01/03/06

L’ANGOLO DELLA CULTURA (2005)


L’ANGOLO DELLA CULTURA

«Il secolarismo tocca la mentalità del battezzato e lo spinge ad escludere anche solo il parlare delle cose che riguardano la nostra fede. Una forma di rispetto umano e d’insicurezza porta il cristiano ad avere timore di parlare di Dio e del Salvatore addirittura in famiglia, tra le mura domestiche. Non ci si accorge che il peso dei problemi umani diventa troppo oneroso se portato da solo. Cristo è la via, la luce di verità e la forza per risolvere le difficoltà della nostra vita».
«Vi è in alcuni cristiani una difficoltà ad unire fede e culto e la liturgia con la vita. Ci si dimentica che la domenica è il giorno nato dalla Pasqua e per celebrare la Pasqua... È urgente uno sforzo della Chiesa a tutti i livelli, per vivere in modo sempre più consapevole nell’assemblea domenicale, la celebrazione della Pasqua di Cristo».
«La Chiesa primitiva vive dell’Eucaristia domenicale come momento essenziale della vita dei fedeli per cui alcuni cristiani preferiscono il martirio piuttosto che la rinuncia a partecipare alla Messa. I martiri di Abitene nel 304 affermano davanti ai giudici: “Senza la domenica non possiamo vivere”».

«Il Vescovo si adoperi perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti
e perché conoscano e vivano il mistero pasquale» (C.D.C. n. 387). (foto A. Polinetti)
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«La domenica è segno liturgico, con le caratteristiche dei segni sacramentali che sono simultaneamente: memoria del passato, attuazione al presente di un evento salvifico, annuncio e profezia del futuro. Non è un semplice ricordo, ma è un mistero che entra nell’economia della salvezza che caratterizza l’agire di Dio nella storia umana».
«Di domenica ogni cristiano è chiamato a prendere coscienza della sua partecipazione alla vita del risorto, a sentire l’urgenza di costruire in sé l’uomo nuovo, a sperimentare la gioia di appartenere a un mondo nuovo, alla nuova famiglia di Cristo e a impegnarsi ad edificarla nella giustizia e nella santità».
«La domenica senza l’Eucaristia non può dirsi giorno del Signore e della sua Chiesa».
«Il primo punto di rinnovamento sia cercato nel modo e nella profondità di partecipazione alla celebrazione liturgica, curando con precisione la preparazione di ogni momento della Messa, dai canti alla preghiera dei fedeli, alla preparazione delle letture (...) dai paramenti all’addobbo dell’altare e alla pulizia e all’ordine della casa del Signore». «Un altro impegno può riguardare il culto eucaristico fuori della Messa, con l’adorazione
eucaristica, specialmente domenicale».
«Desidero che ci siano ministri straordinari dell’Eucaristia che al termine della Messa domenicale portino ai malati la S. Comunione».
Noi uomini vogliamo essere i padroni del Creato in prima persona e da soli. Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo illimitato. Dio ci è d’intralcio. O si fa di lui una semplice frase devota o egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato. La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e  della nostra vita, non è tolleranza ma ipocrisia. Laddove però l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del potere e degli interessi.
Dall’Omelia di BENEDETTO XVI
tenuta per l’apertura del Sinodo dei Vescovi, il 2 ottobre 2005
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La santità nel quotidiano
Ringrazio il caro don Franco che mi ha dato nuovamente la possibilità di potermi dimostrare vicino a Bardonecchia ed alla vostra comunità parrocchiale. L’argomento di questo articolo è assai ampio e di difficile trattazione, ma ciò che mi propongo è affrontarlo attraverso l’esperienza personale vissuta in famiglia e, in questi ultimi due anni, in Seminario a Roma.
Ricordo ancora lo scalpore e quasi il “dispiacere” che provai quando durante un’ora di religione la maestra mi rispose che solo i santi vanno in paradiso, mentre per gli altri c’è il purgatorio o l’inferno. E questo, che lo si voglia o no, è vero.
Ma chi sono i santi? Fino a pochi anni fa la nozione che possedevo sul loro conto era ritenerli persone eteree, vissute quasi senza accorgersene, talmente fuori dal mondo che non ci si poteva neppure accostare e tanto meno paragonare. In sostanza erano ideali. Come conciliare, allora, questa posizione con la chiamata universale di Gesù alla salvezza (e quindi alla santità) è stato uno dei motivi che più mi ha fatto riflettere all’inizio del mio cammino verso il sacerdozio.
La risposta che gradualmente è emersa sorprende per la sua facilità: questi uomini
sono persone semplici che hanno volontariamente deciso di abbandonare le suggestioni del presente per seguire Gesù Cristo in ogni momento e situazione della loro vita. La vita diviene il campo in cui possiamo esercitare la nostra libera opzione per il Signore o per il suo rifiuto nel peccato. Non siamo però, nelle mani di un Dio sadico che ci mette di fronte ad una prova fine a se stessa; la nostra stessa libertà è legata a questa condizione scaturita dall’Amore di Dio rivolto verso di noi. Non avrebbe, infatti, senso sostenere
di essere liberi se fossimo già stati condannati o ultimamente salvati, poiché ogni nostra azione in questo mondo sarebbe necessariamente vuota. Tuttavia non siamo lasciati da soli, ma riceviamo l’aiuto divino della grazia dello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. «Questa grazia ha il potere di giustificarci,
cioè di mondarci dai nostri peccati e di comunicarci la giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo e mediante il Battesimo. Per mezzo dello Spirito prendiamo parte alla Passione di Cristo morendo al peccato, ed alla Sua Risurrezione nascendo ad una vita nuova: siamo le membra del Suo corpo che è la Chiesa, i tralci innestati sulla Vite che è Lui stesso» (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1987-1988).
La nostra chiamata alla santità, pertanto, consiste nella conversione della nostra vita dall’essere orientati totalmente sul proprio “IO” ad un affidamento fiducioso a “DIO”-Trinità.
Questo morire a se stessi in Dio ci conduce ad essere aperti al prossimo assumendo le nostre sofferenze quotidiane per seguire Cristo. Il tema della rinnegazione di sé appare non più come atto cinico ed autolesionista, ma piuttosto come momento necessario per il cammino verso le più alte aspirazioni dell’uomo: essere inseriti nell’amore divino, rivolgendosi a chi ci sta vicino, nella comunità dei credenti, che è la Chiesa.
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L’ANGOLO DELLA CULTURA

Talvolta ho l’impressione che sia molto più semplice essere “solidali” e capaci di “amore” con persone o in situazioni in cui non siamo direttamente coinvolti, ma al contrario essere estremamente egoisti ed egocentrici quando in gioco c’è la nostra persona o le nostre idee. Questo buonismo che pervade la nostra attuale società non parte da un atteggiamento totalmente negativo, ciò nonostante se non si purifica dei suoi aspetti diretti
alla sola realizzazione di sé non può che sfociare in una comoda ipocrisia. Cerco di spiegarmi con altre parole: ogni uomo, che non è accecato dal peccato, sente l’esigenza di aiutare ed amare il prossimo a causa dell’opera dello Spirito, ma se non si vede la persona che ci sta di fronte alla luce di Cristo, presente tra noi, ciò a cui rispondiamo è solamente la nostra sete dell’altrui approvazione.
L’amore di Dio è sconfinato e non richiede nulla in cambio se non di essere imitato tra noi uomini. Il santo accoglie quest’istanza incondizionatamente, ma sempre all’interno della comunità ecclesiale che attraverso il suo esempio (nella Tradizione) ed insegnamento (nella Scrittura) fa maturare la vocazione del cristiano alla sequela di Cristo, che essendo intimamente legato alla Chiesa la santifica e la rende santificante. Inoltre, da essa il fedele riceve la grazia dei Sacramenti che lo sostengono e rinnovano, durante il “pellegrinaggio” terreno.
Vorrei far sintesi suggerendo due “modelli” di santità che tanto mi stanno aiutando in questi anni di formazione e che ritengo essere vissuti da ogni santo: 1) il modello “mariano”, come Maria il santo ha risposto “Eccomi” e si è donato totalmente alla Trinità senza calcolo e con la fede degli umili; 2) il modello “giovanneo”, come Giovanni Battista il suo obiettivo non è quello di porsi al di sopra od allo stesso livello di Dio, ma egli lo annuncia con la sua testimonianza e vita e lo indica come unico salvatore.
Assicuro a tutti voi il costante ricordo nelle preghiere e mi piace concludere con una definizione di San Gregorio di Nissa sulla vita spirituale: «La perfezione cristiana non ha che un limite: quello di non averne nessuno».
Alvise Leidi
Gli alunni dell’Almo Collegio Capranica, sabato 21 gennaio, festa di S. Agnese, Patrona del Collegio, in udienza da Papa Benedetto XVI. Accanto al Card. Ruini, il Rettore mons. Manicardi e dietro, in seconda fila, il nostro ch. Alvise Leidi, con accanto a lui il ch. Justin Wylie, anch’egli amico di Bardonecchia. (foto Felici)
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