03/06/10

ENRICO BARTOLETTI, e le ciliegie di Bardonecchia (2009)

ENRICO BARTOLETTI, Vescovo, Servo di Dio, e le ciliegie di Bardonecchia

Nel Bollettino del 1977, nelle lettere pubblicate (a pag. 99), mons. Bellando tra molte testimonianze ricevute riassume quelle di due cari amici, scomparsi da poco tempo. Una di mons. Oddo Taccoli, Prelato Partecipante del Papa, l’altra di Enrico Bartoletti, Arcivescovo Segretario della CEI che scrive: «La tua rivista mi giunge sempre molto gradita: vi trovo tanto fervore apostolico. Spero di poter ritornare da te, dove il ricordo del breve soggiorno mi è indimenticabile...».
Testimonianza di prima mano del soggiorno a Bardonecchia del Segretario della CEI, di cui non c’è più traccia fino al 1990, quando sul Bollettino don Bellando redasse un bel profilo dell’amico, originato dalla recente visita con i pellegrini bardonecchiesi a Lucca e al Duomo. Sulla tomba di Bartoletti, quando è svelato che il Parroco di Bardonecchia era compagno di studi al Collegio Capranica di Roma con l’antico Arcivescovo della Città, un drappello di laici e alcuni sacerdoti commentarono a voce alta: «Bartoletti era un santo ... ancora oggi si vien qui a pregare sulla sua tomba» (Echi di Vita parrocchiale, Bardonecchia, gennaio 1990, pag. 119, 120.2.)
Una prova lampante di quella fama di santità che è basilare per l’istruzione di una causa di beatificazione. Mons Bellando è stato profeta anche in questo: quasi vent’anni prima che si aprisse l’iter per la beatificazione di Mons. Bartoletti, iniziato l’anno scorso nell’Archidiocesi di Lucca.
Dallo studio delle due segnalazioni del Bollettino si ricava che Bartoletti fu a Bardonecchia nell’agosto del 1975, anno precedente a quello della sua morte, in particolare nei giorni intorno al 24, festa di S. Bartolomeo al Vernet: difatti l’Arcivescovo non voleva che don Bellando rinunciasse alla festa del Vernet, facendosi sostituire, a causa sua. Venne a Bardonecchia per trovare l’amico di sempre e profittarne, per farsi da lui accompagnare alla Grande Chartreuse di Grenoble, a trovare un giovane monaco di Lucca. Fu il prof. Marco Rissone ad accompagnarli con la sua comoda Flavia, e lo ricorda bene sugli appunti che mi ha consegnato, per fissarne il ricordo. Ne rivive l’impressione di «un uomo esile fisicamente, di temperamento mite, veramente umile, ma da cui traspariva grande cultura teologica, piccolo uomo, ma grande messaggero di Dio, esperto delle cose divine».
Don Enrico Bartoletti, allora Rettore del Seminario
di Firenze, con il Cardinale Elia Dalla Costa.
Degno di nota, che potrebbe andare fra le deposizioni del processo di beatificazione è un episodio con sapore dei fioretti di S. Francesco, che Marco ricorda vividamente: «Eravamo nella chiesa parrocchiale di S. Ippolito, Sua Eccellenza era in talare filettata, e fu avvicinato da un giovane che gli chiese di potersi confessare. Io per delicatezza mi allontanai, ma il Vescovo mi fece cenno di avvicinarmi e mi disse che senza il permesso del Parroco non poteva assolvere a questo ministero. Nella mia ignoranza dissi che poteva farlo tranquillamente, ero certo che don Bellando non avrebbe avuto nulla da ridire. Ma l’Arcivescovo fu irremovibile. Al che, di corsa, andai in casa parrocchiale per ottenere il consenso del Parroco che lo diede sorridendo e commentando che ben pochi sacerdoti sono così ligi alle regole ecclesiastiche. Quindi, sempre di corsa, tornai in chiesa, dove Vescovo e penitente erano ad attendermi».
Marco ricorda ancora quel viaggio verso la Casa Madre dei Certosini, in Francia: abbastanza lungo, ma veloce perché i due amici conversarono tutto il tempo, amabilmente, con aneddoti e ricordi della loro vita sacerdotale trascorsa. Ricorda anche, come fa pure don Bellando nell’articolo citato, il privilegio – solo un Vescovo lo può fare, a tutti gli altri è negato – grazie al quale poterono accompagnare Bartoletti, ed entrare nella stretta clausura certosina.
Il dott. Rissone non ha più dimenticato la grande, antica e ricchissima biblioteca monastica. Entrambi, sia Rissone che don Bellando raccontano che nella Messa presieduta da Bartoletti si consacrarono ostie molto spesse, che diedero disagio ai fedeli e difficoltà pratiche. Interessante notare che Bartoletti non le gradì, anzi commentò, secondo Marco, che era una complicazione di una cosa semplice, già risolta da secoli con le particole adatte, e che la “fractio panis” aveva un senso nelle prime comunità dei cristiani, in un contesto completamente diverso.
Aggiunge don Bellando: «Era tanto affaticato, aveva un sacco di impegni predisposti, ogni tanto prendeva in mano il notes per degli appunti. Più volte ci siamo fermati per un caffè che, paragonandoli ai nostri ristretti italiani, gli  sembravano deotti, con la “e” aspirata alla fiorentina. A cena a Bardonecchia, in canonica, si rallegrava come un bambino per le ciliegie appena mature alla fine d’agosto: la pianta protendeva i suoi rami fino nella piccola veranda dove si pranzava». (Quanta fine e vivace umanità in queste pennellate del nostro Parroco!).
Nel congedarsi Mons. Bartoletti si premurò di invitare don Bellando che soggiornava a Roma per le sue vacanze ogni anno, ad essere ospite, d’ora in avanti, da lui, alla casa della Conferenza Episcopale, dove aveva una bella camera per gli ospiti. Invito che ribadì con una bella lettera, inviata per S. Francesco di Sales, onomastico del Parroco di Bardonecchia. Invece fu il loro ultimo incontro, infatti, una sera dei primi di marzo del 1976, Mons. Jannucci,  Arcivescovo di Pescara, carissimo compagno di collegio e di Ordinazione Sacerdotale di don Bellando, gli telefonava: «Ti devo dare una notizia triste, Bartoletti è in clinica, gravissimo, oggi il Papa è andato a visitarlo!». Sarebbe spirato il 5 marzo 1976, nella pace di Cristo e in pieno svolgimento del suo servizio apostolico, rileva don Bellando aggiungendo: «È stata una grave perdita per la Conferenza Episcopale Italiana, per la Chiesa, per gli amici! Aveva appena 59 anni».
Con Bardonecchia ed il suo Parroco c’era dunque un legame stretto, risalente ai tempi romani dell’Almo Collegio e don Francesco ricordava l’ingresso di Bartoletti al Capranica, come se fosse appena successo, descrivendone la gentilezza squisita, la timidezza, la parlata spiccatamente fiorentina. Al 2º anno di Collegio era già prefetto di camerata... lo studio alla Gregoriana lo assorbiva, ma aveva ancora tempo per gli altri. Scrive don Bellando: «Quand’ero sacrestano in collegio lo vedevo spuntare sovente e spontaneamente per aiutarmi nell’allora complicata preparazione delle celebrazioni, attento alla Liturgia, anche nei particolari».
I due si erano rivisti spesso a Roma e don Francesco ne seguiva notizie e iniziative sui giornali cattolici che ne parlavano frequentemente come maestro, ispiratore, relatore a Convegni e raduni, per sacerdoti e laici, finché comparve la nomina a Vescovo Ausiliare di Lucca, appena quarantaduenne.
Un’altra nota “bardonecchiese” di questo rapporto fu la conoscenza che Bartoletti aveva dello zelo e del carisma pastorale di mons. Bellando, esercitato nella nostra cittadina per 46 anni e l’ispirazione di farlo conoscere altrove, agli altri Parroci, portandolo ad esempio. Infatti al Congresso Nazionale della Pastorale del Turismo Bartoletti fece intervenire il Parroco di Bardonecchia, per rendere nota l’iniziativa degli Esercizi spirituali per i villeggianti. Nell’additarli come meritevoli d’imitazione, Bartoletti volle che don Bellando si soffermasse in particolare sulla preparazione dell’ambiente per la loro riuscita. Così fu anche al Convegno Nazionale per l’Anno Santo 1975, in cui don Bellando era Delegato per la Diocesi di Susa. Bardonecchia veniva quindi conosciuta da sacerdoti di tutta Italia e la sua vita parrocchiale messa sotto i riflettori ecclesiali.
A completare il quadro si deve ricordare che don Enrico fu ordinato prete dal santo Arcivescovo di Firenze il Card. Elia Della Costa, poi divenne Rettore dei Seminari Minore e Maggiore della sua Firenze, con la cattedra in Sacra Scrittura, essendo un affermato biblista, animatore dell’Associazione Biblica Italiana. Aveva pubblicato un diffuso commento al Vangelo, tradotto da scrittori di primo piano come Nicola Nisi, Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli e altri e le sue omelie furono date alle stampe in più volumi e diverse riedizioni. Diede un riconosciuto contributo al Concilio, con un apprezzato apporto alla Dei Verbum, in particolare. Nella biblioteca parrocchiale di S. Ippolito si trovano ancora alcuni di questi volumi.
13 settembre 1958, luminara di Santa Croce.
Monsignor Enrico Bartoletti fa il suo ingresso
solenne in Diocesi di Lucca.
Ho visto, pochi mesi fa per le vacanze natalizie, campeggiare il volume sul sacerdozio ministeriale, edito da Città Nuova, molto apprezzato e ancora attuale. Nominato Ausiliare a Lucca nel 1958, nel 1971 ne assume il diritto di successione e il 4 aprile 1972 viene nominato da Paolo VI Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Scelto per dare una fisionomia alla Chiesa italiana negli anni tormentati del post-Concilio e lo farà per tre anni e mezzo, attendendo all’incarico ricevuto da Paolo VI con obbedienza e fedeltà, seguendo in ogni circostanza le direttive del Papa, anche quando non coincisero con la propria sensibilità. Negli anni che vanno dal 1972 al 1976 Bartoletti fu uno dei protagonisti di primo piano della vita della Chiesa italiana, chiamato a seguire vicende delicate quali il referendum sul divorzio, la crisi della Democrazia Cristiana, la dissoluzione dell’associazionismo cattolico tradizionale, la revisione del Concordato e l’incipiente questione dell’aborto. Bartoletti è stato giudicato dagli storici l’uomo che ha condotto la CEI ad assumere fino in fondo le proprie responsabilità pastorali nei confronti della Chiesa italiana.
È al Vescovo toscano (non al Presidente della CEI, Card. Poma) che il Papa affida le missioni “impossibili”. All’ambasciatore italiano Gianfranco Pompei il Segretario di Stato Vaticano Card. Villot confidava: «Bartoletti è il solo che possa dire tutto a Paolo VI senza perderne la fiducia. Il che non è da tutti». (In Enrico Bartoletti, Vescovo del Concilio, Testimone di speranza, di Valerio Lessi, Paoline Editoriale Libri, 2009 pag. 152.),
1971. Con Paolo VI dopo la relazione svolta al Sinodo
dei Vescovi, nota con il nome di “Panorama”.
Il 1º marzo 1976 in Vaticano ci fu un incontro con Paolo VI, presenti il Segretario di Stato Card. Villot, i Sostituti Casaroli e Benelli ed Enrico Bartoletti. Il Papa è molto preoccupato per le iniziative che vertono alla legalizzazione dell’aborto, con la possibilità del referendum e le indicazioni da dare ai dirigenti della Democrazia Cristiana. Villot afferma di non conoscere bene la situazione della Chiesa italiana. Casaroli non si sbilancia più di tanto, Benelli invece si dice certo che i cattolici italiani risponderanno all’appello e faranno prevalere le ragioni della vita. Di altro tenore il discorso di Bartoletti che tocca i temi che gli sono cari: l’Italia non è più un Paese dove la fede cattolica determina ancora il senso comune della gente, quindi attenti alle prove referendarie, l’esperienza del divorzio è lì a dimostrarlo. Il Papa conclude dicendo di lasciar liberi i politici cattolici dove possono essere liberi, purché non tradiscano il principio della difesa alla vita. Uscendo il Card. Villot avvicina Bartoletti e lo saluta con una battuta destinata a diventare famosa: «Per merito suo si è vinto tre a uno»4. Servo fedele che non ha paura di dire quello che pensa.
Da quel colloquio finito “tre a uno” per la messa in minoranza di Mons. Giovanni Benelli, emerge la statura dell’Uomo di Dio Bartoletti, per quanto mite e umile (l’Ambasciatore Pompei, nei suoi diari pubblicati lo descrive «magro e non certo dedito agli eccessi, del tipo fisico di Gandhi»)5, la tempra di un Pastore impegnato fino allo spasimo nel promuovere la fedeltà a Cristo. Vescovo che conosce davvero il suo gregge e, per difenderlo, non ha paura di farsi sbranare dai lupi. Non posso non pensare che forse le cose sarebbero andate diversamente, in Italia, se quelli non fossero stati i suoi ultimi giorni di vita.
Un prelato che nel suo patrimonio di umanità, di conoscenza teologica e biblica, di spiritualità e di fede, ha portato con il suo bagaglio, in cielo, il sapore di quelle ciliegie alpine, maturate alla fine di agosto, raccolte e gustate dalla finestra della verandina della casa parrocchiale di Bardonecchia.
Ora, purtroppo, anche quelle non ci sono più. Rimangono, però, loro malgrado nella storia. In questa storia che non sarebbe giusto chiamare “minore”.
don Claudio Jovine

(4) Cfr. libro citato, pag. 179, 180.
(5) Ut supra, pag. 196.