03/06/10

HA SOLO FATTO IL PARROCO, IN MODO STRAORDINARIO (2009)

L’ANGOLO DELLA CULTURA

«HA SOLO FATTO IL PARROCO, IN MODO STRAORDINARIO»


«Atante teorie odierne sul sacerdote la Chiesa risponde che il prete oggi è ciò che è stato questo Curato. Uno che ha speso la vita a dire Messa, confessare, evangelizzare, soccorrere poveri e malati. Con fede debordante».
Un prete nato alla vigilia della Rivoluzione Francese e morto 150 anni fa è il modello proposto da Benedetto XVI per l’Anno Sacerdotale che inizia a giugno. Al Vescovo di Belley-Ars, Monsignor Guy Bagnard, abbiamo chiesto perché.
«L’attualità di Vianney – risponde Bagnard – sta nel suo avere fatto il Parroco senza opere eccezionali, ma compiendo ogni semplice azione in modo straordinario. Perché era un prete di formidabile intensità spirituale. Il Curato d’Ars è uomo che vive di interiorità: tanto donato a Cristo che tutto il suo ministero ne è trasformato».
Giovanni Paolo II abbozzò un parallelo fra la sfida del Curato d’Ars alla Francia anticlericale del dopo Rivoluzione e la sfida al laicismo dell’Occidente contemporaneo. L’elezione del Curato a modello ha a che fare con questa sfida?
«Dopo la Rivoluzione la Chiesa era attaccata in modo violento, Oggi invece viviamo nel benessere, nella spinta al consumismo – e pare che non ci sia più bisogno di Dio. La società si organizza senza Dio in una laicità dove i valori del Vangelo sono almeno teoricamente rispettati. Ma senza Dio. Non c’è più la sorgente che li alimenta.

Quanto alla figura del prete, resta al centro comunque di una sfida. L’attacco, direi, oggi è camuffato, e tuttavia pericoloso: è per dirci che non serviamo a niente. Il prete non è più nessuno, è considerato un povero ragazzo che non ha trovato posto nel mondo e quindi ha fatto il prete. Uno, insomma, un po’ sciocco». Cosa vuole dire il Papa ai preti indicando Vianney?

«Giovanni Paolo II ad Ars nel 1986 parlò delle grandi difficoltà incontrate da quel contadino, analfabeta a 17 anni, per arrivare al sacerdozio, e indicò ai giovani seminaristi la sua perseveranza. Poi parlò del ministero: il Curato era un prete che viveva nella prossimità della gente e la amava. Ars era un posto dove non si voleva andare, una zona di paludi, la “Siberia” della Diocesi. Era l’ultima parrocchia dell’Ain, con 230 fedeli. Ma quella gente che si alzava all’alba per andare a mungere vedeva il Parroco che alle quattro già pregava. Poi, amava i poveri. L’aveva imparato in famiglia, una famiglia dove si accoglieva chiunque bussasse alla porta. Nasce da qui la sua straordinaria carità».
Diceva ai fedeli durante la Messa, indicando il tabernacolo: «Lui è qui». Quanto contava nella vita di Vianney l’Eucaristia?
«Aveva il dono della coscienza della presenza di Cristo nella Eucaristia. Celebrava così intensamente che ci fu chi si convertì semplicemente guardandolo dire Messa. E confessava anche per 17 ore al giorno. A notte fonda c’erano fedeli sdraiati davanti alla canonica che già lo aspettavano. Fece aprire una piccola porta sulla sinistra della facciata della chiesa, per i peccatori che si vergognavano a farsi vedere entrare. E dentro, accanto a quella porta mise un  confessionale. Voleva venire incontro a chi rimetteva piede in chiesa, magari dopo anni. Confessò centinaia di migliaia di fedeli».
Il Curato d’Ars aveva un forte senso del peccato. Crede che cristiani oggi lo comprendano ancora?
«Era la profonda coscienza della presenza di Dio che generava in lui il senso del peccato. Cosciente di Dio presente, vedeva più nette le ferite del peccato. Oggi, è vero, il mondo organizzato senza Dio non comprende il peccato, stenta anzi a riconoscerlo».
Cosa si vuole dire ai preti con questo Anno Sacerdotale?
«Credo che la prima intenzione sia per le vocazioni: perché siano riconosciute dai giovani. Poi, la scelta del Curato d’Ars sembra una contrapposizione con tante teorie sulla vita del prete, che non porta più la veste, che sembra mimetizzato, non più identificabile.
La Chiesa risponde: il prete oggi è ciò che è stato questo Parroco. Uno che ha speso la sua vita a dire Messa, confessare, evangelizzare, soccorrere i poveri e i malati. Con una fede debordante dal cuore. “Il cristiano è un povero che domanda a Dio”, diceva. Domandava ogni cosa a Dio. Quando arrivò a Ars si chinò a baciarne la terra e domandò a Dio di  convertirne la gente. È un gesto che Giovanni Paolo II imitò nella sua prima parrocchia in Polonia. Per questo nel luogo  in cui il Papa disse Messa qui ad Ars nell’86, abbiamo costruito un Seminario nel suo nome». E 150 sono stati già ordinati. 50 ragazzi stanno studiando. La storia, ad Ars, continua.

Marina Corradi (Avvenire, 1-4-2009)