratta di una maestosa colonna le cui decorazioni sul soffitto ricordano appunto un palmizio e il cui effetto scenografico è valorizzato da alcuni anni da uno specchio alla base, capace di regalare la sensazione – così dicono le guide – che i muri non siano più un confine tangibile.
Le spoglie di San Tommaso sono attualmente collocate in un’urna posta sotto un semplice altare che non ricorda certo il grande mausoleo eretto nel XVII secolo e distrutto dalla Rivoluzione Francese.
Patrizia  Porcellana

...a NOTRE-DAME du CHARMAIX
Con settembre i villeggianti salutano Bardonecchia perché hanno concluso il periodo di villeggiatura, e così pure si chiude il ciclo di pellegrinaggi estivi con il tradizionale saluto alla Madonnina nera del CHARMAIX che quest’anno è stato posticipato
a lunedì 9 settembre perché il giorno a Lei dedicato cadeva di domenica.
Quest’anno è stata ripristinata la vecchia tradizione di fare una tappa conviviale al Colle del Moncenisio per degustare le famose trote salmonate pescate nell’omonimo lago.
La partenza, in orario cronometrico, è avvenuta alle 10 perché i 60 pellegrini si sono trovati in anticipo nella piazza del mercato; alle 11,30 eravamo sul Colle spazzato da un’aria gelida che ha reso la visita al giardino botanico alpino assai breve ed alle 12 eravamo tutti seduti a tavola nell’affollatissima saletta da pranzo a gustare con gli occhi il bellissimo panorama caratterizzato dal cielo azzurro incorniciato dalle vette alpine ed il lago di un colore blu intenso che di più non si può descrivere.
La splendida giornata ha consentito lo svolgersi dei pellegrinaggio a piedi fra l’ultimo tornante e la Cappella con inizio della recita del Rosario che si è poi conclusa nell’affollata Cappella con il canto delle litanie.
Tutti i pellegrini sono rimasti incantati, in estatica ammirazione, a contemplare l’altare completamente restaurato, sovrastato dalla statua della Madonna nera.
Il 2013, Anno della Fede proclamato da Papa Benedetto XVI, volge al termine e don Franco, nell’omelia, ha sottolineato, fra l’altro due episodi tratti dagli annali parrocchiali di Bardonecchia degli anni 1683-1685 in cui viene fatta testimonianza di due famiglie – Gilbert e Francou – che di Fede sicuramente ne avevano tanta. Come purtroppo era frequente in quegli anni, il loro ultimo figlio nato morì prima del Battesimo, tale fu il loro dolore per non avere potuto amministrare il Sacramento che consente di entrare in Paradiso alla loro creatura, che senza perdere tempo, con il figlio avvolto in fasce come fosse vivo, incuranti del clima invernale, si mettono in viaggio verso lo Charmaix per chiedere alla Vergine il miracolo di fare ritornare in vita il figlio solo per il tempo necessario per amministrare validamente il Battesimo. La loro Fede fu premiata, il bimbo, giunto nella Cappella ebbe un vagito e fu così battezzato, quindi volò definitivamente al Cielo.

L’arrivo della processione. [foto D. Pagnotto]
 
Il gruppo dopo la Messa allo Charmaix. [foto L. Tancini]


Conclusa la cerimonia, i pellegrini, uscendo dalla Cappella, si sono informati sulla storia dello Charmaix: 


• la statua della Madonna miracolosa è alta 40 cm. ed ha un peso di soli 3 chili e 750 grammi, è in marmo bianco dipinto di nero nella parte alta. La Vergine tiene sul braccio sinistro il Bambino Gesù all’altezza dell’omero, mentre con il braccio destro ripiegato sul petto tiene un piccolo specchio di 3 cm. di diametro. 
• Nel 1401, su territorio comunale, fu costruita la Cappella ed il ponte che ne consente l’accesso; circa 150 anni dopo fu sistemata la pala dell’altare scolpita dai fratelli Mellurin. 
• Nel 1625 fu costruita la sacrestia e J. Clappier scolpì il “Sole dorato” dove è posizionata la statua della Vergine miracolosa. 
• Nel 1715 Vittorio Amedeo II procede al restauro della Cappella e del ponte, inoltre fa incidere su di una lastra di marmo, collocata sopra l’ingresso, lo stemma di Casa Savoia. • Negli anni bui della Rivoluzione Francese (1795) l’edificio fu saccheggiato, ma la statua della Madonna fu preservata perché G. Bernard la nascose in casa a Modane. • Nel 1808 il prete Sebastiano ristabilisce il culto alla Vergine dello Charmaix.
• Nel 1850 la marchesa Giulia Falletti di Barolo offre l’altare laterale. • Nel 1889 viene effettuato il rifacimento del tetto della Cappella con lose italiane. 
• Nel 2012-2013 viene ultimato il restauro che noi ora possiamo ammirare.
Con tanta nostalgia nel cuore salutiamo per l’ultima volta la Madonnina nera dello Charmaix e ci raccomandiamo a Lei per trascorrere un inverno sereno e in salute; risaliamo a piedi gli ultimi tornanti, facciamo la foto ricordo ai piedi della Croce e con la guida sicura di Renzino facciamo rientro a Bardonecchia attraverso il Tunnel del Fréjus.

Marco Rissone